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Una sera, una di quelle tiepide sere africane profumate di frangipani e ambra, animate dai tanti suoni della natura, con la terra che trema per gli affanni di amanti clandestini e i serpenti che strisciano sui tetti di makuti, una sera di quelle lei mi parlò. Eravamo sedute sulla sabbia ancora calda davanti ad un improvvisato barbecue, con le bottiglie vuote della dolce birra africana tutte intorno a noi e lei mi raccontò della sua vita, dei suoi 72 anni trascorsi tra il benessere e il matrimonio, di come avesse conosciuto, amato e assistito il povero marito, di come le fosse sembrata vuota l’esistenza dopo la sua morte, di come, svogliata, fosse venuta in Africa sollecitata dai figli, dalla solitudine e dal senso di inutilità. Mi disse poi di come aveva conosciuto il ragazzo, di come le si sollevasse la camicetta al pulsare del cuore innamorato, di come una notte lui, con gli occhi pazzi, il volto estraneo e senza dire una parola le avesse fatto l’amore in un modo che le aveva riempito il corpo di brividi, che le aveva spalancato il paradiso e che non aveva mai provato prima nei cinquant’anni di congiungimenti carnali con il marito. Era bastata quella volta, quell’unica volta, e lei si era soggiogata a lui tutta, tutta. Anima e corpo.
Parlò a lungo mentre il fuoco si spegneva quasi, mentre l’oceano Indiano si allontanava discreto con la bassa marea, e la notte africana, al pari di un bisturi pietoso, cancellava le sue rughe. Mi raccontò delle donne del villaggio che le gridavano dietro parole di scherno, del ragazzo che non l’aveva più toccata e che tornava da lei sempre più rabbioso e avido di denaro, della sua unica amica che le raccontava di lui, della sua droga e dei suoi 21 scellerati anni ma che lei non aveva creduto a niente indignata e offesa. Mi disse dei figli che l’amavano, sì, ma non capivano. Mi disse che lo amava come non sapeva si potesse amare, che lei era stata concepita due anni prima, da lui e con lui, che lo avrebbe amato sempre, fino alla morte. La ascoltai rimanendo in silenzio – vigliacca! – trattenendo a forza le parole crudeli, quelle che la coscienza mi premeva contro i denti, ma infine tacqui e mi assolsi convincendomi che niente e nessuno l’avrebbero distolta mai dal suo snaturato amore senile, e che, parlando, l’avrei uccisa all’istante lì sulla costa africana mentre l’oceano Indiano si ritraeva discreto e le stelle guardavano indifferenti, con la notte che sapeva di gelsomino e ambra, i paguri e i granchi che invadevano la spiaggia e gli amanti clandestini che, ormai sazi, si separavano dalla terra
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