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DOSSIER - una fragilità che isola: l'autismo

Post n°7 pubblicato il 25 Settembre 2006 da amicofragile2006
 
Foto di amicofragile2006

dossier a cura di Giovambattista Presti, Cattedra di Psicologia Generale, Università Europea di Roma e Cristina Copelli, Istituto di Consumi, Comportamento e Comunicazione d'Impresa, Università IULM di Milano

L'autismo sembra essere di moda.

Sarà stata l'abilità di Neri Marcoré e la simpatia che ha saputo creare attorno al personaggio interpretato in una fiction televisiva di recente messa in onda. Sarà stata la giornata del 2 giugno, che oltre ad essere la Festa della Repubblica, è stata anche l'occasione per celebrare la giornata nazionale dell'autismo. Sarà stato il Caso che ha portato alla pubblicazione di una serie di scoperte scientifiche proprio in questo periodo. Sarà stata la pubblicazione delle linee guida nazionali per il trattamento e la diagnosi nello scorso mese di maggio. Sarà questo insieme di fattori e altri ancora. Sarà quel che sarà, ma è un dato di fatto che solo nel mese di giugno di quest'anno, almeno secondo quanto è visibile sull'apposito servizio di Google, c'è stata una media di un articolo al giorno pubblicato sui quotidiani o su riviste italiane su questo tema.

Eppure non esiste terreno dove è più facile la confusione terminologica (gli psicanalisti ad esempio parlano di "fase autistica" riferendosi a uno stadio normale dello sviluppo della psiche infantile) o dove le speranze e le aspettative dei genitori si scontrano con una dura realtà quotidiana, fatta di faticose attenzioni e continue ripetizioni, perché un bambino artistico non apprende e non si sviluppa come un bambino normale. Probabilmente questi dati epidemiologici non sono diversi per l'Italia. Il miglioramento generale delle capacità diagnostiche dei medici e degli psicologi è responsabile dell'incremento delle diagnosi di autismo nel corso degli anni passati, ma occorre anche dire che l'autismo non è una malattia unica e che, per farci comprendere meglio da chi non è specialista, forse è necessario pensare e parlare di autismi.

Ma cosa intendono medici e psicologi quando affermano che un bambino è "autistico"? Il termine identifica una disabilità permanente e complessa, caratterizzata da difficoltà di comunicazione, d'interazione sociale e da comportamenti ripetitivi e stereotipati, solo raramente autolesionistici. Queste manifestazioni si accompagnano nella maggior parte dei casi a ritardo nello sviluppo cognitivo. Si manifesta, in genere, entro i primi tre anni di vita spesso in modo subdolo, con segni comportamentali talvolta di difficile interpretazione. Spesso accade che siano i genitori che segnalano al pediatra o ad altro specialista i propri dubbi circa lo sviluppo del figlio, riferendo comportamenti che qualificano come "strani", soprattutto sul piano del contatto fisico (ad esempio il bambino rifiuta di farsi toccare), della comunicazione e della socializzazione (non partecipa, ad esempio, al gioco dei coetanei e tende a rimanere isolato).

Talvolta essi reputano, guardando l'isolamento progressivo del bambino, che sia diventato "sordo" e non è raro il caso che dalla ricerca delle cause di questa presunta sordità si finisca con lo scoprire la malattia psichica. La  storia dell'autismo, anche se relativamente breve, è stata oggetto di numerose ricerche che hanno dato il via ad una vasta letteratura su questo argomento. In poco più di cinquant'anni si sono trovate alcune risposte per quel che riguarda l'origine e il trattamento di questa malattia, ma sono nati sugli stessi punti anche numerosi miti, che si perpetuano col passaparola e con siti Internet disinformati. Per alcune forme di malattia è stata accertata un'origine di tipo genetico: nel 30-50% dei casi si osservano concomitanti patologie organiche acquisite o geneticamente determinate. Per altre la base genetica non è certa, ma sono sicuramente da escludere le teorie più fantasiose che negli anni sono state sviluppate, inclusa quelle che correlano l'autismo alle vaccinazioni in età pediatrica.

Un dossier pubblicato dall' Institute of Medicine (IOM) of the National Academies degli Stati Uniti, che ha analizzato tutta la letteratura scientifica esistente e i dati epidemiologici, ha escluso questa correlazione trattandosi solo di un'ipotesi senza alcun fondamento empirico. Al contempo è ampiamente provato che anche le responsabilità familiari nello sviluppo dell'autismo siano da escludere. Dato l'ampio ventaglio di manifestazioni e di sintomi è difficile ipotizzare una sola causa: più verosimile è ammettere l'esistenza di diversi sottogruppi di pazienti che possono condividere le medesime caratteristiche cliniche e l'anormalità di un determinato parametro biologico, ma la cui malattia ha una causa diversa che non è stato ancora possibile identificare (sviluppo di autonomie personali e sociali, linguaggio e altre funzioni cognitive) se il bambino viene seguito in modo adeguato, ma anche in senso peggiorativo (comparsa di disturbi del comportamento e di altri comportamenti problematici), se il bambino non ha questa fortuna. La prognosi di interventi mirati ad assicurare lo sviluppo di autonomie personali e sociali e in genere di migliorare la qualità della vita di questi bambini è fortemente dipendente dal grado di compromissione del funzionamento cognitivo ed in particolare dal grado di sviluppo del linguaggio, ma anche dalla presenza di stereotipie comportamentali gravi.

