Non canto i cavalier, l’armi, gli onori,
come un dì fece il grande Ludovico.
Le guerre infami, i sanguinanti allori;
di tutto questo non mi importa un fico.
Ma i lavoranti, l’ape, i campi, i fiori;
le cose grandi solamente, dico.
(Morbello Vergari)
Probabile portatrice di geni etruschi.......vediamo se la passione è contagiosa
e sono graditi pure interventi, puntualizzazioni e domande e mi raccomando di non essere troppo duri con me per eventuali strafalcioni...sono solo una dilettante!
molte immagini sono state prese da internet, se i proprietari non fossero d'accordo lo facciano presente e saranno tempestivamente rimosse
SE VUOI LEGGERE IL MIO ROMANZO:
clicca il mio nuovo blog (ho pubblicato qualche assaggio)
per info o acquisto libro (per contrassegno) visita il sito internet dell'editore QUI
disponibile anche su
CLICCA QUA SOTTO PER VEDERE LE FOTO SU FLICKR
IL BLOG DI RIEVOCAZIONE ETRUSCA
(mech Rasna tsui ame!)
clicca sul motto per accedere al blog
Post n°302 pubblicato il 23 Aprile 2010 da zoeal
"appunti sparsi da una conferenza del Professor Giovannangelo Camporeale, Grosseto 22 Aprile 2010" In una società come quella che si affacciava nel Mediterraneo qualche millennio fa, il valore commerciale di un prodotto aumentava in modo direttamente proporzionale alla distanza tra il luogo di produzione e quello di smistamento. Dato che il commercio si svolgeva prevalentemente via mare, si deduce che i luoghi in cui si concentravano la maggior parte degli scambi e in cui circolava ricchezza, erano i porti che assumevano quindi un valore strategico rilevante. Di porti l’Etruria tirrenica, ma anche adriatica, ne era ricca. Inizialmente però, parlare di porto nel senso stretto della parola è errato, occorre riferisci propriamente a “punti di approdo” almeno fino al VII secolo a.C. Solo quando nasce una città da cui lo scalo dipende, allora possiamo parlare di “porti”. In Etruria si attraversano diverse fasi di organizzazione sociale. Prima del VII secolo, infatti, esistono classi aristocratiche di stampo agricolo, dominanti ciascuna sul proprio territorio, chiuse e propense a creare servizi solo per il proprio benessere privato. Nelle zone di ingerenza, non sorge tanto una città, ma nuclei abitativi sparsi in cui vivono le maestranze e i contadini che lavorano per il clan dominante. Una città si ha quando un abitato viene dotato di servizi che servono per la collettività, quindi una rete stradale urbana lastricata, fognature, acquedotti, piazze, negozi, luoghi di aggregazione e di culto, mura difensive, luoghi di sepoltura organizzati. Tutto ciò avviene quando la classe aristocratica decade e viene creato il ceto medio. E il ceto medio, cosa è altro, se non il ceto mercantile che si affermò a partire dalla seconda metà del VII secolo? E’ per questo che le prime città etrusche organizzate sorgono nelle vicinanze delle zone costiere, Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Roselle; tutte secondo lo stesso criterio, vale a dire su un’altura distante circa quindici chilometri dal mare al di sopra di una valle formata da un fiume (Fiora, Marta, Alma e Ombrone), alla foce del quale c’è un punto di approdo che viene dotato anch’esso di infrastrutture, come moli, magazzini, ormeggi e templi, diventando un porto a tutti gli effetti. Soprattutto i luoghi sacri che sorgono nei porti ci affascinano per la loro maestosità, basti pensare al complesso di templi di Pyrgi forse dedicati a Giunone visto il ritrovamento di ceramiche votive recanti l’inscrizione “UNIAL” cioè “a Uni”, al tempio di Gravisca dedicato a Turan o Afrodite, frequentato sia da marinai etruschi che greci. Se ci pensiamo bene, anche le nostre città marinare hanno tutte imponenti cattedrali con la facciata rivolta verso il mare, curiosamente quasi tutte dedicate alla Madonna, così come gli antichi templi marittimi erano dedicati a divinità femminili. Forse per richiamare un contesto familiare di protezione materna nei confronti dei marinai che rischiavano la vita nei loro viaggi per mare? Chissà? Sappiamo che nel momento migliore, gli Etruschi possedevano scali anche nella Francia meridionale e furono, dopo la cacciata dei Greci dalla Corsica, i signori indiscussi del mar Tirreno. Almeno fino al 480 a.C. quando accaddero due fatti importanti: Atene vince contro i Persiani e la greca Siracusa sconfigge i Cartaginesi. Sorgono quindi due superpotenze e si sa, che le città greche non sono mai state unite e Siracusa comincia a pensare di fa le scarpe ad Atene. Ma in che modo? La città attica è potente e possiede un esercito molto più forte di quello dei Siracusani. Non rimane che giocare di astuzia. Da dove arriva la ricchezza degli ateniesi? La risposta è dal commercio. Chi sono i maggiori acquirenti dei prodotti ateniesi? La risposta è: gli Etruschi. Quindi i Siracusani colpirono questi ultimi impartendo loro una sonora sconfitta nelle acque intorno all’attuale isola d’Ischia nel 474 a.C. Gli Etruschi persero in un sol colpo tutti i loro porti dell’attuale Campania ed iniziò un declino dal quale non si sollevarono mai più. Nel 453 persero anche l’Isola D’Elba. Gli artigiani ed i mercanti ateniesi in poco tempo persero i loro lauti guadagni, infatti in questo periodo non approdano più in Etruria i ricchissimi vasi di manifattura Greca, Atene cade in una rovinosa crisi economica a tutto favore dei Siracusani. In Etruria si salvano solo i porti di Baratti, che faceva comodo perché il commercio era improntato essenzialmente sui metalli e quello di Spina sull’Adriatico, dove continuano ad arrivare i vasi attici. I mercanti etruschi e la classe marinara tirrenica, si trasformano in pirati e mercenari al servizio di terzi ed è proprio con la scusa di debellare la pirateria, che Siracusa infligge il colpo definitivo, devastando e depredando il santuario di Pyrgi. In realtà la pirateria con quest’attacco poco entrava: il tempio di Pyrgi, oltre a raccogliere offerte votive di valore, fungeva anche da banca… i Siracusani parlarono dell’immenso bottino in oro e altri metalli preziosi per anni. cratere di Aristhonotos, reca il disegno di una battaglia tra due navi e nella parte opposta il mito dell'accecamento di Polifemo da parte di Ulisse.
|
Post n°301 pubblicato il 08 Aprile 2010 da zoeal
Dunque rompo finalmente gli indugi (perchè non resisto più e devo raccontarlo per forza) per dire a tutti che quest'anno non ho avuto bisogno dell'uovo di Pasqua perchè sono io un uovo di Pasqua vivente ivi inclusa una dolcissima e tanto attesa sorpresa! Tra circa sei mesi, la Tuscia della costa maremmana avrà un piccolo etrusco o una piccola etrusca in più! Mamma Ale e babbo Lambe sono felicissimi!
|
L'attività tessile in Etruria, come d'altronde in qualsiasi altra parte del mondo, era riservata alle donne. In ambito domestico il lavoro di tessitura non era portato avanti solo dalle serve ma anche e soprattutto dalle nobildonne: sono stati ritrovati oggetti in cui questa attività è stata documentata. Ho trovato QUI una bella ricostruzione di un telaio etrusco.
