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Messaggi del 14/02/2019

7 alimenti (sani) per migliorare l'umore

Post n°1934 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

VIRGILIO CONSIGLIa

PUBBLICATO IL 14 GIUGNO 2018

Il cibo può migliorare decisamente la nostra qualità di vita, anche secondo la scienza! Certi alimenti, infatti, possono contribuire a contrastare ansia e depressione. Ecco quali sono!

CIOCCOLATO FONDENTE - Il cioccolato fondente

che contiene almeno il 72% di cacao e meno di

5 grammi di zucchero, aiuta a sentirsi decisamente

meglio ed è uno snack molto sfizioso.

BANANE BIOLOGICHE - Le banane biologiche e,

quindi prive di pesticidi, sono ricchissime di

elementi ottimi per l'umore, come la dopamina

e la vitamina B6.

SALMONE - Il salmone è un pesce ricco di vitamina D

e di acidi grassi Omega 3, due nutrienti che molti

studi hanno dimostrato essere decisamente utili

nell'aumentare la produzione di serotonina,

il neurotrasmettitore responsabile del buon

umore.

MIELE - Oltre ad essere un'alternativa dello

zucchero più sana, il miele contiene quercetina

e kaempferolo, che aiutano a prevenire la

depressione riducendo le infiammazioni cerebrali.

CILIEGIE - Le ciliegie sono gustosissime e ricche

di melatonina, un ormone naturale che aiuta a

rilassarsi e a dormire meglio.

PEPE NERO - Il pepe nero contiene la piperina,

un alcaloide molto efficace non solo per

combattere la depressione, ma per incrementare

anche le funzioni cognitive cerebrali. Usarne un po'

come condimento aiuta anche ad usare meno

sale insaporendo i cibi.

TÈ VERDE - Quando si ha voglia di bere qualcosa di

buono, anziché optare per le bibite gasate, ricche di

zuccheri che possono causare un picco glicemico

, bevete tè verde. Contiene infatti teina, ottima per

combattere l'ansia, ed è ricco di antiossidanti.

 
 
 

I cibi che aumentano il rischio di cancro.

Post n°1933 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli


VIRGILIO CONSIGLIa

 PUBBLICATO IL 04 APRILE 2018

Non bisogna mai demonizzare gli alimenti,ma è indubbio che alcuni di essi sono legati ad un incrementato rischio di sviluppare il cancro. Ecco come muoversi secondo il WCRF, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro

CARNE ROSSA - La carne rossa è dichiarata

come "potenzialmente cancerogena" dal WCRF,

poiché sono stati individuati dei legami tra essa

e il tumore al colon-retto. Per questo motivo, si

consiglia di non superarne un consumo settimanale

di 300g

CARNI PROCESSATE - Le carni processate sono quelle

che hanno ricevuto trattamenti con conservanti o sono

state fermentate, affumicate o essiccate. Andrebbero

evitate per via dell'aggiunta di nitrati e nitriti per la loro

produzione

BEVANDE ZUCCHERATE - Il WCRF sconsiglia di consumare

cibi e bevande ricchi di zuccheri e grassi, poiché il loro

consumo è legato ad un maggiore rischio di sviluppo

di cancri pericolosi come quello all'intestino e al pancreas

ALCOL - Il WCRF raccomanda di non bere alcolici in

assoluto, poiché è il nutriente con il rischio più elevato

di sviluppare cancri come quello allo stomaco, al colon

e al fegato

CIBI IN SCATOLA - Si sta ancora valutando come la

presenza di interferenti endocrini presenti nelle scatole,

nelle lattine e nei pacchi per alimenti possa contribuire

a sviluppare certi cancri. Per questo motivo, è meglio

evitare i cibi in scatola

CIBI IN SALAMOIA E SALE - Il consumo di sale

giornaliero non deve superare i 5grammi. Per questo

è bene ridurre anche il consumo di cibi in salamoia

 
 
 

I cibi che possono far male al cervello.

Post n°1932 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

 

Fonte: Internet

VIRGILIO CONSIGLI

PUBBLICATO IL 12 GIUGNO 2018

Raramente si discute dei cibi che possono minare la salute del nostro cervello: ecco quali sono e perché bisogna evitarli o consumarli con moderazione!

ZUCCHERO - Assumere troppo zucchero per

un periodo prolungato può causare danni

neurologici, in quanto questo alimento riduce

l'elasticità cerebrale.

SALE - Non bisognerebbe consumare

quotidianamente più di un cucchiaino di sale

al giorno: il cervello, infatti, usa lo stesso sistema

cardiovascolare di stomaco e cuore, che può essere

danneggiato da un'ingestione di sale eccessiva.

CIBO SPAZZATURA - Il cibo spazzatura innalza

i livelli di dopamina nel cervello, generando una

vera e propria crisi d'astinenza quando non lo

si mangia. Assumerne troppo, inoltre, può anche

portare a perdita di memoria e, in casi rari,

anche al morbo di Alzheimer.

FRITTURE - Alcuni oli, come quello di girasole,

rilasciano una sostanza nota cole aldeide,

che può danneggiare le funzioni cerebrali.

DOLCIFICANTI ARTIFICIALI - L'aspartame può i

ncrementare il rischio di sviluppare il cancro al

cervello, inoltre i dolcificanti in generale abbassano

i livelli di energia cerebrale.

GRASSI INSATURI - Consumare cibi ricchi di grassi i

nsaturi può causare un rimpicciolimento del cervello e,

addirittura, colpire il cervello in modo simile all'Alzheimer.

TOFU - Anche il tofu, un alimento apparentemente sano,

se consumato troppo può portare a soffrire più facilmente

di demenza e di perdite di memoria.

CONSERVANTI E CIBI PROCESSATI - I conservanti, gli additivi,

e tutte le sostanze che si trovano nei cibi processati per

farli durare più a lungo, influenzano negativamente il

funzionamento del cervello, rallentandolo.

 
 
 

Vuoi diventare più intelligente, allora, corri!!!

Post n°1931 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte, Internet


VIRGILIO CURIOSITÀ PUBBLICATO IL 10 OTTOBRE 2018

Correre fa diventare più intelligente

Che il movimento sia una delle chiavi del benessere, è ormai assodato.

Ma un gruppo di scienziati canadesi si è spinto oltre con le proprie

ricerche, scoprendo che l'esercizio fisico aerobico aiuta anche un

miglior funzionamento del cervello.

Abbandonare il divano un po' più spesso del solito, quindi, ci può

rendere più vivaci intellettualmente, perché l'attività sportiva

favorisce la cosiddetta neurogenesi, ovvero il processo di riparazione

dei neuroni danneggiati e di creazione di nuove cellule nervose cerebrali.

Secondo gli studiosi dell'Università di Ottawa, non c'è uno sport in

particolare migliore di altri, perché il fatto stesso di "imparare" a

praticare una disciplina nuova, spinge il cervello a rimodellare le

sinapsi, ottenendo un notevole beneficio sulla capacità di ragionamento

e migliorando le nostre performance intellettuali.

Le evidenze riscontrate portano comunque alla conclusione che

l'esercizio aerobico come la corsa, praticato in maniera intensiva,

porti a risultati più rilevanti rispetto ad un allenamento che

implica uno sforzo meno costante, come potrebbe essere una

sessione di cross fit, o di body building in palestra.

Un corridore "seriale", tra l'altro, può anche usufruire della

momentanea euforia conferita dalla corsa, che fa scomparire

problemi e dolori per qualche tempo dopo l'allenamento, una

sensazione innescata da sostanze naturali come adrenalina e

dopamina, con effetto simile a quello degli oppiacei o degli

antidepressivi, che il corpo produce spontaneamente durante

lo sforzo fisico.

Tra queste sostanze, gli studiosi canadesi ne hanno individuata

una che è stata denominata VGF che, in uno studio sui topi da

laboratorio con disfunzioni che limitavano il movimento, si è

dimostrata in grado di riparare i danni genetici che degradavano

il cervelletto di queste cavie.

Per ora non esiste una "scorciatoia" in pillole per avere a portata

di mano le potenzialità del VGF stando in pantofole in casa: la

soluzione migliore, quindi, è quella di effettuare un'oretta al giorno

di jogging in un parco, per sentirsi più smart e più felici!

 
 
 

Virgilio consiglia:

Post n°1930 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

VIRGILIO CONSIGLIa

 PUBBLICATO IL 13 FEBBRAIO 2019

Fare sport ringiovanisce il cervello. Ecco come

Mens sana in corpore sano: anche se non avevano a disposizione

i potenti mezzi scientifici del nostro millennio, i latini avevano

già capito tutto!

Sottoposti alle sollecitazioni dell'attività sportiva, i nostri muscoli

secernono un composto organico chiamato "irisina", che gli studiosi

hanno ribattezzato "ormone dello sport": ora una ricerca brasiliana

ha scoperto che questa molecola, oltre a permettere all'organismo

umano di avere ossa più forti e di eliminare massa grassa, potrebbe

avere la capacità di proteggere il cervello dalle malattie tipiche

dell'invecchiamento.

Una volta entrata nel circolo sanguigno a seguito di un allenamento

costante, l'irisina si dimostrerebbe efficace nel prevenire o rallentare

deficit cognitivi e mnenonici, come dimostrato da test di laboratorio

condotti sui topi: lo studio dell'Università di Rio de Janeiro potrebbe

aprire nuovi scenari nella lotta a morbo di Alzheimer e demenza senile.

