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Messaggi del 14/02/2019
Post n°1934 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet PUBBLICATO IL 14 GIUGNO 2018 Il cibo può migliorare decisamente la nostra qualità di vita, anche secondo la scienza! Certi alimenti, infatti, possono contribuire a contrastare ansia e depressione. Ecco quali sono!CIOCCOLATO FONDENTE - Il cioccolato fondente che contiene almeno il 72% di cacao e meno di 5 grammi di zucchero, aiuta a sentirsi decisamente meglio ed è uno snack molto sfizioso. BANANE BIOLOGICHE - Le banane biologiche e, quindi prive di pesticidi, sono ricchissime di elementi ottimi per l'umore, come la dopamina e la vitamina B6. SALMONE - Il salmone è un pesce ricco di vitamina D e di acidi grassi Omega 3, due nutrienti che molti studi hanno dimostrato essere decisamente utili nell'aumentare la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore responsabile del buon umore. MIELE - Oltre ad essere un'alternativa dello zucchero più sana, il miele contiene quercetina e kaempferolo, che aiutano a prevenire la depressione riducendo le infiammazioni cerebrali. CILIEGIE - Le ciliegie sono gustosissime e ricche di melatonina, un ormone naturale che aiuta a rilassarsi e a dormire meglio. PEPE NERO - Il pepe nero contiene la piperina, un alcaloide molto efficace non solo per combattere la depressione, ma per incrementare anche le funzioni cognitive cerebrali. Usarne un po' come condimento aiuta anche ad usare meno sale insaporendo i cibi. TÈ VERDE - Quando si ha voglia di bere qualcosa di buono, anziché optare per le bibite gasate, ricche di zuccheri che possono causare un picco glicemico , bevete tè verde. Contiene infatti teina, ottima per combattere l'ansia, ed è ricco di antiossidanti. |
Post n°1933 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
PUBBLICATO IL 04 APRILE 2018 Non bisogna mai demonizzare gli alimenti,ma è indubbio che alcuni di essi sono legati ad un incrementato rischio di sviluppare il cancro. Ecco come muoversi secondo il WCRF, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancroCARNE ROSSA - La carne rossa è dichiarata come "potenzialmente cancerogena" dal WCRF, poiché sono stati individuati dei legami tra essa e il tumore al colon-retto. Per questo motivo, si consiglia di non superarne un consumo settimanale di 300g CARNI PROCESSATE - Le carni processate sono quelle che hanno ricevuto trattamenti con conservanti o sono state fermentate, affumicate o essiccate. Andrebbero evitate per via dell'aggiunta di nitrati e nitriti per la loro produzione BEVANDE ZUCCHERATE - Il WCRF sconsiglia di consumare cibi e bevande ricchi di zuccheri e grassi, poiché il loro consumo è legato ad un maggiore rischio di sviluppo di cancri pericolosi come quello all'intestino e al pancreas ALCOL - Il WCRF raccomanda di non bere alcolici in assoluto, poiché è il nutriente con il rischio più elevato di sviluppare cancri come quello allo stomaco, al colon e al fegato CIBI IN SCATOLA - Si sta ancora valutando come la presenza di interferenti endocrini presenti nelle scatole, nelle lattine e nei pacchi per alimenti possa contribuire a sviluppare certi cancri. Per questo motivo, è meglio evitare i cibi in scatola CIBI IN SALAMOIA E SALE - Il consumo di sale giornaliero non deve superare i 5grammi. Per questo è bene ridurre anche il consumo di cibi in salamoia |
Post n°1932 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet PUBBLICATO IL 12 GIUGNO 2018 Raramente si discute dei cibi che possono minare la salute del nostro cervello: ecco quali sono e perché bisogna evitarli o consumarli con moderazione!ZUCCHERO - Assumere troppo zucchero per un periodo prolungato può causare danni neurologici, in quanto questo alimento riduce l'elasticità cerebrale. SALE - Non bisognerebbe consumare quotidianamente più di un cucchiaino di sale al giorno: il cervello, infatti, usa lo stesso sistema cardiovascolare di stomaco e cuore, che può essere danneggiato da un'ingestione di sale eccessiva. CIBO SPAZZATURA - Il cibo spazzatura innalza i livelli di dopamina nel cervello, generando una vera e propria crisi d'astinenza quando non lo si mangia. Assumerne troppo, inoltre, può anche portare a perdita di memoria e, in casi rari, anche al morbo di Alzheimer. FRITTURE - Alcuni oli, come quello di girasole, rilasciano una sostanza nota cole aldeide, che può danneggiare le funzioni cerebrali. DOLCIFICANTI ARTIFICIALI - L'aspartame può i ncrementare il rischio di sviluppare il cancro al cervello, inoltre i dolcificanti in generale abbassano i livelli di energia cerebrale. GRASSI INSATURI - Consumare cibi ricchi di grassi i nsaturi può causare un rimpicciolimento del cervello e, addirittura, colpire il cervello in modo simile all'Alzheimer. TOFU - Anche il tofu, un alimento apparentemente sano, se consumato troppo può portare a soffrire più facilmente di demenza e di perdite di memoria. CONSERVANTI E CIBI PROCESSATI - I conservanti, gli additivi, e tutte le sostanze che si trovano nei cibi processati per farli durare più a lungo, influenzano negativamente il funzionamento del cervello, rallentandolo. |
Post n°1931 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte, Internet
Che il movimento sia una delle chiavi del benessere, è ormai assodato. Ma un gruppo di scienziati canadesi si è spinto oltre con le proprie ricerche, scoprendo che l'esercizio fisico aerobico aiuta anche un miglior funzionamento del cervello. Abbandonare il divano un po' più spesso del solito, quindi, ci può rendere più vivaci intellettualmente, perché l'attività sportiva favorisce la cosiddetta neurogenesi, ovvero il processo di riparazione dei neuroni danneggiati e di creazione di nuove cellule nervose cerebrali. Secondo gli studiosi dell'Università di Ottawa, non c'è uno sport in particolare migliore di altri, perché il fatto stesso di "imparare" a praticare una disciplina nuova, spinge il cervello a rimodellare le sinapsi, ottenendo un notevole beneficio sulla capacità di ragionamento e migliorando le nostre performance intellettuali. Le evidenze riscontrate portano comunque alla conclusione che l'esercizio aerobico come la corsa, praticato in maniera intensiva, porti a risultati più rilevanti rispetto ad un allenamento che implica uno sforzo meno costante, come potrebbe essere una sessione di cross fit, o di body building in palestra. Un corridore "seriale", tra l'altro, può anche usufruire della momentanea euforia conferita dalla corsa, che fa scomparire problemi e dolori per qualche tempo dopo l'allenamento, una sensazione innescata da sostanze naturali come adrenalina e dopamina, con effetto simile a quello degli oppiacei o degli antidepressivi, che il corpo produce spontaneamente durante lo sforzo fisico. Tra queste sostanze, gli studiosi canadesi ne hanno individuata una che è stata denominata VGF che, in uno studio sui topi da laboratorio con disfunzioni che limitavano il movimento, si è dimostrata in grado di riparare i danni genetici che degradavano il cervelletto di queste cavie. Per ora non esiste una "scorciatoia" in pillole per avere a portata di mano le potenzialità del VGF stando in pantofole in casa: la soluzione migliore, quindi, è quella di effettuare un'oretta al giorno di jogging in un parco, per sentirsi più smart e più felici! |
Post n°1930 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet PUBBLICATO IL 13 FEBBRAIO 2019 Fare sport ringiovanisce il cervello. Ecco comeMens sana in corpore sano: anche se non avevano a disposizione i potenti mezzi scientifici del nostro millennio, i latini avevano già capito tutto! Sottoposti alle sollecitazioni dell'attività sportiva, i nostri muscoli secernono un composto organico chiamato "irisina", che gli studiosi hanno ribattezzato "ormone dello sport": ora una ricerca brasiliana ha scoperto che questa molecola, oltre a permettere all'organismo umano di avere ossa più forti e di eliminare massa grassa, potrebbe avere la capacità di proteggere il cervello dalle malattie tipiche dell'invecchiamento. Una volta entrata nel circolo sanguigno a seguito di un allenamento costante, l'irisina si dimostrerebbe efficace nel prevenire o rallentare deficit cognitivi e mnenonici, come dimostrato da test di laboratorio condotti sui topi: lo studio dell'Università di Rio de Janeiro potrebbe aprire nuovi scenari nella lotta a morbo di Alzheimer e demenza senile. L'ormone dello sport è stato al centro anche di una ricerca della Duke University di Durham, secondo la quale fare attività sportiva aerobica continuativamente, per tre volte alla settimana, nell'arco di 6 mesi porta indietro l'orologio biologico del cervello mediamente di 9 anni: gli ultrasessantacinquenni che hanno partecipato allo studio hanno migliorato sensibilmente lievi deficit da cui erano affetti, seguendo programmi di allenamento adeguati. |
Post n°1929 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si Viaggia I macabri misteri del Castello di Fumone tra gli uliveti della Ciociaria A Frosinone c'è un castello fatato e maledetto, teatro di vicende struggenti e misteriose In provincia di Frosinone c'è un maniero pieno di fascino e mistero.Inquietanti storie si raccontano riguardo al castello di Fumone che pare sia stato teatro di vicende macabre e maledette e dove i fantasmi del passato continuano ad aleggiare nella zona, in cerca di pace. La maggior parte delle vicende degna di un libro di misteri è avvenuta tra il IX e il X secolo. In un primo tempo il castello veniva utilizzato come prigione dallo Stato della Chiesa. Le condizioni non erano delle migliori. I carcerati dovevano subire strazianti situazioni, i lamenti erano colonna sonora portante di questa altura e ancora oggi, gli abitanti della zona sono convinti di sentire echeggiare quelle terribili grida di dolore e disperazione. In questo luogo, nel XII secolo, morirono l'antipapa Gregorio VIII, le cui spoglie non vennero mai ritrovate. Anche il famoso Celestino V, colui che fece per viltade il gran rifiuto come racconta Dante nella sua Commedia, trovò la morte in questo luogo, forse assassinato. Ma le storie sinistre non terminano qui. Particolarmente crudele è la vicenda del "marchesino" Francesco Longhi, unico maschio tra sette sorelle. Per non perdere il patrimonio le parenti del piccolo erede iniziarono ad avvelenarlo, ponendo all'interno del cibo dei pezzettini di vetro che ne causarono la prematura morte. Le spoglie della vittima venneroimbalsamate con la cera per volere della madre e ancora oggi è possibile guardarle. Dal castello, per volontà dell'inconsolabile madre, vennero cancellati tutti i ritratti che avessero espressioni felici, il castello intero doveva rimanere in lutto per la dipartita del piccolo erede. Oggi c'è chi giura che il castello sia infestato dai fantasmi e nello specifico da quello di Emilia Caetani Longhi, la madre del piccolo marchese che ogni notte effettuerebbe il percorso che la separa la sua stanza dalla teca del figlio per cullarlo e consolarlo. |
