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ALESSANDRO MANZONI

Post n°527 pubblicato il 28 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

nacque a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria. Nel 1795 la madre, separata dal marito, si trasferì a Parigi insieme a Carlo Imbonati. Nel 1805, quando Imbonati morì, Manzoni raggiunse la madre a Parigi e compose l'ode In morte di Carlo Imbonati. Nel 1808 sposò Enrichetta Blondel e nel 1810 abbracciò il cattolicesimo. Morì a Milano nel 1873.

Il cinque maggio, composta nel 1821, in occasione della morte di Napoleone, è un'
ode scritta in occasione della morte di Napoleone Bonaparte in esilio sull'isola di Sant'Elena.

Nell'opera, scritta di getto in tre giorni dopo aver appreso dalla «Gazzetta di Milano» del 16 luglio 1821 le circostanze della morte di Napoleone, lo scrittore mette in risalto le battaglie e le imprese dell'ex imperatore nonché la fragilità umana e la misericordia di Dio.

« Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor. 
»

Il conte di Carmagnola (1820)

Adelchi (1822)

I promessi sposi. La stesura occupò Alessandro Manzoni per più di vent'anni. La prima versione, intitolata Fermo e Lucia, fu completata tra il 24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823. Negli anni immediatamente successivi Manzoni rielaborò il romanzo, che venne pubblicato in tre volumi tra il 1825 e il 1827 con il titolo I promessi sposi.

L'edizione definitiva del romanzo comparve tra il 1840 e il 1842.

 

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GIACOMO LEOPARDI

Post n°526 pubblicato il 27 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

è uno dei massimi poeti italiani di tutti i tempi. Fu un talento precocissimo: a 15 anni aveva già composto opere erudite, due tragedie, scritti in prosa e in versi; a 17 tradusse i classici latini e greci. A 20 anni ebbe una crisi esistenziale, peggiorata da uno stato di salute precario e dal sopraggiungere di una malattia agli occhi che l’avrebbe tormentato tutta la vita. La crisi rafforzò nel poeta la malinconia e il pessimismo, che stanno alla base della sua poetica.

 

Tra le liriche più famose di Leopardi ricordiamo i piccoli idilli (ad esempio

L'infinito e La sera del dì di festa), le canzoni (come l'Ultimo canto di Saffo), il componimento A Silvia, i grandi idilli (ad esempio

La quiete dopo la tempesta,

Il sabato del villaggio e Canto notturno di un pastore errante dell'Asia), e il componimento La ginestra.

 

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EDMONDO DE AMICIS

Post n°525 pubblicato il 26 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Enrico Bottini, il ragazzino di buona famiglia, tranquillo e ubbidiente; Garrone, povero ma di gran cuore; Franti, il cattivo (o, più semplicemente, un gran discolo). Sono i personaggi usciti dalla penna di Edmondo De Amicis, l’autore di uno dei più importanti libri italiani per l’infanzia: Cuore.

 

LA VITA

Edmondo De Amicis nacque a Oneglia, in provincia di Imperia, nel 1846. Studiò a Torino e a vent’anni entrò nell’esercito, decidendo di intraprendere la carriera militare. Nel 1866 partecipò alla battaglia di Custoza, durante la terza guerra d’indipendenza. Dalla sua esperienza della vita militare nacque la raccolta di bozzetti Vita militare (1868).

 

Il successo lo convinse a dedicarsi all’attività giornalistica e, in seguito, a quella saggistica e letteraria. Fu inviato del quotidiano “La Nazione” e pubblicò ben sei libri di viaggio: Spagna (1872), Ricordi di Londra (1874), Olanda (1874), Marocco (1876), Costantinopoli (1878) e Ricordi di Parigi (1879).

 

La fama di De Amicis è però legata a Cuore, un romanzo scritto nel 1886. Cuore è il diario immaginario di Enrico Bottini, un bambino che frequenta la terza elementare. Il piccolo Enrico racconta dieci mesi di vita, i suoi compagni di scuola, i dettati del maestro sulle avventure educative di giovani eroi italiani.

 

De Amicis, che nel 1891 aveva aderito al socialismo, scrisse altre opere. Tra queste ricordiamo Sull’oceano (1889), sulle misere condizioni degli emigranti italiani, e Il romanzo di un maestro (1890).

Lo scrittore morì a Bordighera, in provincia di Imperia, nel 1908.

 

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LEWIS CARROL

Post n°524 pubblicato il 25 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

 il creatore del personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, nacque a Daresbury, in Gran Bretagna, nel 1832. Il suo vero nome era Charles Lutwidge Dodgson. Studiò matematica a Oxford e sempre a Oxford insegnò quella materia dal 1855 al 1881, pubblicando anche numerosi trattati, che firmò con il suo vero nome. L'unico trattato di logica che firmò con il proprio pseudonimo (cioè con il nome di Lewis Carroll) fu Logica fantastica, che aveva scritto per i bambini. Morì nel 1898.


L'opera più famosa di Carroll è un libro per bambini, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie. Carroll lo scrisse per una bambina di nome Alice Liddell e lo pubblicò nel 1865. In poco tempo il libro divenne una delle opere più amate dai bambini inglesi e di molti altri paesi, affascinati da personaggi strani come la Lepre Marzolina, il Cappellaio Matto, lo Stregatto, la Duchessa Brutta e il Coniglio Bianco.

 

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ITALO CALVINO

Post n°523 pubblicato il 24 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

è uno degli scrittori italiani più importanti della seconda metà del Novecento. Dalla sua fantasia sono usciti il visconte Medardo (diviso in due da una palla di cannone), il barone Cosimo Piovasco di Rondò (che decide di andare a vivere sugli alberi), il cavaliere Agilulfo (che non ha più il corpo, e usa solo la ragione per conoscere il mondo), Marcovaldo (un manovale che vive in una grande, anonima città del Nord, tutta cemento, e che però cerca di trovare qualche piccolo spazio di natura).

 

LA VITA E LE OPERE

Italo Calvino nacque a Santiago de Las Vegas, nell’isola di Cuba, nel 1923, da Mario Calvino, un agronomo sanremese, ed Eva Mameli. Nel 1925 la famiglia tornò a Sanremo, dove Calvino trascorse l’infanzia e l’adolescenza.

 

Allo scoppio della seconda guerra mondiale interruppe gli studi e a vent’anni entrò nella Resistenza, usando il nome di battaglia di “Santiago”. L’esperienza partigiana fa da sfondo alle prime due opere pubblicate da Calvino: Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo (1949). Nel primo, la Resistenza è narrata dal punto di vista di un ragazzino, Pin; nel secondo, il punto di vista, sempre molto originale, è quello di un gruppo di vagabondi.

