Zacinto miaCiò nonostante ognuno, se non proprio felice, almeno non è infelice. E tira avanti. |
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Sabato sono stato al cinema e ho visto il film “The woman in gold”. Mi è piaciuto moltissimo. Tratta la storia vera di una donna ebrea di origini austriache, emigrata negli Stati Uniti, che ha intentato causa contro il governo austriaco per riottenere un famoso quadro di Klimt che ritraeva sua zia, sottratto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
La vicenda tratta vari temi: le angherie subìte dagli ebrei sotto il regime nazista (di cui sono riportati numerosi stralci e ricordi), il dolore nel rinvangare il passato, il ritorno nella terra natia, il ricordo, un sistema processuale talvolta ingiusto, ma anche i sentimenti di un avvocato, che decide di lasciare un lavoro certo per buttarsi in quest’avventura, fare indagini, sostenere processi, andare in Austria, senza la certezza del risultato.
In questo momento della mia vita mi sono un po’ ritrovato in questo avvocato. Peccato che io abbia scelto esattamente il contrario. Lui ha vinto. Io non so. Lui aveva un figlio, durante la vicenda ne ha avuto un altro, e una moglie che si è arrangiata e l’ha sempre sostenuto, nonostante le difficoltà. Io non so.
Venerdì ho partecipato ad una videoconferenza con la direzione Roma e ho rivisto quelli che mi hanno fatto il colloquio. Ero in evidente imbarazzo. Chissà cos’avranno pensato di me. Mi sono sentito come in queste righe di Majakovskij:
Nella Mosca gelida e affamata del 1918 una vecchia cavalla esausta è caduta, tradita dal ghiaccio, dalla fatica. “La strada ride”, forse qualcuno assapora già un pranzo finalmente sostanzioso, a base di carne equina. L’animale piange. Il poeta vede:
Rotola un gocciolone dopo l’altro
lungo il muso, si nasconde fra i crini…
una strana comune
angoscia animale
si riversò sulle mie labbra
in un sussurro:
“Non fate così, cavalla!
Cavalla, ascoltate:
Vi credete peggiore di loro?
Piccola,
siamo tutti un po’ cavalli,
ognuno di noi a suo modo”
(Vladimir Vladimirovic Majakovskij)
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