Post n°1928 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Il castello di Fosdinovo e il mistero del fantasma di Bianca Malaspina Il castello Malaspina è una struttura di grande pregio e fascino. La leggenda narra che al suo interno vi sia il fantasma di una giovane murata viva dalla famiglia. Imponente, dalle fattezze tipicamente medievali e ricco di misteri: è ilcastello Malaspina che si trova a Fosdinovo in provincia di Massa Carrara. Si tratta di un luogo che, oltre ad avere una grande valenza architettonica, racchiude al suo interno storie da brividi. In Italia vi sono numerosi luoghi famosi (anche) per i loro fantasmi, in questo caso siamo in Lunigiana terra al confine tra Liguria e Toscana. Protagonista è Bianca Maria Aloisa Malaspina, giovane figlia del marchese Giacomo Malaspina e Olivia Grimaldi. La leggenda narra che la nobile si innamorò del figlio dello scudiero del castello e che nacque tra i due una relazione segreta, che naturalmente fu scoperta con conseguenze tragiche. Pare che Bianca si rifiutò di prendere i voti e che non rinnegò mai il suo amore. Per questo la punizione fu quella di essere murata viva in un'ala del castello fino alla morte. La stessa tragica sorte fu riservata al suo amore, che però venne immediatamente ucciso. Una storia che negli anni ha dato vita a diverse leggende e inquietanti avvistamenti. Tra i visitatori del castello, non mancano coloro che affermano di aver visto una giovane donna con una veste bianca camminare per le stanze del grande maniero antico. Addirittura c'è chi giura di averla fotografata nel cortile. Se questo non bastasse ad accrescere la sensazione di mistero che aleggia su questo castello non può non essere citata un'altra faccenda strana. Nel castello Malaspina c'è una particolare macchia di umidità nella stanza del trono che non accenna a sparire. Se la si osserva con la dovuta attenzione si può notare la somiglianza con la figura di una donna con accanto due animali. Infatti pare che la giovane marchesa fosse stata murata insieme a un cane e a un cinghiale, rispettivamente simboli di fedeltà e ribellione. E l'Italia è ricca di queste storie insolite e spesso drammatiche legate a luoghi dal grande fascino. Questa imponente struttura che si trova a Fosdinovo è la più grande e meglio conservata della Lunigiana, inoltre è stata sottoposta a vincolo da parte della Soprintendenza per i beni artistici e architettonici. La costruzione del castello prese il via nel corso della metà del XII secolo, nel 1340 venne poi ceduto alla famiglia Malaspina. |
Post n°1927 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si Viaggia Il castello di Pizzo Calabro e il fantasma di Gioacchino Murat Rumori di catene, strane luci e sospiri, Il fantasma di Gioachino Murat si aggira nel Castello Aragonese di Pizzo in cerca di vendetta C'è chi è pronto a metterci la mano sul fuoco: presso il Castello Aragonese di Pizzo Calabro, i n provincia di Vibo Valentia, si aggirerebbe il fantasma di Gioacchino Murat, generale francese, re di Napoli molto amato dal popolo, un po' meno dal clero. Di umili origini, figlio di locandieri, dopo una fulminante carriera militare divenne il braccio destro di Napoleone. e da lì si rafforzò la sua parabola ascendente. Valoroso soldato, ambizioso uomo politico, regnante caparbio, antesignano del Risorgimento. Joachim Murat-Jordy, riuscì nel giro di pochi anni a divincolarsi dal suo destino di ecclesiastico e a divenire, nel giro di pochi anni, uno degli uomini più potenti d'Europa. Napoleone gli concesse di governare su Napoli durante il periodo passato alla storia come il decennio francese. Ma un accordo di alleanza con l'odiata Austria e l'abbandono del comando dell'armata francese, impegnata sul fronte russo, gli causarono le antipatie dell'imperatore francese che non accettò il suo aiuto, qualche anno più tardi, per combattere contro gli eserciti dell'alleanza anti-napoleonica. Murat tentò allora di riconquistare il Regno di Napoli, nel frattempo finito nelle mani di Ferdinando I di Borbone, re di Sicilia, ma la fortuna gli voltò le spalle: salpato da Ajaccio con 250 uomini si ritrovò a Pizzo Calabro, nel territorio del nemico, a causa del tradimento del capo battaglione e con il suo manipolo di uomini decimato da una tempesta. Immediatamente riconosciuto, venne catturato e imprigionato presso ilCastello Aragonese e fucilato pochi giorni dopo. «Non mirate al volto, ma al cuore. Fuoco!» Queste le sue ultime parole che suscitarono, secondo le testimonianze, la commozione del p lotone che gli tolse la vita. Dopo questo episodio le cronache si fanno confuse. Il corpo dell'ex re di Napoli sarebbe sepolto nella navata centrale della Chiesa di San Giorgiodel Castello o forse nella fossa comune della città calabra. Qualcuno sostiene che il corpo di Murat venne decapitato e la sua testa offerta al re, ben felice di un dono macabro ma tranquillizzante, per lo scampato pericolo. Di certo la morte violenta di Murat non venne dimenticata presto e c'è chi sostiene che l'anima tormentata del militare e regnante francese si aggiri ancora tra le mura del Castello che vide il tramonto dei suoi sogni di rivalsa Secondo alcune testimonianze, agghiaccianti strepiti di catene si udirebbero nella chiesa dove è custodito il suo corpo, segno dell'irrequietezza del Re che non si è voluto arrendere nemmeno di fronte alla morte. Apparizioni improvvise, strane illuminazioni della navata,voci spettrali: c'è chi è pronto a giurare che lo spirito di Gioacchino Murat non abbia mai abbandonato le mura del Castello e che si aggiri ancora in cerca di riconquistare il proprio regno e la benevolenza di Napoleone Bonaparte. |
Post n°1926 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Case maledette e castelli infestati: fantasmi e apparizioni in Italia Case maledette e castelli infestati dai fantasmi: alcune delle località più inquietanti in ItaliaCastelli infestati e case maledette: in Italia ci sono tanti luoghi ricchi di leggende su fantasmi, spettri, apparizioni e fenomeni paranormali. Molte città offrono veri e propri ghost tours per scoprire i luoghi più misteriosi delle nostre città. In questo articolo vi offriamo una panoramica, da Lecco aLa Spezia, da Milano a Roma, per finire a Potenza e a Matera, di alcuni dei luoghi più inquietanti della Penisola.La Casa Rossa Nota anche con il nome di Villa delle Streghe e di Villa De Vecchi, questa costruzione situata a Cortenova, in provincia di Lecco, venne costruita tra il 1854 e il 1858 dal Conte Felice de Vecchi come sua residenza estiva. Purtroppo il conte non potè godere a lungo della sua nuova casa: si narra che un giorno trovò la moglie morta in una delle stanze e che la figlia scomparve. Il conte stesso morì nel 1862. Secondo un'altra leggenda anche il custode della villa, una volta passata al fratello del conte, trovò la moglie morta in modo violento nella casa e si uccise per il dolore. Si ricominciò a vociferare di omicidi avvenuti all'interno della villa anche negli anni '20, quandoAlistair Crowley, padre del moderno occultismo, soggiornò nella Casa Rossa ma niente venne mai provato. Molti curiosi che si sono avventurati nelle vicinanze della villa hanno raccontato di aver sentito il suono di un pianoforte provenire dall'interno delle rovine e di aver assistito a strane apparizioni. La villa è stata quindi inserita nella lista delle 7 case più infestate al mondo dal sito Buzzfeed. La Casa del Violino Anche la Liguria ha la sua parte di castelli infestati e case maledette, e una delle più famose si trova in località Scogna Sottana in provincia di La Spezia. Un tempo abitata da un giovane musicista che morì a causa di una lunga e dolorosa malattia, la casa rimase poi vuota ma si narra che il violino prenda a suonare da solo di notte anche da dentro la sua bacheca. Castello Gonzaga Una delle attrazioni turistiche più popolari non solo di Mantova ma di tutta la regione, il Castello Gonzaga ha anch'esso una reputazione alquanto sinistra. Agnese Visconti, figlia del signore di Milano, andò in sposa aFrancesco Gonzaga, signore di Mantova. La vita coniugale iniziò senza intoppi ma poi il cugino della giovane, Gian Galeazzo Visconti, uccise lo zio per impossessarsi del potere. Agnese chiese al marito di aiutarla a vendicare la morte di suo padre ma lui rifiutò per ragioni politiche. Ella allora decise di ribellarsi. Per fermarla venne istituito un falso processo che la vedeva colpevole di adulterio e la condannava a morte. La giovane venne quindi decapitata il 7 febbraio 1391, pur essendo innocente, ed è per questo che si dice che il suo spirito vaghi ancora in quella che fu la s ua dimora in vita. La Rocca di San Leo Situato in provincia di Rimini, la prima fortificazione di quello che oggi è il castello risale all'epoca romana e venne poi donato alla Chiesa da Carlo Magno nel 774. La Curia decise quindi di usarla come prigione, un luogo dove abbandonare al loro destino tutti coloro che si opponevano o che contrastavano il volere papale. Prigioniero illustre della rocca fu Cagliostro, alchimista e stregone, che venne lasciato lì a morire di stenti e il cui spirito infesta la cella dove è morto, continuando a eseguire esperimenti. Villa Stuart Sono molti i luoghi misteriosi a Roma e uno dei più popolari è Villa Stuart, sulla via Trionfale. La leggenda di questa villa risale al 1800 quando Lord Allen ed Emmeline Stuart la acquistarono per trasferirsi nella capitale italiana. La donna amava fare sedute spiritiche e leggenda vuole che gli spiriti decidessero di rimanere. Quello che si sa per certo è che i due amanti impazzirono. Dopo un certo periodo Lord Allen sparì. Non se ne era però andato come credettero in molti: era invece morto ma Emmeline ne aveva murato il corpo dietro una finta parete in cantina per continuare ad averlo vicino. Il Castello di Lagopesole Situato ad Avigliano in provincia di Potenza, anche questo castello narra la storia di una donna che scelse la morte. Moglie di Manfredi e nuora di Federico II di Svevia, Elena Ducas fu rapita da Carlo d'Angiò per motivi politici. Separata dal marito e dai figli, Elena si lasciò morire di fame ma si narra che il suo spirito continui a rimanere prigioniero del castello ancora oggi: la donna si può infatti vedere al calar del sole alla finestra mentre lo spirito di Manfredi vaga per le campagne cercando la moglie. Il Castello di Valsinni Situato in provincia di Matera, il Castello di Valsinni narra invece di un'altra donna morta per amore. La poetessa Isabella Morra però non si uccise: venne invece assassinata dai fratelli Decio, Fabio e Cesare per via della sua corrispondenza segreta con Diego Sandoval De Castro, nobile sposato e loro nemico. La leggenda vuole che anche Isabella sia ancora prigioniera delle mura tra le quali aveva vissuto e che vaghi di notte piangendo il suo amore perduto. |