 

Alla fine della guerra Calvino si trasferì a Torino, dove completò gli studi in Lettere; si laureò nel 1947. Iniziò a collaborare con la casa editrice Einaudi ed entrò in contatto con due scrittori e intellettuali italiani, Elio Vittorini e Cesare Pavese. Gli anni Cinquanta furono anni molto fecondi: tra il 1952 e il 1959 compose i tre romanzi brevi che sarebbero poi stati raccolti nel volume I nostri antenati (1960): Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959).

 

Tutti e tre i romanzi sono ambientati nel mondo dei cavalieri; sono storie di fantasia, ricche però di agganci con la realtà e di occasioni di riflessione. Il visconte Medardo, del Visconte dimezzato, è stato diviso in due da una palla di cannone ed è così diventato il simbolo del bene e del male; il barone Cosimo, che decide di andare a vivere per sempre sugli alberi, rappresenta l’uomo che tenta di guardare il mondo dall’alto, rimanendo al di sopra delle leggi e delle regole. Infine, il cavaliere Agilulfo, che è senza corpo e usa solo la ragione per affrontare il mondo, diventa il simbolo del fallimento di una vita basata unicamente sulla razionalità.

 

Nel 1956, Calvino selezionò duecento favole della tradizione popolare e le pubblicò nella raccolta Fiabe italiane.

Accanto a queste opere ricche di fantasia, Calvino scrisse anche romanzi in cui compie un’analisi della società e del ruolo dell’intellettuale. Questi temi sono affrontati nella cosiddetta Trilogia industriale, che comprende: La formica argentina (1952), La speculazione edilizia (1957) e La nuvola di smog (1958).

 

Nel 1963 uscì Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città. Marcovaldo, il protagonista dei venti racconti che compongono il libro, è un personaggio poetico, un eroe-poveraccio che fa il manovale in una metropoli del Nord Italia, ma che aspira a una vita migliore e cerca, senza grande successo, un angolo di verde sopravvissuto al cemento.

 

Nel 1964 Calvino si trasferì a Parigi, dove insegnò all’università continuando a coltivare i suoi interessi per la scienza, la filosofia e l’antropologia. Dal soggiorno parigino nacquero i racconti delle Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967), con i quali si avvicinò al genere della fantascienza.

 

Agli anni Settanta risalgono Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979).

Calvino morì a Castiglione della Pescaia la notte tra il 18 e il 19 settembre 1985. Proprio in quel periodo avrebbe dovuto recarsi negli Stati Uniti per tenere alcune lezioni alla Harvard University. Gli appunti per le lezioni furono pubblicati postumi, cioè dopo la sua morte, con il titolo di Lezioni americane (1988).

 

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GIOVANNI BOCCACCIO

Post n°522 pubblicato il 23 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Nel Duecento e nel Trecento la poesia e la prosa italiane ebbero una grande influenza sulla letteratura di tutta l’Europa, grazie soprattutto a tre poeti e scrittori che sono considerati i padri fondatori della letteratura italiana. Questi tre autori sono Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Boccaccio è l’autore della prima grande opera in prosa della letteratura italiana: la raccolta di novelle intitolata Decameron.

 

L’INFANZIA

Giovanni Boccaccio nacque in Toscana (a Certaldo o forse a Firenze) nel 1313. Era figlio illegittimo di Boccaccino di Chellino, un mercante fiorentino che lo riconobbe e lo prese con sé; della madre non si hanno notizie certe. Giovanissimo, venne affidato a un mercante, affinché imparasse il mestiere.

 

Nel 1327, a 14 anni, si trasferì a Napoli, per fare pratica mercantile con il padre, socio della Compagnia dei Bardi. I Bardi erano un’antica e potente famiglia fiorentina, che fondò una compagnia mercantile e una banca, che era allora la più grande d’Europa. La filiale della Compagnia a Napoli prestava denaro addirittura al re, Roberto d’Angiò.

 

GLI ANNI DI NAPOLI

A Napoli Boccaccio completò la sua formazione di mercante e fu avviato agli studi di diritto canonico. Tuttavia, né questi né il mondo del commercio piacquero a Boccaccio. Preferiva frequentare la splendida corte degli Angiò, dove entrò in contatto con importanti uomini di cultura e poté dedicarsi agli amati studi letterari. Sembra anche che ebbe una relazione amorosa con una figlia illegittima del re, che egli celebrò in molte opere, sotto il nome di Fiammetta.

 

Il periodo napoletano fu un’epoca felice, piena di promesse e speranze. A quegli anni risalgono il romanzo in prosa Filocolo e i poemetti Filostrato e Teseida.

 

IL RITORNO A FIRENZE

Verso il 1340, però, Boccaccio dovette tornare a Firenze, in conseguenza del fallimento della Compagnia dei Bardi, che aveva coinvolto anche la sua famiglia. Degli anni successivi non abbiamo molte notizie. Sappiamo però che continuò gli studi di poesia e l’attività letteraria, e che svolse diversi incarichi diplomatici: fu a Ravenna fra il 1345 e il 1346, e a Forlì nel 1347. Nel 1348 era probabilmente già a Firenze, dove era scoppiata una terribile epidemia di peste. Boccaccio riuscì a salvarsi, ma perse suo padre e molti amici. La peste gli diede lo spunto per la composizione della sua opera più famosa, il Decameron.

 

Del 1350 è uno degli eventi più importanti della vita di Boccaccio: l’incontro con Francesco Petrarca. Tra i due nacque una profonda amicizia, che durò per tutta la vita.

Nel frattempo continuarono le sue missioni diplomatiche per conto di Firenze. Nel 1351 Boccaccio incontrò la regina di Napoli per l’acquisizione della città di Prato; nel dicembre dello stesso anno andò in Tirolo, per convincere Ludovico di Baviera ad allearsi con Firenze contro i Visconti di Milano; nel 1354 si recò ad Avignone, come ambasciatore fiorentino presso papa Innocenzo VI.

 

GLI ULTIMI ANNI

Nel 1371 si ritirò e decise di vivere isolato e in solitudine nella villa di Certaldo, il paese dei genitori, vicino a Firenze. Nel 1373 ottenne un incarico prestigioso dal comune di Firenze: la lettura e il commento ufficiale della Commedia di Dante. Dopo un anno però, a causa della salute malferma, fu costretto a ritornare definitivamente a Certaldo, dove morì il 21 dicembre 1375.

 

IL DECAMERON

Tra il 1349 e il 1351 Boccaccio scrisse il suo capolavoro, il Decameron. Si tratta di una raccolta di cento novelle divise in dieci giornate (in greco, Decameron significa proprio “dieci giorni”), scritte in lingua volgare (vale a dire nel dialetto fiorentino).

 

Per sfuggire all’epidemia di peste che colpì Firenze nel 1348, dieci amici (sette fanciulle e tre giovani) di famiglie benestanti e di educazione raffinata si rifugiano in una villa sui colli fiorentini. Qui trascorrono il tempo dedicandosi a giochi, danze, passeggiate e alla narrazione delle novelle.

