Post n°1382 pubblicato il
12 Marzo 2015 da
non.sono.io
Ci sono giorni in cui mi siedo, anzi mi lascio cadere, sul seggiolino arancione del vagone della metropolitana, e tutti i mezzi che possiedo atti a far sembrare più veloce e meno grave il viaggio, mi paiono inutili. Il libro che sto leggendo non mi esalta. Lascio scorrere le pagine sotto i miei occhi, per cortesia, affinché non si offenda e non si accorga che mentre lui racconta io penso ad altro. Gioco, a questo punto, la carta della musica. M’infilo nelle orecchie le cuffie, ma la musica è sempre la stessa, di quei due o tre che mi piacciono e l’idillio dura poco, come in una coppia che si conosce da troppo tempo. Dopo un po’ le note si confondono con lo sferragliare del vagone, smettono di fungere da distrazione e si confondono con il tutto. Lascio perdere. Rimetto a posto il libro e spengo l’MP3. Ora sono veramente solo, solo in mezzo a trecento persone.
Lo sguardo rimbalza, attento a non scontrarsi con gli occhi di qualcuno. Ma tanto non c’è pericolo. Sono tutti impegnati in qualcosa, e chi non legge, o sente musica, o indossa un paio di occhiali da sole, dorme. C’è una ragazza davanti a me, in piedi. Con una mano si regge all’apposito sostegno, come di regola, mentre con l’altra tiene il cellulare. Ballonzola smossa dal ritmo irregolare del viaggio, ma sembra quasi non sappia neppure dove si trovi. Il telefono cinguetta, e il suo pollice lesto va a schiacciare qualche tasto, assorta in chissà quale speranza. Sorride. Penso che forse ha ricevuto un messaggio, un messaggio allegro indubbiamente. Chissà magari è il suo uomo, o magari è uno che gli piace. Fatto sta che la sua espressione è palese, e anche in mezzo a questa matassa di corpi stremati dalla vita, lei trova un poco di serenità. Il cellulare tace per qualche minuto, poi riprende a fare versi come fosse vivo. Automaticamente la ragazza allarga ancora di più il suo sorriso, e in preda a una notizia che la deve aver particolarmente rallegrata, per l’emozione si gratta il mento. Le sue dita si muovono rapide sulla tastiera, impegnate in uno spettacolo circense di rara difficoltà, quello cioè di scrivere quando qualsiasi legge della fisica cerca di impedirlo.
Poi si ferma. Osserva quell’attrezzo starnazzante come un in attesa di un responso importante; la faccia ancora non ha steso i muscoli, gli occhi le si sono ingigantiti e sventolano le lunghe ciglia nere imbrattate di nero. Sarà perché si passa metà della vita a cercare le proprie verità, e l’altra metà a difenderle, ma io sono convinto che questa giovane donna sia proprio innamorata. Penso che se fossi un pittore, questa sarebbe una scena che mi piacerebbe immortalare. “L’amore muto”. Credo proprio che lo intitolerei così.
Di nuovo il verso di un uccello. La giovane osserva per un attimo basita le righe appena giunte. Corruga le ciglia che hanno interrotto il loro svolazzare, smette di sorridere. Ora le sue labbra imitano l’orizzonte di un mare calmo, alza gli occhi al cielo e mentre un braccio rimane agganciato alla sbarra, quello che tiene il cellulare cade senza forze sui suoi fianchi.
La mia modella torna di fretta a rispondere al suo misterioso mittente, è contrariata, si morde un labbro e ritorna ad attendere. Ma questa volta dall’altra parte rispondono subito. La notizia che gli giunge la spinge addirittura alla rabbia. Sbuffa e poi spinge sul piccolo schermo con tutta la sua forza, come volesse infilarci parole grasse e pesanti. Col dorso della mano, senza smettere di impugnare il telefono, si toglie una ciocca di capelli dal viso, sta sudando, e proprio in quel momento lui cinguetta. La ragazza lo fissa senza espressione. Lenta e seria come una vedova al funerale, cerca senza guardare la borsetta a tracollo sul gomito, e seppellisce il suo corriere.
La sua desolazione intristisce anche me e avrei voglia di chiederle cosa le è successo.
Peccato non abbia il suo numero di telefono.
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