Post n°1925 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Tra le leggende che perdurano fino ai giorni nostri, le storie d'amore sventurate, impossibili o non corrisposte, occupano un posto privilegiato perché con il loro alone di tristezza stimolano la curiosità dei turisti. Conosciamo insieme alcuni di questi luoghi. Il nostro viaggio inizia in Piemonte, precisamente a Moncalieri in provincia di Torino, dove troviamo il Castello della Rotta e la leggenda del cavaliere e del suo cavallo. Questo castello, costruito nel 1300, scenografia di molte battaglie e attualmente residenza privata di Augusto Oliviero, è considerato uno dei luoghi più infestati d'Italia: si racconta infatti che tutti gli spettri vaghino in processione nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Tra questi una marchesina francese, promessa sposa del padrone del maniero, che però rifiutò per amore di un cavaliere. Accecato dall'ira, il proprietario gettò la donna dalla torre e il cavaliere, disperato, si votò a Dio partendo per la Terra Santa a combattere gli infedeli. Alla sua morte si fece seppellire sotto la torre, vicino all'amata: la leggenda è stata avvalorata dal ritrovamento in loco di un cadavere con una croce di ferro al collo e del suo cavallo. Spostandoci in Toscana, troviamo due luoghi legati a storie d'amore sventurate. Il primo è il castello di Strozzavolpe presso Poggibonsi in provincia di Siena. Costruito nel 1154 e situato lungo la Cassia, questo maniero fa da sfondo alla triste morte di Cassandra Franceschi. Si narra che la donna fu scoperta in compagnia del paggio dal marito Giannozzo da Capparello, che per vendetta li murò vivi nella stanza per far trascorrere loro insieme l'intera vita. La presenza e i sospiri degli amanti sembrano sentirsi tuttora durante la visita del castello. In provincia di Pistoia troviamo invece l'inespugnabile rocca di Sambuca, protagonista della fuga di Selvaggia Vergiolesi. Il castello domina la valle del Limentra ed è stato oggetto di disputa con il contado bolognese. Si narra che Selvaggia, di famiglia ghibellina, durante l'assedio dei Guelfi, riuscì a fuggire grazie a dei cunicoli scoperti in infanzia, che la condussero alla rocca, dove restò fino alla sua morte avvenuta nel 1313. La storia è resa famosa dai versi malinconici del poeta Cino da Pistoia, segretamente innamorato della donna, che la rese così immortale. Altro luogo in cui si consumò una dolorosa storia d'amore si trova in Emilia Romagna ed è l'abbazia di San Mercuriale nella piazza centrale di Forlì, originariamente luogo di decapitazioni pubbliche. Al suo interno c'è il monumento dedicato a Barbara Manfredi, che la leggenda vuole sia stata avvelenata dal marito Pino III Ordelaffi, signore della città romagnola, che ne sospettava il tradimento amoroso con Giovanni Orcioli. La storia vuole che il monumento funebre sia stato commissionato dallo stesso marito vittima del rimorso per la morte della consorte. Spostandoci in provincia di Modena troviamo il castello di Spilamberto nel cui torrione fu trovata, solo nel 1947, una piccola stanza con mura dipinte con scritte e disegni. Secondo l'analisi degli studiosi, la stanza fu il luogo di prigionia di Messer Filippo detto Il Diavolino, che disegnò con il suo stesso sangue. Causa della sua detenzione fu la donna amata, che lui definisce crudele e ingrata, e la leggenda vuole che le sue grida si alzino ancora durante le notti d'estate. Un'altra leggenda amorosa è ambientata a Pentedattilo, località fantasma nel comune di Melito di Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria, conosciuta per la strage degli Alberti avvenuta alla vigilia di Pasqua del 1686 a opera del barone Bernardino Abenavoli, innamorato di Antonia Alberti. Dopo l'annuncio delle nozze con un altro uomo, il signore di Montebello s'introdusse furtivamente nel castello e sterminò tutta la famiglia. Antonia, consumata dal dolore, si ritirò e morì in un convento di clausura. La leggenda vuole che Lorenzo Alberti, il fratello della donna, prima di morire, appoggiò la sua mano insanguinata sulla rupe di Pentedattilo - di cui oggi resta un segno chiamato mano del Diavolo visibile nel chiarore dell'aurora - gettando una maledizione sulla distruzione del paese. L'ultima storia d'amore sventurata si ambienta in Sardegna, presso ilcastello di Casteldoria a Castelsardo. La leggenda, narrata da Grazia Deledda, racconta dell'ammiraglio Andrea Doria, devoto a San Giovanni di Viddacuia e alla vita religiosa al punto di rifiutare ripetutamente l'amore di una dama che per vendetta si trasformò in strega e scagliò una profezia di morte contro di lui. In primavera, rispettando quanto annunciato nella maledizione della donna, i campi di asfodelio e fieno intorno al castello furono trasformati in cavalieri verdi, alla cui vista l'ammiraglio, impallidito, cadde dal bastione. Ancora oggi si racconta delle risa diaboliche della dama che echeggiano nei campi del Coghinas. |
Post n°1924 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Da Napoli a Venezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta ItaliaLe librerie resistono. Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne, classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime che riescono a tenere testa alle lusinghe dei negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti, ma che nulla possono rispetto alla magica atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto. I templi della lettura dove tutto ciò è ancora possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia. 1 di 5Libreria Acqua Alta - (Ve)Canoe, barili di legno e una gondola come contenitori di libri. Tra le pareti ricoperte di volumi si apre una finestra che affaccia su uncanale, da cui si intravedono passare in un silenzio quasi misticoprocessioni di gondolieri: la libreria Acqua Alta di Venezia custodisce nei suoi spazi un'atmosfera unica e trasognante, una vera perla per i turisti in cerca di angoli autentici della città lagunare. Tra libri e antichi e rarità fotografiche quest'antica rimessa di gondole convertita in libreria offre agli amanti della lettura un luogo dell'anima difficilmente dimenticabile. foto di Antonello De Rosa. |
Post n°1923 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Da Napoli a Venezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta ItaliaLe librerie resistono. Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne, classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime che riescono a tenere testa alle lusinghe dei negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti, ma che nulla possono rispetto alla magica atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto. I templi della lettura dove tutto ciò è ancora possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia. 2 di 5Libreria Berisio - (Na)Situata a Port'Alba, nel cuore culturale della città di Napoli, l'anticalibreria Berisio conserva un'invidiabile collezione di libri antichi. Di sera, i numerosi e preziosi volumi sistemati ordinatamente in un affascinante ambiente di stigliatura in noce incisa, si illuminano di un rosso vermiglio che invita il popolo della notte alla conversazione con ottimi drink da gustare in un ambiente unico e rilassante. La Libreria Berisio, infatti, al calar della notte cambia volto e diventa un raffinato lounge bar, molto apprezzato dalla movida napoletana. foto di Libreria Berisio. |
Post n°1922 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Da Napoli a Venezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta ItaliaLe librerie resistono. Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne, classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime che riescono a tenere testa alle lusinghe dei negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti, ma che nulla possono rispetto alla magica atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto. I templi della lettura dove tutto ciò è ancora possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia. 3 di 510 Corso Como - (Mi)La libreria al 10 di Corso Como è un affascinante tempio del design sistemato in un ambiente elegante e minimale che offre rari e ricercati volumi selezionati tra le eccellenze di arte, architettura, design e fotografia. Gli amanti degli ambienti raffinati e delle ultime pubblicazioni che trattano del bello in tutte le sue sfaccettature troveranno in corso Como, a pochi passi dalla Galleria Sozzani, un ambiente congeniale. foto di Libreria Berisio |
Post n°1921 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Librerie d'Italia: le più belle e affascinanti della Penisolaezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta Italia Le librerie resistono. Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne, classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime che riescono a tenere testa alle lusinghe dei negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti, ma che nulla possono rispetto alla magica atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto. I templi della lettura dove tutto ciò è ancora possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia. 4 di 5Libreria Tuttestorie - (Ca)La libreria Tuttostorie di Cagliari è un piccolo tempio dellaletteratura per ragazzi. Oltre ad avere un'eccezionale collezione di libri pensati per i piccoli lettori, i suoi ambienti ospitano laboratori per le scuole che fanno amare, fin dalla tenera età la lettura a bambini e ragazzi. L'ambiente è caldo e accogliente e sugli scaffali è possibile trovare anche volumi editi da "tuttostorie" che vengono selezionati dalle ideatrici di questa bella libreria per l'infanzia. foto di Lireria Tuttestorie |
Post n°1920 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Librerie d'Italia: le più belle e affascinanti della Penisola
I templi della lettura dove tutto ciò è ancora possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia.5 di 5Libreria Gonnelli - (Fi)Nella libreria Gonnelli di Firenze è di casa l'eleganza. Manoscritti, stampe e carte antiche sono custodite gelosamente in questi raffinati spazi fin dal 1875 dove è possibile ammirare libri eleganti e molto preziosi. La libreria fu luogo d'incontro di numerosi artisti e scrittori e non di rado anche Gabriele D'Annunzio analizzava i bei scaffali in cerca di ispirazione. foto di Libreria antiquaria Gonnelli |
Post n°1919 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Dormire circondati da libri, anche quando si è in vacanza, lontani da casa e dalla propria fedele biblioteca. Il sogno dei bibliofili più accaniti si tramuta in realtà a Napoli, dove nel quartiere collinare del Vomero ha aperto il primo "Book & Bed" della città. Un'idea nata nel paese del Sol Levante, a Tokyo, città piena di fermento creativo e culturale dove già dal 2016 si sono diffusi gli spazi in cui poter leggere libri e allo stesso tempo riposare. Un po' ostello, un po' libreria, lo spirito di Mooks Mondadori che ha declinato l'idea giapponese all'ambiente napoletano, con le sue cuccette incastonate tra pile di libri, riprende la bella idea nata in Giappone e la trasporta a Napoli, una delle città più vivaci della penisola e ben disposte alle novità virtuose provenienti dagli angoli più disparati del mondo. Il nuovo ostello-libreria della città di Partenope si trova in via Luca Giordani, una delle strade più belle ed eleganti di Napoli. Nello spazio inaugurato a marzo c'è al primo piano una classica libreria targata Mooks Mondadori, mentre al secondo è possibile lasciarsi avvolgere da migliaia di volumi da consultare comodamente in calde e accoglienti cuccette, che invitano al riposo e alla meditazione. Si tratta di una risposta naturale a una richiesta crescente della popolazione napoletana di spazi culturali che possano rappresentare piccole oasi dove concentrarsi, leggere e farsi rapire dal bell'ambiente caldo e stimolante delle libreria ostello. La scelta di aprire in un locale che in passato ha ospitato i succulenti dolci realizzati dalla pasticceria Bellavia non è un caso. Negli interni qualcosa che ricorda quel luogo così carico di fascino e serenità è stato volutamente lasciato per dare modo ai cittadini di Napoli, che frequenteranno gli spazi, di mantenere un legame con la tradizione del passato e per dare ai nuovi utenti, poco avvezzi agli spazi napoletani d'altri tempi, di respirare atmosfere di ere passate. |