 

Alcuni dei personaggi creati da Boccaccio sono ormai famosissimi. Ser Ciappelletto, ad esempio, è un peccatore incallito che, in punto di morte, finge di pentirsi dei suoi peccati e finirà per essere ritenuto un santo; Calandrino è invece il tipico ingenuo, vittima di scherzi e beffe memorabili; il cuoco Chichibio riesce, con l’arguzia, a salvarsi dall’ira del padrone, trasformando la sua collera in una risata; Griselda è il simbolo dell’amore materno.

 

Prossimo: “ ITALO CALVINO “

 
 
 

LUDOVICO ARIOSTO

Post n°521 pubblicato il 22 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

nel Cinquecento scrisse un lungo poema che racconta le vicende di coraggiosi cavalieri e di principesse in pericolo, di maghi e di orchi, di viaggi sulla Luna e di cavalli alati: è l’Orlando furioso, un capolavoro della letteratura italiana al quale, nei secoli, si sono ispirati scrittori, autori teatrali e musicisti.

 

LA GIOVINEZZA E GLI STUDI

Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia l’8 settembre del 1474. Il padre, il conte Niccolò Ariosto, era il capitano della Rocca cittadina. A quel tempo Reggio Emilia faceva parte del Ducato di Ferrara, un piccolo stato dell’Italia settentrionale guidato dalla potente famiglia degli Estensi.

 

Ludovico ricevette un’ottima educazione: secondo la tradizione umanistica, studiò il latino e in quella lingua compose i primi Carmina. Per volere del padre frequentò la facoltà di giurisprudenza all’Università di Ferrara, ma lo fece con esiti scarsi e soprattutto controvoglia: la sua passione più profonda era infatti la letteratura. Attorno ai 20 anni iniziò a frequentare la corte di Ercole I d’Este e a dedicarsi sempre di più agli studi letterari e alla composizione di versi poetici in latino e in volgare (che è la prima forma dell’italiano).

 

AL SERVIZIO DEI DUCHI D’ESTE

La spensieratezza di questa vita fu interrotta dall’improvvisa morte del padre, avvenuta nel 1500. Il patrimonio lasciato dal genitore era scarso e Ludovico dovette farsi carico da solo delle cinque sorelle e dei quattro fratelli; uno di loro, paralizzato dalla nascita, visse con lui per tutta la vita.

 

Dopo diversi incarichi sia pubblici sia privati, nel 1502 Ludovico fu nominato capitano della Rocca di Canossa e nello stesso anno entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, figlio di Ercole I. Il cardinale era un uomo avaro e insensibile alla cultura e alla poesia. Con lui Ludovico trascorse gli anni peggiori della sua vita, costretto a svolgere compiti ingrati, faticosi e malpagati. Oltre a curare le faccende amministrative e a organizzare missioni diplomatiche, doveva addirittura aiutare il cardinale a vestirsi e a spogliarsi.

 

Lo scontento nei confronti della vita condotta alla corte degli Este si manifestò soprattutto nelle Satire, scritte a partire dal 1517, in cui il poeta riflette con amarezza sugli ambienti cortigiani e sulla sorte degli uomini di lettere.

 

Nel 1517 Ippolito d’Este fu nominato vescovo di Buda, in Ungheria. Ludovico, rifiutatosi di seguirlo, passò al servizio di suo fratello, Alfonso d’Este. Dopo aver viaggiato per tutta l’Italia (si recò varie volte a Roma, presso il papa), nel 1522 fu nominato governatore della Garfagnana, una regione montuosa e selvatica sull’Appennino tosco-emiliano. Era un territorio infestato dai banditi, ma Ludovico dimostrò di avere senso pratico, energia e buone doti di amministratore.

 

GLI ULTIMI ANNI

Nel 1525, lasciata la Garfagnana e fatto ritorno a Ferrara, iniziò per Ludovico un periodo più sereno: gli furono affidati incarichi a lui più congeniali, come quello di sovrintendente agli spettacoli di corte, e poté dedicare più tempo al lavoro letterario.

 

Ludovico amava moltissimo il teatro: nel corso della sua vita scrisse cinque commedie in volgare, che ebbero grande influenza sul teatro italiano del Cinquecento, e inoltre lavorò come organizzatore di rappresentazioni, come regista e persino come attore.

 

Con i soldi guadagnati in una vita di incarichi al servizio degli Estensi, Ludovico comprò una casetta in Contrada Mirasole, sempre a Ferrara. Qui visse gli ultimi anni della sua vita in compagnia dell’amata moglie Alessandra Benucci e del figlio Virginio, lavorando alla terza e definitiva edizione dell’Orlando furioso, l’opera che gli avrebbe dato la fama eterna. Morì nel 1533

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Prossimo:” GIOVANNI BOCCACCIO “

 
 
 

DANTE ALIGHIERI

Post n°520 pubblicato il 21 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Se chiedi a uno studioso di letteratura di indicarti i più grandi capolavori di tutti i tempi, sicuramente ti parlerà della Divina Commedia. Questo straordinario poema fu scritto attorno al 1307 dal poeta fiorentino Dante Alighieri.

 

LA GIOVINEZZA

Dante nacque a Firenze nel 1265. Il padre si chiamava Alighiero di Bellincione (da lui il poeta prese il cognome, Alighieri) e la madre Bella. La famiglia di Dante, pur facendo parte della piccola nobiltà, era dedita alle attività mercantili e al prestito di denaro. Uno degli antenati di Dante, di nome Cacciaguida, aveva preso parte alle Crociate ed era morto in Terra Santa nel 1147.

 

Dante ricevette una buona educazione: studiò con i frati francescani, ascoltò le lezioni di retorica dello scrittore e poeta Brunetto Latini e per due anni fu studente all’Università di Bologna. Iniziò molto presto a frequentare i più promettenti letterati fiorentini, tra i quali il poeta Guido Cavalcanti. Sulla base di accordi matrimoniali presi dal padre (cosa piuttosto frequente a quei tempi), quando era ancora molto giovane Dante sposò Gemma Donati, con la quale ebbe tre figli.

 

IL “DOLCE STIL NOVO” E LE PRIME POESIE

Verso la fine del Duecento, Firenze vide la nascita di un movimento poetico che segnò la storia della letteratura italiana: il “dolce stil novo”. Il nuovo stile era caratterizzato dall’uso della lingua volgare (cioè dell’italiano, o meglio, del fiorentino) anziché del latino, dall’importanza attribuita alla nobiltà d’animo e alla delicatezza dei sentimenti, e dall’immagine della donna come angelo, in grado di rendere migliore l’animo dell’uomo grazie alla sua virtù e alla sua bellezza. Di questo movimento fecero parte anche Dante e i suoi amici.

