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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 08/05/2015

LA VOCAZIONE - 5

Post n°1897 pubblicato il 08 Maggio 2015 da anonimo.sabino
 

     Nel prospettare a me stesso la vita religiosa, per il poco o niente che ne sapevo, non potevo fare a meno di specchiarmi nella condizione delle religiose che avevo finalmente lasciato. Si definivano “spose di Cristo”; e  il mio pensiero fisso, blasfemo, era che se fossi stato Gesucristo, le avrei ripudiate, tutte, in cambio di una donna vera.

     Non ero però tanto disincantato da non esaltarmi al pensiero di una grande missione: essere davvero il padre degli orfani; portare la speranza in paesi disperati, desolati dalla miseria e dall’ignoranza; dare un alto scopo alla vita e uno sbocco concreto alla mia sete di conoscenza.

     Fosse o no vocazione, amavo l’ideale e ammiravo gli eroi, i cavalieri, i santi, i missionari. Il dubbio maggiore mi derivava dal pensiero di dover rinunciare alla donna; e provenendo dalla rustica scuola di paese, non riuscivo a spiegarmi (non ci riesco nemmeno ora) perché ai sacerdoti cattolici fosse imposto il celibato. Potevo essere fedele al voto di povertà e al voto di ubbidienza, dei quali mi parlava in modo assai sfumato il reclutatore, sacrificando all’ideale le voglie di ricchezza e di potere personale, che non avevo mai avuto. Ma quel voto di castità… Avevo addirittura una fidanzata. O no?

     “Ai voti, però, sarai chiamato soltanto dopo la scuola media e il ginnasio”, aveva precisato Padre Giannella: “Come probando (significa appunto in prova) dovrai sottostare soltanto a una certa regola, non a quella della vita religiosa che poi, eventualmente,sceglierai”.

     “Ah, se è così…” Non sapevo quanto fosse già dura la regola del probando e quanto poco spazio avrebbe lasciato alla mia scelta successiva.

  Sarei partito, stavolta, in compagnia di due bambini monteflaviesi, un po’ più grandi, Emilio e Terzo. Loro erano al secondo anno, essendo partiti l’anno prima con Padre Giannella.

     Conoscendo l’ambiente delle reclusioni, mi ritenevo fortunato di avere al mio fianco, nel nuovo istituto, due compaesani già vecchi. Non mi aspettavo da parte loro la conferma del detto maligno Chi a Roma vò gode’ s’ha da fa’ frate. Ma non m’incoraggiarono neppure:

     “Si mangia poco e male, ma si mangia…” E non andavano oltre. 

 
 
 


 

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