Creato da aliasnove il 10/01/2013

IL LAVORO

Nell'era della globalizzazione

 

 

PIU' ARMI, PIU' GUERRA E VITTIME CIVILI

Post n°366 pubblicato il 12 Marzo 2022 da aliasnove

Scrivo come una persona che le guerre le ha viste e raccontate insieme al patire dei civili straziati sotto le bombe. E che per questo è contro ogni guerra. Così vedo in una sequenza temporale unica insieme all’elenco criminale delle stragi sanguinose in corso in questi giorni in Ucraina ad opera dei bombardamenti russi a Mariupol, Irpin Kharkiv, anche la memoria testimoniata dei tanti «effetti collaterali» dei bombardamenti della Nato nel 1999 sull’ex Jugoslavia – Surdulica e Grdelica, strage di bambini la prima e di viaggiatori di un treno la seconda – , e quelle delle vittime civili dell’ospedale afghano di Medici Senza Frontiere a Kunduz colpito dai raid della Nato nell’ottobre 2015.

E proprio sotto l’effetto della tragedia delle donne e dei bambini dell’ospedale di Mariupol bersaglio delle bombe di Putin, mi interrogo rispetto alla scelta scellerata dell’Europa che, ringraziando Putin, riarma e su questo si ricompatta sotto l’egida della Germania che assegna 100 miliardi di spese militari alla Bundeswer – una svolta preoccupante all’indietro di 360 gradi della Storia europea -, e poi decide, Italia compresa, di inviare armi in sostegno a Kiev. Ma così si pensa davvero di fermare la guerra in Ucraina? Ce ne sono forse poche di armi in Ucraina? Oppure è vero il contrario che, nei tre mesi dell’ammassamento di truppe russe alla frontiera, ogni paese occidentale – Gran Bretagna in primis – ha inviato tonnellate di armi e istruttori a quel paese.

Forse che sono pochi i foreign fighters in quella crisi che ne ha visti a migliaia combattere dal 2014, l’inizio del conflitto, visto che si esaltano ora «i combattenti internazionali»? È vero esattamente il contrario. Come è tragicamente vero che più armi servono solo ad allargare il conflitto: il paese che le invia diventa cobelligerante agli occhi del nemico o no? E peggio, servono a rendere questa guerra endemica, un Afghanistan nel cuore d’Europa, un altro Afghanistan dove l’invio di armi è servito a cacciare nel 1989 i sovietici, poi l’invio di armi ha sostenuto i mujaheddin, poi ha aiutato i talebani, ai quali abbiamo fatto guerra con una occupazione militare di 20 anni per restituire il potere nelle mani dei nemici. Che ha risolto quella guerra da noi scientemente alimentato se non a riempire di strumenti di morte gli arsenali dell’integralismo islamico, come in Siria?

E se siamo tutti impegnati nell’accoglienza dei profughi e perché i civili possano fuggire con i corridoi umanitari, argomento vitale di ambigue trattative tra russi invasori ed ucraini, che cosa produrrà nei confronti dei civili in fuga, l’esistenza parallela di “corridoi per le armi” che diventeranno obiettivi militari da colpire? Tanto per essere chiari: le armi italiane e di altri Paesi saranno allocate -se già non lo sono – in Polonia e poi ci saranno “corridoi” per andare a prenderli e consegnarli a quali paramilitari? Saranno o no occasione di nuove battaglie in un territorio che a quel punto non sarà solo l’Ucraina?

Inviamo armi per la resistenza degli ucraini, ma quali? Perché l’arma più efficace sarebbe quella aerea, nelle due opzioni: la no-fly zone, corridoi aerei di interdizione ai jet nemici, quelli russi, e invio di caccia militari sempre alla Polonia da inviare (come?) in Germania e poi in Ucraina sul fronte di guerra.

Zelensky ad ogni pié sospinto lo chiede, ma è la stessa la Casa bianca a dire no, spiegando che la decisione porterebbe ad un confronto militare diretto con la Russia. In buona sostanza solo una soluzione negoziata del conflitto in corso, con un ruolo dell’Ue non appiattita alla Nato e delle scomparse Nazioni unite, potrà fermare la guerra. E invece nuove armi – vere non simboliche – inviate tanto per costruire il martirio altrui che ci salvi dai nostri sensi di colpa, responsabilità e colpevole ignoranza di questa crisi durata 8 anni di guerra civile, allargheranno la guerra al punto che «non sarà possibile più nessun compromesso» scrive sul New York Times Thomas Friedman.