 

I primi componimenti di Dante furono alcune poesie poi raccolte nel libro delle Rime, molte delle quali dedicate a una certa “donna pietra”, cioè dura e insensibile. Fu però tra il 1292 e il 1293 che Dante scrisse la sua prima vera opera, intitolata Vita nuova. In essa, attraverso poesie liriche e capitoli in prosa poetica, Dante racconta il proprio amore per Beatrice Portinari, una giovinetta bellissima che egli aveva conosciuto anni prima e che era morta da poco. Anni più tardi, la figura di Beatrice tornerà anche nella Divina Commedia.

 

GLI ANNI DELL’ESILIO

Nel 1301, mentre Dante si trovava a Roma come ambasciatore, i guelfi neri sconfissero i bianchi e si impadronirono di Firenze. L’anno seguente Dante fu condannato prima a una multa enorme e poi a morte. Il poeta decise allora che non sarebbe tornato a Firenze finché la situazione non fosse cambiata. Cominciarono i dolorosi anni dell’esilio. Dante fu costretto a peregrinare per varie città, chiedendo ospitalità ai signori che le governavano.

 

Quando Enrico VII di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, discese in Italia, nel cuore di Dante si riaccese la speranza: pensava infatti di poter tornare a Firenze grazie all’intervento del sovrano, il quale avrebbe anche dato inizio a un’epoca di pace e di giustizia per la penisola. Fu ispirandosi a questi ideali che Dante compose la Monarchia (1312-1313), un trattato politico nel quale auspicava la collaborazione tra il papa e l’imperatore.

 

Purtroppo le sue speranze vennero deluse e il poeta dovette continuare a vagare. Tra il 1312 e il 1318 visse a Verona, ospite di Cangrande della Scala. Da qui si recò a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, dove riunì attorno a sé un gruppo di allievi, tra cui il figlio Iacopo. Dante morì nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, e neppure le sue spoglie fecero mai ritorno a Firenze.

 

UN POEMA DIVINO

La Divina Commedia fu composta intorno al 1307. Dante in realtà la intitolò semplicemente Commedia, e in una lettera a un amico spiegò così le ragioni della scelta: anzitutto “commedia” perché (a differenza delle tragedie) ha un inizio tremendo e pauroso (Dante è solo e perduto in una “selva oscura”!) e un finale lieto; in secondo luogo perché è scritta in una lingua che a quel tempo era giudicata semplice e facile da capire.

 

Il poema è composto in terzine (cioè gruppi di tre versi) di endecasillabi (versi di 11 sillabe), a rima incatenata. È diviso in tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ciascuna delle quali comprende 33 canti, più un canto introduttivo all’Inferno che porta il numero totale a 100 canti.

 

Dante vi racconta il proprio viaggio immaginario nell’Aldilà, compiuto sotto la guida dapprima del poeta latino Virgilio e poi di Beatrice e san Bernardo. Nel corso del cammino Dante scopre le pene e i tormenti a cui sono sottoposte le anime dei dannati e le gioie di coloro che invece sono stati ammessi al cospetto di Dio. L’opera, secondo le intenzioni di Dante, aveva lo scopo di insegnare agli uomini come liberarsi dal peccato.

 

La Divina Commedia è un testo molto difficile: è costruito su una struttura teologica complessa, illustra l’intero sapere del tempo di Dante e oggi la sua lingua può apparirci poco familiare. Ma è anche un universo poetico incredibilmente ricco di personaggi, di storie, di colpi di scena, di pagine ora raccapriccianti ora commoventi: è un capolavoro universale di poesia e il fondamento della letteratura italiana.

 

Prossimo:” LUDOVICO ARIOSTO “

 
 
 

IL SIGNORE DEGLI ANELLI

Post n°519 pubblicato il 20 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Sai come è nato uno dei cicli di romanzi più famosi della letteratura mondiale? Per caso! Un giorno il suo autore, un professore universitario, mentre stava correggendo il compito di un alunno, scrisse distrattamente sul retro del foglio: “In un buco della terra viveva uno hobbit”. Il ciclo è la trilogia che compone Il signore degli anelli; il professore-scrittore è J.R.R. Tolkien.

 

L’AUTORE

John Ronald Reuel Tolkien nacque a Bloemfontein (in Sudafrica), nel 1892. Era ancora piccolo quando, con la famiglia, si trasferì in Inghilterra, dove compì gli studi, laureandosi a Oxford. Dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale tornò a Oxford, dove insegnò letteratura anglosassone e inglese. Morì a Bournemouth nel 1973.

 

Tolkien è considerato il precursore di un genere letterario chiamato fantasy. Le sue opere più famose sono Lo Hobbit, un racconto fantastico che compose per i figli e che pubblicò nel 1937, e la trilogia Il signore degli anelli, che fu pubblicata nel 1954-55. Tra le altre opere ricordiamo Il Silmarillion, un libro al quale Tolkien lavorò per tutta la vita.

 

LA TRILOGIA (tre opere dello stesso autore)

La trilogia del Signore degli anelli, che è composta da La compagnia dell’anello, Le due torri e Il ritorno del re, ha come tema la lotta delle forze del Bene contro le forze del Male. Narra la storia di un anello magico che era stato forgiato da Sauron, il Signore del Male, per esercitare il controllo assoluto sulla Terra di Mezzo, il luogo immaginario dove è ambientata la vicenda.

 

L’anello era stato ritrovato in una grotta delle Montagne Nebbiose da Bilbo Baggins, uno hobbit (o “mezzuomo”, una delle popolazioni che abitano la Terra di Mezzo) ed era poi passato nelle mani di Frodo, suo nipote; questi, con l’aiuto dello stregone Gandalf il Grigio, dovrà distruggerlo prima che Sauron torni ad appropriarsene.

 

La missione di distruggere l’anello è affidata alla Compagnia dell’Anello, formata da nove membri: quattro hobbit, Aragorn (discendente da una stirpe di re), Gandalf, Legolas l’Elfo, Gimli il Nano e Boromir di Gondor. Nel corso del viaggio, che terminerà, dopo innumerevoli avventure, con la distruzione dell’anello e la sconfitta di Sauron, la Compagnia dovrà affrontare numerose prove e nemici terribili (ad esempio gli orchi).

 

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ROMANZO POLIZIESCO

Post n°518 pubblicato il 19 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Un crimine (il più delle volte un delitto), un’indagine della polizia (o di un investigatore privato), la scoperta del colpevole: ecco gli ingredienti di un romanzo poliziesco (che in Italia si chiama anche “romanzo giallo”).