L'ormone dello sport è stato al centro anche di una ricerca della Duke

University di Durham, secondo la quale fare attività sportiva aerobica

continuativamente, per tre volte alla settimana, nell'arco di 6 mesi

porta indietro l'orologio biologico del cervello mediamente di 9 anni:

gli ultrasessantacinquenni che hanno partecipato allo studio hanno

migliorato sensibilmente lievi deficit da cui erano affetti,

seguendo programmi di allenamento adeguati.

 
 
 

Antichi orrori...

Post n°1929 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si Viaggia

I macabri misteri del Castello

di Fumone tra gli uliveti della

Ciociaria

A Frosinone c'è un castello fatato e maledetto, teatro di vicende

struggenti e misterioseI macabri misteri del Castello di Fumone tra gli uliveti della Ciociaria

In provincia di Frosinone c'è un maniero pieno di fascino

e mistero.Inquietanti storie si raccontano riguardo al castello

di Fumone che pare sia stato teatro di vicende macabre e

maledette e dove i fantasmi del passato continuano ad aleggiare

nella zona, in cerca di pace. La maggior parte delle vicende

degna di un libro di misteri è avvenuta tra il IX e il X secolo.

In un primo tempo il castello veniva utilizzato come prigione

dallo Stato della Chiesa. Le condizioni non erano delle migliori. 

I carcerati dovevano subire strazianti situazioni, i lamenti erano

colonna sonora portante di questa altura e ancora oggi, gli abitanti

della zona sono convinti di sentire echeggiare quelle terribili 

grida di dolore e disperazione.

In questo luogo, nel XII secolo, morirono l'antipapa 

Gregorio VIII, le cui spoglie non vennero mai ritrovate.

Anche il famoso Celestino V, colui che fece per viltade il

gran rifiuto come racconta Dante nella sua Commedia, trovò

la morte in questo luogo, forse assassinato.

Ma le storie sinistre non terminano qui. Particolarmente crudele

è la vicenda del "marchesino" Francesco Longhi, unico maschio

tra sette sorelle. Per non perdere il patrimonio le parenti del

piccolo erede iniziarono ad avvelenarlo, ponendo all'interno del

cibo dei pezzettini di vetro che ne causarono la prematura morte.

Le spoglie della vittima venneroimbalsamate con la cera per

volere della madre e ancora oggi è possibile guardarle.

Dal castello, per volontà dell'inconsolabile madre, vennero

cancellati tutti i ritratti che avessero espressioni felici,

il castello intero doveva rimanere in lutto per la dipartita

del piccolo erede.

Oggi c'è chi giura che il castello sia infestato dai fantasmi e

nello specifico da quello di Emilia Caetani Longhi, la madre

del piccolo marchese che ogni notte effettuerebbe il percorso

che la separa la sua stanza dalla teca del figlio per cullarlo e consolarlo.

 
 
 

Antiche leggende di orrore...

Post n°1928 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Il castello di Fosdinovo e il

mistero del fantasma di

Bianca Malaspina

Il castello Malaspina è una struttura di grande pregio e fascino.

La leggenda narra che al suo interno vi sia il fantasma di una

giovane murata viva dalla famiglia.

castello bianca malaspina

Imponente, dalle fattezze tipicamente medievali e ricco di

misteri: è ilcastello Malaspina che si trova a Fosdinovo in

provincia di Massa Carrara. Si tratta di un luogo che, oltre

ad avere una grande valenza architettonica, racchiude al suo

interno storie da brividi.

In Italia vi sono numerosi luoghi famosi (anche) per i loro fantasmi,

in questo caso siamo in Lunigiana terra al confine tra Liguria e Toscana. 

Protagonista è  Bianca Maria Aloisa Malaspina, giovane figlia  del

marchese Giacomo Malaspina e Olivia Grimaldi.

La leggenda narra che la nobile si innamorò del figlio dello scudiero

del castello e che nacque tra i due una relazione segreta, che naturalmente

fu scoperta con conseguenze tragiche.

Pare che Bianca si rifiutò di prendere i voti e che non rinnegò mai il suo amore.

Per questo la punizione fu quella di essere murata viva in un'ala del castello 

fino alla morte. La stessa tragica sorte fu riservata al suo amore, che però

venne immediatamente ucciso.

Una storia che negli anni ha dato vita a diverse leggende e inquietanti

avvistamenti. Tra i visitatori del castello, non mancano coloro che affermano

di aver visto una giovane donna con una veste bianca camminare per le

stanze del grande maniero antico. Addirittura c'è chi giura di averla

fotografata nel cortile.

Se questo non bastasse ad accrescere la sensazione di mistero che

aleggia su questo castello non può non essere citata un'altra

faccenda strana.

Nel castello Malaspina c'è una particolare macchia di umidità nella

stanza del trono che non accenna a sparire. Se la si osserva con la

dovuta attenzione si può notare la somiglianza con la figura di una

donna con accanto due animali.

Infatti pare che la giovane marchesa fosse stata murata insieme a un

cane e a un cinghiale, rispettivamente simboli di fedeltà e ribellione.

E l'Italia è ricca di queste

 storie insolite e spesso drammatiche legate a luoghi dal grande fascino.

Questa imponente struttura che si trova a Fosdinovo è la più grande e

meglio conservata della Lunigiana, inoltre è stata sottoposta a vincolo

da parte della Soprintendenza per i beni artistici e architettonici.

La costruzione del castello prese il via nel corso della metà del XII secolo,

nel 1340 venne poi ceduto alla famiglia Malaspina.

 
 
 

Altre leggende....

Post n°1927 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si Viaggia
Il castello di Pizzo Calabro e il fantasma di Gioacchino Murat

Rumori di catene, strane luci e sospiri, Il fantasma

di Gioachino Murat si aggira nel Castello Aragonese

di Pizzo in cerca di vendettaIl castello di Pizzo Calabro e il fantasma di Gioacchino Murat

C'è chi è pronto a metterci la mano sul fuoco:

presso il Castello Aragonese di Pizzo Calabro, i

n provincia di Vibo Valentia, si aggirerebbe il fantasma

di Gioacchino Murat, generale francese, re di Napoli

molto amato dal popolo, un po' meno dal clero.

Di umili origini, figlio di locandieri, dopo una fulminante

carriera militare divenne il braccio destro di Napoleone.

e da lì si rafforzò la sua parabola ascendente.

Valoroso soldato, ambizioso uomo politico, regnante

caparbio, antesignano del Risorgimento. Joachim

Murat-Jordy, riuscì nel giro di pochi anni a divincolarsi

dal suo destino di ecclesiastico e a divenire, nel giro

di pochi anni, uno degli uomini più potenti d'Europa.

Il castello di Pizzo Calabro e il fantasma di Gioacchino MuratNapoleone gli concesse di governare su 

Napoli durante il periodo passato alla storia

come il decennio francese. Ma un accordo di

alleanza con l'odiata Austria e l'abbandono del

comando dell'armata francese, impegnata sul

fronte russo, gli causarono le antipatie dell'imperatore

francese che non accettò il suo aiuto, qualche anno

più tardi, per combattere contro gli eserciti dell'alleanza

anti-napoleonica.

Murat tentò allora di riconquistare il Regno di Napoli, 

nel frattempo finito nelle mani di Ferdinando I di

Borbone, re di Sicilia, ma la fortuna gli voltò le spalle:

salpato da Ajaccio con 250 uomini si ritrovò a Pizzo

Calabro, nel territorio del nemico, a causa del 

tradimento del capo battaglione e con il suo manipolo

di uomini decimato da una tempesta.

Immediatamente riconosciuto, venne catturato e

imprigionato presso ilCastello Aragonese e fucilato

pochi giorni dopo. «Non mirate al volto, ma al cuore. Fuoco!»

Queste le sue ultime parole che suscitarono,

secondo le testimonianze, la commozione del p

lotone che gli tolse la vita.

Dopo questo episodio le cronache si fanno confuse.

Il corpo dell'ex re di Napoli sarebbe sepolto nella

navata centrale della Chiesa di San Giorgiodel

Castello o forse nella fossa comune della città calabra.

Qualcuno sostiene che il corpo di Murat venne 

decapitato e la sua testa offerta al re, ben felice

di un dono macabro ma tranquillizzante, per lo

scampato pericolo. Di certo la morte violenta di

Murat non venne dimenticata presto e c'è chi

sostiene che l'anima tormentata del militare e

regnante francese si aggiri ancora tra le mura del

Castello che vide il tramonto dei suoi sogni di rivalsa

Secondo alcune testimonianze, agghiaccianti 

strepiti di catene si udirebbero nella chiesa dove

è custodito il suo corpo, segno dell'irrequietezza

del Re che non si è voluto arrendere nemmeno di 

fronte alla morte. Apparizioni improvvise, strane

 illuminazioni della navata,voci spettrali: c'è chi è

pronto a giurare che lo spirito di Gioacchino Murat

non abbia mai abbandonato le mura del Castello

e che si aggiri ancora in cerca di riconquistare il

proprio regno e la benevolenza di Napoleone Bonaparte.