|
CALCEI REPANDI Vi avevo raccontato di quanto gli Etruschi fossero famosi per le loro calzature, considerate particolari ed alla moda dagli altri popoli anche alla loro epoca. Colorate, curate nei particolari, alte basse, a punta e non ma soprattutto a punta. Un artigiano di Perugia "La Bottega del Cuoio di Pazzaglia" oltre alla normale attività di calzolaio, produce a mano scarpe per rievocatori e cortei storici, di tutte le epoche compresa quella etrusca e dal risultato sembra proprio che abbia quest'arte nel suo Dna. che sono uguali agli originali: |
A circa metà strada tra Pitigliano (GR) e Farnese (VT), sull’omonima provinciale, c’è il bivio per Manciano (sulla destra se si proviene da Pitigliano, sulla sinistra se invece proveniamo da Farnese). Dopo poche centinaia di metri giriamo a sinistra per una strada poderale seguendo le indicazioni del Santuario del SS Crocifisso. Arriviamo nel parcheggio del luogo sacro e ci accorgiamo già da lì che ci stiamo trovando in un posto dove la vita è scorsa ininterrotta per migliaia di anni. Ci accoglie, proprio davanti al santuario, l’etrusca “Ara del Tufo”, un sepolcro del VI secolo a.C. con tre camere funerarie avente le caratteristiche di un altare, ornato da cornici di nenfro e di tufo che terminano agli angoli con protomi di leone e di ariete che per imponenza non doveva essere da meno della più famosa Tomba Ildebranda di Sovana. Proseguendo per una stradina scavata nel tufo raggiungiamo la vicina necropoli dove, tra varie tombe anonime spicca la Tomba della Biga, in cui un potente personaggio del luogo, era stato deposto insieme al suo carro da guerra in quercia con le sponde in bronzo finemente decorate con figure di giovinetti nudi e ai suoi due cavalli (attualmente la biga si trova al Palazzo Albornoz di Viterbo). L’ipogeo, dotato di dromos, ha una lunghezza frontale di circa sette metri e consta di tre porte, una delle quali è finta ed ha solo la funzione di mantenere la simmetria. Tornando verso il santuario ci si addentra in un sentiero ben delimitato percorrendo il quale ci si va a trovare nel luogo, dove fino al 20 settembre 1649, si trovava la capitale del ducato farnesiano: Castro. Fa impressione pensare che lì esisteva sino a quella data una cittadina rinascimentale (seppur impiantata su un sito che fu villanoviano, poi etrusco e poi ancora romano) completamente rasa al suolo dalla cattiveria degli uomini. Fu Papa Innocenzo X a ordinarne la cancellazione dalla faccia della terra a seguito dell’odio mortale che legava il papato con la casa Farnese. Vedendo le poche rovine che emergono dal bosco sembra in realtà di essere in una città di qualche millennio fa, etrusca o romana, i cui sassi emergono oltre il lavorio incessante del tempo, delle intemperie e della natura. In realtà laggiù, l’opera più grossa di distruzione la fece l’uomo. Oltre ai sassi, ai pozzi, alle cantine, ai resti di quello che doveva essere un Duomo monumentale, la Piazza Maggiore lastricata a lisca di pesce, a ciò che rimane degli affreschi della Chiesa di Santa Maria, dei quattro sassi del Palazzo Ducale, dei torrioni distrutti, del Palazzo dell’Hostaria su disegno del Sangallo, della zecca, purtroppo possiamo avere la dimensione della catastrofica faida anche da qualche resto umano che appare alla vista dopo recenti scavi. Le truppe papaline impiegarono sino al 3 dicembre 1649 per compiere lo scempio. Il motivo di tutto? Cerca di spiegarcelo Alfio Cavoli nel suo libricino “Castro la Cartagine della Maremma”, Cartagine perché Papa Innocenzo X decise per lei lo stesso destino che nel 146 a.C subì la città fenicia ad opera di Publio Cornelio Scipione.
|
Post n°296 pubblicato il 28 Gennaio 2010 da zoeal
Prosegue il viaggio tra gli antichi sapori apprezzati ancora oggi: l'acquacotta è un piatto tipico della Toscana e dell'Alto Lazio, zone etrusche per eccellenza. Non ne esiste una ricetta vera e propria, infatti ci sono varianti da zona a zona, possiamo dire che ogni famiglia ha la sua ricetta personale. Quella presentata è una delle più tradizionali in quanto non si fa uso di pomodoro o di peperoncino, come invece avviene in altre preparazioni dello stesso piatto. |
IL SUOVETAURILIA 'Su' ablativo di 'sus'; 'ove' ablativo di 'ovis'; 'tauro' ablativo di 'taurus'; 'ilia' suffisso di aggettivo; 'facere' è sottinteso. La forma contratta latina non è altro che la forma etrusca estesa di ' fare un sacrificio per mezzo di un suino, di un ovino e di un toro'. Dal I secolo a.C, i romani Varrone e Catone usano 'porcus' cioè maiale al posto di 'sus', 'agnus' cioè agnello al posto di 'ovis' cioè pecora e 'vitulus' cioè 'vitello' al posto di 'taurus' vale a dire 'toro'. Se consideriamo che per il rito venivano utilizzate le interiora degli animali, del resto che si faceva? Si buttava? Ma nooooo.... basta scegliere animali dalle carni più tenere e viene fuori ciò che potete apprendere seguendo il seguente mio esperimento:
|
Il filosofo e botanico greco Teofasto, allievo di Aristotele, nella sua Historia Plantarum, dice che Eschilo, poeta greco del V secolo a.C, scriveva che i Tirreni sono esperti nella preparazione di farmaci. Teofrasto tramanda invece che l’Etruria è ricca di piante officinali. Tali affermazioni sono avallate anche da Dioscoride e Plinio il Vecchio. Esiodo nella sua opera Teogonia, narra di un’antica leggenda secondo la quale i figli della maga Circe divennero principi etruschi ai quali la madre insegnò l’arte della preparazione di farmaci e filtri magici. Quali erano però le piante usate dai guaritori etruschi che a Marco Terenzio Varrone, sembrarono così isolati, misteriosi ed impenetrabili quando li osservò elaborare farmaci sul monte Soratte. Facciamone una carrellata: L’EFEMERO o ELLEBORO: questa pianta consta di vari tipi ma in generale sono tutte velenose per la presenza di alcaloidi e glucosidi ad azione digitalica. Venivano usate per la cura delle malattie mentali, dopo numerosi trattamenti che ne riducevano la velenosità, a causa dello spiccato potere sedativo. IL COLCHICO o ZAFFERANO FALSO: liliacea che cresce in autunno, era utilizzata per la gotta nonostante la tossicità dovuta alla presenza dell’alcaloide colchicina. L’ACHILLEA MILLEFOGLIE: tonico digestivo, antiemorragico era usata per le dispepsie nervose, nelle enteriti e per la cura anche per via esterna di emorroidi e varici, ragadi e pustole. Si beveva mista con aceto nelle difficoltà urinarie e per il mal di denti. LA TIFA ( il cosiddetto ‘bischero di palude’): possiedono rizomi ricchi di amidi, proteine e zuccheri, molto nutrienti in caso di convalescenze o effetti di cattiva nutrizione e fisico gracile. IL LINO: i semi contengono olii, zuccheri, amidi, mucillagini e albumine. Contengono anche la linamarina, che scissa per idrolisi dà luogo al venefico acido cianidrico. I semi erano usati per la loro azione emolliente, per le enteriti, la dissenteria, i catarri, la gonorrea, le cistiti e le piaghe dolorose. Le bende di lino erano utilizzate come fasciature. IL SEMEN TUSCUM: probabilmente si trattava del farro maggiore, graminacea che macinata era impiegata per maschere facciali cosmetiche. LA NEPETA: oggi non è facilmente idenficabile perché fonti diverse la associano ad erbe differenti. Per alcuni storici era l’erba gatta, per altri la mentuccia, per altri ancori la menta vera e propria. In Toscana, per esempio la mentuccia viene chiamata nepitella o nipitella, per cui credo che la Nepeta sia stata la mentuccia. Pianta aromatica e digestiva. La Nepa però è anche una varietà di ginestra che contiene un alcaloide velenoso, la ulexina, usata in passato come purgante o all’esterno per le ulcere. CAUTA – MUTUKA: ci è giunto solo il nome ma non sono identificabili. IL BACCARO:profuma di pepe ed il rizoma se schiacciato sa di canfora. Era utilizzato come potente starnutatorio e serviva per far rinvenire gli ubriachi. Inutile soffermarsi con le erbe medicinali conosciute anche dall’odierna erboristeria, come il papavero, l’alloro, il ginepro, l’olivo: l’Etruria ne era ricca e sicuramente, anche in mancanza di fonti certe, sicuramente venivano utilizzate. fonte: Etrusca Medicina - Vittorio Gradoli |
Post n°292 pubblicato il 13 Dicembre 2009 da zoeal
E' molto tempo che volevamo andare ad ispezionare una collina "molto sospetta" in località Grillese appena fuori Grosseto. Aspettavamo il freddo, per tenerci lontani dai viperotti, che in campagna sono sempre in agguato. Questa collina si staglia in mezzo alle altre dolci e tondeggianti con un'inattesa cima sassosa e spianata. Dato che il luogo si trova al di sopra del vecchio tracciato della via Aurelia romana, nelle vicinanze di uno dei tre antichi porti di Roselle etrusca e la località è ben documentata nel medioevo presentando anche frequentazioni longobarde come potete leggere QUI, ha stimolato la nostra curiosità, visto che la conformazione del luogo, si presta a fantasticare sulla presenza di un insediamento, una stazione di posta, un piccolo e antico centro rurale. Ci siamo muniti di abbigliamento adatto, coperti bene e sfidando le avverse condizioni atmosferiche ci siamo avventurati. la collina vista dal basso... Incamminandoci attraverso i vigneti a riposo, abbiamo percorso un dislivello di circa duecento metri. Arrivati quasi alla meta, la brutta sorpresa: la sommità è recintata con il filo spinato per la presenza di bestiame al pascolo, quindi potete vedere la mia delusione... Tuttavia è stata una bella passeggiata all'aria aperta, nel bel mezzo della campagna silenziosa in mezzo a tracce di cinghiali (ma hanno tre dita gli ungulati?) il verde rinfranca l'animo e lo spirito ringrazia...
