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Un blog creato da semi.conduttore il 17/09/2006

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Il diario di un semiconduttore

 
 

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Poèsie dell'amarezza (3)

Post n°220 pubblicato il 28 Agosto 2008 da semi.conduttore
 

Chi ti risponderà
quando non avrò più nulla da dire,

quando il tuo silenzio
avrà ucciso anche l'ultima illusione.

Sarò ancora io,
ma con altri occhi -

e non avrò più parole.

14 agosto 2008

 
 
 

Non sono un bottone

Post n°219 pubblicato il 03 Giugno 2008 da semi.conduttore
 

'Sta notte si va di cazzeggio, vi dispiace?
Non sono un bottone. No, decisamente. Non sono neanche un fazzoletto. Nessuna mucoreminiscenza. E' quasi un peccato: nulla di concreto cui aggrapparmi. Sono solo, e letteralmente, un segreto.

"Ohhh", diranno subito i miei piccoli lettori. "Cosa vuol dire essere un segreto?".

Eh, a saperlo. Se lo sapessi, ve lo dicessi. Quando lo saprò, ve lo dirò. Promesso. Perché ci tengo pure io, cazzo, a sapere cosa significa essere un segreto. E' molto immateriale e apparentemente aleatorio, n'est ce pas? Essere un segreto. Tipo James Bond, agente segreto. Agisco, ma segretamente, secretamente. Forse il quibus è tutto qui: scambiare una c per una g: essere un secreto.

Se fossi un bottone, sarebbe facile: chiudo (e apro). Se fossi un fazzoletto, sarebbe altrettalemente: raccolgo muco e/o altri liquidi organici. Invece no. Sono un segreto.

Un segreto da custodire, gelosamente. Pena: la morte.

(Gli aventi diritto a parlare - tranne una - sono pregati di tacere. Di leggere con rispetto, e silenziosamente ringraziare lo squadernamento degli amorosi sensi).

 
 
 

A ciascuno il suo

Post n°218 pubblicato il 26 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Si narra che nella notte del 23 novembre 1654, in un'esplosione mistica, Blaise Pascal ricevette la luce della Grazia e il dono della Fede. Tale esperienza fu poi riportata nelle pagine delle Memorie, e in un foglio che Pascal fece cucire nella fodera della sua giacca, come memento di quell'esperienza quasi indicibile.
Nel mio piccolo, credo che mi farò tatuare una scritta sulla fronte, al contrario, in modo tale che ogni volta che mi vedrò allo specchio leggerò:

PIRLA!

nella speranza di non dimenticare mai la notte tra il 25 e il 26 marzo 2008.

 
 
 

Esperimento di scrittura creativa

Post n°217 pubblicato il 12 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Sono sul balcone, seduto sulla mia sdraio nera, e guardo la crepa che si allarga sul muro. A fianco, di sfondo, la luce del sole sbatte forte e arancione sui muri delle case dall'altra parte della strada. Il bicchiere è pieno a metà, la bottiglia è vuota.
La crepa si allarga in maniera continua. Qualsiasi osservatore meno attento di me (cioè chiunque tranne me, a dirla tutta) non riuscirebbe a percepire quell'impercettibile movimento. Ma io lo vedo. Oh, se lo vedo. La crepa si allarga. Di millisecondo in millisecondo; e nessuno lo sa, tranne me.
Non che la crepa sia la cosa essenziale: è un epifenomeno, ne sono consapevole. Eppure la dice lunga, su un sacco di cose. Soprattutto quel suo osceno allargarsi... Poteva limitarsi a rimanere una sottilissima riga nera e nuda sul muro. Ma no. La nudità non è abbastanza: ci vuol altro, caro il mio, ci vuol altro...
Ma ripeto: non è la cosa essenziale. D'altronde anche la mia coscienza è un epifenomeno, quello stesso con cui percepisco la crepa. Ma allora chi vede cosa? Sono io che vedo la crepa, o è lei che vede me? E si allarga, si allarga.
No, capite, la questione, oltre a essere di principio, è anche parecchio importante: ci tengo a sapere se sono io che vedo la crepa o se è la crepa a vedere me: ne va della mia dignità di... [*]
Ma come si fa a dire, poi, alla fine, che niente è importante, niente conta. Col cazzo. La crepa sta qui e mi guarda, si allarga, come faccio a ritenere che non sia importante. Se continua così veniamo giù tutti, io, il muro, il palazzo; e pure la crepa.
Che poi invece prima parlavamo delle cose essenziali. Per esempio, ci credereste mai che questa luce arancione, quella che vedo a fianco, sullo sfondo, è essenziale? Ma come, non era sullo sfondo? Certo. Proprio per questo è essenziale. Non è manco troppo difficile da capire.