 
 
 

Tre realtà e leggenda:

Post n°1926 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Case maledette e castelli infestati:
fantasmi e apparizioni in Italia

Case maledette e castelli infestati dai fantasmi:

alcune delle località più inquietanti in Italiavilla de vecchi a leccoCastelli infestati e case maledette: in Italia ci

sono tanti luoghi ricchi di leggende su fantasmi,

spettri, apparizioni e fenomeni paranormali.

Molte città offrono veri e propri ghost tours 

per scoprire i luoghi più misteriosi delle nostre

città. In questo articolo vi offriamo una panoramica,

da Lecco aLa Spezia, da Milano a Roma, per finire

Potenza e a Matera, di alcuni dei luoghi più

inquietanti della Penisola.La Casa Rossa

Nota anche con il nome di Villa delle Streghe e

di Villa De Vecchi, questa costruzione situata a 

Cortenova, in provincia di Lecco, venne costruita

tra il 1854 e il 1858 dal Conte Felice de Vecchi

come sua residenza estiva. Purtroppo il conte

non potè godere a lungo della sua nuova casa:

si narra che un giorno trovò la moglie morta in

una delle stanze e che la figlia scomparve.

Il conte stesso morì nel 1862. Secondo un'altra

leggenda anche il custode della villa, una volta

passata al fratello del conte, trovò la moglie

morta in modo violento nella casa e si uccise per

il dolore. Si ricominciò a vociferare di omicidi

avvenuti all'interno della villa anche negli anni '20,

quandoAlistair Crowley, padre del moderno

occultismo, soggiornò nella Casa Rossa ma niente

venne mai provato.

Molti curiosi che si sono avventurati nelle vicinanze

della villa hanno raccontato di aver sentito il suono

di un pianoforte provenire dall'interno delle rovine

e di aver assistito a strane apparizioni.

La villa è stata quindi inserita nella lista delle 7 case

più infestate al mondo dal sito Buzzfeed.

La Casa del Violino

Anche la Liguria ha la sua parte di castelli infestati

e case maledette, e una delle più famose si trova

in località Scogna Sottana in provincia di La Spezia.

Un tempo abitata da un giovane musicista che morì

a causa di una lunga e dolorosa malattia, la casa

rimase poi vuota ma si narra che il violino prenda

a suonare da solo di notte anche da dentro la sua

bacheca.

Castello Gonzaga

Una delle attrazioni turistiche più popolari non solo

di Mantova ma di tutta la regione, il Castello Gonzaga 

ha anch'esso una reputazione alquanto sinistra. 

Agnese Visconti, figlia del signore di Milano,

andò in sposa aFrancesco Gonzaga, signore di

Mantova. La vita coniugale iniziò senza intoppi ma

poi il cugino della giovane, Gian Galeazzo Visconti,

uccise lo zio per impossessarsi del potere.

Agnese chiese al marito di aiutarla a vendicare la

morte di suo padre ma lui rifiutò per ragioni politiche.

Ella allora decise di ribellarsi. Per fermarla venne

istituito un falso processo che la vedeva colpevole di

adulterio e la condannava a morte.

La giovane venne quindi decapitata il 7 febbraio 1391,

pur essendo innocente, ed è per questo che si dice

che il suo spirito vaghi ancora in quella che fu la s

ua dimora in vita.

La Rocca di San Leo

Situato in provincia di Rimini, la prima fortificazione

di quello che oggi è il castello risale all'epoca romana

e venne poi donato alla Chiesa da Carlo Magno nel 774.

La Curia decise quindi di usarla come prigione, un luogo

dove abbandonare al loro destino tutti coloro che si

opponevano o che contrastavano il volere papale.

Prigioniero illustre della rocca fu Cagliostro, alchimista

e stregone, che venne lasciato lì a morire di stenti e

il cui spirito infesta la cella dove è morto, continuando

a eseguire esperimenti.

Villa Stuart

Sono molti i luoghi misteriosi a Roma e uno dei più

popolari è Villa Stuart, sulla via Trionfale.

La leggenda di questa villa risale al 1800 quando 

Lord Allen ed Emmeline Stuart la acquistarono

per trasferirsi nella capitale italiana.

La donna amava fare sedute spiritiche e leggenda

vuole che gli spiriti decidessero di rimanere.

Quello che si sa per certo è che i due amanti

impazzirono. Dopo un certo periodo Lord Allen sparì.

Non se ne era però andato come credettero in molti:

era invece morto ma Emmeline ne aveva murato il

corpo dietro una finta parete in cantina per continuare

ad averlo vicino.

Il Castello di Lagopesole

Situato ad Avigliano in provincia di Potenza, anche

questo castello narra la storia di una donna che scelse

la morte. Moglie di Manfredi e nuora di Federico II di Svevia, 

Elena Ducas fu rapita da Carlo d'Angiò per motivi politici.

Separata dal marito e dai figli, Elena si lasciò morire di

fame ma si narra che il suo spirito continui a rimanere

prigioniero del castello ancora oggi: la donna si può infatti

vedere al calar del sole alla finestra mentre lo spirito di

Manfredi vaga per le campagne cercando la moglie.

Il Castello di Valsinni

Situato in provincia di Matera, il Castello di Valsinni

narra invece di un'altra donna morta per amore.

La poetessa Isabella Morra però non si uccise: venne

invece assassinata dai fratelli Decio, Fabio e Cesare

per via della sua corrispondenza segreta con Diego

Sandoval De Castro, nobile sposato e loro nemico.

La leggenda vuole che anche Isabella sia ancora

prigioniera delle mura tra le quali aveva vissuto e

che vaghi di notte piangendo il suo amore perduto.

 
 
 

Tra realtà e leggenda:

Post n°1925 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

  • Viaggio tra i luoghi italiani che fanno da sfondo a storie d'amore sventurate, ad amori impossibili o non corrisposticastello della rottaIl territorio italiano è ricco di luoghi legati a miti e leggende. 
  • A impreziosire la struttura architettonica e storica di un 
  • castello, un palazzo o un sito archeologico sono spesso le 
  • storie che riguardano un suo passato, il cui eco si propaga
  •  fino al presente, attirando visitatori e curiosi.

Tra le leggende che perdurano fino ai giorni nostri, le storie d'amore

sventurate, impossibili o non corrisposte, occupano un posto

privilegiato perché con il loro alone di tristezza stimolano la

curiosità dei turisti. Conosciamo insieme alcuni di questi luoghi.

Il nostro viaggio inizia in Piemonte, precisamente a Moncalieri 

in provincia di Torino, dove troviamo il Castello della Rotta e la

leggenda del cavaliere e del suo cavallo. Questo castello,

costruito nel 1300, scenografia di molte battaglie e attualmente

residenza privata di Augusto Oliviero, è considerato uno dei luoghi

più infestati d'Italia: si racconta infatti che tutti gli spettri vaghino

in processione nella notte tra il 12 e il 13 giugno.

Tra questi una marchesina francese, promessa sposa del padrone

del maniero, che però rifiutò per amore di un cavaliere.

Accecato dall'ira, il proprietario gettò la donna dalla torre e il cavaliere,

disperato, si votò a Dio partendo per la Terra Santa a combattere gli infedeli.

Alla sua morte si fece seppellire sotto la torre, vicino all'amata:

la leggenda è stata avvalorata dal ritrovamento in loco di un cadavere

con una croce di ferro al collo e del suo cavallo.

Spostandoci in Toscana, troviamo due luoghi legati a storie d'amore

sventurate. Il primo è il castello di Strozzavolpe presso Poggibonsi 

in provincia di Siena. Costruito nel 1154 e situato lungo la Cassia,

questo maniero fa da sfondo alla triste morte di Cassandra Franceschi.

Si narra che la donna fu scoperta in compagnia del paggio dal marito

Giannozzo da Capparello, che per vendetta li murò vivi nella stanza

per far trascorrere loro insieme l'intera vita. La presenza e i sospiri

degli amanti sembrano sentirsi tuttora durante la visita del castello.

In provincia di Pistoia troviamo invece l'inespugnabile rocca di

Sambuca, protagonista della fuga di Selvaggia Vergiolesi.

Il castello domina la valle del Limentra ed è stato oggetto di disputa

con il contado bolognese.

Si narra che Selvaggia, di famiglia ghibellina, durante l'assedio dei

Guelfi, riuscì a fuggire grazie a dei cunicoli scoperti in infanzia,

che la condussero alla rocca, dove restò fino alla sua morte

avvenuta nel 1313. La storia è resa famosa dai versi malinconici

del poeta Cino da Pistoia, segretamente innamorato della donna,

che la rese così immortale.

Altro luogo in cui si consumò una dolorosa storia d'amore si

trova in Emilia Romagna ed è l'abbazia di San Mercuriale nella

piazza centrale di Forlì, originariamente luogo di decapitazioni

pubbliche.

Al suo interno c'è il monumento dedicato a Barbara Manfredi,

che la leggenda vuole sia stata avvelenata dal marito Pino III

Ordelaffi, signore della città romagnola, che ne sospettava il

tradimento amoroso con Giovanni Orcioli. La storia vuole che

il monumento funebre sia stato commissionato dallo stesso

marito vittima del rimorso per la morte della consorte.

Spostandoci in provincia di Modena troviamo il castello di

Spilamberto nel cui torrione fu trovata, solo nel 1947, una piccola

stanza con mura dipinte con scritte e disegni. Secondo l'analisi

degli studiosi, la stanza fu il luogo di prigionia di Messer Filippo

detto Il Diavolino, che disegnò con il suo stesso sangue.