Perché c’è una domanda, la più importante, che aleggia nell’aria: come mai le belle promesse di tenere la guerra lontana dall’Europa, «mai più la guerra», promesse sono rimaste avendo l’Europa delegato la propria sicurezza e politica estera a Washington e alla Nato? C’è davanti ai nostri occhi lo spettro sempre più evidente della Terza guerra mondiale, tutta insieme non più a pezzi come denunciava inascoltato papa Francesco. Questa va impedita, non è un ricatto è il baratro nel quale ci siamo inseriti. Ma dichiarare questa verità è “pacifismo cinico”? Rispetto per tutti, ma attenzione a non indossare l’elmetto invece di comprendere la tragedia che stiamo vivendo, come fanno in Europa solo Podemos, Syriza, Linke in piazza come noi contro l’aggressione di Putin.

E poi basta con il doppio standard: perché gli Stati occidentali non inviano allora armi anche ai palestinesi, ai kurdi, agli yemeniti – popoli abbandonati come paria -, oppure è impossibile perché magari è proprio l’Occidente ad essere l’aggressore o a sostenere gli aggressori?
E Il Vietnam? Il Vietnam vinse perché aspirava ad una sua rivoluzione e a riunificare legittimamente un Paese insidiato da una divisione artificiale sostenuta dagli Usa invasori. Una memoria personale.

Quando i vietnamiti impegnati nelle trattative di pace di Parigi passarono per Roma per parlare con il Pci, chiesero di incontrare Aldo Natoli che nel frattempo era stato radiato con il gruppo del Manifesto. L’incontro ci fu e a conclusione ricordo le parole di Aldo: i vietnamiti non voglio armi, né combattenti, vogliono che intensifichiamo le manifestazioni per la pace perché la guerra deve finire altrimenti non fanno più la loro rivoluzione…E quelle manifestazioni, quella potenza mondiale di milioni di giovani in tutte le piazze del mondo – credo che sia nata allora – pesò sui destini della guerra molto più di ogni invio di armi.

Ultimo interrogativo. Ma che farebbe in queste ore Gino Strada, strumentalizzato spesso come un santino ma poi dimenticato, non un pacifista a chiacchiere ma un uomo che per tutta la vita è stato “contro la guerra” – così amava definirsi – non dal divano di casa ma lì dove la guerra distrugge le vite degli esseri umani: invierebbe e porterebbe ospedali da campo e aiuti sanitari e umanitari, oppure chiederebbe all’Italia di inviare mitra, sistemi antiaereo e proiettili anticarro?  Tommaso Di Francesco  il manifesto

 
 
 

SI FRONTEGGIANO POTENZE NUCLEARI, SALVIAMO LA PACE CON LA PACE

Post n°365 pubblicato il 25 Febbraio 2022 da aliasnove

È buio e sono ore drammatiche. Sempre e solo guerra: quando è che l’uomo rinuncerà alla follia della guerra? Stiamo giocando con il fuoco, quello nucleare che ci condurrà dritti all’ «inverno nucleare». Questo è un momento di estrema gravità in cui si scontrano due potenze nucleari, Russia e Usa/Nato.

È follia l’attacco di Putin contro l’Ucraina, ma altrettanto folle la politica della Nato nell’inclusione dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia. La Nato, sorta come alleanza militare dell’Occidente contro i paesi comunisti, non sarebbe dovuta scomparire con la caduta del muro di Berlino?

COME MAI LA NATO ha continuato ad armarsi fino ai denti, fino a spendere oltre mille miliardi di dollari all’anno? Sia ben chiaro che siamo contro l’imperialismo russo come anche quello occidentale, ma Putin, dal suo punto di vista, non si sta espandendo, ma si sta difendendo. E non era nostro compito bloccare questo accerchiamento della Russia molto tempo fa? Ci siamo dimenticati che gli Usa nel 1961 hanno reagito allo stesso modo, quando i russi volevano mettere i missili a Cuba? Già allora abbiamo evitato una guerra nucleare. Non abbiamo imparato nulla dalla storia? Continuiamo nel nostro delirio di onnipotenza? Non è forse perché noi occidentali come gli Stati uniti – che vantiamo più civiltà – siamo prigionieri del «complesso militar-industriale» a cui è assoggettato tutto questo pazzo mondo?