[*] ricordarsi l'associazione improvvisa con "crepa" ("non-crepante, non-creposo" eccetera)

 
 
 

Piccolo intermezzo portatile

Post n°216 pubblicato il 12 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Sappiamo per certo (almeno io so per certo) che esiste un nucleo profondo di noi stessi, inattingibile, a dispetto di tutti gli sforzi. In altre parole l'essere umano è opaco a se stesso, anche se può lavorare per ridurre ai minimi termini la zona d'ombra. Nonostante tutto il lavoro, però, una zona d'ombra resterà sempre, e non possiamo farci nulla, se non cercare di tenerla sotto controllo.
Ma questo apparentemente non conta, perché poi siamo sempre pronti a pretendere dagli altri ciò che non riusciamo nemmeno a darci da soli; siamo pronti a pretendere onestà cristallina, visibilità immediata e totale, abbandono senza condizioni (parlo evidentemente soprattutto delle così dette relazione d'amore).
La radice di questo ridicolo comportamento è duplice: da un lato, poiché è difficile dare sostanza a ciò che non si vede non si sente non si tocca, insomma, non si percepisce, ci è difficile ammettere di avere noi stessi una zona d'ombra (che possiamo conoscere solo per speculum et in aenigmate), e tendiamo a dimenticarcene, a relegarla nel cantuccio delle cose che è meglio non pensarci, non saperle; dall'altro, c'è come un effetto di spersonalizzazione, per cui "l'altro" o "l'altra" non è un essere umano come noi, ma diventa una specie di macchina più o meno intelligente, più o meno amorosa, ma comunque deterministica e supposta limpida; ovvero, ancora, inglobiamo l'altro (l'altra) come se fosse una lampada miracolosa in grado di fare luce dentro noi stessi - e una lampada non può avere zone d'ombra.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (9/N)

Post n°215 pubblicato il 11 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

La barzelletta.

Un ingegnere, un fisico e un matematico vengono lasciati su tre isole deserte (una ciascuno), con a disposizione solo una sterminata quantità di cibo in lattina. Si vuol testare la capacità di adattamento e resistenza.
Dopo un mese vanno a ripigliarli.
Trovano l'ingegnere bello pasciuto su una montagna di scatolette aperte: "Ma lei come ha fatto?", gli chiedono. "Ah, be', sa, un sistema di leve, questo ramo, quest'altro, e zac, ho aperto le scatolette".
Poi vanno dal fisico, e lo trovano, sulla sua isola, bello ingrassato su una montagna di scatolette aperte: "Ma lei come ha fatto?". "Ah, be', sa, ho trovato questi quarzi naturali, li ho levigati e ne ho ricavato un sistema di lenti, con il quale, focalizzando i raggi solari, ho concentrato abbastanza energia da squagliare l'alluminio, quindi...".
Poi si dirigono verso l'isola del matematico. Il quale, emaciato, sopra una montagna di scatolette chiuse, ripete senza fine: "Supponiamo per assurdo che questa scatoletta sia aperta..."

 
 
 

L'Angelo di Goedel (8/N)

Post n°214 pubblicato il 11 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Questo me lo sarei risparmiato volentieri, soprattutto perché non mi sento in grado di, ma l'amika k. mi tira per i capelli.
Il primo teorema di Goedel dice, più o meno, che dato un sistema formale S abbastanza potente da contenere l'aritmetica (l'aritmetica, tanto per farla chiara e distinta, "è" numeri naturali con in aggiunta le operazioni di somma e prodotto), esiste almeno una proposizione P tale che né P né la sua negazione sono dimostrabili in S.
Detto altrimenti, P è indecidibile. Eppure P è vera.
Smazzando alla grossa, la proposizione P suona più o meno così: "Io non sono dimostrabile". Ora, capisco che sia difficile accettare l'idea di una proposizione matematica (P) che asserisca la sua propria indimostrabilità, eppure è possibile costruirla, come Goedel ci ha mostrato. La proposizione P è l'equivalente matematico delle proposizioni (in linguaggio naturale): "Questa frase è falsa", oppure, per tornare al classico, "Io, che sono di Creta, dico che tutti i cretesi mentono".
Ora, mettetevi nei panni di un povero matematico (mi viene in mente una barzelletta, la dico dopo). Vi trovate di fronte a una proposizione aritmetica P che asserisce la sua indimostrabilità. Allora le cose sono due: o le date retta (questo significa che la proposizione è vera senza che sia possibile dimostrarla) oppure non le date ascolto e provate a dimostrarla. Se dimostrate che è vera, allo stesso tempo avete dimostrato che è falsa (alla fin fine asserisce che non è possibile dimostrarla, se la dimostrate avete dimostrato che l'aritmetica produce proposizioni false, perché P, non dimenticate, è una proposizione aritmetica, cioè un teorema). Delle due l'una: o l'aritmetica è coerente ma incompleta (esistono proposizioni vere che non possono essere dimostrate), oppure è completa ma incoerente (esistono proposizioni tipo P che possono essere dimostrate tanto quanto la loro negazione).
Il secondo teorema di Goedel dice che se S è un sistema formale abbastanza potente da contenere l'aritmetica, non è possibile provare la coerenza di S all'interno del sistema.
Da notare che il primo teorema costruisce una proposizione indecidibile, il secondo invece, in qualche maniera, afferma che tale proposizione è vera, ammazzando la presupposta completezza dell'aritmetica (o di qualsiasi altro sistema formale abbastanza esteso da contenerla).