Attualmente solo un terzo dei soggetti affetti da autismo raggiunge, con le tecniche di intervento che abbiamo a disposizione, un grado di autonomia che possiamo definire soddisfacente, mentre il restante numero di soggetti necessita di assistenza continuativa. Un altro aspetto critico per il successo è l'adeguatezza dell'intervento abilitativo: molti millantano crediti e dicono di avere trovato la terapia giusta per l'autismo, inclusi beveroni o diete particolari, ma solo poche sono le tecniche riabilitative che possano affermare, con prove scientifiche alla mano, di avere probabilità di successo, e quasi sempre a prezzo di grande fatica e sacrifici.

Il mondo reale della quotidianità è ben lontano da quello ideale della Scienza e avviene che la molteplicità di approcci ed interventi che accompagnano l'autismo rendono talvolta difficile ad insegnanti, operatori e familiari, orientarsi fra articoli e libri per compiere scelte realmente consapevoli. Dal momento che l'autismo non dipende da una inadeguata interazione con i genitori, i trattamenti psicoterapici di impronta psicodinamica o basati sulla terapia familiare si sono rivelati in questo caso inefficaci. basati su un approccio globale alla situazione individuale, familiare, scolastica del soggetto autistico allo scopo di individuarne le risorse recuperabili e di facilitare cambiamenti adeguati ai contesti di vita. Le strategie su cui tali approcci si basano enfatizzano l'importanza di sottoporre il bambino a un training altamente strutturato e spesso intensivo, personalizzato sul livello di abilità residue specifiche di ogni bambino, per insegnargli a sviluppare le capacità sociali e comunicative. L'intervento deve essere, come abbiamo già detto, più precoce possibile per avere migliori possibilità di riuscita. Su questa "filosofia generale" sono stati costruiti, nel corso di decenni di ricerche, diverse tipologie di intervento che, pur avendo sostanzialmente basi comuni, differiscono per alcuni aspetti che vengono di volta in volta enfatizzati dai diversi ricercatori che li hanno sviluppati. Nei metodi più accreditati, come il TEACHC (Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children), l'ABA (Applied Behavior Analysis), l'analisi del comportamento verbale, sono maggiori gli elementi che accomunano che quelli che differenziano.

Per togliere subito ogni dubbio occorre  dire che non esiste una terapia che abbia dimostrato in maniera incontrovertibile di essere "migliore" di un'altra, anche se nel mondo scientifico ultimamente l'ABA sembra riscuotere un credito lievemente maggiore rispetto agli altri approcci. L'Applied Behavior Analysis (Analisi Applicata del Comportamento) usa metodi basati sui principi scientificamente stabiliti, e progressivamente affinati, in oltre 50 anni di ricerche con soggetti normali o con disturbi dello sviluppo. Il loro fine è di costruire, o ri-costruire, repertori comportamentali socialmente utili e ridurre quelli problematici e distruttivi delle relazioni con la rete sociale in cui vive il bambino. Visto che i bambini con autismo non imparano facilmente dagli ambienti tipici e dalle occasioni di apprendimento che in essi normalmente si presentano (altrimenti si sarebbero sviluppati come tutti gli altri coetanei normali), ma possono imparare se ricevono appropriate attenzioni, il perno dell'intervento ruota attorno all'organizzazione di situazioni di apprendimento programmate e costruttive, lungo un percorso scandito da piccole acquisizioni progressive, ciascuna preludio e prerequisito ad abilità vieppiù complesse.

Le unità di comportamento, piccole e misurabili per facilitare la verifica dei progressi, riguardano tutta la sfera personale del bambino, dalle abilità cognitive, al linguaggio, alla socializzazione, all'affettività, all'autonomia  personale.

È così che apprende a parlare, a leggere e scrivere e a giocare con i propri coetanei, a guardare negli occhi i propri genitori e ad accettarne le carezze. L'età ottimale per iniziare un trattamento è sicuramente prima dei 5 anni, con alte percentuali di successo fra i due e i 3. Ma l'età non deve rappresentare un limite invalicabile, una sentenza di condanna per un bambino autistico che non ha beneficiato di una diagnosi precoce. Ad ogni età occorre avviare il bambino a un programma di apprendimento ben strutturato in grado di offrirgli le maggiori opportunità di sviluppo della abilità di cui manca. È d'altra parte fondamentale, a tutte le età, il ruolo dei genitori nel cogliere le sottili discrepanze, i piccoli segni che iniziano a marcare le differenze fra il proprio figlio e i coetanei. E non bisogna avere paura di consultare uno specialista. Andare da un neuropsichiatria infantile o da uno psicologo non è una condanna a priori, non occorre riservare questa opzione come ultima risorsa di un lungo elenco di medici. Molte volte può rappresentare la reale differenza fra la migliore occasione possibile da offrire al proprio figlio e la diminuzione delle probabilità di successo.

Per saperne di più:
APPRENDIMENTO E RECUPERO - Via Abano 8 - 02/2361261 IULM
Prof Paolo Moderato -
Cattedra di Psicologia -
paolo.moderato@iulm.it IESCUM
www.iescum.org  

 
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