Semiconduco

La costruzione del nulla - 1/N

Il grossolano rimestator del nulla cavalcava il suo ronzino, nella morte del giorno, e ruminava, ruminava. Ruminava nulla, come suo costume, sole dritto negli occhi e inumana stanchezza del viaggio sulle spalle. Là, al termine della pianura, dopo il confine del mondo, scendeva verticale e adiabatico un disco rosso e perfettamente piatto, senza prospettiva, contro lo sfondo verdazzurro dell'oltre: "che spreco di scenografia!". Il grossolano non era mai contento. Mai.

"Nulla più nulla", si diceva triste, gli occhi semichiusi ciondolanti sulla criniera della sua cavalcatura, "fa nulla. Anche nulla per nulla, se è per questo. E se fa nulla, e lo fa, allora non importa nulla". Rimestava questa polta fangosa di continuo, girando in tondo come un disco rotto, quindi come ciò che presumeva da lunga pezza di essere. Ma guai a farlo sapere in giro: doveva sembrare allegro, spensierato e indifferente, costasse quel che costasse. Ne andava - così credeva - della sua stessa vita.

"Nulla meno nulla uguale nulla. Ma nulla diviso nulla... sangue di Giuda, è un bel problema...". Il pensiero gli attraversò il cervello in una frazione di secondo. Tutta una complicata accozzaglia di operazioni aritmetiche, tutto un rimestar di divisioni il cui oscuro non senso di forme indeterminate ben si accordava al groviglio che da anni gli stazionava nell'anima, come un gruppo di tessere male assortite e incastrate a forza nei posti sbagliati di un gigantesco e inutile puzzle. Ma fu solo un lampo, un accecante mormorio d'intelligenza; troppo poco. Un fastidioso ronzar di mosche, il bagliore di un pezzo di metallo sul sentiero ("Una lama di coltello? Una moneta? Varrà la pena tornare indietro a recuperarla? Ah, come sono indeciso a tutto...") e il pensiero era bello che passato, fagocitato dal ruminare senza posa, obliquo, dal rumore assordante del nulla e della sua costruzione.

"Me la prenderò col Vecchio...", sogghignò tra sé e sé, senza dimenticare di lanciare un oh-oh distratto al ronzino che sembrava volersi fermare a contemplare il tramonto. E poi, senza apparente laccio di causalità:

«Vecchia bestia inutile!» gridò alla pazienza che si lasciava cavalcare nell'inanità dell'immensa pianura (a destra e a sinistra solo butirrosa mancanza di segnali di vita), «ti darò in pasto agli avvoltoi! Ci fossero almeno avvoltoi, in giro! Ti strapperò il cuore a morsi, vecchia canaglia senza coglioni!». Il ronzino, che capiva la lingua degli umani meglio di come il grossolano rimestator del nulla potesse mai divinare, scrollò la testa con saggezza. Alla fin fine, non erano affari suoi.

Poi, dopo molto ruminare e molto nulla, all'orizzonte apparve la sagoma netta del castello del Vecchio.