ABBIAMO MILITARIZZATO il cielo che è diventato anch’esso teatro di scontro. Elon Musk vi ha già inviato 1.900 satelliti e vuole inviarne altri 42.000. La Cina lo sta già accusando di spionaggio a favore degli Usa e ha tentato il suo missile ipersonico che elude ogni difesa. Siamo ormai alle ‘star wars’ come le chiamava Reagan. Ma non contenti stiamo supermilitarizzando la Terra che è diventata una discarica di armi. Lo scorso anno la spesa militare mondiale si è aggirata sui duemila miliardi di dollari. E questo riarmo è contagioso. La pesante militarizzazione della Cina sta spingendo ora le nazioni del Pacifico a fare altrettanto: Giappone, Corea del Sud, Malesia e Taiwan. Nel 2020 perfino l’Africa ha già superato i 43 miliardi di dollari in armi. Ma ancora più agghiacciante è la corsa al riarmo nucleare da parte delle grandi potenze, soprattutto Usa, Russia e Cina. L’amministrazione Obama già aveva stanziato mille miliardi di dollari per modernizzare il suo armamentario atomico.

E COSÌ ABBIAMO le nuove e più micidiali bombe atomiche, le B61-12 che arriveranno presto anche in Italia per rimpiazzare una settantina di vecchie B61. La Cina,che ha oggi un arsenale di 200 testate atomiche vuole arrivare entro il 2030 ad averne almeno un migliaio. Gli Stati Uniti ne hanno già pronte al lancio oltre tremila. La Russia ne ha altrettante. Il nuovo accordo militare tra Usa, Gran Bretagna e Australia (Aukus) per la difesa della zona del Pacifico, incrementerà questa corsa al riarmo nucleare. Gli Usa hanno già venduto all’Australia i sottomarini atomici. È per questo che gli scienziati hanno già posto le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse «a 100 secondi dall’inverno nucleare». Infatti basta un «incidente di percorso» come quello dell’Ucraina – o su Taiwan – per farci precipitare nel baratro. È mai possibile che sia solo papa Francesco a dirci ripetutamente: «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche. Saremo giudicati per questo».

PURTROPPO CON AMAREZZA devo constatare che il grande movimento popolare contro i missili a Comiso, contro la guerra in Jugoslavia e in Iraq, non c’è più. Come mai, in questi anni non siamo riusciti, purtroppo, ad appassionare i giovani e tutti gli italianil alla Pace? I tanti gruppi che lavorano per la Pace, spesso dimenticati dalla Politica, devono sforzarsi di creare un grande movimento nazionale per portare ancora una volta in piazza il popolo della pace, perché convinca il governo alla demilitarizzazione del territorio italiano. E mi appello anche alle comunità cristiane perché si impegnino per questo scopo.

IN QUESTO MOMENTO così difficile dobbiamo unitariamente chiedere al governo italiano non solo la condanna dell’invasione, ma una neutralità attiva nel dialogo con la Russia per il ritiro delle sue truppe dall’Ucraina, nonché per la revoca del riconoscimento della indipendenza delle repubbliche del Donbass. Inoltre, se non è troppo tardi, deve chiedere all’Ucraina altresì che riconosca l’autonomia del Donbass come previsto dagli accordi di Minsk. Per questo c’è bisogno che il governo italiano si adoperi a convocare una conferenza internazionale per avviare queste trattative e ripristinare la pace in Ucraina.

DOBBIAMO TUTTI impegnarci a fondo per salvare la pace che è il supremo bene in questo momento storico: pace fra gli uomini, pace fra le nazioni, pace con il Pianeta Terra. Solo così potremo evitare sia l’ «inverno nucleare» come l’ «estate incandescente» per la crisi climatica. Queste minacce alla sopravvivenza umana sul Pianeta Terra sono intrecciate tra di loro.