 

GLI INIZI DEL GENERE POLIZIESCO

Fu lo scrittore statunitense Edgar Allan Poe (1809-1849) a scrivere il primo poliziesco della storia della letteratura: si intitolava I delitti della Rue Morgue e fu pubblicato nel 1841. Il detective nato dalla fantasia di Poe si chiama Auguste Dupin; è molto metodico e risolve i casi usando il ragionamento logico e il metodo deduttivo, prendendo anche in considerazione la psicologia dei sospetti.

 

IL ROMANZO POLIZIESCO “CLASSICO”

A conferire al genere poliziesco molta popolarità fu lo scozzese Arthur Conan Doyle (1859-1930), che nel 1887 creò il personaggio di Sherlock Holmes, affiancato dal dottor Watson.

 

Il periodo più felice per la produzione di romanzi gialli furono gli anni Venti e Trenta del Novecento. Proprio nel 1920 la scrittrice inglese Agatha Christie inventò il personaggio di Hercule Poirot, l’energico investigatore belga; negli stessi anni la scrittrice creò anche la figura di Miss Marple, eccentrica detective che risolve anche i casi più difficili.

 

A volte capita che il criminale rubi la scena al detective. È il caso di Arsenio Lupin, ladro-gentiluomo inventato nel 1905 dal francese Maurice Leblanc, e di Fantômas, il “re del crimine” creato nel 1911 da Pierre Souvestre e Marcel Allain.

 

IL ROMANZO “NOIR”

Il romanzo “noir” (cioè “nero”) nacque negli Stati Uniti negli anni Trenta. In questi romanzi il detective privato è sempre un “duro”, che lavora per denaro, e i delitti non vengono commessi solo nei salotti, ma nei vicoli sordidi delle grandi metropoli. In questi romanzi la descrizione della violenza della città è quasi più importante della risoluzione dell’enigma.

 

IL ROMANZO DI SPIONAGGIO

Il romanzo di spionaggio fece la sua comparsa dopo la prima guerra mondiale. L’agente segreto più celebre rimane James Bond, nato dalla fantasia di Ian Fleming. Autori contemporanei di romanzi di spionaggio sono John Le Carré e Ken Follett.

 

IL ROMANZO “A SUSPENCE”

Nel romanzo “a suspence”, il personaggio-vittima tenta di sfuggire a una macchinazione. In questo genere di opere, l’autore è interessato soprattutto a descrivere le sue reazioni sul piano psicologico. È quello che fanno, ad esempio, le scrittrici Patricia Highsmith e Mary Higgins Clark.

 

IL ROMANZO POLIZIESCO IN ITALIA

Si può dire che oggi la letteratura poliziesca goda di ottima salute! In Italia, Andrea Camilleri (il “papà” del commissario Salvo Montalbano), Carlo Lucarelli e Loriano Machiavelli (che ha dato vita al sergente Sarti Antonio) sono tra gli autori contemporanei più famosi di un genere che ormai è entrato di diritto a far parte della Letteratura.

 

E I GIALLI PER RAGAZZI?

Esistono anche romanzi polizieschi pensati specificamente per i ragazzi? Certamente! Anzi, è probabile che siano proprio quelli che anche tu leggi. Per fare solo qualche esempio, c’è la serie italiana creata da Janna Carioli e Luisa Mattia, che ha come protagonisti la dodicenne Teodora (detta Teo) e il tredicenne Nicola, e ci sono tutti i gialli pubblicati in Italia nella collana dei Gialli per ragazzi edita dalla casa editrice Mondadori.

 

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ROMANZO

Post n°517 pubblicato il 18 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Un romanzo è un racconto lungo, in prosa, che narra le vicende di uno o più personaggi, su uno sfondo che può essere di fantasia oppure storico.

 

La parola “romanzo” deriva da un aggettivo del francese antico: romanz. L’aggettivo indicava le lingue sviluppatesi dal latino, che ancora oggi chiamiamo lingue romanze. Come sostantivo, il termine “romanzo” passò a indicare una narrazione, dapprima in versi, poi solo in prosa.

 

GLI ANTENATI DEL ROMANZO

Gli antenati del romanzo sono componimenti molto antichi, che risalgono all’epoca aramaica, assiro-babilonese ed egizia. Testi narrativi che possono essere considerati antenati del romanzo furono scritti anche nell’antica Grecia e soprattutto nella Roma imperiale. I migliori esempi nella letteratura latina sono il Satyricon di Petronio Arbitro (che visse ai tempi di Nerone e morì suicida per ordine dell’imperatore) e Le metamorfosi di Apuleio (123-200 d.C.).

 

LA NASCITA DEL ROMANZO

La nascita del romanzo come lo intendiamo oggi è però più recente. I primi esempi di questo nuovo genere letterario sono i romanzi picareschi, nati nella Spagna del Seicento. I romanzi picareschi prendono il nome dal loro protagonista, il pìcaro, un vagabondo simpatico, furbo, astuto e allegro, spesso ricercato dalla polizia, che passa di avventura in avventura.

Il primo grande romanzo della letteratura occidentale è Don Chisciotte, scritto nei primi anni del Seicento dallo spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616).

 

IL ROMANZO NEL SETTECENTO

Il romanzo acquistò fama e popolarità durante il Settecento, quando l’ascesa sociale della borghesia aveva ampliato il numero di persone che sapevano leggere. Nacquero in questo secolo alcuni romanzi che sono ormai considerati classici. Il più famoso è Robinson Crusoe, dell’inglese Daniel Defoe (1660 circa-1731).

 

Nel 1726 fu pubblicato un altro romanzo che oggi è considerato un caposaldo della narrativa di tutti i tempi: I viaggi di Gulliver, dell’inglese Jonathan Swift (1667-1745). Il romanzo è una satira nei confronti della società dell’epoca, ma alcuni brani sono ormai un classico della letteratura per l’infanzia. Molto divertenti, e celebri, sono ad esempio le avventure di Gulliver nel paese di Lilliput, dove gli abitanti sono piccolissimi, e nel paese di Brobdingnag, abitato dai giganti.

 

romanzi d’ambiente hanno spesso come protagoniste giovani donne alla ricerca di un marito. Ne sono eccellenti esempi le opere di Jane Austen, ad esempio Orgoglio e pregiudizio, composto nel 1813.

 

IL ROMANZO NELL’OTTOCENTO

L’interesse dei romantici per la storia passata del proprio popolo contribuì all’affermarsi di un nuovo genere di romanzo, che avrebbe avuto molta fortuna per tutta la prima parte del secolo: il romanzo storico. Nel 1820 lo scozzese Walter Scott (1771-1832) pubblicò Ivanhoe, ambientato ai tempi della crociata di Riccardo Cuor di Leone; il romanzo è considerato il capostipite del nuovo genere.

 

Al genere del romanzo storico appartengono anche I promessi sposi di Alessandro Manzoni, pubblicati in una prima versione nel 1827 e nella versione definitiva nel 1840. Il romanzo è ambientato nella Lombardia del Seicento, all’epoca della dominazione spagnola, e racconta la contrastata storia d’amore tra Renzo e Lucia.

