Messaggi di Dicembre 2015
Benché il 2016 si annunci peggiore di questo miserabile 2015, la ragionevole presunzione che sia migliore del 2017 autorizza l'esternazione dei soliti auguri. Pur sapendoli destinati a restare nel libro dei sogni, ecco come potrebbe iniziare la mia interminabile LISTA DEGLI AUGURI - un mondo liberato da guerre e competizioni economiche capaci di dividere l'umanità in vincitori e vinti - una umanità che per liberarsi dei fanatismi religiosi riesca a liberarsi della religione, madre naturale di tutti gli integralismi - un lavoro sicuro che ci faccia sentire tutti utili e vivi - una politica sottratta alle mani dei ladri istituzionali - una lingua italiana che cancelli dal suo lessico la parola furbizia che l'ha irretita in un sistema di corrotti e corruttori - una televisione espurgata delle pisciate quotidiane dei Salvini, dei papi e di un centinaio di minori incontinenti vecchi e nuovi - una magistratura che non sia strapagata per fare pena - una letteratura che emargini l'esercito di intellettuali che con il ben dire nulla usurpa gli spazi spettanti a poeti e scrittori veri - una Roma-calcio che sostituisca al gallo d'oltralpe un ruspante nostrano - eccetera eccetera eccetera |
La nostra promozione per titoli fu accompagnata, come per contropartita, dal classico colpo di coda punitivo, ossia dalla nostra assegnazione alle più lontane province con la funzione di vice provveditori: “Avete voluto essere cooptati nella classe dirigente? Bene! Andate dove lo Stato ha più bisogno di voi”.
Avevano un gran bisogno di dirigenti (ma anched’impiegati) gli uffici del Nord, dove gli stipendi ministeriali non allettavano i nativi. E invece di adeguare gli stipendi, o di articolare per ruoli regionali i suoi reclutamenti, lo Stato ci deportava al Nord. Soluzione non solo accettata, ma ispirata dai rappresentanti sindacali nel Cda, per i quali, dogma ormai acquisito a sinistra, l’emigrazione è sradicamento per gli operai, “esigenza di servizio” per i nemici di classe. Salvo ad assistere poi impotenti e con il senso di colpa al fugone di rientro dei meridionali.
E io, non prima di avere disdetto l’iscrizione al sindacato, dove si discuteva perfino se i dirigenti fossero lavoratori che era lecito iscrivere o alieni da utilizzare come possibili alleati, andai ad assumere servizio a… Vercelli.
“Che lavoro fa sua moglie?” mi chiese subito il provveditore Provenzale: “Può farsi trasferire anche lei?”
“La mia famiglia vive del mio stipendio. Temo che Vercelli non potrà contare su di me”.
“Capisco: con trecentomila lire, quanto una mondina, qui ci paghereste solo l’affitto di casa”. C’era un notevole divario, tra il Nord e il resto d’Italia, nel tenore e nel costo della vita. “Finora me la sono cavata da solo”, continuò: “Se troverà una strada diversa, non si faccia scrupoli, dottor De Mico: la capisco benissimo”.
Salutai quel comprensivo provveditore e ripresi il treno per Roma dopo un’assunzione di servizio meramente formale. Il nuovo direttore generale del personale (Fazio era passato alla Direzione delle Università; ora Franco lavorava con lui) mi suggerì di tentare la richiesta di trasferimento a Rieti, dove il posto di vice provveditore era libero.
Eppure in quella specie di frittata lievitata tra le risaie una emozione particolare l’avevo ricevuta, tenendola gelosamente nascosta in me: là, per un giorno, ero rimasto sommerso in una bruma che avevo già visto dall’alto; il castello di Camino non era lontano; gli anni che vi avevo trascorso erano distanti non quattro lustri, ma quattro secoli. |
Con i gruppi di lavoro siciliani ci intrattenemmo a Troina, ospiti paradossalmente dell’inquietante istituto speciale di don Luigi Ferlauto, nei giorni in cui cadde il mio quarantesimo compleanno. Quando lo seppero, i nostri operatori d’assalto (Gemma li chiamava commandos) mi dedicarono una serata d’onore e una composizione in dialetto siciliano, contenente uno dei più bei complimenti: …ca mancu pari ministeriali. E non sapevano che in tutta la mia carriera non avrei mai avuto un incarico speciale retribuito e non avrei mai fatto parte di alcuna commissione giudicatrice di concorso, non appartenendo a nessun clan. Un alieno. Qualcuno mi ammirava per questo.