«Tutto è connesso» su questa Terra, ci ha ricordato papa Francesco nella Luadato Si’. Non dimentichiamoci che le armi e la guerra pesano sul Pianeta tanto quanto lo stile di vita del 10% ricco del mondo. Per questo è fondamentale l’impegno di tutti , soprattutto dei pacifisti per la Pace, osando anche gesti coraggiosi come quelli attuati da don Tonino Bello e Beati i Costruttori di Pace quando sono entrati pacificamente in piena guerra a Sarajevo. Dobbiamo realizzare quello che l’amico Gino Strada ha affermato con tanto coraggio: «Come l’umanità è stata capace di rendere l’incesto un tabù, altrettando deve farlo con la guerra».

E come dice papa Francesco in Fratelli Tutti: «Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!».  Alex Zanotelli  il manifesto

 
 
 

IL GIORNO DEL RICORDO ITALIANO E' FATTO PER DIMENTICARE

Post n°364 pubblicato il 11 Febbraio 2022 da aliasnove

Cari amici della ex-Jugoslavia,
Vi scriviamo dopo che qui in Italia è appena trascorso il giorno del ricordo istituito per commemorare le vittime delle foibe del settembre-ottobre 1943 e del maggio 1945. Sappiamo che il 10 febbraio è una data storica che riguarderebbe il Trattato di Pace di Parigi del 1947 e non le foibe, ma questa fa parte del modo italiano di rileggere il passato.

È un giorno importante poiché grazie a questa memoria selettiva; alla retorica istituzionale che da anni la accompagna; alla strumentalizzazione che ne fa l’estrema destra parlamentare e non; alla messa all’indice degli studiosi che osano discuterlo, noi possiamo usare il ricordo per dimenticare.

Nel giorno del ricordo noi dimentichiamo:
quando il tribunale di Trieste dello Stato liberale condannò a 120 anni di carcere 50 ferrovieri (italiani e jugoslavi) per lo sciopero del 1919 con l’accusa di anti-italianità e filo-slavismo;
quando a Pola nel gennaio 1920 furono condannati a 25 anni i metalmeccanici italiani e jugoslavi con l’accusa di cospirazione contro lo stato e istigazione alla guerra civile;
quando il 13 luglio 1920 a Trieste i fascisti bruciarono la Narodni Dom (Casa del Popolo) della minoranza slovena della città;
quando Mussolini certificò la nascita del fascismo in quelle terre di confine scrivendo su Il Popolo d’Italia: «in altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia Giulia sono l’elemento preponderante e dominante».

Dimentichiamo l’italianizzazione forzata con le leggi degli anni 1922-1931 nonché i 544 imputati presso il Tribunale speciale fascista e le 35 condanne a morte comminate a sloveni e croati. Con essi obliamo anche il programma dichiarato dal fascismo per voce del suo capo: «di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

Cancelliamo dalla memoria pubblica l’invasione italiana della Jugoslavia e dei Balcani (Albania e Grecia) e con essa i crimini di guerra compiuti dal regio esercito e dalle camicie nere.

Dimentichiamo i 36.000 morti di Lubiana a causa dell’occupazione; la cosiddetta «cintura» di filo spinato che nel febbraio 1942 chiuse la città e preparò le razzie dei militari italiani.

Dimentichiamo le centinaia di migliaia di donne, uomini, bambini e anziani rastrellati e deportati nei campi di internamento costruiti dal governo italiano a Rab, Renicci di Anghiari, Gonars e in altre decine e decine di località italiane da nord a sud del Paese.

Dimentichiamo le fucilazioni, le rappresaglie contro civili e partigiani; la guerra totale portata nelle case, nelle strade e sui monti dalle truppe dei Savoia e del duce che costò al popolo jugoslavo oltre un milione di morti.

Dimentichiamo le repressioni in Montenegro comandate dal generale Alessandro Pirzio Biroli ed anche la spietata «circolare 3C» firmata dal generale Mario Roatta, capo del SIM fascista accusato dell’omicidio dei fratelli Rosselli, fuggito da Roma durante il processo e definitivamente assolto da tutto nel 1948.