 

Nella seconda metà del secolo, quando prevalse l’interesse per la scienza e il metodo scientifico, si sviluppò il romanzo naturalistico. Il fondatore di questo nuovo genere fu il francese Emile Zola (1840-1902), che in romanzi come Germinal (1885) descrisse obiettivamente la condizione dei minatori. Sulla scia del naturalismo, in Italia nacque il verismo, che ebbe come teorico Luigi Capuana (1839-1915) e come esponente principale Giovanni Verga.

 

L’Ottocento è anche l’epoca d’oro del romanzo russo. Fëdor Dostoevskij (1821-1881) descrisse le contraddizioni dell’animo umano in racconti e romanzi come Delitto e castigo (1866) e I fratelli Karamazov (1879-1880). Un altro grandissimo scrittore fu Lev Tolstoj (1828-1910). Il suo romanzo più famoso è Guerra e pace (1865-1869), che si svolge tra il 1805 e il 1812, cioè all’epoca della campagna napoleonica in Russia.

 

IL ROMANZO NEL NOVECENTO

L’inizio del Novecento portò una vera e propria rivoluzione nel modo di scrivere i romanzi e anche nei temi affrontati: sempre più spesso si rievocavano ricordi e pensieri o si cercava di rappresentare le paure nascoste nella parte più profonda della nostra mente.

 

In Italia, il triestino Italo Svevo (1861-1928) pubblicò La coscienza di Zeno nel 1923. Il romanzo è il diario immaginario di Zeno Cosini. Zeno è un uomo di mezza età che, dopo aver cercato per molti anni, senza successo, di liberarsi del vizio del fumo, decide di provare a rivolgersi a uno psicoanalista. Questi gli dà come compito quello di scrivere su un diario gli episodi più importanti della sua vita. Il diario si interrompe improvvisamente: Zeno ci racconta che ha interrotto la psicoanalisi perché guarito. A guarirlo è stato lo scoppio della prima guerra mondiale.

 

La terribile esperienza della seconda guerra mondiale fu materia di molti romanzi comparsi nell’immediato dopoguerra. Primo Levi (1919-1987), di religione ebraica, rievocò le condizioni di vita dei deportati nel campo di sterminio di Auschwitz in Se questo è un uomo. L’esperienza partigiana è invece il tema di alcuni romanzi di Beppe Fenoglio (1922-1963). Tra gli altri romanzieri italiani dell’epoca ricordiamo anche Italo Calvino (1923-1985), Cesare Pavese (1908-1950) e Leonardo Sciascia (1921-1989).

 

IL ROMANZO OGGI

Negli ultimi decenni, i romanzi più interessanti sono stati scritti fuori dall’Europa. Di particolare importanza è la letteratura latino-americana, che unisce alla durezza di una realtà difficile, a volte spietata, la poesia di miti e leggende riprese dai racconti delle società indigene precolombiane. L’autore più conosciuto è il colombiano Gabriel García Márquez (nato nel 1928). Il suo romanzo più noto è Cent’anni di solitudine, pubblicato nel 1967 e ambientato nell’immaginario paese di Macondo, dove si intrecciano tutte le possibili situazioni dell’esistenza umana: atti di eroismo, crudeltà, avventure, amore, fantasticherie e solitudine.

 

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RACCONTO

Post n°516 pubblicato il 17 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

Un racconto è un testo in prosa, in genere abbastanza breve, che narra un’avventura o un fatto strano o un avvenimento della vita quotidiana. A volte per indicare questo genere di composizioni letterarie si usa anche il termine novella.

 

LE PRIME RACCOLTE DI RACCONTI

Epoche e paesi diversi ci hanno lasciato racconti o raccolte di racconti. Ad esempio, una raccolta di racconti, intitolata Pañcatantra (Cinque Capitoli), circolava in India già 400 anni prima di Cristo e narrava storie di animali.

 

L’abitudine di raccogliere storie diverse in un solo libro si sviluppò però soprattutto a partire dal Medioevo. Intorno all’XI secolo vennero messe per iscritto le novelle delle Mille e una notte, un’antologia di racconti di autori arabi, persiani e indiani, che fino a quel momento erano stati tramandati oralmente. Molti di questi racconti sono diventati molto famosi anche in Occidente. Sicuramente conosci anche tu la storia di Aladino e la lampada magica, di Alì Babà e i quaranta ladroni, di Sindbad il marinaio.

 

L’OTTOCENTO

Il genere del racconto conobbe una rinnovata fortuna a partire dalla fine del Settecento e soprattutto nel secolo successivo. Nella prima metà dell’Ottocento dalla fantasia dello scrittore statunitense Edgar Allan Poe uscirono storie terrificanti e avvincenti. Egli perfezionò il racconto del terrore e inventò un nuovo genere letterario: il racconto poliziesco. Racconti del terrore sono ad esempio L’uomo della folla (1840), Il crollo della casa Usher (1840) e La maschera della morte rossa (1842), nei quali i temi sono spesso l’amore, la morte e la follia. Polizieschi sono invece Gli assassinii della Rue Morgue (1841) e La lettera rubata (1844); in essi compare il primo detective della letteratura: Monsieur Dupin.

 

Racconti realistici, capaci cioè di rappresentare il mondo reale, sono quelli di Giovanni Verga. Furono pubblicati nelle raccolte Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1882), che comprendono alcuni dei capolavori dell'autore, ad esempio La roba (storia di Mazzarò, un contadino che diventa proprietario terriero, ma che rimane solo e alla fine impazzisce) e Rosso Malpelo (storia di un ragazzino che diventerà minatore e morirà in miniera, proprio come suo padre).

 

IL NOVECENTO

La fortuna del racconto continuò nel Novecento. All'inizio del secolo il boemo Franz Kafka scrisse racconti strani e surreali, come La metamorfosi (1916), nella quale si narra di un uomo che un mattino si sveglia e scopre di essersi trasformato in uno scarafaggio. In Gente di Dublino (1914), invece, l'irlandese James Joyce raccontò fatti quotidiani di gente comune, dimostrando che anche nella vita di tutti i giorni ci sono aspetti interessanti, divertenti o drammatici. Una condanna delle ingiustizie economiche e sociali è contenuta invece nelle storie della raccolta Quarantanove racconti (1938) dell'americano Ernest Hemingway.

 

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POESIA

Post n°515 pubblicato il 16 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

è un componimento, lungo o breve, in versi. Esistono due tipi principali di componimento poetico: il poema narrativo e il poema lirico.

 

Il poema narrativo è un poema che racconta una storia ed è di solito piuttosto lungo. Ne sono esempio i poemi epici, le ballate e i poemi allegorici. poemi epici, ballate.