Post n°1918 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si Viaggia, Internet Trasformano un bus londinese in un "book-truck" con cui raggiungere i paesi dove non si vendono i libri. L'idea romantica di Sara e Simone Il bus inglese arriva in Italia e cambia veste, diventando una libreria ambulante, un punto di riferimento a quattro ruote per quei paesini sprovvisti di libreria dove poter prendere in prestito un libro è una pura illusione. Il vecchio bus pubblico di Londra è stato acquistato da due intraprendenti e briosi ragazzi che intendono provare a tramutare un sogno in realtà e a portare in giro per la penisola pezzi di cultura, fin nei paesini più nascosti d'Italia. Il mezzo si chiama "Dennis" ed è un mitico esemplare di double deckerdel 1999, il vecchio bus pubblico di Londra protagonista esemplare di cartoline e iconica figura del panorama londinese. Lasciato in un autorimessa, il bellissimo bus è stato comprato da Sara Rago e Simone Brisotto, coppia di librai veneti, con l'intento di trasformarlo in un "book truck", a due piani pronto a riempire i propri spazi di tanti libri da portare in giro per il Bel Paese. Pagato 8.000 sterline e spedito via mare fino a Livorno, il mezzo sta prendendo pian piano l'aspetto di una libreria su quattro ruote. Per completare il sogno della libreria ambulante i due ragazzi hanno chiesto aiuto anche a internet allestendo una campagna di crowdfunding, lanciando una campagna di sponsorizzazione su Ululecon l'obiettivo di r aggiungere i 5.000 euro necessari per allestire gli scaffali e realizzare i primi allestimenti. Alla base dell'idea c'è il progetto "Libreria Diffusa", una soluzione per far viaggiare libri e cultura e raggiungere quei paesini in cui non esistono librerie o biblioteche. Libri a domicilio con i consigli, impagabili, di due librai che propongono e consigliano le letture più adatte alla propria sete di conoscenza, azioni che ai tempi dei megastore online diventano merce rara a preziosa. Punto di partenza del progetto è Spesiano, in provincia di Treviso dove il bus londinese sta subendo la trasformazione in book truck in modo da partire quanto prima per il tour di distribuzione di libri. |
Post n°1917 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Si viaggia, Internet Libri di 2000 anni fa contengono i più antichi riferimenti a GesùIl ritrovamento e l'analisi di alcune tavole provenienti dalla Giordania scardinano le certezze sul cristianesimo: potrebbero essere di 2000 anni fa Fonte: Instagram Il mistero della fede è per definizione difficilmente circoscrivibile perché si basa sul credere e non su un qualcosa di per se stesso dimostrabile. Ma per i fedeli e anche per chi non lo è, esiste un nuovo dato su cui ragionare e con cui ampliare la propria conoscenza: nel 2008, infatti, in Giordania sono state rinvenute delle tavolette di piombo tenute insieme come un raccoglitore ad anelli che fanno riferimento a Cristo e ai suoi discepoli. Un'antica serie di libri che potrebbe essere il più antico riferimento scritto aGesù e che pare essere veritiera ed affidabile, dicono gli esperti. Il metallo è stato analizzato e le parole dei simboli tradotti: le incisioni dovrebbero risalire a circa 2.000 anni fa. Le tavole sono state scoperte da Hassan Saeda, un beduino israeliano; le informazioni che esse veicolano potrebbero essere importanti non solo per i cristiani, ma anche per ebrei e musulmani. Una scoperta rivoluzionaria: il puzzle si amplia Le tavole suggeriscono che Cristo non stesse iniziando una propria religione, ma tentando il ripristino di una tradizione millenaria che deriverebbe addirittura dal tempo del re Davide. Inoltre, il Dio adorato era sia maschile che femminile. Centrale per i libri riportati alla luce è l'idea che Cristo abbia promosso il culto nel Tempio di Salomone, dove si crede che il volto stesso di Dio sia stato visto. Ed è da qui che l'episodio con gli usurai nella Bibbia si sarebbe originato. Gli autori dell'indagine, David e Jennifer Elkington, si sono mobilitati a partire dal 2009 affinché i codici potessero essere protetti e riconosciuti. I due affermano che dei cristiani evangelici stavano cercando di bollarli come falsi. Successivamente, nel 2011, Elkington ha annunciato la scoperta su BBC News e la stampa mondiale ha seguito la notizia. Ma vari studiosi si sono fatti avanti per indicarli come falsi, la maggior parte però senza mai vedere i codici. Verifiche e constatazioni I test ad alta tecnologia hanno confermato che un libro è compatibile con un campione comparativo di antico piombo romano rinvenuto nel Dorset. L'analisi è stata effettuata dal professor Roger Webb e da Chris Jeynes presso illaboratorio Nodus dell'Università di Surrey all'Ion Beam Centre, mentre il libro antico è stato prestato agli Elkington dal Dipartimento delle Antichità di Amman affinché ne venisse verificata l'origine: ulteriori analisi di cristallizzazione indica che il codice è probabilmente compreso tra i 1800-2000 anni. Analisi della scrittura da parte di studiosi hanno confermato che il linguaggio dei codici è Paleo-ebraico; essi sono coperti da particolari stelle, simbolo della venuta del Messia, e accennano al nome di Gesù e agli apostoli Giacomo, Pietro e Giovanni. Elkington ha spiegato: "Gesù stava cercando di ripristinare il Tempio. Per restaurare ciò che era stato perso nelle riforme". Inoltre, ha affermato che "il dottor Hugh Schonfield, una delle più eminenti autorità che abbiano mai lavorato sui Rotoli del Mar Morto, ha previsto che un codice di metallo sarebbe stato trovato". Una nuova visione del Cristianesimo "Una parte della tradizione più antica del tempio era il Divino Femminile, noto ai cristiani - continua lo studioso - come lo Spirito Santo. Gesù aveva donne coinvolte nel suo ministero. Al culmine del suo ministero, i Vangeli ci dicono che Gesù ha sfidato gli usurai nel tempio". Una parte, quindi, mancante nelletestimonianze ormai riconosciute che potrebbe minare le nostre sicurezze ed ampliare la prospettiva di partenza. Quindi Elkington ha aggiunto: "Anche se i codici non contraddicono nessuna narrazione condotta nei libri di cui disponevamo prima, le tavole hanno posto maggiore enfasi sul tempio fisico, sulla fede nel divino femminile e sul ruolo di Cristo nel proteggere un lignaggio di Ebrei piuttosto quello di fondatore del proprio movimento religioso." |
Post n°1916 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Alcuni studiosi hanno ritrovato una lettera del 1777 nascosta all'interno di una statua di Gesù: ecco cosa Un gruppo di studiosi ha trovato in una statua di Gesù un messaggio di ben 300 anni fa. La scoperta è avvenuta in Spagna, dove un gruppo di restauratori stava portando a nuova vita una effigie di Cristo. Durante le operazioni però gli esperti della società di restauro Da Vinci sono rimasti a bocca aperta. All'interno dell'opera infatti era stato nascosto un documento risalente al 1777. La lettera era scritta su due pagine e firmata da un certo Joaquin Minguez. L'uomo era il cappellano della cattedrale di Burgo de Osma e aveva scritto nel messaggio alcune informazioni riguardo la sua epoca: dai toreri più famosi alle malattie, passando per le tradizioni popolari e le questioni politiche. La statua del Cristo del Miserere si trovava nella chiesa di Santa Agueda, nel paese Sotillo de la Ribera. L'opera è in legno e la scoperta sarebbe avvenuta rimuovendo la stoffa che era stata usata per coprire la parte posteriore. In questo punto si trovava una cavità, in cui il religioso avrebbe conservato il messaggio, con la complicità dell'artista Manuel Bal. "Probabilmente - ha spiegato lo storico Efrén Arroyo - l'artista ha utilizzato la sua opera come una vera e propria 'capsula del tempo', in grado di giungere alle future generazioni". Non è la prima volta che all'interno delle statue vengono ritrovati dei messaggi, in passato infatti molti studiosi affidavano a queste opere i loro pensieri, certi che sarebbero durate nel tempo, custodendoli. "Il documento è apparso mentre separavamo il Cristo dalla croce - ha raccontato Gemma Ramirez Millares, una delle restauratrici -. Il legno era vuoto all'interno e lo scultore ha utilizzato l'incavo per nasconderlo". Dopo essere stato tradotto e analizzato, il documento del 1777 è stato consegnato all'arcivescovo di Burgos, in Spagna, che lo custodirà all'interno del suo archivio. Gli studiosi però hanno deciso di realizzare anche una copia, che è stata rimessa al suo posto dentro la scultura, per rispettare la volontà del religioso. |
Post n°1915 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte : Si viaggia David Latimer ha inserito delle piante in una bottiglia creando un ecosistema autonomo che dura da 59 anni David Latimer, nel 1960, ha letteralmente piantato il suo giardino di casa dentro un'enorme bottiglia. Spinto dalla voglia di sperimentare, andò a comprare dei semi di Tradescantia, pianta ornamentale comunemente chiamata "erba misera" nel linguaggio popolare. Munito di terriccio ottenuto da scarti di cucina, letame e resti di potatura, decise di sistemare il tutto accuratamente dentro una giara di vetro, chiudendola con un tappo si sughero e posizionandola in un angolo luminoso della casa. Nei mesi successivi, andando ad osservare con attenzione il lavoro realizzato, iniziò a rendersi conto che le piante all'interno della giara di vetro, non avevano bisogno di alcun tipo di irrigazione, perché riuscivano a sopravvivere in maniera autonoma, da sole. Quello che era diventato un vero e proprio giardino in bottiglia, aveva creato autonomamente il proprio ecosistema in miniatura. Le piante crescevano grazie alla luce solare alla quale erano esposte: la fotosintesi creava ossigeno e aggiungeva al tempo stesso umidità all'aria. La cappa di umidità creata all'interno, produceva una pioggerellina che ricadeva sulle piante, andandole a nutrire. Le foglie che morivano, inoltre, producevano l'anidride carbonica indispensabile per la fotosintesi dei nuovi germogli appena nati. Per molti si tratta di un miracolo della natura, se si pensa che le piante di Latimer, a 59 anni di distanza, sono ancora rigogliose. Va detto che dal 1960 ad oggi, Latimer ha aperto la bottiglia in una sola occasione. Lo fece nel 1972 , al fine di aggiungere un po' di acqua solamente per scrupolo. Un gesto che ha aiutato sicuramente le piante che comunque hanno dato vita ad un ecosistema del tutto autonomo in grado di garantirgli la vita anche senza l'intervento del loro "papà". L'esperimento di David Latimer potrebbe avere applicazioni inimmaginabili. LaNASA, infatti, si è interessata molto al suo progetto ed ha intenzione di studiarlo, in modo tale da capire se potrebbe essere utilizzato per esportare le nostre piante nello spazio. Un'esperienza divertente, quella del signor Latimer che all'età di ottanta anni, può godersi le sue piante nate e cresciute quasi per sbaglio: se gli studi della NASA dovessero dare dei frutti, un giorno potrà dire di aver portato un po' di vita anche nello spazio. |