Dimentichiamo come ci chiamavate: italijanski palikuće (italiani bruciatetti) perché eravamo soliti incendiare con i lanciafiamme i tetti delle vostre case per farvi sfollare.

Dimentichiamo le migliaia di partigiani italiani che combatterono nei Balcani con le formazioni di Tito per liberare la Jugoslavia ed anche le migliaia di jugoslavi che si unirono alla Resistenza italiana e liberarono il nostro Paese dai nazifascisti.

Dimentichiamo che nessuno dei 750 criminali di guerra italiani iscritti nelle liste delle Nazioni Unite alla fine della guerra fu mai processato da un tribunale internazionale o nazionale. E che la gran parte di loro venne promossa ai vertici degli apparati di forza della Repubblica in funzione anticomunista.

Dimentichiamo Ettore Messana e Ciro Verdiani i due questori fascisti di Lubiana inviati dal ministro dell’Interno Mario Scelba in Sicilia come capi dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza e coinvolti nelle vicende della strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947. Con loro dimentichiamo Giuseppe Pièche, inviato da Mussolini a Spalato per coordinare la polizia politica degli ustascia croati, nel dopoguerra assoldato da Scelba per organizzare strutture di intelligence anticomuniste ed infine coinvolto nell’inchiesta del Golpe Borghese del 1970.

Possiamo, dunque, continuare a perpetrare il falso mito degli «italiani brava gente» e comprende meglio, a posteriori, come i futuri fautori della legge del ricordo del 2004 potessero considerare umanitari i bombardamenti a Belgrado nel 1999 chiamando quella guerra «missione arcobaleno».

È stato, come vedete, un lungo percorso ma abbiamo lavorato alacremente e continuiamo a farlo. Ieri una circolare del Ministero dell’Istruzione ha paragonato le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica. Ci saranno polemiche ma basterà dichiarare che è stata una svista. Intanto però questo aberrante concetto lo faremo circolare pubblicamente ed è questo l’importante perché sarà il primo passo per una sua diffusione nel senso comune. D’altro canto già nel giugno 2020 deputati della destra presentarono un disegno di legge per l’equiparazione e lo rifaranno presto.

Cari amici della ex-Jugoslavia, come avrete capito, ci occupiamo soprattutto delle giovani generazioni e lo
facciamo per non correre il rischio che imparino la storia. Noi adulti, come vedete, abbiamo già dato. 
Davide Conti  il manifesto

 
 
 

COVID, PER I CAPITALISTI LA PANDEMIA E' UNA CORSA ALL'ORO

Post n°363 pubblicato il 18 Gennaio 2022 da aliasnove

Alla fine del primo anno pandemico, il 2020, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre due terzi della ricchezza nazionale mentre il 60% più povero appena il 14,3%. In quella platea già ristretta spuntava un’avanguardia di capitalisti che possedeva oltre sei volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. C’era poi un’élite delle élite, il 5%, la cui ricchezza era pari a quanto posseduto dall’80% della fascia più povera della popolazione.

SONO alcuni dei dati contenuti nel rapporto «La pandemia della disuguaglianza», pubblicato da Oxfram, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, che quest’anno si terranno in forma virtuale. Un’occhiata alla lista Forbes è essere sufficiente per comprendere la natura classista delle politiche economiche e finanziarie varate nel corso dei 21 mesi appena trascorsi della pandemia del Covid. Tra marzo 2020 e novembre 2021 i miliardari nostrani sono aumentati da 36 a 49. A livello globale i 10 uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato, in termini reali, i loro patrimoni guadagnando 15 mila dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Solo Jeff Bezos, imperatore che regna nel mondo Amazon, ha ottenuto un surplus patrimoniale di +81,5 miliardi di dollari. Questi soldi basterebbero da soli per pagare la vaccinazione completa contro il Covid (due dosi e la terza «booster») all’intera popolazione mondiale. Bezos non perderebbe nulla del suo potere. In compenso potrebbe contribuire a finanziare anche la logistica mondiale, mettendo a disposizione la potenza della sua impresa (aerei compresi) per aiutare i paesi meno attrezzati a vaccinare la propria popolazione. Il problema riguarda anche il capitalismo farmaceutico. Pfizer, BioNTech e Moderna hanno realizzato utili miliardari, ma meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi a basso reddito, dove è stata vaccinata appena il 4,81% della popolazione. E pensare che per spendere le proprie fortune al ritmo di 1 milione di dollari al giorno ciascuno, Bezos e gli altri ultra-miliardari necessiterebbero di 414 anni. 414 anni di pena per tutto il resto del mondo. . Non sarebbe un esproprio. Sarebbe giustizia.