Causa della sua detenzione fu la donna amata, che lui definisce

crudele e ingrata, e la leggenda vuole che le sue grida si alzino

ancora durante le notti d'estate.

Un'altra leggenda amorosa è ambientata a Pentedattilo, località

fantasma nel comune di Melito di Porto Salvo in provincia di 

Reggio Calabria, conosciuta per la strage degli Alberti avvenuta

alla vigilia di Pasqua del 1686 a opera del barone Bernardino

Abenavoli, innamorato di Antonia Alberti. Dopo l'annuncio

delle nozze con un altro uomo, il signore di Montebello

s'introdusse furtivamente nel castello e sterminò tutta la famiglia.

Antonia, consumata dal dolore, si ritirò e morì in un convento

di clausura. La leggenda vuole che Lorenzo Alberti, il fratello

della donna, prima di morire, appoggiò la sua mano insanguinata

sulla rupe di Pentedattilo - di cui oggi resta un segno chiamato

mano del Diavolo visibile nel chiarore dell'aurora - gettando una

maledizione sulla distruzione del paese.

L'ultima storia d'amore sventurata si ambienta in Sardegna,

presso ilcastello di Casteldoria a Castelsardo.

La leggenda, narrata da Grazia Deledda, racconta dell'ammiraglio

Andrea Doria, devoto a San Giovanni di Viddacuia e alla vita religiosa

al punto di rifiutare ripetutamente l'amore di una dama che per

vendetta si trasformò in strega e scagliò una profezia di morte

contro di lui.

In primavera, rispettando quanto annunciato nella maledizione

della donna, i campi di asfodelio e fieno intorno al castello furono

trasformati in cavalieri verdi, alla cui vista l'ammiraglio, impallidito,

cadde dal bastione. Ancora oggi si racconta delle risa diaboliche della

dama che echeggiano nei campi del Coghinas.

 
 
 

Meraviglie, librerie....

Post n°1924 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet

Da Napoli a Venezia la penisola italiana

custodisce numerose librerie piene di fascino

e originalità che ammaliano i lettori di tutta

ItaliaLe librerie resistono.

Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata

degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in

Italia è sempre stata costante.

Antiche o moderne, classiche o tramutate in

eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della

Penisola ci sono delle librerie bellissime che

riescono a tenere testa alle lusinghe dei

negozi on-line che offrono sconti davvero

invitanti, ma che nulla possono rispetto alla

 magica atmosfera di scaffali e scansie, delle

mura rivestite di storie, del consiglio puntuale

dell'esperto librario e della sensazione unica

di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta,

mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri

prima di farsi rapire dall'incipit giusto.

I templi della lettura dove tutto ciò è ancora

possibile sono tanti in Italia e alcune librerie

si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi

di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si

sposano in un connubio inimitabile.

Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia.

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1 di 5Libreria Acqua Alta - (Ve)Canoe, barili

di legno e una gondola come contenitori di libri.

Tra le pareti ricoperte di volumi si apre una finestra

che affaccia su uncanale, da cui si intravedono

passare in un silenzio quasi misticoprocessioni

di gondolieri: la libreria Acqua Alta di Venezia

custodisce nei suoi spazi un'atmosfera unica e

trasognante, una vera perla per i turisti in cerca

di angoli autentici della città lagunare.

Tra libri e antichi e rarità fotografiche quest'antica

 rimessa di gondole convertita in libreria offre agli

amanti della lettura un luogo dell'anima difficilmente

dimenticabile. foto di Antonello De Rosa.

 
 
 

Librerie, che passione!!!!!!

Post n°1923 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet

Da Napoli a Venezia la penisola italiana custodisce

numerose librerie piene di fascino e originalità che

ammaliano i lettori di tutta ItaliaLe librerie resistono.

Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata

degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in

Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne,

classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari,

lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime 

che riescono a tenere testa alle lusinghe dei

negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti,

ma che nulla possono rispetto alla magica

atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite

di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario 

e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal

profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano

decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto.

I templi della lettura dove tutto ciò è ancora

possibile sono tanti in Italia e alcune librerie si

sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi di

bellezza, dove cultura, fascino e armonia si sposano

in un connubio inimitabile. Ecco alcune delle librerie

più belle d'Italia.

2 di 5Libreria Berisio - (Na)Situata a Port'Alba,

nel cuore culturale della città di Napoli, l'anticalibreria

Berisio conserva un'invidiabile collezione di libri antichi.

Di sera, i numerosi e preziosi volumi sistemati

ordinatamente in un affascinante ambiente di

stigliatura in noce incisa, si illuminano di un rosso

vermiglio che invita il popolo della notte alla

conversazione con ottimi drink da gustare

in un ambiente unico e rilassante. La Libreria

Berisio, infatti, al calar della notte cambia volto

e diventa un raffinato lounge bar, molto apprezzato

dalla movida napoletana. foto di Libreria Berisio.

 
 
 

Le più belle librerie d'Italia

Post n°1922 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet

Da Napoli a Venezia la penisola italiana

custodisce numerose librerie piene di fascino

e originalità che ammaliano i lettori di tutta

ItaliaLe librerie resistono.

Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata

degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che

in Italia è sempre stata costante.

Antiche o moderne, classiche o tramutate in

eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della

Penisola ci sono delle librerie bellissime che

riescono a tenere testa alle lusinghe dei

negozi on-line che offrono sconti davvero

invitanti, ma che nulla possono rispetto alla 

magica atmosfera di scaffali e scansie, delle

mura rivestite di storie, del consiglio puntuale

dell'esperto librario e della sensazione unica

di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta,

mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri

prima di farsi rapire dall'incipit giusto.

I templi della lettura dove tutto ciò è ancora

possibile sono tanti in Italia e alcune librerie

si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi

di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si

sposano in un connubio inimitabile.

Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia.

3 di 510 Corso Como - (Mi)La libreria al 10

di Corso Como è un affascinante tempio del

design sistemato in un ambiente elegante e

minimale che offre rari e ricercati volumi 

selezionati tra le eccellenze di arte, architettura,

design e fotografia. Gli amanti degli ambienti

raffinati e delle ultime pubblicazioni che trattano

del bello in tutte le sue sfaccettature troveranno

in corso Como, a pochi passi dalla Galleria Sozzani,

un ambiente congeniale. foto di Libreria Berisio

 
 
 

Le più belle librerie d'Italia.

Post n°1921 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet

Librerie d'Italia: le più belle e affascinanti della Penisolaezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta Italia

Le librerie resistono. Riescono a sopravvivere

nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna

crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante.

Antiche o moderne, classiche o tramutate in

eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della

Penisola ci sono delle librerie bellissime che

riescono a tenere testa alle lusinghe dei

negozi on-line che offrono sconti davvero

invitanti, ma che nulla possono rispetto alla

 magica atmosfera di scaffali e scansie, delle

mura rivestite di storie, del consiglio puntuale

dell'esperto librario e della sensazione unica

di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta,

mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri

prima di farsi rapire dall'incipit giusto.

I templi della lettura dove tutto ciò è ancora

possibile sono tanti in Italia e alcune librerie

si sono trasformate nel tempo in piccoli baluardi

di bellezza, dove cultura, fascino e armonia si

sposano in un connubio inimitabile.

Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia.

4 di 5Libreria Tuttestorie - (Ca)La libreria 

Tuttostorie di Cagliari è un piccolo tempio

dellaletteratura per ragazzi.

Oltre ad avere un'eccezionale collezione di

libri pensati per i piccoli lettori, i suoi ambienti

ospitano laboratori per le scuole che fanno

amare, fin dalla tenera età la lettura a bambini e

ragazzi. L'ambiente è caldo e accogliente e

sugli scaffali è possibile trovare anche volumi

editi da "tuttostorie" che vengono selezionati

dalle ideatrici di questa bella libreria per l'infanzia.

 foto di Lireria Tuttestorie

 
 
 

Librerie d'Italia....

Post n°1920 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet
Librerie d'Italia: le più belle e affascinanti della Penisola
  • Da Napoli a Venezia la penisola italiana custodisce numerose librerie piene di fascino e originalità che ammaliano i lettori di tutta ItaliaLe librerie resistono. Riescono a sopravvivere nonostante l'avanzata degli e-book e dell'eterna crisi di lettori che in Italia è sempre stata costante. Antiche o moderne, classiche o tramutate in eccellenti caffè letterari, lungo l'arco della Penisola ci sono delle librerie bellissime che riescono a tenere testa alle lusinghe dei negozi on-line che offrono sconti davvero invitanti, ma che nulla possono rispetto alla magica atmosfera di scaffali e scansie, delle mura rivestite di storie, del consiglio puntuale dell'esperto librario e della sensazione unica di lasciarsi avvolgere dal profumo della carta, mentre, indecisi, si sfogliano decine di libri prima di farsi rapire dall'incipit giusto.

I templi della lettura dove tutto ciò è ancora

possibile sono tanti in Italia e alcune librerie

si sono trasformate nel tempo in piccoli 

baluardi di bellezza, dove cultura, fascino e

armonia si sposano in un connubio inimitabile.