Post n°1914 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
La data del prossimo appuntamento è il 21 dicembre 2016 alle ore 10.44 21 dicembre 2016 - Il sito più spettacolare dove assistere al solstizio d'inverno è Stonehenge, quando i famosi megaliti disposti a cerchio vengono trapassati dai raggi infuocati del sole. Un fenomeno dovuto all'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre che la Natura ci regala fin dai tempi dei tempi. Anche in Italia è possibile assistere a tale spettacolo. I luoghi più indicati sono quattro: Petre de la Mola, in Basilicata; nella valle del Belice, in Sicilia; a Trinitapoli, in Puglia, e sul Monte Stella, nel Cilento. I calendari di pietra italiani risalgono quasi tutti alla tarda età del Bronzo e sono stati costruiti con la stessa tecnica di Stonehenge, in Gran Bretagna: si osserva la posizione del sole nel giorno più corto (o più lungo) dell'anno e si creano dei 'punti di mira'. Petre de la Mola, sul Monte Croccia, nelle Dolomiti Lucane, è un complesso costruito su un affioramento naturale di roccia calcarea che è stata modificata sovrapponendo una lastra a una spaccatura naturale della roccia, per creare una galleria che permette di osservare il Sole al tramonto del solstizio d'inverno. Solo quel giorno, a mezzogiorno, il Sole appare dallo stesso punto di osservazione in una piccola fenditura artificiale a sinistra della galleria, dando l'avviso del fenomeno che si verificherà al tramonto. L'intera area archeologica, frequentata dal neolitico al IV secolo a.C., copre una superficie di circa 60.000 metri quadrati. Megaliti simili si trovano in Sicilia, nel Belice, e risalgono al 1700 a.C.. Sono delle gigantesche lastre di pietra triangolari che servono a osservare la posizione del Sole quando sorge, nel giorno del solstizio (d'inverno e d'estate). L'area della Valle del Belice è stata frequentata e popolata sin dalla preistoria ed è ricca di siti archeologici, molti dei quali ancora inesplorati. In Puglia, a Trinitapoli, in provincia di Barletta-Andria-Trani, sono state scoperte alcune buche scavate nella roccia, allineate in base alla direzione del Sole, che sbuca improvvisamente durante il solstizio. Anche sul Monte Stella, nel Parco Nazionale del Cilento, c'è un calendario simile a quello di Petre de la Mola. Si chiama Preta ru Mulacchio che, nel dialetto cilentano, significa 'Pietra del figlio illegittimo' in quanto era associato ai riti di fertilità. Da 3mila anni sono in molti ad attendere il solstizio d'inverno nelle Stonehenge d'Italia. La data del prossimo appuntamento è il 21 dicembre 2016 alle ore 10.44. |
Post n°1913 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze
Il villaggio norvegese che è diventato il paradiso dei lettoriA Mundal, tra i fiordi norvegesi, ci sono più libri che abitanti Tra i fiordi norvegesi c'è un villaggio fatto di case colorate di legno che è considerato il paradiso dei lettori. È Mundal, soprannominato il villaggio dei libri, "The Norwegian booktown". Conta solamente 280 abitanti, ma in tutta la cittadina ci sono ben 150mila libri. Nuovi oppure usati, a Mundal si trova ogni sorta di volume. E tante sono le librerie, così come le bancarelle che vendono libriallineate come una cartolina lungo le rive dell'imponenteSognefjord, il più lungo e profondo fiordo della Norvegia, alle spalle del quale si trova il ghiacciaio Jostedalsbreen, il più grande d'Europa situato nell'entroterra. In città hanno iniziato a riempire gli scaffali con i primi libri usati vent'anni fa. E da lì è stato un crescendo. Oggi si trovano libri nelle caffetterie del villaggio, come il Kaffistova, nelle gallerie d'arte e anche nei negozi di souvenir. E dire che, fino a pochi anni fa, questo abitato, che ha origini vichinghe, basava la propria economia esclusivamente sull'agricoltura. Oggi il turismo fa la sua parte. Grazie alla fama portata dai suoi libri, i visitatori hanno scoperto che Mundal è il luogo perfetto per visitare i fiordi, il ghiacciaio, ma anche il parco nazionale e la riserva naturale di Bøyaøyri, un estuario dove vivono all'incirca cento specie di uccelli differenti. Nel 1991 è stato aperto il Norwegian Glacier Museum, un edificio avveniristico progettato dall'architetto Sverre Fehn e che oggi conta migliaia di visitatori. All'interno ospita anche il Centro Climatico Ulltveit-Moe. Lo si può visitare da aprile a ottobre. Invece, il periodo migliore per godere al meglio di Mundal è tra maggio e giugno, quando inizia a fare un po' più caldo e le giornate sono più lunghe. In questo periodo anche i negozi aprono i loro dehor e vengono allestite bancarelle di libri. Inoltre, è il periodo in cui si svolge l'annuale Solstice Book Fair. Bisogna affrettarsi a prenotare, però, perché nel villaggio c'è solo un hotel, lo storico Hotel Mundal, completamente fatto di legno, che è qui fin dal 1891. Se non trovate una camera, almeno visitate il suo bar Uncle Mikkel, che prende il nome da una guida escursionistica che guidava i turisti sul ghiacciaio. D'estate si può raggiungere Mundal con il traghetto che collega il villaggio a Balestrand/Hella, a Flåm e a Bergen. |
Post n°1912 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 11 febbraio 2019 La recessione economica e i suoi effetti sulla mortalità Nelle nazioni europee in cui la recessione economica iniziata nel 2007-2008 è stata più dura, il calo della mortalità è accelerato: l'effetto probabilmente è dovuto al minor inquinamento e al più basso numero di incidenti stradali e sul lavoro. In controndendenza l'Italia, in cui la crisi si è accompagnata a una variazione lieve nella diminuzione di mortalità su base annua: dal 2 per cento nel periodo 2000-2007 all'1,7 per cento nel periodo 2007-2010. I periodi di recessione economica, come quello innescato nel 2008 dalla crisi dei mutui subprime degli Stati Uniti, hanno un profondo impatto sulla società nel suo complesso e sulla salute dei cittadini. E fra i principali indicatori di salute c'è la mortalità, cioè il numero di decessi annuo in rapporto al numero di abitanti. la mortalità aumenti nei periodi di crisi. Invece, sorprendentemente, può essere vero il contrario, come è emerso da uno studio pubblicato su "Nature Communications" da un gruppo di ricercatori del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) che hanno analizzato i dati di 140 regioni in 15 paesi europei nel periodo 2000-2010, confrontandoli con quelli relativi alle variazioni del prodotto interno lordo. nazioni hanno visto diminuire il numero di decessi annui, e che questo trend non si è fermato, ma è invece andato accelerando, in molti casi a partire proprio dal 2007-2008. alla riduzione della mortalità sia stata più evidente nelle regioni in cui la recessione si è fatta sentire in modo particolarmente drammatico. Per esempio, in Spagna, dove la crisi è stata molto dura, la mortalità è diminuita dell'1,8 per cento all'anno tra il 2000 e il 2007, e del 3 per cento all'anno tra il 2007 e il 2010. In Germania, dove la recessione è stata più breve e meno grave, i tassi annualizzati di diminuzione della mortalità sono stati del 2,4 per cento e dello 0,7 per cento nei due periodi pre crisi e post crisi, rispettivamente. cui la crisi economica si èaccompagnata a una variazione lieve nella diminuzione di mortalità tra i due periodi considerati: da 2 per cento a 1,7 per cento, rispettivamente. va tenuto presente che ci sono cicli economici di lungo periodo che possono essere determinanti per i parametri di salute. A questo riguardo lo studio ha mostrato che le differenze tra una nazione e l'altra sono state enormi. Per esempio, il prodotto interno lordo sull'intero periodo 2000-2010 è aumentato in tutti i paesi, a volte in misura consistente, come nel caso di Polonia (+4,7 per cento/anno) e Repubblica Ceca (+3,3 per cento/anno), e altre volte in misura lieve, come nel caso della Germania (+1,1 per cento/anno) e della Spagna (+0,8 per cento). Unica eccezione l'Italia, in cui il prodotto interno lordo è diminuito in media dello 0,2 per cento/anno nello stesso periodo. in circa metà dei paesi (Danimarca, Spagna, Croazia, Lussemburgo, Polonia e Slovenia) la maggiore diminuzione nella mortalità si è avuta nei periodi di recessione, mentre negli altri paesi (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi Portogallo e Regno Unito) nei periodi di espansione economica. spiega la correlazione tra recessione economica e mortalità? "I periodi di recessione macroeconomica sono associati a livelli più bassi di inquinamento e minori incidenti sul lavoro e sulle strade: questi sono i fattori che con maggiore probabilità hanno influenzato l'accelerazione del declino della mortalità", ha spiegato Joan Ballester, ricercatore dell'ISGlobal e primo autore dello studio. "Inoltre, il consumo di alcool e tabacco diminuisce, così come la prevalenza di stili di vita sedentari e obesità; anche se il meccanismo non è ancora compreso pienamente, i risultati di alcuni studi puntano anche su altri fattori, come lo stress lavorativo e il fatto che le abitudini salutari richiedono tempo, che spesso invece manca alle persone impegnate in un lavoro a tempo pieno". possibile influenza delle temperature sui trend osservati. L'analisi statistica ha rivelato che la correlazione tra variazioni nel prodotti interno ordo e mortalità era più accentuata durante i mesi più freddi dell'anno: ciò indica che le cause di morte possono dipendere in qualche misura dalla stagione. desiderabile per aumentare l'aspettativa di vita", ha concluso Ballester. "Dobbiamo far sì che i periodi di espansione economica siano anche caratterizzati da una migliore qualità dell'aria, meno incidenti e stili di vita più salutari". |
Post n°1911 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 12 febbraio 2019 L'analisi comparata delle datazioni di oltre 2000 dei 35.000 megaliti diffusi in tutta Europa e delle loro caratteristiche costruttive indica che la tradizione megalitica ha avuto origine nella Francia nord occidentale per poi diffondersi lungo rotte marittime. La scoperta smentisce sia l'ipotesi che la cultura megalitica provenisse dal Vicino Oriente, sia quella di una sua nascita indipendente nelle diverse regioni archeologiaLa cultura dei megaliti europea sarebbe nata verso la metà del V millennio a.C. nella Francia nord occidentale per poi diffondersi sulle coste atlantiche del continente e del Mediterraneo lungo rotte marittime. Il risultato - ottenuto dalla ricercatrice all'Università di Göteborg, in Svezia, Bettina Schulz Paulssonin, e illustrato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" - smentisce entrambe le principali teorie finora in campo sulla storia dell'edificazione di queste strutture.
