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Post n°240 pubblicato il 12 Luglio 2016 da deteriora_sequor
Il rapporto con mio padre era la quintessenza delle contraddittorie relazioni che intrattenevo con i colleghi di lavoro e gli amici generici. Luigi era il tipo di genitore introverso e pavido che mai s'era veramente occupato dell'educazione del figlio. Pareva sempre custodire un segreto, anche questo usciva per un bicchiere. Parlava poco. Mentre ero bimbo si comportava con indifferenza, e adesso che ero cresciuto aveva definitivamente mollato gli ormeggi di una scarsissima affettività per lasciarmi andare lungo la mia strada senza curarsi se sbandavo a destra o a sinistra. Era capace di assentarsi per una settimana, dicendo che andava a pesca con gli amici, e di tornare con un sorriso da un orecchio all'altro e il carniere semivuoto. A lungo mia madre Erminia aveva sospettato che intrattenesse una qualche relazione clandestina ma si era subito dimenticata questa chimera solo dando un'occhiata all'espressione vacua e inconsistente del marito. Solo una sera avevo captato una conversazione che stava intrattenendo con qualcuno al telefono. Stava attaccato al muro con lo sguardo rivolto alla finestra e faceva lunghe pause, come se ascoltasse qualcosa di molto prolisso che l'interlocutore gli stava riversando dall'altro capo della linea. Solo a intermittenza Luigi si inseriva con un "Vedrai, andrà tutto bene" o "penso di essere sul punto di sistemare le cose." Questa casuale intercettazione mi fece tornare il dubbio che il genitore avesse una storia avviata, da qualche parte. Ma i conti non mi tornavano: nessuna espressione di tradizionale affetto in una coppia più o meno affiatata, nessuna parolina dolce, nessun indirizzo al femminile nei confronti del misterioso personaggio. Quando ormai costeggiavo i 35 anni mio papà restava un mistero insolubile per il sottoscritto. Nel frattempo si succedevano le mie storie a breve termine con donne di ogni carattere, trascorrevano i miei viaggi in solitaria e proseguiva il tran tran della ditta e della casa senza che sentissi l'esigenza di farmi una vita in totale autonomia, stabilizzare una storia, avere figli, progredire ulteriormente nell'organigramma dell'azienda. Vivevo da pascià, servito e riverito da mia madre e con l'ombra agitata sullo sfondo di mio padre. Sapete come sono gli anni: non te ne accorgi ma agiscono da tritasassi e non risparmiano nulla sul loro cammino. In modo tale che da spirito giovanile, soddisfatto e combattente, ti ritrovi a 47 anni con i capelli grigi, un accenno leggero di pancetta e il mondo che ti si riversa nelle orecchie mentre cerchi di cambiare canale. Così mi sono rinvenuto una mattina e ho compreso che la vita era stata un bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno con un gran senso di stordimento durante il processo. Avevo vissuto, ma avevo anche glissato su questioni importanti. Pur custodendo ancora una notevole energia, la mia carta di identità e il mio volto rugoso parlavano chiaro. Ero invecchiato e mi avviavo a diventare un uomo di mezza età, con un piede più nella seconda parte dell'esistenza che nella prima. Ero mentalmente flaccido davanti allo specchio quando vidi il riflesso di mio padre sul bordo della piccola stanza. Compresi immediatamente che, per la prima volta nella sua vita, mi doveva parlare. E questa volta seriamente. (Continua) |
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