Ecco alcune delle librerie più belle d'Italia.5

di 5Libreria Gonnelli - (Fi)Nella libreria Gonnelli

di Firenze è di casa l'eleganza. Manoscritti,

stampe e carte antiche sono custodite

gelosamente in questi raffinati spazi fin dal

1875 dove è possibile ammirare libri eleganti

e molto preziosi. La libreria fu luogo d'incontro

di numerosi artisti e scrittori e non di rado

anche Gabriele D'Annunzio analizzava i bei

scaffali in cerca di ispirazione. foto di Libreria

antiquaria Gonnelli

 
 
 

Le più belle librerie d'Italia.

Post n°1919 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

  • Dormire circondati da libri: 
  • apre a Napoli "Book & Bed", 
  • l'ostello libreria della Mondadori
  • Da Tokyo a Napoli, la moda 
  • di dormire tra i volumi della
  •  libreria cattura la città di 
  • Partenope dove nasce il primo
  •  Book & Bed d'Italia

 

Dormire circondati da libri: apre a Napoli l'ostello libreria della Mondadori

Dormire circondati da libri, anche quando si è

in vacanza, lontani da casa e dalla propria

fedele biblioteca. Il sogno dei bibliofili più accaniti

si tramuta in realtà a Napoli, dove nel quartiere

collinare del Vomero ha aperto il primo "Book & Bed" 

della città. Un'idea nata nel paese del Sol Levante,

a Tokyo, città piena di fermento creativo e culturale

dove già dal 2016 si sono diffusi gli spazi in cui

poter leggere libri e allo stesso tempo riposare.

Un po' ostello, un po' libreria, lo spirito di Mooks

Mondadori che ha declinato l'idea giapponese

all'ambiente napoletano, con le sue cuccette

incastonate tra pile di libri, riprende la bella

idea nata in Giappone e la trasporta a Napoli,

una delle città più vivaci della penisola e ben

disposte alle novità virtuose provenienti dagli

angoli più disparati del mondo.Dormire circondati da libri apre a Napoli l'ostello libreria della Mondadori 1

Il nuovo ostello-libreria della città di Partenope

si trova in via Luca Giordani, una delle strade

più belle ed eleganti di Napoli. Nello spazio

inaugurato a marzo c'è al primo piano una

classica libreria targata Mooks Mondadori,

mentre al secondo è possibile lasciarsi avvolgere

da migliaia di volumi da consultare comodamente

in calde e accoglienti cuccette, che invitano al

riposo e alla meditazione.

Si tratta di una risposta naturale a una richiesta

crescente della popolazione napoletana di spazi

culturali che possano rappresentare piccole oasi

dove concentrarsi, leggere e farsi rapire dal

bell'ambiente caldo e stimolante delle libreria

ostello. La scelta di aprire in un locale che in

passato ha ospitato i succulenti dolci realizzati

dalla pasticceria Bellavia non è un caso.

Negli interni qualcosa che ricorda quel luogo

così carico di fascino e serenità è stato volutamente

lasciato per dare modo ai cittadini di Napoli,

che frequenteranno gli spazi, di mantenere

un legame con la tradizione del passato e

per dare ai nuovi utenti, poco avvezzi agli

spazi napoletani d'altri tempi, di respirare

atmosfere di ere passate.

 
 
 

Dennis, il bus inglese diventa libreria itinerant

Post n°1918 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si Viaggia, Internet

Trasformano un bus londinese in un "book-truck"

con cui raggiungere i paesi dove non si vendono i libri.

L'idea romantica di Sara e SimoneDennis, il bus inglese diventa libreria itinerante

Il bus inglese arriva in Italia e cambia veste,

diventando una libreria ambulante, un punto

di riferimento a quattro ruote per quei paesini

sprovvisti di libreria dove poter prendere in

prestito un libro è una pura illusione.

Il vecchio bus pubblico di Londra è stato acquistato

da due intraprendenti e briosi ragazzi che intendono

provare a tramutare un sogno in realtà e a portare

 in giro per la penisola pezzi di cultura, fin nei paesini

più nascosti d'Italia.

Il mezzo si chiama "Dennis" ed è un mitico esemplare

di double deckerdel 1999, il vecchio bus pubblico di

Londra protagonista esemplare di cartoline e iconica

figura del panorama londinese. Lasciato in un

autorimessa, il bellissimo bus è stato comprato

da Sara Rago e Simone Brisotto, coppia di librai

veneti, con l'intento di trasformarlo in un "book truck",

a due piani pronto a riempire i propri spazi di tanti libri

da portare in giro per il Bel Paese.

Dennis, il bus inglese diventa libreria itinerante

Pagato 8.000 sterline e spedito via mare fino a

Livorno, il mezzo sta prendendo pian piano l'aspetto

di una libreria su quattro ruote. Per completare il

sogno della libreria ambulante i due ragazzi hanno

chiesto aiuto anche a internet allestendo una

campagna di crowdfunding, lanciando una campagna

di sponsorizzazione su Ululecon l'obiettivo di r

aggiungere i 5.000 euro necessari per allestire gli

scaffali e realizzare i primi allestimenti.

Alla base dell'idea c'è il progetto "Libreria Diffusa",

una soluzione per far viaggiare libri e cultura e

raggiungere quei paesini in cui non esistono librerie

o biblioteche. Libri a domicilio con i consigli, impagabili,

di due librai che propongono e consigliano le letture

più adatte alla propria sete di conoscenza, azioni

che ai tempi dei megastore online diventano merce

rara a preziosa.

Punto di partenza del progetto è Spesiano, in

provincia di Treviso dove il bus londinese sta

subendo la trasformazione in book truck in modo

da partire quanto prima per il tour di distribuzione di libri.

 
 
 

I libri di 2000 anni fa...

Post n°1917 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Si viaggia, Internet

Libri di 2000 anni fa contengono i più

antichi riferimenti a GesùIl ritrovamento

e l'analisi di alcune tavole provenienti

dalla Giordania scardinano le certezze

sul cristianesimo: potrebbero essere di

2000 anni fa

Fonte: Instagram

Il mistero della fede è per definizione

difficilmente circoscrivibile perché si basa

sul credere e non su un qualcosa di per

se stesso dimostrabile. Ma per i fedeli e

anche per chi non lo è, esiste un nuovo

dato su cui ragionare e con cui ampliare

la propria conoscenza: nel 2008, infatti,

in Giordania sono state rinvenute delle

tavolette di piombo tenute insieme come

un raccoglitore ad anelli che fanno riferimento

a Cristo e ai suoi discepoli.

Un'antica serie di libri che potrebbe essere il più

antico riferimento scritto aGesù e che pare

essere veritiera ed affidabile, dicono gli esperti.

Il metallo è stato analizzato e le parole dei

simboli tradotti: le incisioni dovrebbero risalire

a circa 2.000 anni fa. Le tavole sono state

scoperte da Hassan Saeda, un beduino

israeliano; le informazioni che esse veicolano 

potrebbero essere importanti non solo per i

cristiani, ma anche per ebrei e musulmani.

Una scoperta rivoluzionaria:

il puzzle si amplia

Le tavole suggeriscono che Cristo non stesse

iniziando una propria religione, ma tentando 

il ripristino di una tradizione millenaria che

deriverebbe addirittura dal tempo del re Davide.

Inoltre, il Dio adorato era sia maschile che

femminile. Centrale per i libri riportati alla luce

è l'idea che Cristo abbia promosso il culto nel 

Tempio di Salomone, dove si crede che il volto

stesso di Dio sia stato visto. Ed è da qui che

l'episodio con gli usurai nella Bibbia si

sarebbe originato.

Gli autori dell'indagine, David e Jennifer Elkington,

si sono mobilitati a partire dal 2009 affinché i

codici potessero essere protetti e riconosciuti.

I due affermano che dei cristiani evangelici

stavano cercando di bollarli come falsi.

Successivamente, nel 2011, Elkington ha

annunciato la scoperta su BBC News e la

stampa mondiale ha seguito la notizia.

Ma vari studiosi si sono fatti avanti per

indicarli come falsi, la maggior parte però

senza mai vedere i codici.

Verifiche e constatazioni

I test ad alta tecnologia hanno confermato

che un libro è compatibile con un campione

comparativo di antico piombo romano rinvenuto

nel Dorset. L'analisi è stata effettuata dal

professor Roger Webb e da Chris Jeynes 

presso illaboratorio Nodus dell'Università di

Surrey all'Ion Beam Centre, mentre il libro

antico è stato prestato agli Elkington dal

Dipartimento delle Antichità di Amman affinché

ne venisse verificata l'origine: ulteriori analisi

di cristallizzazione indica che il codice è

probabilmente compreso tra i 1800-2000 anni.

Analisi della scrittura da parte di studiosi

hanno confermato che il linguaggio dei codici

è Paleo-ebraico; essi sono coperti da

particolari stelle, simbolo della venuta del

 Messia, e accennano al nome di Gesù e

agli apostoli Giacomo, Pietro e Giovanni. 

Elkington ha spiegato: "Gesù stava cercando

di ripristinare il Tempio. Per restaurare ciò

che era stato perso nelle riforme". Inoltre,

ha affermato che "il dottor Hugh Schonfield,

una delle più eminenti autorità che abbiano

mai lavorato sui Rotoli del Mar Morto, ha

previsto che un codice di metallo sarebbe stato trovato".

Una nuova visione del Cristianesimo

"Una parte della tradizione più antica del tempio

era il Divino Femminile, noto ai cristiani -

continua lo studioso - come lo Spirito Santo.