l Dolmen di Sa Coveccada in Sardegna. (Cortesia Bettina Schulz Paulsson) Fra menhir, dolmen, cerchi di pietre, allineamenti e altri edifici o templi megalitici, in tutta Europa sono note circa 35.000 strutture di questo tipo, la maggior parte delle quali risale al Neolitico e all'età del Rame e si concentra nelle zone costiere. caratteristiche architettoniche simili se non spesso addirittura identiche; per esempio, l'orientamento delle tombe è costantemente orientato verso est o sud-est, nella direzione da cui sorge il sole. Ciò ha indotto gli archeologi, fin dalla metà del XIX secolo, a ritenere che la loro costruzione fosse legata a una religione che si sarebbe diffusa dal Vicino Oriente prima nel Mediterraneo e quindi sulle coste atlantiche della Spagna, della Francia e della Gran Bretagna, a seguito della migrazione di membri della casta sacerdotale. fino ai primi anni settanta del secolo scorso, quando le prime datazioni al radiocarbonio la misero fortemente in dubbio, portando la maggior parte degli studiosi verso l'ipotesi di una nascita indipendente nelle diverse regioni e imputando le somiglianze alla relativa "semplicità" delle strutture architettoniche. si sono moltiplicate a dismisura, ma senza che si tentasse di tracciare un quadro cronologico complessivo su cui testare l'ipotesi della nascita indipendente. Tomba megalitica a Haväng, in Svezia. (Cortesia Bettina Schulz Paulsson) Ora Bettina Schulz Paulssonin ha analizzato 2410 datazioni al radiocarbonico relative a siti megalitici e pre-megalitici e a siti non megalitici coevi di tutta Europa. piccole costruzioni chiuse o dolmen realizzati con lastre di pietra solo in superficie e coperti da un cumulo di terra o di pietra - sono emerse nella seconda metà del quinto millennio a.C. (la struttura più antica è databile fra il 4794 e il 4770 a.C.), diffondendosi nel giro di 200 o 300 anni dalla Francia nord occidentale alle isole del Canale, alla Catalogna, alla Francia sud occidentale fino alla Corsica e alla Sardegna. A questa prima ondata sono poi seguite altre due principali, rispettivamente fra il 4000 e il 3500 a.C. e nel mezzo millennio successivo, caratterizzate da altrettante variazioni strutturali delle costruzioni megalitiche, che hanno portato alla massima diffusione di questa cultura. infine fra il 2500 e il 1200 a.C. con la comparsa di megaliti alle Baleari, in Sicilia e in Puglia. Strutture di questo periodo si trovano anche in Sardegna, che però era stata interessata in misura molto significativa anche dalle espansioni precedenti. |
Post n°1910 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Antichi fantasmi umani nel DNA moderno
(© Arco Images / AGF) Con l'aiuto di tecniche di apprendimento profondo, i paleoantropologi hanno trovato prove di rami perduti da tempo sul nostro albero genealogico, identificando alcuni eventi potenziali di incroci e di ibridazioni tra specie umane estinte e lontani antenati della nostra speciedi Jordana Capelewicz/ QuantaMagazineL'apprendimento profondo potrebbe aiutare paleontologi e genetisti a cercare fantasmi? Quando gli esseri umani moderni migrarono per la prima volta dall'Africa 70.000 anni fa, almeno due specie affini, ormai estinte, li stavano già aspettando sul continente eurasiatico. Erano i Neanderthal e i Denisoviani, esseri umani arcaici che si sono incrociati con quei primi moderni, lasciando frammenti del loro DNA nei genomi delle persone di origine non africana. ancora più contorta e colorita: la scorsa estate, per esempio, un gruppo di ricercatori ha riferito su "Nature" che un frammento osseo trovato in una grotta siberiana apparteneva alla figlia di una donna Neanderthal e di un uomo Denisoviano. La scoperta è la prima prova fossile di un ibrido umano di prima generazione. Cranio di Neanderthal al Neanderthal Museum di Mettmann, in Germania. (© Arco Images / AGF)Purtroppo, è molto raro trovare fossili del genere (la nostra conoscenza dei Denisoviani, per esempio, si basa sul DNA estratto da un osso di un dito). Molti altri accoppiamenti ancestrali avrebbero potuto verificarsi facilmente, compresi quelli che coinvolgono gruppi ibridi provenienti da incroci precedenti, che però potrebbero essere praticamente invisibili quando se ne cercano prove fisiche. Gli indizi della loro esistenza possono invece sopravvivere nel DNA di alcune persone, ma in questo caso potrebbero essere più sfuggenti delle tracce genetiche lasciate dai Neanderthal e dai Denisoviani. a dedurre l'esistenza di un paio di queste popolazioni anche in assenza di dati fossili: secondo una ricerca pubblicata a fine 2013, per esempio, modelli di variazione genetica negli esseri umani antichi e moderni indicano che una popolazione umana sconosciuta si è incrociata con i Denisoviani (o con i loro antenati). Ma gli esperti ritengono che questi metodi trascurino inevitabilmente molte cose. Che aspetto avevano queste cosiddette popolazioni fantasma, dove vivevano e con quale frequenza interagivano e si accoppiavano con altre specie umane? su "Nature Communications", i ricercatori hanno mostrato il potenziale di tecniche di apprendimento profondo per aiutare a colmare alcune lacune, di cui gli esperti potrebbero non essere nemmeno a conoscenza. Hanno usato l'apprendimento profondo per scandagliare le prove dell'esistenza di un'altra popolazione fantasma: un antenato umano sconosciuto in Eurasia, probabilmente un ibrido Neanderthal-Denisoviani o un parente della linea denisoviana. artificiale potrà servire in paleontologia non solo per identificare fantasmi imprevisti, ma anche per scoprire le impronte molto sbiadite dei processi evolutivi che hanno plasmato chi siamo diventati. I metodi statistici attuali prevedono l'esame di quattro genomi alla volta per individuarne i tratti comuni. È un test di somiglianza, ma non necessariamente di antenati reali, perché ci sono molti modi diversi di interpretare le piccole quantità di miscela genetica che il test trova. Per esempio, le analisi potrebbero suggerire che un europeo moderno, ma non un africano moderno, condivide alcune caratteristiche con il genoma dei Neanderthal. Ma ciò non significa necessariamente che quei geni provengano da incroci tra i Neanderthal e gli antenati degli europei. Questi ultimi, per esempio, avrebbero potuto invece incrociarsi con una popolazione diversa, strettamente legata ai Neanderthal, non con i Neanderthal stessi. Non lo sappiamo. In assenza di prove fisiche che indichino quando, dove e come sarebbero vissute quelle antiche ipotetiche fonti di variazione genetica, è difficile dire quale delle tante possibili ascendenze sia la più probabile. La tecnica, ha detto John Hawks, paleoantropologo all'Università del Wisconsin a Madison, "è potente per la sua semplicità, ma dal punto di vista della comprensione dell'evoluzione lascia molti punti irrisolti". Collezione di crani sulla linea evolutiva umana al Museo di storia naturale di Leida, nei Paesi Bassi. (© agefotostock / AGF)Il nuovo metodo di apprendimento profondo è un tentativo di fare un passo avanti, cercando di spiegare livelli di flusso genico che sono troppo piccoli per i normali approcci statistici e offrendo una gamma molto più vasta e complicata di modelli. Attraverso l'addestramento, la rete neurale può imparare a classificare vari modelli nei dati genomici, basandosi sulle storie demografiche che hanno maggiori probabilità di averli originati, ma senza che chiarire in che modo ha stabilito quelle connessioni. svelare "fantasmi" di cui non si sospettava neppure l'esistenza. Intanto, non c'è motivo di pensare che Neanderthal, Denisoviani ed esseri umani moderni fossero le uniche tre popolazioni sulla scena. Secondo Hawks, ce ne potevano benissimo essere decine. University a New York, condivide questa opinione. "La nostra immaginazione è stata limitata dalla nostra attenzione alle persone viventi o ai fossili che abbiamo trovato in Europa, Africa e Asia occidentale", ha detto. "Quello che le tecniche di apprendimento profondo possono fare, in un modo peraltro strano, è riorientare le possibilità. L'approccio non è più limitato dalla nostra immaginazione". una soluzione improbabile ai problemi dei paleontologi, perché normalmente il metodo richiede enormi quantità di dati per l'addestramento. Prendete una delle sue applicazioni più comuni, la classificazione di immagini. Quando gli esperti addestrano un modello a identificare, per esempio, le immagini dei gatti, hanno migliaia di foto con cui possono addestrarlo e sanno se funziona perché sanno come dovrebbe essere un gatto. paleontologici rilevanti disponibili ha forzato i ricercatori che volevano usare l'apprendimento profondo a fare i furbi, creando loro dei dati. "In un certo senso abbiamo giocato sporco", ha detto Oscar Lao, ricercatore al National Center of Genomic Analysis di Barcellona e uno degli autori dello studio. "Potevamo ùusare una quantità infinita di dati per addestrare il motore di apprendimento profondo per il semplice fatto che stavamo usando simulazioni". di storie evolutive simulate, basate su diverse combinazioni di dettagli demografici: numero di popolazioni umane ancestrali, loro dimensioni, quando differivano l'una dall'altra, loro tassi di mescolanza e così via. Da queste storie simulate, gli scienziati hanno generato un gran numero di genomi simulati per le persone di oggi. Hanno addestrato il loro algoritmo di apprendimento profondo con questi genomi, in modo che imparasse quali tipi di modelli evolutivi hanno maggiori probabilità di produrre determinati modelli genetici. dovrebbe essere avvenuto l'incrocio fra umani moderni e una popolazione "fantasma" secondo la ricostruzione delle antiche migrazioni fatta dal sistema di intelligenza artificiale. (Cortesia Mayukh Mondal, Jaume Bertranpetit, Oscar Lao)Il gruppo ha quindi impostato l 'intelligenza artificiale in modo che fosse libera di dedurre le storie che meglio si adattano ai dati genomici reali. Alla fine, il sistema ha concluso che all'ascendenza delle persone di origine asiatica aveva contribuito anche un gruppo umano non identificato in precedenza. Secondo quei modelli genetici, probabilmente quegli esseri umani erano una popolazione distinta nata dall'incrocio di Denisoviani e Neanderthal circa 300.000 anni fa oppure un gruppo che discendeva dal lignaggio dei Denisoviani subito dopo. profondo è stato usato in questo modo. Una manciata di laboratori ha applicato metodi simili per affrontare altri filoni delle indagini evolutive. Un gruppo di ricerca, guidato da Andrew Kern dell'Università dell'Oregon, ha usato un approccio basato sulla simulazione e sulle tecniche di apprendimento automatico per cogliere le differenze nei vari modelli evolutivi delle specie, esseri umani compresi. Kern e colleghi hanno scoperto che la maggior parte degli adattamenti favoriti dall'evoluzione non hanno bisogno dell'emergere di nuove mutazioni benefiche nelle popolazioni, ma dell'espansione di varianti genetiche già esistenti. "a queste nuove domande - ha detto Kern - sta dando risultati entusiasmanti". Innanzitutto, se la storia evolutiva umana reale non fosse stata simile ai modelli simulati su cui sono addestrati questi metodi di apprendimento profondo, allora i risultati sarebbero errati. Questo è un problema che Kern e altri hanno cercato di affrontare, ma resta ancora molto da fare per fornire maggiori garanzie di accuratezza. sopravvalutata nelle applicazioni alla genomica", ha detto Joshua Akey, ecologo e biologo evolutivo della Princeton University. L'apprendimento profondo è uno strumento nuovo e fantastico, ma è solo un altro metodo. Non risolverà tutti i misteri e le complessità dell'evoluzione umana". "Ritengo che la densità e la qualità dei dati non siano molto adatte ad analisi che non siano ben ponderate e basate su un'intelligenza non artificiale", ha scritto in una mail David Pilbeam, paleontologo della Harvard University e del Peabody Museum. è un buon passo avanti, qualcosa che potrebbe essere usato per fare previsioni su possibili future scoperte fossili e su variazioni genetiche attese che dovrebbero essersi verificate tra gli esseri umani migliaia di anni fa. "Penso che l'apprendimento profondo darà davvero una spinta alla genetica di popolazioni", ha detto Lao. in cui disponiamo di dati, ma non conosciamo il processo che li ha prodotti. Nello stesso periodo in cui Kern e altri genetisti di popolazioni e biologi evolutivi stavano sviluppando tecniche di intelligenza artificiale basate sulla simulazione per affrontare le loro domande, i fisici facevano lo stesso per capire come vagliare l'immensa mole di dati prodotti dal Large Hadron Collider del CERN di Ginevra e da altri acceleratori di particelle. Anche la ricerca geologica e i metodi di previsione dei terremoti hanno iniziato a beneficiare di questo tipo di approcci di apprendimento profondo. ha detto Nick Patterson, biologo computazionale al Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e della Harvard University. "Ma è sempre bello considerare nuovi metodi. Useremo tutto quello che possiamo se sembra essere buono per rispondere alle domande a cui vogliamo rispondere." pubblicato il 7 febbraio 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) |
