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La zia Lucia si era sempre difesa dalla vita e dagli uomini con l’ironia pungente, guardando al mondo con lo spirito acuto di un’osservatrice attenta. Mi faceva ridere fino alle lacrime la zia Lucia quando si scatenava, lei sempre dolce e remissiva, e zac! puntualizzava un tic, scopriva una contraddizione, esaltava il difettuccio, scoperchiava gli animi bugiardi e mortificava i presuntuosi. Sempre a voce bassa, ammiccando e con la bocca tutta di lato, cosi’ che le sue battute sembravano riservate solo a me, timorosa che i grandi di casa ne notassero la presenza e si pentissero di averla invitata. E io mi sgangheravo dal ridere. Era stata esiliata dalla famiglia tanti anni prima, all’epoca del fattaccio di cui non ho mai saputo per intero la storia. Mi sono giunti a spizzichi e a bocconi nomi appena sussurrati, frasi smozzicate, lei e il suo unico amante, lei e quel povero ragazzo tedesco ammazzato come un vitello. Quegli spezzoni di vita che, come un marchio infame, si rannicchiano vergognosamente tra i ricordi cancellati della famiglia. Era già vergognoso che non si fosse maritata mai e che fosse tenacemente rimasta fedele al suo amore, vibrante di passione, vissuto nascostamente con un vigliacco imboscato o con un obiettore di coscienza ante literam … chissà. Era anche vergognoso che dovesse per vivere mantenersi da sola, senza un marito che se ne curasse, e che dovesse di tanto in tanto affacciarsi alla solidarietà dei fratelli che l’aiutavano per poi arrogarsi il diritto di rimproverare, di rinfacciare. Sapeva ricamare su qualsiasi tessuto con gusto raffinato e impeccabile, ma durante la guerra la clientela scarseggiava, e si cominciavano a preferire i tessuti stampati, volgari, senza sentimenti. Accetto’ un posto di portinaia in un condominio elegante al centro di Roma dove rimbucava il suo amante imboscato e dove per salvarlo dalla deportazione aveva massacrato il cranio del povero ragazzo tedesco con il ferro da stiro che stava usando in quel momento, un ferro da stiro pesantissimo, di quelli di una volta, con i tizzoni ardenti dentro. Dall’episodio Dino Risi aveva tratto il film “Una vita difficile”, con una Lea Massari più bella di zia Lucia ma certamente meno divertente. Mi sono sempre chiesta da quale pozzo di passionalità le fosse mai sgorgato il coraggio di un gesto tanto feroce, soprattutto perpetrato da una donna che adoravo e la cui superficie era un manto di bonarietà, di mitezza e di altissima umanità.
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