Gesù aveva donne coinvolte nel suo ministero.

Al culmine del suo ministero, i Vangeli ci

dicono che Gesù ha sfidato gli usurai nel tempio".

Una parte, quindi, mancante nelletestimonianze 

ormai riconosciute che potrebbe minare le nostre

sicurezze ed ampliare la prospettiva di partenza.

Quindi Elkington ha aggiunto: "Anche se i codici

non contraddicono nessuna narrazione condotta

nei libri di cui disponevamo prima, le tavole hanno

posto maggiore enfasi sul tempio fisico, sulla fede

nel divino femminile e sul ruolo di Cristo nel proteggere

un lignaggio di Ebrei piuttosto quello di fondatore 

del proprio movimento religioso."

 
 
 

Un antico documento

Post n°1916 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

  Fonte: Internet                                   

Alcuni studiosi hanno ritrovato una lettera del 1777 nascosta

all'interno di una statua di Gesù: ecco cosa 

Un gruppo di studiosi ha trovato in una statua di Gesù un

messaggio di ben 300 anni fa. La scoperta è avvenuta in Spagna,

dove un gruppo di restauratori stava portando a nuova vita una

effigie di Cristo. Durante le operazioni però gli esperti della 

società di restauro Da Vinci sono rimasti a bocca aperta.

All'interno dell'opera infatti era stato nascosto un documento

risalente al 1777. La lettera era scritta su due pagine e firmata

da un certo Joaquin Minguez. L'uomo era il cappellano della 

cattedrale di Burgo de Osma e aveva scritto nel messaggio

alcune informazioni riguardo la sua epoca: dai toreri più famosi

alle malattie, passando per le tradizioni popolari e le questioni

politiche.

La statua del Cristo del Miserere si trovava nella chiesa di Santa

Agueda, nel paese Sotillo de la Ribera. L'opera è in legno e la scoperta

sarebbe avvenuta rimuovendo la stoffa che era stata usata per 

coprire la parte posteriore. In questo punto si trovava una cavità,

in cui il religioso avrebbe conservato il messaggio, con la complicità

dell'artista Manuel Bal. "Probabilmente -  ha spiegato lo storico

Efrén Arroyo - l'artista ha utilizzato la sua opera come una vera

e propria 'capsula del tempo', in grado di giungere alle future

generazioni".

Non è la prima volta che all'interno delle statue vengono ritrovati

dei messaggi, in passato infatti molti studiosi affidavano a queste

opere i loro pensieri, certi che sarebbero durate nel tempo,

custodendoli. "Il documento è apparso mentre separavamo il Cristo

dalla croce - ha raccontato Gemma Ramirez Millares, una delle

restauratrici -. Il legno era vuoto all'interno e lo scultore ha

utilizzato l'incavo per nasconderlo".

Dopo essere stato tradotto e analizzato, il documento del 1777

 è stato consegnato all'arcivescovo di Burgos, in Spagna, che lo

custodirà all'interno del suo archivio. Gli studiosi però hanno

deciso di realizzare anche una copia, che è stata rimessa al suo

posto dentro la scultura, per rispettare la volontà del religioso.

 
 
 

Un giardino in bottigllia.

Post n°1915 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte : Si viaggia

David Latimer ha inserito delle piante in una bottiglia

creando un ecosistema autonomo che dura da 59 anni

David Latimer, nel 1960, ha letteralmente piantato il suo

giardino di casa dentro un'enorme bottiglia.

Spinto dalla voglia di sperimentare, andò a comprare

dei semi di Tradescantia, pianta ornamentale comunemente

chiamata "erba misera" nel linguaggio popolare.

Munito di terriccio ottenuto da scarti di cucina,

letame e resti di potatura, decise di sistemare il tutto

accuratamente dentro una giara di vetro, chiudendola

con un tappo si sughero e posizionandola in un angolo

 luminoso della casa.

Nei mesi successivi, andando ad osservare con attenzione

il lavoro realizzato, iniziò a rendersi conto che le piante

all'interno della giara di vetro, non avevano bisogno di

alcun tipo di irrigazione, perché riuscivano a sopravvivere

in maniera autonoma, da sole. Quello che era diventato

un vero e proprio giardino in bottiglia, aveva creato

autonomamente il proprio ecosistema in miniatura.

Le piante crescevano grazie alla luce solare alla quale erano

esposte: la fotosintesi creava ossigeno e aggiungeva al tempo

stesso umidità all'aria.

La cappa di umidità creata all'interno, produceva una

pioggerellina che ricadeva sulle piante, andandole a nutrire.

Le foglie che morivano, inoltre, producevano l'anidride carbonica

indispensabile per la fotosintesi dei nuovi germogli appena nati.

Per molti si tratta di un miracolo della natura, se si pensa che

le piante di Latimer, a 59 anni di distanza, sono ancora rigogliose.

Va detto che dal 1960 ad oggi, Latimer ha aperto la bottiglia in

una sola occasione. Lo fece nel 1972 , al fine di aggiungere un po'

di acqua solamente per scrupolo. Un gesto che ha aiutato

sicuramente le piante che comunque hanno dato vita ad un

ecosistema del tutto autonomo in grado di garantirgli la vita

anche senza l'intervento del loro "papà".

L'esperimento di David Latimer potrebbe avere applicazioni

inimmaginabili. LaNASA, infatti, si è interessata molto al suo

progetto ed ha intenzione di studiarlo, in modo tale da capire

se potrebbe essere utilizzato per esportare le nostre piante

nello spazio.   Un'esperienza divertente, quella del signor

Latimer che all'età di ottanta anni, può godersi le sue piante

nate e cresciute quasi per sbaglio: se gli studi della NASA 

dovessero dare dei frutti, un giorno potrà dire di aver portato

un po' di vita anche nello spazio.

 
 
 

In Basilicata....

Post n°1914 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

  • Le Stonehenge italiane aspettano il solstizio d'inverno
  • Le Stonehenge italiane aspettano il solstizio d'inverno

La data del prossimo appuntamento è il 21 dicembre 2016 alle ore 10.44

21 dicembre 2016 - Il sito più spettacolare dove

assistere al solstizio d'inverno è Stonehenge, quando

i famosi megaliti disposti a cerchio vengono trapassati

dai raggi infuocati del sole. Un fenomeno dovuto

all'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre che la

Natura ci regala fin dai tempi dei tempi.

Anche in Italia è possibile assistere a tale spettacolo.

I luoghi più indicati sono quattro: Petre de la Mola, in Basilicata;

nella valle del Belice, in Sicilia; a Trinitapoli, in Puglia, e sul Monte

Stella, nel Cilento.

I calendari di pietra italiani risalgono quasi tutti alla tarda età

del Bronzo e sono stati costruiti con la stessa tecnica di Stonehenge,

in Gran Bretagna: si osserva la posizione del sole nel giorno più

corto (o più lungo) dell'anno e si creano dei 'punti di mira'.

Petre de la Mola, sul Monte Croccia, nelle Dolomiti Lucane, è un

complesso costruito su un affioramento naturale di roccia calcarea

che è stata modificata sovrapponendo una lastra a una spaccatura

naturale della roccia, per creare una galleria che permette di

osservare il Sole al tramonto del solstizio d'inverno.

Solo quel giorno, a mezzogiorno, il Sole appare dallo stesso

punto di osservazione in una piccola fenditura artificiale a

sinistra della galleria, dando l'avviso del fenomeno che si

verificherà al tramonto. L'intera area archeologica, frequentata

dal neolitico al IV secolo a.C., copre una superficie di circa

60.000 metri quadrati.

Megaliti simili si trovano in Sicilia, nel Belice, e risalgono

al 1700 a.C.. Sono delle gigantesche lastre di pietra triangolari

che servono a osservare la posizione del Sole quando sorge,

nel giorno del solstizio (d'inverno e d'estate).

L'area della Valle del Belice è stata frequentata e popolata sin

dalla preistoria ed è ricca di siti archeologici, molti dei quali

ancora inesplorati.

In Puglia, a Trinitapoli, in provincia di Barletta-Andria-Trani,

sono state scoperte alcune buche scavate nella roccia, allineate

in base alla direzione del Sole, che sbuca improvvisamente

durante il solstizio.

Anche sul Monte Stella, nel Parco Nazionale del Cilento, c'è un

calendario simile a quello di Petre de la Mola. Si chiama Preta ru

Mulacchio che, nel dialetto cilentano, significa 'Pietra del figlio illegittimo' 

in quanto era associato ai riti di fertilità.

Da 3mila anni sono in molti ad attendere il solstizio d'inverno 

nelle Stonehenge d'Italia. La data del prossimo appuntamento

è il 21 dicembre 2016 alle ore 10.44.

 
 
 

In Norvegia....

Post n°1913 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

 Fonte: Le Scienze
  • Il villaggio norvegese che è diventato il paradiso dei lettori

Il villaggio norvegese che è diventato il

paradiso dei lettoriA Mundal, tra i fiordi

norvegesi, ci sono più libri che abitanti

Tra i fiordi norvegesi c'è un villaggio fatto

di case colorate di legno che è considerato 

il paradiso dei lettori.

È Mundal, soprannominato il villaggio dei libri,

"The Norwegian booktown". Conta solamente

 280 abitanti, ma in tutta la cittadina ci sono

ben 150mila libri. Nuovi oppure usati, a Mundal

si trova ogni sorta di volume.

