Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Novembre 2015

TRASTEVERE - 11

Post n°2039 pubblicato il 30 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Sorse allora nella scuola e si protrasse perenne quel problema del precariato che nei decenni successivi i soloni del diritto del lavoro avrebbero esteso a tutte le categorie, come l’unica opportunità occupazionale. Opportunità che non avrebbe risolto, ma messo in giacenza l’altro problema, più drammatico, dei disoccupati totali.

 

 Per il solo fatto di essere dell’apparato, ero considerato un nemico dai candidati ai concorsi a cattedre dei quali dovevo coordinare spesso la vigilanza al Palazzo degli Esami. E assistevo impotente alle contestazioni, fino ad atti di vandalismo sugli arredi, che esprimevano il disagio della crescente disoccupazione intellettuale contestando i concorsi e chiedendone l’eliminazione.

 

Vi ritrovai, in occasione del concorso per materie letterarie, oltre alla moglie di mio fratello, la vecchia conoscenza Franca di Marcellina, che a differenza di Giancarla era contagiata dalla contestazione.

 

Riprendendo subito il nostro vecchio dialogo, cercai di capire da lei che senso avesse quella contestazione. O  non era buona norma costituzionale l‘accesso agli uffici pubblici per concorso? Non era stata la mia salvezza? Lei batteva e ribatteva sul tasto che non bastano le prove d’un esame per abilitare all’insegnamento. Ovvio. Ma tanto meno bastava la laurea: anche per me le prove d’esame avrebbero dovuto essere più serie e precedute da una seria formazione. Ma la loro eliminazione non risolveva il problema; lo aggravava.

 

Sia nel partito che nel sindacato non perdevo occasione di segnalare il problema della formazione del personale docente, ignorato dall’ufficio amministrativo. Tornai agli Annali con un saggio (Le nuove forme di reclutamento) che auspicava corsi possibilmente biennali, che dessero a una categoria ancora incerta della sua funzione, attraverso uno specifico canale formativo, la coscienza del nuovo ruolo che essa doveva assumere nella scuola diventata “di tutti”, formativo e orientativo, nei confronti di tutti e dei singoli studenti, in luogo della tradizionale funzione selettiva.

 

 Dichiaravano di volere invalidare il concorso per ottenere i corsi abilitanti. E Franca ci credeva.

 

Per me il problema della formazione era troppo serio per essere svilito dal suo inserimento in una istanza occupazionale che tra l’altro poneva in sordo conflitto precari e disoccupati totali. La proposta di legge sostenuta dai contestatori prevedeva, del resto, solo un breve corso riservato ai precari con un minimo di due anni di anzianità: mero pretesto per una immissione in ruolo in massa alla quale il concorso avrebbe sottratto dei posti per darne anche a disoccupati totali . E Franca combatteva una battaglia che non era la sua.

 

 
 
 

TRASTEVERE - 10

Post n°2038 pubblicato il 27 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

“Sarai il primo direttore generale comunista”, mi diceva tra il serio e il faceto Sciorilli Borelli, che era l’anima della neonata CGIL Scuola. Io stesso ero ben lontano dal pensare che di lì a poco avrei disdetto sia la tessera del sindacato che quella del partito, senza clamori, vivendo ogni delusione come una sconfitta; proprio mentre una piccola folla di artisti e intellettuali si spintonava per salire sul carro del prossimo previsto vincitore, dal quale io ero sempre più tentato di scendere.

 

Erano gli anni in cui partiti e sindacati paventavano lo scavalcamento a sinistra da parte di formazioni giovanili che, inneggiando a Trotzki o a Mao, contestavano i sindacati, i partiti e il loro tatticismo. Erano detti cinesi, extraparlamentari, gruppettari. “La Cina è vicina” era il titolo del primo film di successo di Marco Bellocchio. Esprimevano posizioni verbose e casinare che mai mi sedussero; ma cercai di incanalare nell’alveo sindacale la loro passione politica; come favorii l’ingresso nella segreteria di Enzo Consiglio, vicino alle posizioni dei dissidenti del “Manifesto”; compagno e amico di grande sensibilità e intelligenza, oltre che di riconosciuto valore professionale.

 

E un giorno si presentò nel mio ufficio un giovane cicciottello, appena assunto nella qualifica di vice segretario in prova, ma ancora studente prossimo alla laurea. Era il figlio di un dirigente, certo Athos Melendez, che nessuno sapeva cosa dirigesse, negli uffici del Personale, ma tutti davano come corrispondente della NATO. La cosa faceva un po’ ridere perfino in quel sistema di simulazioni funzionali: quali rapporti potevano intercorrere tra l’alleanza militare dell’Occidente e il Ministero della Pubblica Istruzione?