 

Il poema lirico è un poema più breve che ruota attorno a un pensiero o a un’emozione molto intensa. La poesia lirica comprende un’estrema varietà di versi poetici, inclusi le canzoni, le odi, gli inni, i sonetti e persino le ninne-nanne.

 

IL POEMA EPICO

Il più antico tipo di poema è una forma di poesia narrativa chiamata epica. I poemi epici hanno come tema le avventure di dei ed eroi, e inizialmente erano tramandati oralmente. Gli aedi nell’antica Grecia e i bardi presso i popoli celtici recitavano i poemi epici come forma di intrattenimento per il pubblico, e li trasmettevano ad altri aedi o bardi, che vi introducevano cambiamenti o aggiunte. I poemi epici furono trascritti solo a partire dal Medioevo, e grazie a queste trascrizioni sono giunti fino a noi.

 

Tra i poemi epici ricordiamo l’Epopea di Gilgamesh, un lungo poema sumero che risale al 2000 a.C. circa, l’Iliade e l’Odissea nell’antica Grecia, l’Eneide tra le opere in lingua latina, il Mahabharata e il Ramayana in India, la Chanson de Roland in Francia, Beowulf nella cultura anglosassone, il Canto dei Nibelunghi in Germania e Edda in Islanda

 

IL POEMA ALLEGORICO: LA DIVINA COMMEDIA

Il poema allegorico è un racconto immaginario, attraverso il quale il poeta vuole dare insegnamenti e precetti morali. Il poema allegorico per eccellenza della letteratura italiana e mondiale è la Divina Commedia di Dante Alighieri.

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

 

LA BALLATA

Un’altra forma di poema narrativo, che nacque in Francia nel tardo Medioevo e si diffuse in tutta Europa, è la ballata. La sua struttura metrica comprende un ritornello (o ripresa), che espone in breve il motivo conduttore e si ripete fra una stanza e l’altra, e un numero variabile di strofe o stanze.

 

LA CANZONE

La canzone è una delle più importanti forme metriche della lirica italiana. Di origine provenzale, fu rielaborata dai poeti della scuola siciliana (intorno alla metà del Duecento) e perfezionata da Dante e Petrarca. La sua struttura tradizionale comprende un numero variabile di strofe o stanze (da due a nove), divise al loro interno in due parti: la prima è detta “fronte”, la seconda è detta “sirma”. L’ultima stanza (detta “commiato” o “congedo”) è spesso più breve e di struttura metrica varia.

 

L’ODE E L’ELEGIA

Odi ed elegie sono tra le forme più antiche di poesia lirica. Entrambi i generi risalgono all’epoca classica e furono molto popolari sia tra i poeti greci sia tra quelli latini. In origine erano declamati con l’accompagnamento musicale della lira (ecco perché la poesia viene anche detta “lirica”).

 

Un’ode è un poema composto per celebrare una persona, un evento o una cosa. Ad esempio, nell’ode intitolata Il cinque maggio (di cui puoi leggere, di seguito, i primi versi) Alessandro Manzoni volle rendere omaggio a Napoleone Bonaparte:

 

SONETTO

Un sonetto è una poesia lirica composta da 14 versi che seguono un preciso schema dal punto di vista della rima. I due più importanti tipi di sonetto sono quello italiano e quello inglese, detto anche “sonetto shakesperiano”.

Il sonetto italiano si sviluppò a partire dalle canzoni popolari del tardo Medioevo, che in origine erano accompagnate dal suono del mandolino o del liuto. In esso i versi sono disposti in due stanze chiamate quartine (cioè di quattro versi) e in altre due stanze chiamate terzine (cioè di tre versi). È una delle più importanti forme metriche della poesia italiana e fu usato da moltissimi poeti in epoche diverse. Nel Canzoniere di Francesco Petrarca, scritto nel Quattrocento, ben 317 componimenti su 366 sono sonetti. Nell’Ottocento un celebre autore di sonetti fu il poeta Ugo Foscolo, di cui puoi leggere

 

POESIA MODERNA

Molti poeti moderni hanno dato grande importanza al modo in cui una poesia appare quando è stampata sulla pagina di un libro.

La disposizione grafica delle parole della poesia La Colombe Poignardée del poeta francese Guillaume Apollinaire ricorda una fontana. Nel poema “parolibero” Zang, Tumb Tumb l’italiano Filippo Tommaso Marinetti mette in atto (con la collaborazione del tipografo) le teorie espresse nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista”: sintassi disarticolata, verbo all’infinito, uso dei segni matematici, utilizzo di caratteri diversi e di varia grandezza.

 

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PICCOLO PRINCIPE

Post n°514 pubblicato il 15 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

È un ometto biondo, assai piccino; viene da un pianeta minuscolo; ha vagato di pianeta in pianeta ed è giunto sulla Terra. Qui si presenta a un aviatore con un’insistente richiesta: “Per favore, disegnami una pecora”. L’ometto è il piccolo principe.

 

L’AUTORE

Il piccolo principe è un racconto scritto e illustrato nel 1943 da Antoine de Saint-Exupéry. Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944) era un aviatore francese, ma oltre a volare amava anche scrivere e disegnare. Sue sono, infatti, anche le illustrazioni che accompagnano il testo.

 

LA STORIA

La storia è raccontata da un aviatore che è stato costretto ad atterrare nel deserto del Sahara a causa di un’avaria. La mattina successiva all’atterraggio forzato, viene svegliato da una vocina che chiede con insistenza: “Per favore, disegnami una pecora”. Dopo essere finalmente riuscito a disegnare la pecora che il piccolo principe voleva, quest’ultimo comincia a raccontare la sua storia.

 

Viene dall’asteroide B612, un pianeta piccolissimo dove ci sono due vulcani e dove è cresciuta una rosa piena di pretese. Ha deciso di lasciare il proprio asteroide per andare a esplorare l’universo. Durante il viaggio ha incontrato tanti adulti, tutti un po’ strani: un re che non ha né una corona né sudditi; un vanitoso che ama soltanto guardare se stesso; un ubriaco che continua a bere per dimenticarsi di essere ubriaco; un matematico che non fa altro che occuparsi di numeri; un uomo d’affari che conta le stelle; un lampionaio che è continuamente occupato ad accendere e spegnere l’unico lampione presente sul suo pianeta; un geografo che gli consiglia di visitare la Terra.

 

Seguendo i consigli del geografo è dunque sbarcato sulla Terra. Qui trova moltissimi roseti e si stupisce perché pensava che la sua rosa fosse unica. Incontra poi una volpe, che gli insegna l’importanza di creare dei legami e il valore dell’amore e dell’amicizia. La volpe gli chiede infatti di addomesticarla e gli spiega che la rosa sul suo pianeta è speciale perché lui la ama.