E tante sono le librerie, così come le bancarelle

che vendono libriallineate come una cartolina

lungo le rive dell'imponenteSognefjord, il più

lungo e profondo fiordo della Norvegia, alle

spalle del quale si trova il ghiacciaio 

Jostedalsbreen, il più grande d'Europa

situato nell'entroterra.

In città hanno iniziato a riempire gli scaffali

con i primi libri usati vent'anni fa.

E da lì è stato un crescendo. Oggi si trovano 

libri nelle caffetterie del villaggio, come il

Kaffistova, nelle gallerie d'arte e anche nei

negozi di souvenir. E dire che, fino a pochi

anni fa, questo abitato, che ha origini vichinghe,

basava la propria economia esclusivamente

sull'agricoltura. Oggi il turismo fa la sua parte.

Grazie alla fama portata dai suoi libri, i visitatori

hanno scoperto che Mundal è il luogo perfetto

per visitare i fiordi, il ghiacciaio, ma anche il

parco nazionale e la riserva naturale di Bøyaøyri,

un estuario dove vivono all'incirca cento specie

di uccelli differenti.

Nel 1991 è stato aperto il Norwegian Glacier

Museum, un edificio avveniristico progettato

dall'architetto Sverre Fehn e che oggi conta

migliaia di visitatori. All'interno ospita anche

il Centro Climatico Ulltveit-Moe.

Lo si può visitare da aprile a ottobre.

Invece, il periodo migliore per godere al meglio

di Mundal è tra maggio e giugno, quando inizia

a fare un po' più caldo e le giornate sono più lunghe.

In questo periodo anche i negozi aprono i loro

dehor e vengono allestite bancarelle di libri.

Inoltre, è il periodo in cui si svolge l'annuale 

Solstice Book Fair. Bisogna affrettarsi a prenotare,

però, perché nel villaggio c'è solo un hotel, lo

storico Hotel Mundal, completamente fatto di

legno, che è qui fin dal 1891. Se non trovate una

camera, almeno visitate il suo bar Uncle Mikkel,

che prende il nome da una guida escursionistica

che guidava i turisti sul ghiacciaio.

D'estate si può raggiungere Mundal con il traghetto

che collega il villaggio a Balestrand/Hella, a Flåm e

Bergen.

 
 
 

Altre notizie....

Post n°1912 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
11 febbraio 2019

La recessione economica e i suoi effetti sulla mortalità

Nelle nazioni europee in cui la recessione

economica iniziata nel 2007-2008 è stata

più dura, il calo della mortalità è accelerato:

l'effetto probabilmente è dovuto al minor

inquinamento e al più basso numero di

incidenti stradali e sul lavoro.

In controndendenza l'Italia, in cui la crisi si

è accompagnata a una variazione lieve nella

diminuzione di mortalità su base annua: dal

2 per cento nel periodo 2000-2007 all'1,7 per

cento nel periodo 2007-2010.

economiasocietàepidemiologia

I periodi di recessione economica, come

quello innescato nel 2008 dalla crisi dei

mutui subprime degli Stati Uniti, hanno

un profondo impatto sulla società nel suo

complesso e sulla salute dei cittadini.

E fra i principali indicatori di salute c'è la

mortalità, cioè il numero di decessi annuo

in rapporto al numero di abitanti.

Di primo acchito si potrebbe pensare che

la mortalità aumenti nei periodi di crisi.

Invece, sorprendentemente, può essere

vero il contrario, come è emerso da 

uno studio pubblicato su "Nature Communications"

 da un gruppo di ricercatori del Barcelona Institute

for Global Health (ISGlobal) che hanno

analizzato i dati di 140 regioni in 15 paesi

europei nel periodo 2000-2010, confrontandoli

con quelli relativi alle variazioni del prodotto

interno lordo.

Gli studiosi spagnoli hanno scoperto che molte

nazioni hanno visto diminuire il numero di decessi

annui, e che questo trend non si è fermato, ma

è invece andato accelerando, in molti casi a

partire proprio dal 2007-2008. 

Ancora più significativo è che questa tendenza

alla riduzione della mortalità sia stata più evidente

nelle regioni in cui la recessione si è fatta sentire

in modo particolarmente drammatico.

Per esempio, in Spagna, dove la crisi è stata

molto dura, la mortalità è diminuita dell'1,8 per

cento all'anno tra il 2000 e il 2007, e del 3 per

cento all'anno tra il 2007 e il 2010. In Germania,

dove la recessione è stata più breve e meno

grave, i tassi annualizzati di diminuzione della

mortalità sono stati del 2,4 per cento e dello

0,7 per cento nei due periodi pre crisi e post crisi,

rispettivamente.

In controtendenza invece i dati dell'Italia, in

cui la crisi economica si èaccompagnata a una

variazione lieve nella diminuzione di mortalità

tra i due periodi considerati: da 2 per cento

a 1,7 per cento, rispettivamente.

Tuttavia, al di là dei trend pre-crisi e post-crisi,

va tenuto presente che ci sono cicli economici di

lungo periodo che possono essere determinanti

per i parametri di salute.

A questo riguardo lo studio ha mostrato che

le differenze tra una nazione e l'altra sono state

enormi. Per esempio, il prodotto interno lordo

sull'intero periodo 2000-2010 è aumentato

in tutti i paesi, a volte in misura consistente,

come nel caso di Polonia (+4,7 per cento/anno)

e Repubblica Ceca (+3,3 per cento/anno), e altre

volte in misura lieve, come nel caso della Germania

(+1,1 per cento/anno) e della Spagna

(+0,8 per cento). Unica eccezione l'Italia, in cui

il prodotto interno lordo è diminuito in media

dello 0,2 per cento/anno nello stesso periodo.

In definitiva, il quadro è a pelle di leopardo:

in circa metà dei paesi (Danimarca, Spagna,

Croazia, Lussemburgo, Polonia e Slovenia) la

maggiore diminuzione nella mortalità si è avuta

nei periodi di recessione, mentre negli altri paesi

(Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania,

Francia, Italia, Paesi Bassi Portogallo e Regno

Unito) nei periodi di espansione economica.

Ma quale può essere l'interpretazione che

spiega la correlazione tra recessione economica

e mortalità? "I periodi di recessione macroeconomica

sono associati a livelli più bassi di inquinamento e

minori incidenti sul lavoro e sulle strade: questi

sono i fattori che con maggiore probabilità hanno

influenzato l'accelerazione del declino della

mortalità", ha spiegato Joan Ballester, ricercatore

dell'ISGlobal e primo autore dello studio.

"Inoltre, il consumo di alcool e tabacco diminuisce,

così come la prevalenza di stili di vita sedentari e

obesità; anche se il meccanismo non è ancora

compreso pienamente, i risultati di alcuni studi

puntano anche su altri fattori, come lo stress

lavorativo e il fatto che le abitudini salutari richiedono

tempo, che spesso invece manca alle persone

impegnate in un lavoro a tempo pieno".

Lo studio ha anche preso in considerazione una

possibile influenza delle temperature sui trend

osservati. L'analisi statistica ha rivelato che la

correlazione tra variazioni nel prodotti interno

ordo e mortalità era più accentuata durante i

mesi più freddi dell'anno: ciò indica che le cause

di morte possono dipendere in qualche misura

dalla stagione.

"Certamente, la recessione non è un metodo

desiderabile per aumentare l'aspettativa di vita",

ha concluso Ballester. "Dobbiamo far sì che i periodi

di espansione economica siano anche caratterizzati

da una migliore qualità dell'aria, meno incidenti e

stili di vita più salutari".

 
 
 

Le origini della cultura megalitica in Europa.

Post n°1911 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
12 febbraio 2019

L'analisi comparata delle datazioni di oltre

2000 dei 35.000 megaliti diffusi in tutta

Europa e delle loro caratteristiche costruttive

indica che la tradizione megalitica ha avuto

origine nella Francia nord occidentale per

poi diffondersi lungo rotte marittime.

La scoperta smentisce sia l'ipotesi che la

cultura megalitica provenisse dal Vicino

Oriente, sia quella di una sua nascita

indipendente nelle diverse regioni

archeologiaLa cultura dei megaliti europea

sarebbe nata verso la metà del V millennio a.C.

nella Francia nord occidentale per poi diffondersi

sulle coste atlantiche del continente e del

Mediterraneo lungo rotte marittime.

Il risultato - ottenuto dalla ricercatrice

all'Università di Göteborg, in Svezia,

Bettina Schulz Paulssonin, e illustrato

 sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" 

- smentisce entrambe le principali teorie

finora in campo sulla storia dell'edificazione

di queste strutture.


Le origini della cultura megalitica in EuropaI

l Dolmen di Sa Coveccada in Sardegna.

(Cortesia Bettina Schulz Paulsson)

Fra menhir, dolmen, cerchi di pietre, allineamenti

e altri edifici o templi megalitici, in tutta Europa

sono note circa 35.000 strutture di questo tipo,

la maggior parte delle quali risale al Neolitico e

all'età del Rame e si concentra nelle zone costiere.

Queste strutture megalitiche condividono tutte

caratteristiche architettoniche simili se non

spesso addirittura identiche; per esempio,

l'orientamento delle tombe è costantemente

orientato verso est o sud-est, nella direzione

da cui sorge il sole. Ciò ha indotto gli archeologi,

fin dalla metà del XIX secolo, a ritenere che la

loro costruzione fosse legata a una religione

che si sarebbe diffusa dal Vicino Oriente prima

nel Mediterraneo e quindi sulle coste atlantiche

della Spagna, della Francia e della Gran Bretagna,

a seguito della migrazione di membri della casta

sacerdotale.