«LE BANCHE centrali hanno pompato miliardi di dollari nei mercati finanziari per salvare l’economia, ma gran parte di queste risorse sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario – sostiene Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International – I settori come quelli farmaceutici hanno beneficiato della crisi con conseguenze avverse per troppi ed è succube alla logica del profitto e restio alla sospensione temporanea dei brevetti e alla condivisione di know-how e tecnologie necessarie per aumentare la produzione di vaccini Covid e salvare vite anche nei contesti più vulnerabili del pianeta».

LE DONNE, insieme ai lavoratori giovani e stranieri, sono tra le più colpite dalla crisi. La quota di «working poor» (lavoratori con retribuzione annuale inferiore a 10.837 euro e mensile inferiore a 972 euro nel 2017) è aumentata dal 26% del 1990 al 32,4% nel 2017. Ciò che ha contribuito all’aumento della povertà lavorativa è stato il precariato, il part-time in prevalenza involontario la cui incidenza è quasi triplicata in questi anni.

OXFAM ha inoltre individuato la ragione di fondo che mina le politiche di bonus e incentivi con i quali i governi hanno illuso, facendo addirittura parlare di un fantomatico «ritorno dello Stato». I massicci trasferimenti hanno solo attenuato le disuguaglianze retributive e reddituali, ma le prospettive a breve restano incerte, data la temporaneità degli interventi e i rischi, tutt’altro che scongiurati, di un ritorno allo status quo pre-pandemico. Il desiderio di tornare al mondo di prima è stato coltivato anche dal governo Draghi è che il virus sia l’eccezione. E che il business as usual la regola. Gli effetti di questa decisione politica sono quelli indicati anche da Oxfam. E questo è solo il primo tempo della crisi.

*** Maslennikov (Oxfam): «Con il governo Draghi sono difficili da adottare misure di giustizia sociale»

Roberto Ciccarelli  il manifesto

 
 
 

LA LOTTA SINDACALE RIMETTE IL PAESE CON I PIEDI PER TERRA

Post n°362 pubblicato il 09 Dicembre 2021 da aliasnove

“Benedetto sia il conflitto”. Questo dovrebbe essere il sospiro di sollievo di ogni italiano pensante, di fronte alla decisione di Cgil e Uil di proclamare lo sciopero generale. Perché può essere davvero l’unico modo per disperdere i miasmi tossici che si addensano su un Paese e su una società devastati da un malessere tanto profondo e diffuso quanto mascherato e taciuto. Il solo antidoto potenzialmente efficace contro quell’”onda di irrazionalità” denunciata dal Censis nel suo ultimo Rapporto, che colpisce tanto in alto (in un ceto politico perduto nel labirinto dei propri deliri quirinalizi) quanto in basso (in una popolazione impaurita e preda delle peggiori superstizioni nel tentativo di decifrare “il senso occulto di una realtà” che le si decompone intorno). Potremmo dire: tanto tra le “caste”, quanto nella “plebe”. In questo contesto, il focus puntato sulle condizioni materiali delle persone, in particolare dei lavoratori che costituiscono la maggioranza della popolazione e che hanno subìto per almeno tre decenni ingiustizie e spoliazioni, rappresenta un insperato ritorno di un barlume di razionalità e di ragionevolezza – il riaffacciarsi della vecchia vituperata ma spesso salvifica Ragione illuministica – nella notte dei sabbah e dei riti del potere.