 

Mentre ascolta il racconto, l’aviatore riesce a riparare il suo aeroplano e scopre che anche il piccolo principe deve ritornare sul suo asteroide. La mattina successiva, quando si sveglia, vede che il piccolo principe se ne è andato.

 

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ORLANDO FURIOSO

Post n°513 pubblicato il 14 Luglio 2010 da Antonio_Vicentini
 

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima...

Quelli che hai letto sono i primi versi dell’Orlando furioso, un poema epico-cavalleresco in ottava rima (cioè composto da strofe di otto versi ciascuna), scritto da Ludovico Ariosto. Il poema narra le avventure di Orlando e dei paladini cristiani di Carlo Magno contro gli infedeli (i mori), e della pazzia di Orlando, che per amore perde il senno.

 

L’ORLANDO FURIOSO E LA TRADIZIONE CAVALLERESCA

Ariosto iniziò la stesura del suo capolavoro nel 1502-1503 e continuò a lavorarci per i successivi 30 anni, fino alla morte. Il poema, che è dedicato al cardinale Ippolito d’Este, mecenate di Ariosto, venne pubblicato per la prima volta nel 1516, in 40 canti. Fu poi ristampato, con correzioni nella lingua e nello stile, nel 1521; l’ultima edizione, quella definitiva, uscì nel 1532, in 46 canti.

 

L’Orlando furioso è legato alla tradizione della letteratura epica e cavalleresca medievale. La storia di Orlando e dei paladini di Carlo Magno (raccontata nei poemi del ciclo carolingio) aveva avuto molto successo presso le corti italiane, e altrettanto successo avevano avuto i poemi del ciclo bretone, nei quali comparivano maghi, draghi, fate, incantesimi e cavalieri erranti.

 

I poemi dei due cicli erano letti e apprezzati nelle corti italiane, anche alla corte degli estensi di Ferrara, e nella seconda metà del Quattrocento avevano ispirato molti poemi. Tra questi, il più importante era l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo. L’Orlando furioso ne è la continuazione e prende l’avvio proprio dal momento in cui l’Orlando innamorato si chiudeva.

 

UNA STORIA “DISORDINATA”

La trama dal poema non è lineare e riassumerla è quasi impossibile. È un insieme di vicende cavalleresche, amorose e fantastiche che si intrecciano tra loro. È un continuo presentarsi sulla scena di personaggi nuovi che raccontano la propria vicenda, distogliendo l’attenzione da quella principale.

 

Carlo Magno decide di affidare la bella Angelica, figlia del re del Catai, al duca Namo di Baviera perché con la sua avvenenza la giovane ha causato molte rivalità fra i cavalieri cristiani, più occupati a cercare di conquistare lei che a difendere la Francia. Angelica, però, riesce a fuggire. Tutti i cavalieri si mettono sulle sue tracce e ognuno di loro incappa in molte avventure, che si intrecciano con quelle degli altri, in una serie di duelli, battaglie, magie, incontri, fino al combattimento finale tra un campione saraceno e uno cristiano sull’isola di Lipadusa: la vittoria del paladino cristiano porterà alla liberazione della Francia.

 

L’ORDINE NEL “DISORDINE”

L’apparente confusione e disordine della vicenda, piena di digressioni, è in realtà frutto di una sapiente costruzione narrativa, che ci permette di individuare i tre filoni principali lungo i quali la storia si svolge.

 

La battaglia tra cristiani e saraceni per la conquista di Parigi. I cristiani sono in difficoltà perché Orlando, Rinaldo e tutti i paladini più valorosi hanno lasciato il campo di battaglia e sono all’inseguimento della bella Angelica. Alla fine, i cristiani riusciranno a liberare Parigi grazie all’arrivo dei rinforzi dall’Inghilterra. Nella battaglia finale, Orlando sconfigge i saraceni.

 

L’amore di Orlando per Angelica. la bellissima figlia del re del Catai, della quale si innamorano i più valorosi cavalieri, sia cristiani sia saraceni. Orlando, innamoratissimo, la insegue, affronta una serie di avventure mirabolanti, fa strage di nemici, cade vittima degli incantesimi del mago Atlante e finisce per perdere la ragione, per diventare “matto furioso”. Solo quando Astolfo recupererà il suo senno, conservato in un recipiente posto sulla Luna, il paladino tornerà in sé e parteciperà alla vittoriosa battaglia per la riconquista di Parigi. Angelica, da parte sua, sposerà l’umile fante Medoro, che aveva raccolto ferito sul campo di battaglia.

 

L’amore tra Ruggiero e Bradamante. Bradamante, sorella del paladino Rinaldo, si innamora, ricambiata, del saraceno Ruggiero. Dopo una serie di avventure, Ruggiero si converte al cristianesimo, viene battezzato, passa nel campo dei franchi e infine sposa la fanciulla. Da questa coppia Ariosto fece discendere gli Este, i signori di Ferrara, dei quali il poeta era al servizio.

 

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Un blog di: Antonio_Vicentini
Data di creazione: 08/02/2008
 

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NESSUNO E' PADRONE DI NIENTE...

 

Nessuno è padrone di niente, tutto è un'illusione...dai beni materiali alle ricchezze spirituali.
Chi ha già perso qualcosa che riteneva di avere garantito finisce per capire che nulla gli appartiene...
Meglio vivere come se fosse l'ultimo giorno della vita e tenere con se ogni attimo, emozione, sorriso o parola che ci viene regalata....

 

 

 

CITAZIONE.....

-

Non è importante quanto dura una vita ma importante il tempo che il tuo ricordo e quello delle tue imprese rimangono impresse nella memoria di chi verrà dopo di te.

Non vivere come un uomo qualunque, poiché la vita di un uomo qualunque dura solo una vita.

 

QUANDO PENSI

 

Quando pensi che tutto sia perso, è proprio quello il momento di ricominciare, raccogli ciò che di buono sei riuscito a creare e portalo con te, il resto lascialo.

Vestiti di un sorriso e di tanta speranza allena il tuo cuore per le future battaglie e impara da quelle che tu chiami sconfitte.

Ricorda, c'è un tempo per piangere e un tempo per sorridere, SEMPRE se questo è il giorno della tua lacrima ricordati che domani si potrà trasformare in sorriso se tu lo vorrai.

Gli ANGELI ti sono accanto qualunque cosa tu vivi, quando ti senti più sola è perché non tendi loro l'orecchio del cuore.

Liberati dai pensieri negativi allenta il legaccio che da sola ti stringi nel tuo grande cuore e continua a respirare, vedrai che il ritmo del tuo cuore aumenterà con i battiti della tua vita.

Ascolta gli altri, ama e sorridi, riappropriati di ciò che sei e VOLA, vola più in alto del sole e sii felice... perchè è questo che desidera Dio da te, oggi e sempre...
SII FELICE.

 

AMICIZIA

Riconoscimento di Amicizia 

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