Messaggi del 09/04/2015
Alla raccolta e all’essiccamento del grano nei granai seguiva la stagione del granturco, a garantire polenta per tutto l’anno, piatto base, con pane e maccheroni, della nostra alimentazione. Seguivano la raccolta delle castagne e poi, più importante, quella delle olive, che ci procurava il condimento base: il pane unto con qualche lacrima d’olio (il nostro olio così leggero e profumato) è ancora lo spuntino più comune. Verso Natale arrivava infine la festa del porco, a completare, con il pollaio, le riserve alimentari familiari. Dalla metà di dicembre a metà gennaio il paese era un risuonare continuo di urli di maiale. E con la forchetta nel taschino chi aveva voglia di polenta si affrettava in quella direzione. Annuccato e finito con la scannatoia, il povero porco veniva disteso su un’anta dell’uscio, scardinata e appoggiata allo scalino orizzontalmente, per essere pelato, con getti di acqua bollente e coltelli affilati in contropelo sulla cute fumante. Aperto dai guanciali al culo, restava crocifisso per due giorni ad asciugare e poi veniva spezzato. Ma la prima preoccupazione del norcino, a parte la ripulitura delle interiora per farle poi diventare salcicce, fegatelli e sanguinacci, era di passare subito alla padrona i ritagli per la padellaccia. Ed era la più buona e grassa polentata dell’anno; invitati tutti, purché si fosse abbastanza lesti a inforchettare e inghiottire. Non c’erano più né la porcilaia comunitaria di Montefàrecu, né gli allevamenti a branchi di una volta, ma ogni famiglia aveva il suo maiale; per cui si poteva partecipare a più polentate, tutti in piedi, attorno ad ampie spianatoie accoppiate, interamente coperte di polenta con lo stenterello (comunissimo palo liscio appiattito, prima che maschera toscana) e il sugo della padellaccia sopra. Si comprava solo qualche osso di pecora per il sugo dei maccheroni. Erano un lusso le braciole d’abbacchio o di castrato per la graticola e il pezzo di manzo per il lesso e per la fettina. Ma se si scapicollava un asino o altro animale domestico, era un affetta affetta per le coppiette affumicate. A spogliare le pannocchie di granturco, girando le foglie verso il capo e intrecciandole per appenderlo ad essiccare, dopo aver tolto le più tenere per i pagliericci, le donne sedevano fuori dell’uscio, godendosi gli ultimi tepori di fine estate e cantando. Poi avrebbero provveduto a stotarare, ossia a sgranare i chicchi dai tòtari strusciando le pannocchie secche l’una contro l’altra; sempre cantando. |
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