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Post n°449 pubblicato il 24 Maggio 2009 da DolceA0
 
Tag: Cinema

Cari blog amici, stavolta il post sarà lungo. Anticipo le mie scuse perchè so quanto il mondo del web sia veloce e quanto annoiano i post troppo lunghi. Cercherò di scriverlo con caratteri grandi,così chi desidera cimentarsi, in questo piccolo delirio interpretativo del film ANTICHRIST, almeno non avrà la vista affaticata. Spero di potermi confrontare con voi su questa nuova opera. Grazie per la pazienza!

LA VICENDA

Il dramma della morte e della rinascita.  Le donne sono le Maestre in questo campo. Sono loro che sanno generare e rigenerarsi. Ma cosa succede quando una donna è definita atipica? Quando è incapace di rigenerare se stessa? Se ha vicino un uomo che dice di amarla, e che per di più è psicoterapeuta,  la risposta è presto data. Sarà lui che l’aiuterà nel cammino. Sarà lui che la farà rinascere. Ma qualcosa non funzionerà come nelle premesse.

LA STRUTTURA

Nel film sono solo i due protagonisti, Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg  (bravissimi in questa interpretazione, lei Migliore Attrice a Cannes, appena concluso) che si confrontano e si scontrano in scenari sia claustrofobici che aperti. Il regista, annota le loro inquietudini, i loro dolori, i loro malesseri, come se fosse un narratore invisibile, una mancata voce narrante, che però manovra i propri attori-burattini per esporre le sue tesi. In questo ciò che risulta carente è il ritmo dell’opera che a volte si slabbra un po’.

LEI

E’ una donna fragile, irrisolta, schiacciata da questo uomo più grande e più ponderoso di lei sul piano culturale .

L’evento iniziale della storia le permette una fuga nel suo vuoto, momento catartico presto interrotto dal compagno, per imporsi ancora una volta su di lei, e per usarla.

Lei sa che i suoi scritti vengono giudicati da lui superficiali. Lei non si sente all’altezza e teme l’abbandono. Quali sono le armi per trattenerlo? O almeno quali armi, nell’immaginario di un uomo (la sceneggiatura è dello stesso regista) usa una donna per trattenere legato a sé il proprio Maschio?

1) La sessualità sfrenata, ripetuta e richiesta. 

2) La paternità

3) L’utilizzo di  rituali magici

Lei non ha paura della natura, come ipotizza lui nel vertice della piramide che stila per la terapia e che in realtà serve a specchiare le paure di lui. Lei, racconta il film, è già andata da sola lì nell’Eden, lei è una donna-natura, istintuale e selvatica (come le more dei rovi), ed è lì la sua forza ed il suo limite. Ma è proprio lì, nella solitudine dei suoi studi, che le si spunta un’arma su cui aveva confidato in teoria: la donna si rende conto di non saper volgere a proprio vantaggio ciò che nell’immaginario appartiene al  femminile, ovvero l’universo soprannaturale.

In seguito venendo meno uno dei cardini del legame, il figlio, lei, che ha paura solo dell’abbandono,  realizza strategie per non farsi  lasciare. Così come prima con il bambino, con le scarpe, messe al contrario, poi con il marito, con l’immobilizzazione dell’arto.  Cosa possono significare questi gesti se non il fatto di impedire loro di allontanarsi da lei? 

Cosa le rimane? Il suo corpo. Ed ecco che la sessualità di lei balza in primo piano. E’ sempre lei a volerla, anche nella natura, e le mani che abbracciano le radici sono ancora un tentativo di trattenere.Infine è lei a decidere che la sessualità invece non è stata una tattica vincente  (dalla constatazione del fallimento alla mutilazione dell’organo del piacere, il passo è breve).

 LUI

La nascita, come è noto, è un evento tipicamente femminile, e quando si invertono i ruoli le cose non possono che piombare nel caos. Soprattutto se far rinascere lei è un alibi ben mascherato teso all’evento della propria rinascita.

Ma così si prova a violare le regole della natura. Vediamo i simboli che ci propone il regista.

Che cos’è questo volerla accompagnare in un ambiente a lei ostile, se non capire qual è l’alchimia della metamorfosi di una genesi?

E perché lui vede un cerbiatto con un feto non espulso e forse morto, se non per percepire la incapacità a rinnovare il suo genere?

E che cos’è allora il rifugiarsi nella tana in posizione fetale, se non un desiderio di rinascere?

E che cos’è il getto di sangue al posto del liquido seminale, se non un segno del fallimento della nascita?

Così capisce che a lui è concesso un solo modo per rinascere. E solo così, solo attraverso quel gesto, qui non simbolico, che egli può riprendere a vivere.

Successivamente il protagonista finalmente mangia. Ed è l’unica volta in tutto il film che si vede qualcuno compiere questo gesto. E si nutre, non a caso, di more selvatiche. Ha finalmente fagogitato la donna-ostacolo. E’ diventato, finalmente, lui  il demiurgo di se stesso.

Afferma Lars Von Trier che ha fatto questo film per uscire da un periodo di depressione. E’ lecito pensare che ciò sia avvenuto e quale sia stato il suo doloroso percorso per rinascere. A  noi spettatori non ha risparmiato il suo travaglio. Il film merita di essere visto e capito. Io non so se ci sono riuscita.

Voto 7 e mezzo

 

 

 
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