Post n°1909 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 09 febbraio 2019 Per una teoria generale delle reti neurali I sistemi di intelligenza artificiale più avanzati si basano sulle reti neurali, ispirate alle connessioni tra i neuroni, il cui comportamento è però in gran parte imprevedibile. Nuovi studi teorici stanno cercando di sviluppare le fondamenta teoriche per collegarne la struttura ai compiti che devono svolgeredi Kevin Hartnett/Quanta Magazine computer scienceintelligenza artificiale Quando progettiamo un grattacielo, ci aspettiamo che funzionerà secondo le specifiche: l'edificio sosterrà tanto peso e sarà in grado di resistere a un terremoto di una certa intensità. mondo moderno in realtà stiamo costruendo alla cieca. Giochiamo con design diversi, armeggiamo con diverse configurazioni, ma finché non facciamo una sessione di test va non sappiamo davvero cosa possono fare e dove falliranno. base dei sistemi di intelligenza artificiale più avanzati di oggi. Le reti neurali si stanno muovendo sempre di più verso aree cruciali della società: determinano ciò che apprendiamo del mondo attraverso i social media, aiutano i medici a diagnosticare le malattie e influenzano persino il tempo che passerà in prigione una persona condannata per un reato. sappiamo è che non sappiamo quasi nulla di come funzionano effettivamente le reti neurali e di come sarebbe una teoria davvero profonda", ha detto Boris Hanin, matematico della Texas A&M University e visiting scientist alla Facebook AI Research, che studia le reti neurali. Koma Zhang/Quanta Magazine Hanin paragona la situazione allo sviluppo di un'altra tecnologia rivoluzionaria: il motore a vapore. più che pompare acqua. Poi hanno mosso i treni, che è forse il livello di sofisticazione raggiunto dalle reti neurali. Quindi scienziati e matematici hanno sviluppato una teoria della termodinamica, che consente di capire esattamente che cosa sta succedendo all'interno dei motori di qualsiasi tipo. Alla fine, quella conoscenza ci ha portato sulla Luna. ottimi treni, poi c'è stato bisogno di un po' di comprensione teorica per andare sulle navicelle spaziali", ha detto Hanin. sviluppo di reti neurali, c'è un piccolo gruppo di matematici ricercatori che sta cercando di costruire una teoria delle reti neurali in grado di spiegare come funzionano, per garantire che, se si costruisce una rete neurale in un modo specifico, sarà in grado di eseguire determinati compiti. nell'ultimo anno i ricercatori hanno prodotto vari articoli che elaborano la relazione tra forma e funzione nelle reti neurali. Dimostra che molto prima di poter certificare che le reti neurali possono guidare le automobili è necessario dimostrare che possono moltiplicare. Le reti neurali puntano a imitare il cervello umano e un modo per pensare al cervello è che esso funzioni accumulando astrazioni più piccole in astrazioni più grandi. viene quindi misurata dalla gamma di astrazioni più piccole da cui è possibile attingere e dal numero di volte in cui è possibile combinare le astrazioni di livello inferiore in astrazioni di livello superiore, come quando impariamo a distinguere i cani dagli uccelli. un cane significa imparare a riconoscere quattro soffici zampe", dice Maithra Raghu, una studentessa di dottorato in informatica presso la Cornell University e membro di Google Brain. "Idealmente, vorremmo che le nostre reti neurali facessero lo stesso tipo di cose." Le reti neurali devono lavorare per arrivarci. Come nel cervello, le reti neurali sono costituite da blocchi chiamati "neuroni" che sono collegati in vari modi. (I neuroni di una rete neurale sono ispirati ai neuroni nel cervello ma non li imitano direttamente). Ogni neurone può rappresentare un attributo o una combinazione di attributi, che la rete prende in considerazione a ogni livello di astrazione. Le reti neurali si ispirano alle reti di neuroni, ma non li imitano direttamente (Science Photo Library RF / AGF) Quando uniscono questi neuroni, i progettisti hanno molte scelte da fare. Devono decidere quanti strati di neuroni dovrebbe avere la rete (vale a dire quanto dovrebbe essere "profonda"). ha il compito di riconoscere oggetti nelle immagini. L'immagine entra nel sistema al primo livello. Al livello successivo, la rete potrebbe avere neuroni che rilevano solo i bordi dell'immagine. Lo strato ancora successivo combina le linee per identificare le curve nell'immagine. Quindi il livello seguente combina le curve in forme e trame, e il livello finale elabora le forme e le trame per giungere a una conclusione su ciò che sta guardando: un mammut lanoso! del livello precedente. Un cerchio è un insieme di curve in molti posti diversi, una curva è un insieme di linee in molti posti diversi", dice David Rolnick, matematico dell'Università della Pennsylvania. di ogni strato, che corrisponde al numero di diverse caratteristiche che la rete prende in esame a ogni livello di astrazione. Nel caso del riconoscimento dell'immagine, la larghezza dei livelli sarebbe il numero di tipi di linee, curve o forme che esamina in ogni livello. ci sono anche delle scelte su come connettere i neuroni all'interno dei livelli e tra di essi, e quanto peso dare a ogni connessione. come si fa a sapere quale architettura di rete neurale lo realizzerà al meglio? Per le attività relative alle immagini, i progettisti utilizzano tipicamente reti neuronali "convoluzionali", che presentano lo stesso schema di connessioni tra gli strati ripetuti più volte. Per l'elaborazione del linguaggio naturale - come il riconoscimento vocale o la generazione di linguaggio - i progettisti hanno scoperto che le reti neurali "ricorrenti" sembrano funzionare meglio. In queste, i neuroni possono essere collegati a strati non adiacenti. deve afidare in gran parte a prove sperimentali: si fanno girare 1000 diverse reti neurali e si osserva quale svolge il compito. per tentativi ed errori", dice Hanin. "È un approccio un po' complesso perché ci sono infinite scelte e in realtà non si sa quale sia il migliore". tentativi ed errori e una comprensione un po' più anticipata di ciò che fornirà una determinata architettura di rete neurale. il campo di ricerca in questa direzione. "Questi lavori cercano di sviluppare una sorta di ricettario per progettare la rete neurale giusta. Se sai che cosa vuoi ottenere dalla rete, ecco la ricetta per quella rete", dice Rolnick. Una delle prime importanti verifiche teoriche sull'architettura delle reti neurali risale a tre decenni fa. Nel 1989, gli informatici hanno dimostrato che se una rete neurale ha un singolo livello computazionale, ma si consente a uno strato di avere un numero illimitato di neuroni, con connessioni illimitate tra di loro, la rete sarà in grado di svolgere qualsiasi compito si possa chiederle. ivelata abbastanza intuitiva e non così utile. È come dire che se si può identificare un numero illimitato di linee in un'immagine, si può distinguere tra tutti gli oggetti usando solo un livello. Questo può essere vero in linea di principio, ma è ben difficile tradurlo in pratica. Schema di progettazione di una rete neurale (in inglese) (Lucy Reading-Ikkanda/Quanta Magazine) I ricercatori oggi descrivono reti così ampie e piatte come "espressive", vale a dire che sono capaci in teoria di catturare un insieme più ricco di connessioni tra i possibili input (come un'immagine) e gli output (come le descrizioni dell'immagine). Tuttavia queste reti sono estremamente difficili da addestrare, il che significa che è quasi impossibile insegnare loro come produrre realmente questi output. Dal punto di vista computazionale, inoltre, sono anche più impegnative di quanto potrebbe gestire qualunque computer. di capire fino a che punto possono spingere le reti neurali nella direzione opposta, rendendole più strette (con meno neuroni per strato) e più profonde (con più strati complessivamente). Può darsi che basti scegliere solo 100 linee diverse, ma dotate di connessioni, per trasformare quelle 100 linee in 50 curve, che poi è possibile combinare in 10 diverse forme, che danno tutti gli elementi costitutivi necessari per riconoscere la maggior parte degli oggetti. Rolnick e Max Tegmark del Massachusetts Institute of Technology hanno dimostrato che aumentando la profondità e diminuendo la larghezza, è possibile eseguire le stesse funzioni con un numero di neuroni esponenzialmente i nferiore. che si sta modellizzando ha 100 variabili di input, è possibile ottenere la stessa affidabilità usando 2100neuroni in uno strato o solo 210 neuroni distribuiti su due livelli. Hanno scoperto la potenzialità che c'è nel prendere piccoli pezzi e combinarli a livelli più alti di astrazione invece di tentare di catturare tutti i livelli di astrazione contemporaneamente. è legata all'idea che puoi esprimere qualcosa di complicato facendo molte cose semplici in sequenza", dice Rolnick. "È come una catena di montaggio." della profondità chiedendo alle reti neurali di svolgere un compito semplice: moltiplicare le funzioni polinomiali. (Queste sono equazioni che presentano variabili elevate a esponenti che sono numeri naturali, per esempio y = x3 + 1). Hanno addestrato le reti mostrando loro esempi di equazioni e dei loro prodotti. Quindi hanno chiesto alle reti di calcolare i prodotti delle equazioni che non avevano mai visto prima. Le reti neuronali più profonde hanno appreso il compito con molti meno neuroni di quelle meno profonde. che rivoluzionerà il mondo, Rolnick afferma che l'articolo ha segnato un punto importante: "Se una rete poco profonda non può nemmeno fare un moltiplicazione, non dovremmo fidarcene per nient'altro". minima di larghezza necessaria. Alla fine di settembre, Jesse Johnson, già matematico dell'Oklahoma State University e ora ricercatore presso la casa farmaceutica Sanofi, ha dimostrato che a un certo punto nessuna profondità può compensare la mancanza di larghezza. delle pecore in un campo. Tuttavia, si tratta di pecore punk-rock: la loro lana è stata tinta in diversi colori. Il compito della nostra rete neurale è tracciare una linea attorno a tutte le pecore dello stesso colore. classificazione delle immagini: la rete ha una raccolta di immagini (che rappresenta come punti nello spazio di dimensione superiore) e ha bisogno di raggruppare quelle simili. fallirà in questo compito quando la larghezza degli strati è inferiore o uguale al numero di input. Quindi, riguardo alle nostre pecore, ciascuna può essere descritta con due input: una x e una y per specificare la sua posizione nel campo. La rete neurale etichetta dunque ogni pecora con un colore e traccia un bordo attorno alle pecore dello stesso colore. In questo caso, ci sarà bisogno di tre o più neuroni per strato per risolvere il problema. che se il rapporto larghezza-variabile è sbagliato, la rete neurale non sarà in grado di definire cicli chiusi, il tipo di cicli che avrebbe bisogno di definire se, per esempio, tutte le pecore rosse fossero raggruppate insieme al centro del pascolo. "Se nessuno degli strati è più spesso del numero di dimensioni di input, ci sono alcune forme che la funzione non sarà mai in grado di creare, indipendentemente dal numero di livelli che si aggiungono", ha detto Johnson. Articoli come quello di Johnson stanno iniziando a costruire i rudimenti di una teoria delle reti neurali. Al momento, i ricercatori possono fare solo affermazioni molto basilari sulla relazione tra architettura e funzione e queste affermazioni sono una piccola parte rispetto al numero di compiti che le reti neurali stanno affrontando. non cambierà di colpo il modo in cui vengono costruiti i sistemi, si stanno elaborando i progetti per una nuova teoria su come imparano i computer: una teoria che potrebbe avviare l'umanità lungo un percorso con ripercussioni ancora maggiori del viaggio sulla Luna. pubblicato il 31 gennaio 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) |