|
Post n°291 pubblicato il 10 Dicembre 2009 da zoeal
|
Il giorno dell'Immacolata, a Roselle organizzano la manifestazione "Dolce Maria", un omaggio goloso alla Vergine Maria, ma anche una gara tra torte. Io ho partecipato e indovinate il tema che ho scelto? Ci vuole poco: Torta Roselle! Ricetta etrusca, rappresentazione dei ruderi delle mura (o almeno nell'intenzione c'era), scritta "Rusel" in caratteri etruschi. Come poteva essere altrimenti? AGGIORNAMENTO DELL'ULTIMO MINUTO! HO VINTOOOOO IL PREMIO TORTA PIU' BELLA! Dolci foto QUI |
Post n°288 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da zoeal
|
Dopo cento anni Nessuno più conosce il luogo. Immota l'agonia che vi si svolse Come la pace. Trionfarono le ortiche, e gli stranieri vennero a decifrare L'ortografia remota Di questi antichi morti Il vento dell'estate Riconosce la via: Poichè l'istinto raccoglie la chiave Sfuggita alla memoria (Emily Dickinson)
Eppure Emily Dickinson non era mai stata qui...
|
Le stragi medioevali portarono al rogo un'infinità di donne bollate come streghe o fattucchiere. La storiografia moderna sostiene fossero anonime persone di campagna, spesso rozze e ignoranti, vittime dell'Inquisizione. Dato però che moltissime di queste streghe furono perseguitate ed arse soprattutto in Toscana e nell'alto Lazio, forse percentualmente in misura molto più estesa che in altre parti di Italia, ha fatto pensare agli studiosi ad un'ipotesi ben diversa: le cosiddette streghe furono le ultime seguaci di un antico culto della madre terra di remote origini etrusco-italiche perpetuatosi per secoli sfidando preti, spie e sbirri papalini. Il culto fu così esteso, nelle zone esaminate che la Chiesa di Roma vi organizzò una spietata repressione che nella storia non trova precedenti in quanto a ferocia e determinazione (se non quelli ben più recenti della seconda guerra mondiale). Il culto di questa antica dea pre cristiana è stato studiato ed approfondito da autori come Margareth Murray, Charles Leland, Thomas Lethbridge, Carlo Ginzburg. Da questi studi risulta che il culto della dea derivò da quello di Diana, infatti secondo una tradizione orale raccontata al Leland da una strega fiorentina, da Diana e dal rapporto incestuoso con suo fratello Lucifero nacque una figlia che fu chiamata Aradia. Diana incaricò Aradia di discendere sulla terra per donare agli esseri umani i segreti della stregoneria per utilizzarli al fine di difendersi dai soprusi dei potenti per questo Aradia fu considerata patrona delle streghe. Diana, dea della luce celeste e della fertilità fu venerata dai greci come Artemide Urania. Suo fratello e sposo Lucifero, antico dio della luce dal quale discese il dio celtico Lugh, lo scandinavo Loki e l'Apollo Liceo corrisponde al culto del fuoco e dei vulcani. Di Aradia si trovano inaspettate tracce in antiche iscrizioni etrusche in cui è stata definita come Arathia, Arath, Arathenas e da esso derivano nomi assai comuni in Etruria come |
In fila :la tradizione degli stornelli con acume e malizia del cantastorie Eugenio, l'ottava rima e i canti del Maggio:
Chissà se i canti in ottava rima siano reminiscenze di canti etruschi? Si dice che dopo il simposio si facevano gare di componimenti poetici, come documentato da figure dipinte su un vaso, ancora oggi, per quel poco che rimane, l'esibizione in ottava rima avviene durante e dopo le occasioni conviviali dando luogo anche a vere e proprie gare! E il poeta etrusco "Puntura" un vero personaggio maremmano che si ricorda tutta la Divina Commedia: e gli aspetti sociali e politici antichi e moderni toccati anch'essi con l'ottava rima: i passati politici con i due colori che hanno lasciato il segno... con il Puntura che ci dice come si fa l'ottava! e il terremoto d'Abruzzo... Viva la Maremma e i suoi vecchi miti! |
