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Post n°227 pubblicato il 28 Settembre 2010 da le_corps

Quando sai che sta per succedere?
Quando non avverto più le braccia, le sento pesanti e intorpidite, e le mani si chiudono a fatica. La scossa va dalla spalla al gomito, poi si ferma, poi c’è solo pesantezza torpore. Penso a quando si chiuderà la gola, i muscoli diventeranno rigidi, il corpo sarà scosso da tremore ed io mi dirò: eccolo.
Eccolo cosa?

Il panico.
Riesci a pensare a cosa c’è prima del panico?
Non saprei. Sono tranquilla prima, anzi, ho sistemato qualcosa, fatto una telefonata, portato avanti un compito, risolto un problema, ricevuto un vantaggio o limitato un danno. Ma non è sempre così. Oggi era così. Credo che la morte sia nascosta in qualcosa di sciocco e che sia totalmente imprevedibile.
Pensavi alla morte quindi?
No, ci ho pensato dopo: a come si produca scioccamente a come si prepari in modo semplice insospettabile quasi innocuo. Cose innocue ti preparano la morte, che sia poi lenta o fulminante. Un conto è l’esecuzione, un altro la preparazione. Conti diversi con lo stesso risultato. Cose innocue dall’esito mortale.

Stai vedendo le cose chiaramente ora?

Ora no, ora mi rilasso e basta. Il tremore è scomparso, lo stomaco respira, mi dico: è passata.
Le cose chiaramente le vedi solo nel prima, più esattamente vedi che c’è una sconnessione tra la tua mente e il corpo. La sconnessione prodotta dalla perdita di controllo quando non l’avevi nemmeno messa in conto: non stavo ingerendo dosi massicce di alcol, non stavo assumendo nessuna sostanza chimica che potesse alterare il mio sistema nervoso, dunque non l’avevo messa in conto né la cercavo. Non cerco la perdita, ma questo pensiero si palesa, oggettivando la mia ansia di perdita, solo nel panico. Senza panico il pensiero non c’è, rimane solo la sua verità. E se non fosse vero non potrebbe produrre gli effetti che pure produce.
E’azzardato.

Cosa?

Questo collegamento. E surrettizio. Non sempre è la verità a produrre effetti.

Che cazzata sofista.

Mi spiego: quello che per te è vero, è solo reale. E dovresti aver capito che il reale può essere anche falso, il reale può essere ciò che vuole. L’aspirazione alla realtà è fallimentare in nuce. Ma noi cosa facciamo? Invece di sopprimerla, la alimentiamo la facciamo crescere, e lei cresce a tal punto da occupare tutto lo spazio della verità. La realtà è un parassita. Parassita del vero.

Il panico dunque è solo reale? Ah, bene, questo mi conforta.

Dovrebbe. Lascia stare l’ironia. Anche l’ironia, dopo un po’ti lascia a piedi. E’una bella macchina, ti può portare anche lontano, ma rischia di lasciarti a piedi poco prima di arrivare a destinazione. E cosa è più importante, andare lontano o arrivare a destinazione? Tanto più che le destinazioni non sono mai vicine.

Opinabile.

No, irreale ma vero. Cos’è questo casino?

È fuori; gente che strepita.

Come ti senti?

Bene. È passato. Non mi succedeva da tempo. Sentirmi impotente su di me. Il corpo è altro da me o solo più intelligente di me?

È la natura, cara. La natura non sarà mai domestica non sarà mai asservita alla cultura.

Quindi?

Il panico è il respiro del mondo.

Basta, è troppo.

Pensi ch’io mi stia burlando di te?

Un po’.

Mi viene da sorridere ma sono serissimo. Ci pensavo ascoltandoti. Il mondo respira prima di noi e più profondamente, noi ce ne dimentichiamo e allora lui si fa sentire, facendoti sentire: ti butta fuori da te. Non c’è modo migliore. Altro che immersione da psicanalisi o regressione da ipnosi. Basta con questa chirurgia del ricordo. E’tutto scritto nel nostro corpo e il corpo sa come e quando rendere leggibile il tutto. Ascolta la perdita, e tutto andrà bene.

Ti do retta solo perché sono nel dopo. Se avessi sentito queste cose un quarto d’ora fa, sarei stramazzata a terra per overdose di ossigeno.

Non è un caso che stiamo parlando nel dopo. Le connessioni sono intelligenti, malgrado la nostra ottusità.

Sì, spesso è così che mi sento: ottusa. Ricoperta da una patina vischiosa.

Anche adesso?

No, adesso qualcosa si muove.

Bisogna sdoppiarsi per tornare uno. Uscire fuori per vedere meglio dentro, se magari c’è rimasto qualcuno intrappolato: quasi sempre c’è qualcuno, e quel qualcuno siamo sempre noi.

Sì, mi sdoppio facilmente, mi butto fuori e, una volta fuori, scappo!

Piantala. Anche nello sdoppiarsi ci vuole una certa onestà.

L’onestà di non raddoppiarsi. In quel caso sei fregata.

Sì, il dentro diventa un buco ancora più profondo, e in due si sta ancora più stretti.

Piove.

Non sento niente.

La pioggia ha portato il silenzio.


 
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