 

Francesco (era il nome del ragazzo) mi si sedette davanti e mi chiese a bruciapelo un consiglio, dandomi del tu:

 

“Nella mia condizione di studente lavoratore, secondo te dovrei militare nel partito comunista o nel movimento studentesco?” Cercammo di chiarirci un po’ le idee. Infine gli chiesi:

 

“Ma perché sei venuto a cercare consiglio proprio da me?”

 

“Perché mi è piaciuta la tua scheda”.

 

Francesco divenne poi mio compagno e successore nella segreteria della cellula comunista. Lui non me ne parlò più e forse si pentì di quella confidenza; ma dopo qualche anno venne fuori, negata dai protagonisti, l’esistenza di una cellula dei Servizi Segreti denominata Gladio, che attraverso referenti inseriti in tutti gli uffici pubblici schedava i funzionari ritenuti pericolosi per conto della NATO.

 

 
 
 

TRASTEVERE - 9

Post n°2037 pubblicato il 26 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

L’11 ottobre del 1971, a due anni e nove mesi esatti dalla prima, come programmato, in luogo del maschio atteso nacque la nostra seconda figlia, Sabrina. Le attenzioni da noi rivolte alla nuova venuta scatenarono la gelosia di Lucilla; specialmente quando, subito dopo, fu quasi costretta da noi sprovveduti a frequentare la scuola materna, dietro la spinta unanime di mentori più sprovveduti di noi. Non capivamo che lei avrebbe potuto interpretare la cosa come un’espulsione da casa in favore della nuova arrivata.

 

I Fabrizi, privi di prole, si proposero come padrino e madrina di battesimo per Sabrina: avevo concesso alla tiepida ma persistente religiosità di Antonietta il battesimo delle nostre figlie; evitammo poi la cresima.

 

“Sabrina”, recitava il padre parroco della nostra parrocchia di San Francesco a Ripa, “credi tu in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e in Gesucristo suo unico figliuolo?” E Sabrina gli faceva le boccacce, mentre Enrico e Maria rispondevano per lei “credo”; negli sguardi che ci scambiavamo, specialmente in quelli che Maria intelligentemente mi lanciava di sotto la sua chioma biondo scura, il riconoscimento della piccola truffa che stavamo ponendo in atto ai danni della creatura inconsapevole. Una iniziale enorme menzogna.

 

Ma fu il modo di portare nella nostra vecchia amicizia il sapore delle nuove esperienze. Ripescammo poi Aristodemo Paris di Anguillara, l’altro “pessimista”di Pescia, ora ingegnere e imprenditore edile, per qualche lieta rimpatriata.

 

Caldo e sicuro l’amore di Antonietta, come da tutti preferita era la sua cucina, discepola di una sana e sapida tradizione casareccia, ma non restia a soluzioni ed esperienze nuove.

 

“Non ti sta un po’ stretto il ruolo di angelo del focolare?”

 

“Mi ci trovo benissimo”.

 

“Non sei una donna moderna e rivoluzionaria?”

 

“Moderna non tanto. Ma è un ruolo che può piacere anche a una donna moderna, come è piaciuto a tante donne di una volta: a tutte quelle che non hanno avuto un marito padrone”.

 

Diverse nel carattere, meno nell’aspetto, le due bambine che a me, vissuto sempre tra maschi, addolcivano decisamente l’esistenza. Sabrina cresceva robusta e paciosa. Per tutta l’infanzia sarebbe stata affettuosa, sensibile e serena, felice di un bacio e di una caramella; quanto Lucilla era vivace, estrosa, non riluttante all’avventura; e sempre gelosa della sorella, fino a rubarle il box o il biberon.

 

 

 

 
 
 

TRASTEVERE - 8

Post n°2036 pubblicato il 25 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il dottor Caiazza mi fece accomodare con grande cordialità, scusandosi anche del fatto che, mentre gli esponevo il progetto, dovesse continuare a combattere con i due telefoni che teneva sul tavolo:

 

“Ma certo, onorevole! Ma si figuri, se a un amico… Oh, eccellenza! Come sta la signora?… Solo un certificato? Ma si figuri… Mi scusi tanto, dottor De Mico. Vede come sono combinato? Ma continui, continui pure, ché io la seguo ugualmente”.

 

“Basta predisporre una scheda (l’ho abbozzata) che gli stessi candidati possono compilare. Il Presidente della Commissione la completerebbe con l’esito dell’esame e la firma. Noi ne faremmo uno schedario fotografico. E due soli impiegati sarebbero in grado di sfornare tutti i certificati richiesti. Costo una ottantina di milioni una tantum; risparmio un centinaio di milioni all’anno…” Non feci in tempo ad esporre gli interventi che inoltre auspicavo in sede legislativa e regolamentare, che egli avrebbe potuto promuovere presso il Ministro per evitare la richiesta di tanti certificati inutili.