LA TOMBA ILDEBRANDA DI SOVANA La città dei morti di Sovana doveva essere ben più bella della città dei vivi. Inerpicata tra le valli dei torrenti Folonia, Calesine e Picciolana, si insinuava nel bosco, che sottoposto ad una rigido controllo vegetativo, doveva sembrare agli occhi chi vi giungeva, come un giardino sul quale si affacciavano straordinari monumenti funerari, così belli da essere stati meta di pellegrinaggio da parte degli stessi Etruschi (è risaputo che essi possono essere considerati i “primi” turisti della storia proprio per aver inventato i viaggi di culto e di piacere, come la celeberrima riunione di tutte le genti etrusche al Fanum Voltumnae, come fosse la Mecca per i mussulmani). Scolpite nel tufo, intonacate per rendere le superfici lisce (perché il tufo di Sovana non si leviga, essendo più duro di quello Blerano, varietà del viterbese), le tombe avevano colori vivaci e riportavano nei loro bassorilievi figure mitologiche di Scilla, di Sirene, del gigante Tifone, di Sileno. La più bella di tutte doveva essere la “Tomba Ildebranda” costruita all’imbocco di una delle più grandi vie cave della zona, il nome gli fu conferito dallo scopritore Gino Rosi, in occasione della campagna di scavo dell’anno 1925, per commemorare Ildebrando da Sovana, vissuto nell’XI secolo e salito al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII. Il sepolcro realizzato tra il III ed il II secolo a.C., secondo una leggenda, si fece ammirare solo per pochi anni perché i proprietari per sottrarlo alla distruzione e alla profanazione da parte dei conquistatori romani, reclutarono tutti gli uomini validi di Sovana affinchè lo interrassero. Questa è solo una leggenda, oggi la Tomba Ildebranda è notevolmente danneggiata dal trascorrere del tempo, dalle alluvioni, dalle infiltrazioni di acqua e anche purtroppo dall’opera dell’uomo. (liberamente tratto da "Etruschi in Maremma di Alfio Cavoli)
ricostruzione grafica della tomba Ildebranda QUI
Come è adesso:
|
Post n°283 pubblicato il 14 Novembre 2009 da zoeal
In occasione dell'inaugurazione del nuovo MUSEO DI STORIA NATURALE DI GROSSETO, ospite d'eccezione è stato PIERO ANGELA che ha deliziato il numeroso pubblico accorso disquisendo con la sua proverbiale semplicità e competenza. Per me, che sono cresciuta a pane e Quark, ed ho potuto constatare dall'affollamento che non sono stata la sola..., è stata una grande emozione perchè forse è anche grazie a lui che ho potuto maturare il mio amore per la storia e la natura. Grazie Professor Piero per la sua cordialità e disponibilità. Ho potuto scattare qualche foto, anche se con la calca è stato un pò difficile. In anteprima ha annunciato che sta preparando un lavoro proprio sugli Etruschi, non ci resta che aspettare!
|
GIOCO LETTERARIO
Ho partecipato al gioco letterario promosso da Writer
clicca su IL FOLLE se vuoi leggere il mio racconto
ho scritto anche:
e per la serie RACCONTI BREVI:
DEUXIPPO (prima parte)
DEUXIPPO (seconda parte)
DEUXIPPO (terza parte)
DEUXIPPO (ultima parte)
L'INFAME (prima parte)
L'INFAME (ultima parte)
E SFOTTIAMIOLI UN PO' STI RUMACH!