Post n°1908 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte Le Scienze 07 dicembre 2018 Una simulazione al computer contro la mafia Comunicato stampa - Ricercatori del Cnr-Istc hanno sviluppato un modello virtuale sul fenomeno malavitoso del pizzo, analizzando e riproducendo la realtà di Palermo. I risultati, pubblicati su Complexity, potrebbero aiutare a individuare strategie efficaci nella lotta alla mafia. Lo studio è stato realizzato nell'ambito del progetto europeo Gloders sui meccanismi di estorsionedi CNR computer sciencescienze forensi Roma, 7 dicembre 2018 - Studiare in un laboratorio virtuale le dinamiche che regolano la criminalità organizzata, e utilizzare i risultati per elaborare nuove strategie contro la mafia. È l'obiettivo di un recente modello informatico sviluppato dall'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-che utilizza gli strumenti della simulazione sociale per riprodurre al computer fenomeni complessi. Lo studio, pubblicato su Complexity, è stato realizzato nell'ambito del progetto europeo Gloders, coordinato dall'Università del Surrey in Gran Bretagna, che ha studiato i meccanismi e le dinamiche di racket a livello europeo. In Italia, i ricercatori del Laboratory of Agent- Based Social Simulation (Labss) del Cnr-Istc si sono concentrati sul pizzo, la forma di estorsione con cui in Italia i proprietari di attività commerciali sono costretti a versare una parte dell'incasso alla mafia in cambio di 'protezione'. Un'attività che, secondo Confcommercio, solo in Sicilia porta alla criminalità organizzata oltre un miliardo di euro all'anno, con una media del 70% dei commercianti coinvolti. a partire da fonti storiche e da interviste con studiosi e magistrati, gli scienziati hanno riprodotto virtualmente i meccanismi alla base della raccolta del pizzo nel capoluogo siciliano. "Abbiamo identificato quali attori principali del modello i mafiosi, i commercianti, i cittadini, lo Stato e le associazioni non governative come Addiopizzo, da anni in prima linea contro la criminalità organizzata in Sicilia, e che ha condiviso la sua esperienza con i partner del progetto Gloders", racconta Giulia Andrighetto del Cnr-Istc, che ha coordinato lo sviluppo del modello. "Confrontando i risultati di questo esperimento artificialecon i dati reali raccolti a partire dagli anni '80 a Palermo, è emersa una corrispondenza tra modello simulativo e realtà". I ricercatori hanno quindi utilizzato la simulazione al computer per testare due linee di intervento di contrasto alla mafia: una autoritaria e una dal basso. "Nel primo approccio, ispirato alle strategie di lotta alla mafia realmente messe in atto dallo Stato a partire dagli anni '80, vengono intensificati il controllo della polizia e applicate pene più severe in tribunale: una strategia efficace ma costosa e poco adattabile a eventuali cambiamenti interni della mafia", continua Andrighetto. non governative, prevede invece una serie di campagne di sensibilizzazione dei cittadini per renderli più coscienti dei danni economici ed etici causati dalla mafia. "Anche in questo caso la strategia si rivela solparzialmente efficace: si verifica un notevole aumento delle denunce di estorsione, seguito però da azioni di vendetta e ritorsione da parte della mafia contro chi si rifiuta di pagare, senza che ci sia una protezione adeguata messa in atto dallo Stato. Una raccomandazione di policy che emerge da questo lavoro è che lo Stato deve assicurare che le iniziative di cambiamento sociale dal basso siano sostenute da un'azione legale e che tale linea di intervento integrata sia portata avanti fino a che il fenomeno non viene estirpato", osserva la ricercatrice Cnr. Il modello simulativo ha permesso così di visualizzare 'in vitro' gli effetti di diverse strategie di contrasto alla criminalità organizzata. "Questo approccio computazionale può essere applicato anche ad altri ambiti della criminalità, per valutare i costi e l'efficacia degli interventi di contrasto alle mafie e promuovere la diffusione di norme sociali che favoriscano una cultura della legalità", conclude Andrighetto. "In quest'ottica siamo attualmente coinvolti nel progetto europeo 'Proton', coordinato dall'Università Cattolica di Milano, dove stiamo sviluppando un modello per capire i meccanismi di reclutamento nella criminalità organizzata e nelle reti terroristiche". |
Post n°1907 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 21 dicembre 2018 Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza Stabilire se un paziente con una lesione cerebrale è consapevole di se stesso o dell'ambiente è un compito complesso, anche a causa delle incertezze sulla reale natura della coscienza. Un algoritmo di apprendimento automatico usa i tracciati dell'EEG per calcolare le probabilità che un paziente in coma si risvegli, ma il suo utilizzo solleva diversi interrogatividi Sam Rose / Scientific AmericanLa coscienza è un'idea particolare, anche misteriosa. Da un chilo e mezzo di carne emerge la consapevolezza del corpo che la ospita e del mondo che la circonda.Tutti noi riconosciamo la coscienza quando la vediamo, ma che cos'è veramente? E dove va quando non c'è più?Le neuroscienze non hanno gli strumenti per rispondere a queste domande - se pure è possibile farlo - ma in un ospedale i medici devono essere in grado di stabilirne la presenza. Devono sapere se un paziente con una lesione cerebrale è consapevole di se stesso o dell'ambiente circostante. Questa diagnosi per lo più è ancora fatta con un semplice esame al capezzale. Il paziente esegue i comandi? Sta gesticolando o verbalizzando intenzionalmente, eccetera? © BSIP / AGFPer i pazienti sul limitare della coscienza, non lucidi ma non comatosi, definire lo stato di coscienza è difficile. Movimenti e suoni casuali possono somigliare molto a quelli intenzionali. La consapevolezza va e viene. In molti casi, la posta in gioco con la diagnosi è molto alta. Il paziente si trova in uno stato di minima coscienza, dove c'è una certa probabilità di guarigione, o il paziente è colpito da sindrome di veglia aresponsiva, in cui le azioni sono ritenute casuali e prive di intenzionalità e in cui c'è ben poca speranza di recupero? Purtroppo, in ben il 40 per cento dei casi la diagnosi è problematica. Considerata la posta in gioco, un studio da poco pubblicato sulla rivista "Brain" cerca di dare ai medici un piccolo aiuto. L'articolo descrive in dettaglio un algoritmo di apprendimento automatico che distingue la sindrome di veglia aresponsiva dallo stato di minima coscienza usando le registrazioni elettroencefalografiche (EEG). Se fosse adottato, l'algoritmo ridurrebbe la necessità di affidarsi a congetture per formulare la diagnosi e probabilmente funzionerebbe meglio della maggior parte dei medici umani. Ma diagnosticare lo stato mentale con un algoritmo solleva preoccupazioni etiche. Fino a che punto ci sentiamo tranquilli ad affidare una diagnosi di vita o morte a una macchina, soprattutto pensando alla ben scarsa chiarezza su cosa sia la coscienza? L'idea di scrutare il cervello alla ricerca di tracce di coscienza non è nuova. Per decenni, i ricercatori hanno vagliato la possibilità di usare tecniche di scansione del cervello come la PET e la fMRI per studiare il limite della coscienza. In un importante studio del 2014, le scansioni PET hanno dimostrato che in alcuni pazienti a cui era stata diagnosticata (sbagliando) la sindrome di veglia aresponsiva il cervello poteva rispondere alle indicazioni. Inoltre, i pazienti con una PET attiva avevano maggiori probabilità di ottenere un recupero significativo. © Science Photo Library / AGFQuesto risultato indica che in caso di dubbi sullo stato di coscienza di un paziente si dovrebbe ricorrere alle scansioni PET. Queste scansioni, però, non sono disponibili in tutti gli ospedali, e sono costose, soggette ad artefatti e difficili da interpretare. Un'alternativa più accessibile è l'elettroencefalografia, in cui sensori elettrici sono collocati sul cuoio capelluto del paziente per rilevare l'attività cerebrale attraverso il cranio. L'EEG registra l'attività cerebrale sotto forma di onde quando un numero sufficiente di neuroni si attiva all'unisono. In una persona sana, queste onde hanno frequenze prevedibili. Dopo una lesione cerebrale, il loro schema è meno prevedibile. Nel nuovo studio, un gruppo dell'ospedale Pitié- Salpêtrière di Parigi ha effettuato registrazioni EEG su 268 pazienti ai quali era stata diagnosticata la sindrome di veglia aresponsiva o uno stato di minima coscienza. Gli EEG sono stati registrati prima e durante un compito di ascolto progettato per rilevare l'elaborazione cosciente dei suoni. Decine di aspetti dei dati sono stati inseriti in un algoritmo di apprendimento automatico chiamato DOC-Forest. In questo complesso compito DOC-Forest si è comportato piuttosto bene. Circa 3 casi su 4 sono stati diagnosticati correttamente. (Nota: per valutare le prestazioni invece della classica accuratezza, gli autori hanno usato una metrica più sofisticata chiamata AUC. La AUC tiene conto del tasso di falsi positivi, che in questo caso ha conseguenze significative.) Gli autori hanno testato DOC-Forest anche in scenari realistici, introducendo nei dati del rumore casuale in modo da simulare l'effetto di possibili differenze nelle procedure di raccolta dei dati. Hanno considerato la diversa disposizione dei sensori sul cranio, e hanno anche usato l'algoritmo su un secondo gruppo di pazienti. DOC-Forest ha dato sempre buoni risultati, fornendo valori di prestazione simili. Sotto un certo profilo, questo algoritmo di apprendimento automatico rappresenta un progresso significativo. I dati EEG sono complessi e hanno molte dimensioni - tempo, frequenza, condizioni di prova, posizione dei sensori, e via discorrendo - che si sviluppano sul monitor schermata dopo schermata. manciata di caratteristiche di facile interpretazione, per esempio la comparsa di una specifica onda cerebrale durante l'attività di ascolto. Questa focalizzazione sull'interpretazione esclude però aspetti potenzialmente importanti dei dati. L'apprendimento automatico non ha questo pregiudizio umano a favore dell'interpretabilità e della comunicabilità. Si concentra solo sulla classificazione corretta dei dati, che è tutto ciò che serve in questo caso. L'algoritmo messso a punto è in grado di individuare negli EEG segnali difficilmente identificabili da un essere umano (© Science Photo Library / AGF)Se usato nella pratica clinica, DOC-Forest potrebbe essere uno strumento utile per un neurologo alle prime armi, scandagliando le sinuose tracce elettroencefalografiche e fornendo le probabilità che il paziente abbia un certo livello di coscienza, sfuggito al medico inesperto durante i test al capezzale. Qui però c'è un circolo vizioso. L'algoritmo è addestrato su casi che i neurologi umani hanno diagnosticato proprio con test al capezzale. Mentre il gruppo di Pitié-Salpêtrière ha potuto seguire i pazienti per un certo tempo così da ridurre al minimo gli errori diagnostici, l'algoritmo associa comunque solo i segnali EEG a quelle diagnosi al capezzale, sia pure fatte da esperti. Che cosa ci può però dire di una qualche forma di coscienza che non sia rivelata da nessuno di questi test, EEG o altro? Teniamo a mente che in realtà non sappiamo dove e come emerga la coscienza. Al di fuori di quelle che sperimentiamo su noi stessi, non abbiamo un'idea delle forme che può assumere l'esperienza cosciente. Si potrebbe sostenere che la nostra ridottissima comprensione del problema significa che non dovremmo ancora coinvolgere le macchine. D'altra parte, non è chiaro se avremo mai risposte soddisfacenti a queste domande. Quindi, perché non lasciare che uno strumento attentamente progettato, come DOC-Forest, aiuti a prendere decisioni nel quadro della nostra attuale comprensione della coscienza? Non c'è una risposta facile, ma la questione probabilmente dovrebbe essere discussa perché l'ora dell'uso quotidiano di questi strumenti si avvicina. pubblicato su "Scientific American" il 18 dicembre 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
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