 

“Vede, dottor De Mico”, mi interruppe garbatamente, “alla sua età anch’io avevo i suoi slanci innovativi e la pensavo come lei. L’esperienza poi mi ha insegnato una cosa che anche lei deve tenere bene a mente… Pronto! Sì, pronto! Oh, non mi dica che ha bisogno di me…” Eccetera, eccetera… “Sa chi era?” rivelò tornando a me: “Nientemeno che il segretario particolare del Presidente… Sì, di lui”. Puntava il dito verso il ritratto appeso alle sue spalle. “E anche lui è un nostro amico. Sa perché?”

 

“Per via di un certificato urgente”.

 

“Esatto. Lei è intelligente ed io condivido tutte le sue perplessità. Ma ponga mente a quanto le sto per dire, dottor De Mico. Anzi, le dirò che potremmo avvalercene anche sul piano sindacale… L’importanza di un ufficio, con la conseguente possibilità di farsi tanti autorevoli amici e di promuovere l’occupazione, dipende da due fattori: il numero degli impiegati e il numero delle pratiche arretrate. E sono proprio le cose che lei vorrebbe eliminare… Ci pensi, dottor De Mico, ci pensi. Poi magari ne riparleremo”. E mi congedò.

 

Mi fu negato l’acquisto degli strumenti per la microfilmatura. Ma piacquero le idee della scheda precompilata da fotocopiare, della richiesta della marca da bollo in luogo della carta bollata e dell’acquisto di una buona fotocopiatrice, che nei successivi esami di abilitazione e di concorso misero in grado l’ufficio di far fronte sbrigativamente alle richieste dei nuovi esiti concorsuali senza aggravare, per lo meno, il vecchio arretrato.

 

 
 
 

TRASTEVERE - 7

Post n°2035 pubblicato il 24 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il dottor Fazio mi prospettò una nuova esperienza in un ufficio atipico, un Ispettorato, al quarto piano di Viale Trastevere (sarebbe poi traslocato con altri uffici in affitto in una delle palazzine che andavano cementificando i prospicienti Orti di Trastevere), l’Ufficio Concorsi, diretto dall’ispettore generale Caiazza, segretario onorario di un nuovo sindacato aderente alla CISL. Accettai.

 

Fui il direttore di sezione f.f. dell’Ufficio Certificati (e ne trassi un secondo saggio per gli Annali, La guerra dei certificati), alle dipendenze di un direttore di divisione che, prossimo al pensionamento, passava il tempo ad arrotolare cartoccetti con i quali si scaccolava il naso; mentre la mia Sezione Certificati, benché provvista di una ventina d’impiegati, era nel caos: vi si ammucchiavano a migliaia, pervenendo da tutta Italia, le richieste dei certificati di abilitazione all’insegnamentoe di idoneità nei concorsi a cattedre, che gli uffici centrali e provinciali dello stesso ministero richiedevano per conferire nomine e supplenze.

 

“Non sarebbe più semplice e più giusto un accertamento d’ufficio, visto che siamo noi stessi a dover rilasciare i certificati che richiediamo?”

 

“Ma sa quanto incassa lo Stato in imposte di bollo?”

 

“Quindi una vessazione a scopo tributario. Ma almeno ci guadagna davvero lo Stato?” Conti alla mano, l’ammontare del tributo era ben lontano dal coprire gli stipendi degli impiegati, costretti a ricercare i risultati di ogni richiedente e a trascriverli a uno a uno sui grandi fogli di carta bollata, con tanto di passaggi per l’Ufficio Copia.

 

Ormai le domande venivano timbrate e archiviate a mucchi, per rilasciare soltanto i certificati urgenti; cioè quelli richiesti con istanza che perveniva con il timbro urgente e la sigla del capo, quando lo stesso capo o altro capetto non aggiungeva la fatica di ripescare una domanda giacente facendola diventare urgente.

 

Consapevole di non poter influire sul sistema giuridico, che avrebbe richiesto interventi legislativi, studiai seriamente il modo di trovare una soluzione tecnica sul piano dell’efficienza del servizio.

 

Mi capitò tra la posta una réclame sulla microfilmatura e l’archiviazione fotografica degli atti (non c’era ancora il computer): quel sistema avrebbe consentito di archiviare, ritrovare e riprodurre gli atti in pochi secondi. Me lo studiai per bene e andai ad esporlo prima al direttore della divisione e poi, per sua delega (“Faccia lei, faccia lei”), al dottor Caiazza.

 

Ed ebbi dal simpatico napoletanissimo ispettore sindacalista la seconda grande lezione burocratica.

 

 
 
 


 

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