 
 
 

L'Angelo di Goedel (7/N)

Post n°213 pubblicato il 11 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Poiché oggi mi sento particolarmente allegro, vi parlerò della vita sfortunata di due persone geniali: Kurt Goedel e Alan Turing. Questo dovrebbe solo rappresentare un lieto intermezzo narrativo.
Goedel, da piccolo, in famiglia, lo chiamavano "Herr Warum", il "Signor Perché": ciò lascia immaginare con facilità che tipo di stracciaminchia dovesse essere.
A 25 anni dimostra i due teoremi che gli daranno gloria immortale. A seguito dell'Anschluss fugge negli Stati Uniti, via transiberiana e Giappone (cioè, la strada più semplice, no?)
Installatosi a Princeton, fa amicizia con Einstein e trova modo di dimostrare, con la mano sinistra mentre fa colazione, che la Relatività Generale ammette, come soluzioni possibili, curve chiuse di tipo tempo. Cioè vale a dire che in teoria si potrebbe fare un viaggetto per l'Universo mondo e tornare allo stesso tempo di partenza.
A un certo punto decide che qualcuno vuole avvelenarlo (non si sa chi, paranoia allo stato puro) e, con molta semplicità, smette di mangiare. Muore d'inedia. Nel cassetto lascia, unpublished, una dimostrazione matematica dell'esistenza di Dio. Da quel che ho capito leggendola, è una riedizione formale e logicamente (quasi) ineccepibile dell'argomento ontologico di Sant'Anselmo.
Turing dimostrò invece un teorema (halting problem) che è quasi l'esatto equivalente algoritmico dei teoremi di Goedel. Ha sostanzialmente inventato i computer (macchina universale di Turing) qualche tempo prima che ci fosse la tecnologia necessaria per costruirli concretamente. Ha inventato il Test di Turing, cavallo di battaglia di ogni sostenitore dell'IA in senso forte, e soprattutto è uno degli eroi della Seconda Guerra Mondiale: riuscì a decifrare il Codice Enigma, permettendo all'intelligence britannica di capire le comunicazioni dei nazisti. Come ringraziamento, gli intentarono un processo per omosessualità. Rifiutò l'avvocato e si difese da solo. La sua linea di difesa consisteva nell'asserzione: "Non ho fatto niente di male". Condannato, si ritrovò a subire un condizionamento coatto e una cura ormonale, che gli fece crescere il seno in maniera spropositata. Dopo un anno si suicidò, mangiando una mela avvelenata. Questo avveniva nella civile Gran Bretagna di 60 anni fa, non nel medioevo.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (6/N)

Post n°212 pubblicato il 07 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Per tentare di riprendere i fili del discorso, cerco di riassumere come posso:

  1. Penrose non crede in una piccola anima immortale (quindi esclude il punto D): pensa che i fenomeni dell'intelligenza, della coscienza e dell'autocoscienza siano in ogni caso rinviabili a cause fisiche, naturali e indagabili con il metodo scientifico;
  2. Penrose non crede che alla base dei fenomeni di cui al punto precedente (che per brevità d'ora in poi chiamerò fenomeni mentali) ci sia un qualche tipo di computo, di algoritmo (in buona sostanza: qualcosa che possa essere eseguito su una macchina universale di Turing), e crede anche che ciò sia impossibile in linea di principio; quindi esclude anche il punto A (IA in senso forte);
  3. le argomentazioni che Penrose sciorina a sostegno della sua posizione si estendono per circa 150 pagine, non esattamente facilissime da leggere, ma che credo di poter riassumere all'osso in questa maniera;
    • un computer "intelligente" in senso A sarebbe basato - in ogni caso - su un algoritmo, e cioè alla fin fine su un sistema formale (a noi esseri umani perfettamente noto, perché lo dobbiamo costruire);
    • tale sistema formale si scontrerebbe coi limiti posti dai teoremi di Goedel, in altre parole sarebbe incapace di provare affermazioni vere ma indecidibili all'interno del sistema stesso;
    • siccome invece noi esseri umani potremmo provare tali affermazioni (potremmo dimostrare certi teoremi, almeno in linea di principio, non mi aspetto che lo possano concretamente fare tutti, ma un qualsiasi essere umano bene addestrato e con sufficiente pazienza certamente sì), ciò dimostra la nostra innegabile superiorità, e scatena un paradosso tale per cui la costruzione stessa del computer "intelligente" diventa impossibile; queste stesse argomentazioni gli servono a confutare il punto B (IA in senso debole)
  4. non gli resta che il punto C: i fenomeni mentali sono conseguenza di fenomeni fisici non-computabili. Nelle restanti 350 pagine del libro, Penrose va a caccia di questi fantasmi, indicando alcune interessanti possibilità (che però, va detto, sono solo possibilità: non dimostra nulla).