Ma ero tutt’altro che santo. Antonietta, oltre a farsi cristianamente intermediaria di tutta la gente di scuola dei nostri paesi, che cercava in me un appoggio, un conforto o almeno un consiglio, mi sosteneva sempre, nei sacrifici e nelle lotte, risparmiandomi le sue apprensioni e offrendomi, nei momenti che turbavano maggiormente la mia serenità, un caldo e sicuro rifugio affettivo.
Non la ripagai come meritava. Pur amandola sempre, la mia fame repressa mi faceva desiderare altre donne. Ed ebbi altri rapporti, sui quali, tranne quello più significativo e gravido di conseguenze, non intendo soffermarmi né qui né altrove, essendo scritti in quel libro della discrezione che ho riservato gelosamente a me stesso.
Nel frattempo la CGIL e gli altri sindacati incassavano la grande “conquista” del loro ingresso nei Consigli di Amministrazione dei Ministeri, composti in precedenza di soli membri interni alla burocrazia, i direttori generali, di nomina ministeriale.
Mi sarei aspettato che a rappresentare gli impiegati del Ministero e dei Provveditorati agli studi fosse scelto uno di loro, uno messosi in evidenza per il suo impegno in un ambiente tanto ostico; non me, magari, che mi stavo defilando, ma un Mautino o un Paradisi. Dalla Federstatali ci fu invece rifilata una rappresentante che vantava una esperienza di lavoro nella segreteria di non so quale università, che avevano autonomia di gestione. Pertanto nessuno degli impiegati del ministero e dei provveditorati agli studi, che il Cda amministrava, la conosceva; né lei aveva la minima conoscenza di quelli che rappresentava e del loro lavoro.
Fu il Cda a concludere alla fine del 1978 la mia esperienza nell’Ufficio Studi nominandomi primo dirigente e vice provveditore agli studi. A propormi tra i direttivi da nominare dirigenti (bestiale!) non era stata, nel Cda, la rappresentante del consociativismo sindacale, ma il dottor Fazio, che non avevo voluto seguire. |
Post n°2057 pubblicato il 24 Dicembre 2015 da anonimo.sabino
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A quel rapporto con Bice Leddomade, al suo insegnamento e al suo esempio sono debitore della sorprendente serenità che portai nella successiva direzione di altri uffici. Come devo al Viva chi dubita di Gemma Russo il parziale superamento di un residuo di dogmatismo razionalista che mi portavo addosso.
In pochi mesi l’Ufficio Speciale riuscì ad attivare gruppi di lavoro in tutti i Provveditorati agli studi, a specializzare i responsabili dei singoli gruppi attraverso corsi residenziali di “formazione dei formatori”, a definire programmi e metodi delle istituende scuole di specializzazione per il trattamento dei singoli handicap; e subito dopo ad autorizzare e controllare quelle scuole da cui sarebbero usciti, al termine di un biennio, centinaia e centinaia di insegnanti di sostegno, non essendo possibile specializzare, come sarebbe stato opportuno, tutti gli insegnanti. Nel frattempo, ponevamo una cura particolare nel dare e raccogliere suggerimenti attraverso conferenze regionali dei nostri gruppi di lavoro, che nelle varie province seguivano e controllavano direttamente gli inserimenti nelle singole scuole.
In quel 1977 che segnava una ripresa violenta delle agitazioni studentesche, mentre a sinistra si osannavano l’abolizione del latino nella scuola media e la soppressione degli esami di riparazione, ultime concessioni alla scuola facile, riuscimmo a dettare e a inserire nella Legge n. 517 l’articolo che legittimava l’integrazione degli handicappati già in atto. Nella Conferenza europea sull’integrazione, che organizzammo a Roma, l’Italia risultò finalmente tra i paesi più avanzati. Io stesso, che avevo anche preparato una bozza del discorso del ministro Falcucci, dovetti polemizzare con i delegati tedeschi, schierati a difesa delle loro attrezzate istituzioni specialistiche. E per dare una scossa alla sinistra, diedi a Riforma della Scuola un piccolo saggio intitolato Gli handicap esistono.
Un’esperienza esaltante ed unica, per l’ex alunno di Tata Giovanni che in un anno vide passare 41.000 handicappati dagli istituti alla scuola di tutti, mentre Antonio Augenti subentrava a Lo Savio nella direzione dell’Ufficio Studi. Non proprio entusiaste, ma serene, Lucilla e Sabrina, nel frequentare scuole pubbliche che attuavano l’integrazione degli handicappati.
Il primo convegno interregionale dei nostri gruppi di lavoro mi portò a San Donà tra i gruppi di lavoro del Triveneto. A una successiva gita per le Tre Venezie il prof. Biscaro guidò nella sua utilitaria me e la soave Augusta dal Piave agli altri fiumi della grande guerra,da Gorizia al tragico Vaiont e da un nettare all’altro delle favolose vigne venete, dal ramandolo al raboso. |
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