Stupisce, in tale contesto – e anche questo è il sintomo della “crisi della Ragione” in atto – lo stupore della massime autorità di governo competenti in materia. Il “non capisco le motivazioni dello sciopero” del ministro del Lavoro, Orlando, che pur qualcosa dovrebbe sapere delle condizioni di vita di quelli che costituiscono nel bene o nel male l’oggetto delle decisioni del suo Dicastero. Soprattutto l’”incredulità di Draghi” – è un titolo di Repubblica -, che le cronache descrivono come “irritato”, in qualche reportage addirittura “irato” (“L’ira di Draghi”, il Messaggero). E la sua sentenza: “E’ immotivato”. Sarebbero questi gli “statisti”? O anche solo gli “economisti”?

Mario Draghi, se non altro per il mestiere che ha fatto per tutta la sua vita precedente, dovrebbe saper leggere i numeri. Ebbene, gli suggeriamo di dare un’occhiata a qualcuno dei tanti dati che potrebbero illuminarlo: per esempio alla serie storica elaborata dall’Ocse (non dal Centro Studi della Cgil) sulla dinamica dei salari medi annuali nei rispettivi Paesi nell’ultimo trentennio (1990-2020). Potrà vedere a occhio nudo che l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i 23 membri censiti, l’unico con un valore negativo! Sono cresciuti tutti: chi molto (la Korea fa segnare un +92%), chi con un valore medio (il Regno Unito +44%, la Germania e la Francia rispettivamente +33% e +31%), chi pochino (la Spagna col suo +6%). Ma l’Italia è andata addirittura indietro: in trent’anni i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti del 2,9% (!!!).

Nel primo ventennio del nuovo secolo ancora di più, -3,5%: un lavoratore italiano che nel 2000 guadagnava mediamente in un anno l’equivalente di 39.175 dollari lordi (a prezzi costanti calcolati sul 2020) oggi ne guadagna 37.769 (1.406 in meno). Un coreano che trent’anni fa ne percepiva 29.000 oggi ne guadagna quasi 42.000. Un britannico ha aumentato il proprio salario lordo di circa 7.000 dollari. Un tedesco di 9.000. Persino i Greci si sono mantenuti in pari, intorno ai 27.200 dollari.

Sarebbe stato necessario farne 20 di scioperi generali in questo ventennio, per restare a galla. E invece una classe dirigente che dovrebbe fare il mea culpa per ciò di cui si è resa responsabile si chiede come mai alla fine ne arrivi uno – uno -, a disturbare un manovratore che sembra aver perso la strada, o quantomeno il senso della realtà. Quando si parla della cecità che ha colpito chi sta in alto nei confronti delle condizioni di chi sta sotto – e dunque dello scollamento tra Paese legale e Paese reale che sta uccidendo la politica – si intende appunto questo. Questa miopia che il “Migliore tra i Migliori” ci sciorina davanti.

Per noi, che viviamo al livello del suolo, la notizia della riapertura del conflitto sociale – supposto che alle parole segua il fatto, e che gli appelli all’amor di patria da parte dei tanti che in questi anni la patria l’hanno usata come un bancomat, cadano nel vuoto – ha lo stesso sapore della speranza che potrebbe avere quella della scoperta di un vaccino finalmente definitivo contro ogni variante. Una sorta di ritorno non dico alla salute ma a una qualche igiene mentale collettiva. Quando il Censis – ancora loro – parla di “un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico”, sembra evocare altri luoghi, altri tempi della storia Europea. Quell’Europa in cui, scriveva l’etnologo militante Ernesto De Martino, altri mestatori andavano “sciamanizzando i popoli” (letterale). Quella Germania in cui Ernst Bloch vedeva all’opera i fantasmi prodotti dalla morte della speranza da parte di un proletariato orfano del proprio riscatto e per questo abbandonato ai riti occulti e al fascino delle magie nere di una tirannide disumana. Un’altra “crisi della Ragione” figlia a sua volta di una crisi sociale lasciata marcire su se stessa. Forse gli autonominati “migliori”, per esorcizzare le “piazze pulite” dei sindacati finalmente tornati in lotta, preferirebbero le “piazze sporche” degli autolesionistici profeti di sventura, rimasti a monopolizzare il disagio dei sacrificati da questo distorto “sviluppo”?

Per questo lo sciopero generale che ci si augura imminente non è solo una misura di politica sociale (e di giustizia sociale). E’ una misura sanitaria. Appunto, di igiene mentale.  Marco Revelli il manifesto

 
 
 

 

 

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