Trovo quanto meno sorprendente che due esseri umani certamente sopra la media, quanto a facoltà intellettive, e cioè Penrose e Hofstadter, possano arrivare a conclusioni completamente divergenti a partire dagli stessi elementi di base.
Prima di passare alla parte "Hofstadter" di questa discussione, c'è un certo numero di cose che vanno puntualizzate:
  1. cos'è una macchina universale di Turing?
  2. chi cazzo era Goedel, perché non si è fatto gli affari suoi, chi lo spingeva, e soprattutto cosa diavolo c'entra un teorema di matematica con la mia piccola anima immortale.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (5.bis/N)

Post n°211 pubblicato il 07 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Ehm, temo di aver perso il filo. Lo recupero e continuo, oh, 'n'attimo.

 
 
 

Uomini coraggiosi

Post n°210 pubblicato il 07 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Gustavo Selva ha deciso che vista la condanna (per la squallida storia dell'ambulanza che tutti conoscete) non si ricandida.

Tanto di cappello, ma una domanda nasce spontanea: ah Gustà, ma che davvero davvero ti serviva la condanna per capire d'aver fatto una minchionata?

Quanto ancora dovremo sopportare la paraculaggine di certi tristi figuri?

 
 
 

So' cose che càpitano

Post n°209 pubblicato il 06 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

A guardare i profili su digiland, pare che la cosa che sta più a quore alle signore sia la libertà. Poi sbirci sui blog e t'accorgi che è sempre la vecchia questione di tette e culi.

 
 
 

So' soddisfazioni

Post n°208 pubblicato il 06 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Ricordo come se fosse ieri (eravamo in macchina da soli e stavamo andando a casa dei nonni), la grande, che adesso ha quasi 11 anni ma all'epoca ne aveva 6, mi fa: papà, che numero c'è dopo mille? E io: milleuno, tesoro. Lei: e poi? Io: milledue. Lei: ah... e poi milletré, millequattro, millecinque... PAPA'! Io: Eh? Lei: ma i numeri... i numeri NON FINISCONO MAI!

Mi son girato giusto un secondo (stavo guidando e non potevo distrarmi troppo), il tempo di vedere il suo volto radioso, la felicità perfetta di una scoperta importante conquistata una volta per sempre.

In quel preciso secondo ho ricordato improvvisamente di quando, tanti anni prima, avevo fatto la stessa scoperta. Avevo più o meno la sua età.

In quegli occhi luminosi mi sono rivisto, io, bambino, di fronte alla sconfinata immensità dei numeri e della vita. Ho capito che lei è "io", in qualche modo. E mi sono sentito bene.

Poi quando la piccola ha cominciato a ruttare a tavola come un camallo ho pensato che i miei geni erano realmente stati trasmessi con cura.

 
 
 

Io buono

Post n°207 pubblicato il 06 Marzo 2008 da semi.conduttore
 
Tag: E VAI!

Son questi i momenti in cui più intensamente penso al Bart, povero, che cià un capitano triste, triiiiiiiste, viene dalla pampa, il capitan Zanetti, e quando è allegro, ma proprio contento come una pasqua, cià la faccia di uno che gli hanno appena infilato un totano rovente su per il santo meato anale, o che gli hanno appena trapanato un molare fino al midollo osseo, o che gli è appena morto il gatto, ma questo succede solo quando è allegro, quando è triste è VM18.

(Non ce l'ho con Zanetti, che - li mortacci sua - è un gran giocatore: ce l'ho col Bart che è interista).

Ehi, Bart, ce la giochiamo una pizza su come finisce il campionato? ;)

 
 
 

Godooooooooo!

Post n°206 pubblicato il 06 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

 
 
 
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