MAGIA DEL PHOTOPAINT
CONTATTA L'AUTORE
Nickname: zoeal
|
|
Sesso: F Età: 53 Prov: GR |
LA LETTURA NOBILITA LA MENTE
"CHIMAIRA" di Valerio Massimo Manfredi (giallo-storico)
"MITI, SEGNI E SIMBOLI ETRUSCHI" di Giovanni Feo (Etruschi, da dove venivano e a quali leggende sono collegati)
"GEOGRAFIA SACRA" di Giovanni Feo (la "magia" e l'"astronomia" dalla preistoria agli Etruschi)
"UNA GIORNATA NELL'ANTICA ROMA" di Alberto Angela (immaginiamo di fare un viaggio nel tempo e di ritrovarsi nella Roma del I secolo dopo Cristo)
"IL SEGRETO DEI GEROGLIFICI" di Christian Jacq (guida semplice e simpatica sull'interpretazione dei geroglifici egizi)
" IL FARAONE DELLE SABBIE" di Valerio Massimo Manfredi, azione e suspence ambientate nel clima dei conflitti attuali che affliggono il Medio Oriente.
"L'ULTIMA LEGIONE":di Valerio Massimo Manfredi, una vicenda avvincente ambientata nel periodo del declino dell'Impero Romano, tra leggenda e realtà, si legge tutto d'un fiato
AREA PERSONALE
MENU
ULTIMI COMMENTI
PIACEVOLI DISCUSSIONI
I MIEI BLOG AMICI
- L'ISOLA DELLA BRUJA
- COLLINE DARGILLA
- IL BLOG DEI SENTIMENTI
- IL BLOG DELLA NONNA SPRINT
- IL BLOG VIOLA
- IL BLOG DELLE PROF
- IL BLOG DI CLOUD
- IL BLOG DI MIKY
- IL BLOG DI ODY
- IL BLOG DI WRITER
- IL BLOG DI INDIANAQUOQUE
- I MEDAGLIONI DI TURAN E ALTRI RACCONTI
- LATINITAS
- PENSIERO LIBERO
- POESIE RASNA DI OMUT
POETA ESTEMPORANEO
In ricordo di Morbello Vergari, ultimo poeta Etrusco
Il reperto archeologico
Riuniti insieme, un gruppo di signori
stavano discutendo di un oggetto
un giorno appartenuto ai padri etruschi.
Il dottor Tizio disse ai suoi colleghi:
-La mia giovane eta', non mi consente
di pronunciarmi il primo e francamente
ammetto che non ci capisco molto.
Il dottor Caio esprime il suo parere
dicendo-Per me, questo è un utensile
che usavano gli etruschi,
per servire vivande sulla mensa
D'altro parere il professor Sempronio
e in questo modo dice il suo giudizio:
Questo per me, è un vaso da ornamento
che serviva su un mobile di lusso
a contenere fiori profumati.
Infine il professor Tal dei Tali:
Con questo afferma usavano gli antichi
nelle grandi e solenni cerimonie
offrire a gli dei superi d'Olimpo
e il loro sacerdote in pompa magna,
libava e alzava questo vaso al cielo;
quindi spruzzava santamente l'ara,
del vin pregiato in esso contenuto.
-Giusto-dicono tutti gli altri in coro-
la Sua tesi convince, professore.
Due etruschi ch'iabitaroni in quei luoghi
in permesso quassu' dai Campi Elisi.
Si fermarono ad osservar la scena.
-Tarcone-Aule chiese-cosa fanno
quelle persone riunite insieme?
-Non so',non saprei dirti veramente;
non riesco a comprendere il dialetto,ma
quel che sembra un tantinello strano
è, che stan discutendo con passione,
tenendo un nostro orinalaccio in mano.
Inviato da: Corrado Barontini
il 24/01/2018 alle 12:17
Inviato da: Camillo Coppola
il 22/12/2015 alle 19:28
Inviato da: flora
il 08/10/2013 alle 17:45
Inviato da: zoeal
il 20/05/2013 alle 15:08
Inviato da: ninograg1
il 20/05/2013 alle 08:03