Questa ricostruzione resistette incontrastata

fino ai primi anni settanta del secolo scorso,

quando le prime datazioni al radiocarbonio la

misero fortemente in dubbio, portando la maggior

parte degli studiosi verso l'ipotesi di una nascita

indipendente nelle diverse regioni e imputando

le somiglianze alla relativa "semplicità" delle

strutture architettoniche.

Da allora le datazioni al radiocarbonio dei megaliti

si sono moltiplicate a dismisura, ma senza che

si tentasse di tracciare un quadro cronologico

complessivo su cui testare l'ipotesi della nascita

indipendente.

Le origini della cultura megalitica in Europa

Tomba megalitica a Haväng, in Svezia.

(Cortesia Bettina Schulz Paulsson)

Ora Bettina Schulz Paulssonin ha analizzato

2410 datazioni al radiocarbonico relative a siti

megalitici e pre-megalitici e a siti non megalitici

coevi di tutta Europa.

L'analisi ha mostrato che le prime strutture -

piccole costruzioni chiuse o dolmen realizzati

con lastre di pietra solo in superficie e coperti

da un cumulo di terra o di pietra - sono emerse

nella seconda metà del quinto millennio a.C.

(la struttura più antica è databile fra il 4794 e

il 4770 a.C.), diffondendosi nel giro di 200 o 300

anni dalla Francia nord occidentale alle isole del

Canale, alla Catalogna, alla Francia sud

occidentale fino alla Corsica e alla Sardegna.

A questa prima ondata sono poi seguite altre

due principali, rispettivamente fra il 4000 e il

3500 a.C. e nel mezzo millennio successivo,

caratterizzate da altrettante variazioni strutturali

delle costruzioni megalitiche, che hanno portato

alla massima diffusione di questa cultura.

L'ultimo episodio di espansione, minore, si verificò

infine fra il 2500 e il 1200 a.C. con la comparsa di

megaliti alle Baleari, in Sicilia e in Puglia. Strutture

di questo periodo si trovano anche in Sardegna,

che però era stata interessata in misura molto

significativa anche dalle espansioni precedenti.

 
 
 

Nel DNA moderno, antiche tracce

Post n°1910 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Antichi fantasmi umani nel DNA moderno

Antichi fantasmi umani nel DNA moderno 

(© Arco Images / AGF)

Con l'aiuto di tecniche di apprendimento

profondo, i paleoantropologi hanno trovato

prove di rami perduti da tempo sul nostro

albero genealogico, identificando alcuni

eventi potenziali di incroci e di ibridazioni

tra specie umane estinte e lontani antenati

della nostra speciedi Jordana Capelewicz/

QuantaMagazineL'apprendimento profondo

potrebbe aiutare paleontologi e genetisti

a cercare fantasmi?

Quando gli esseri umani moderni migrarono

per la prima volta dall'Africa 70.000 anni fa,

almeno due specie affini, ormai estinte, li

stavano già aspettando sul continente

eurasiatico. Erano i Neanderthal e i Denisoviani,

esseri umani arcaici che si sono incrociati con

quei primi moderni, lasciando frammenti del loro

DNA nei genomi delle persone di origine non

africana.

Ma ci sono sempre più indizi di una storia

ancora più contorta e colorita: la scorsa estate,

per esempio, un gruppo di ricercatori ha riferito

su "Nature" che un frammento osseo trovato

in una grotta siberiana apparteneva alla figlia

di una donna Neanderthal e di un uomo

Denisoviano. La scoperta è la prima prova

fossile di un ibrido umano di prima generazione.

Antichi fantasmi umani nel DNA moderno

Cranio di Neanderthal al Neanderthal Museum

di Mettmann, in Germania.

(© Arco Images / AGF)Purtroppo, è molto raro

trovare fossili del genere (la nostra conoscenza

dei Denisoviani, per esempio, si basa sul DNA

estratto da un osso di un dito).

Molti altri accoppiamenti ancestrali avrebbero

potuto verificarsi facilmente, compresi quelli che

coinvolgono gruppi ibridi provenienti da incroci

precedenti, che però potrebbero essere praticamente

invisibili quando se ne cercano prove fisiche.

Gli indizi della loro esistenza possono invece

sopravvivere nel DNA di alcune persone, ma 

in questo caso potrebbero essere più

sfuggenti delle tracce genetiche lasciate

dai Neanderthal e dai Denisoviani.

I modelli statistici hanno aiutato gli scienziati

a dedurre l'esistenza di un paio di queste

popolazioni anche in assenza di dati fossili:

secondo una ricerca pubblicata a fine 2013,

per esempio, modelli di variazione genetica

negli esseri umani antichi e moderni indicano

che una popolazione umana sconosciuta si

è incrociata con i Denisoviani (o con i loro

antenati). Ma gli esperti ritengono che questi

metodi trascurino inevitabilmente molte cose.

Chi altri ha contribuito ai genomi di oggi?

Che aspetto avevano queste cosiddette

popolazioni fantasma, dove vivevano e con

quale frequenza interagivano e si accoppiavano

con altre specie umane?

In un articolo pubblicato il mese scorso

 su "Nature Communications", i ricercatori hanno

mostrato il potenziale di tecniche di apprendimento

profondo per aiutare a colmare alcune lacune, di

cui gli esperti potrebbero non essere nemmeno

a conoscenza. Hanno usato l'apprendimento

profondo per scandagliare le prove dell'esistenza

di un'altra popolazione fantasma: un antenato

umano sconosciuto in Eurasia, probabilmente

un ibrido Neanderthal-Denisoviani o un

parente della linea denisoviana.

Il lavoro suggerisce che in futuro l'intelligenza

artificiale potrà servire in paleontologia non

solo per identificare fantasmi imprevisti, ma

anche per scoprire le impronte molto sbiadite

dei processi evolutivi che hanno plasmato chi

siamo diventati.

Alla ricerca di esili tracce

I metodi statistici attuali prevedono l'esame

di quattro genomi alla volta per individuarne

i tratti comuni. È un test di somiglianza, ma

non necessariamente di antenati reali,

perché ci sono molti modi diversi di interpretare

le piccole quantità di miscela genetica che il

test trova. Per esempio, le analisi potrebbero

suggerire che un europeo moderno, ma non

un africano moderno, condivide alcune

caratteristiche con il genoma dei Neanderthal.

Ma ciò non significa necessariamente che quei

geni provengano da incroci tra i Neanderthal

e gli antenati degli europei.

Questi ultimi, per esempio, avrebbero potuto

invece incrociarsi con una popolazione diversa,

strettamente legata ai Neanderthal, non con

i Neanderthal stessi.

Non lo sappiamo. In assenza di prove fisiche

che indichino quando, dove e come sarebbero

vissute quelle antiche ipotetiche fonti di

variazione genetica, è difficile dire quale delle

tante possibili ascendenze sia la più probabile.

La tecnica, ha detto John Hawks, paleoantropologo

all'Università del Wisconsin a Madison, "è potente

per la sua semplicità, ma dal punto di vista della

comprensione dell'evoluzione lascia molti

punti irrisolti".

Antichi fantasmi umani nel DNA moderno

Collezione di crani sulla linea evolutiva umana

al Museo di storia naturale di Leida, nei Paesi Bassi.

(© agefotostock / AGF)Il nuovo metodo di

apprendimento profondo è un tentativo di fare

un passo avanti, cercando di spiegare livelli di

flusso genico che sono troppo piccoli per i normali

approcci statistici e offrendo una gamma molto più

vasta e complicata di modelli.

Attraverso l'addestramento, la rete neurale può

imparare a classificare vari modelli nei dati genomici,

basandosi sulle storie demografiche che hanno

maggiori probabilità di averli originati, ma senza

che chiarire in che modo ha stabilito quelle

connessioni.

Questo uso dell'apprendimento profondo può

svelare "fantasmi" di cui non si sospettava

neppure l'esistenza. Intanto, non c'è motivo

di pensare che Neanderthal, Denisoviani ed

esseri umani moderni fossero le uniche tre

popolazioni sulla scena. Secondo Hawks, ce

ne potevano benissimo essere decine.

Jason Lewis, antropologo della Stony Brook

University a New York, condivide questa opinione.

"La nostra immaginazione è stata limitata dalla

nostra attenzione alle persone viventi o ai fossili

che abbiamo trovato in Europa, Africa e Asia

occidentale", ha detto. "Quello che le tecniche

di apprendimento profondo possono fare, in

un modo peraltro strano, è riorientare le possibilità.

L'approccio non è più limitato dalla nostra

immaginazione".

Il valore reale delle storie simulate
L'apprendimento profondo potrebbe sembrare

una soluzione improbabile ai problemi dei

paleontologi, perché normalmente il metodo

richiede enormi quantità di dati per l'addestramento.

Prendete una delle sue applicazioni più comuni,

la classificazione di immagini. Quando gli esperti

addestrano un modello a identificare, per esempio,

le immagini dei gatti, hanno migliaia di foto con

cui possono addestrarlo e sanno se funziona

perché sanno come dovrebbe essere un gatto.

Ma la scarsità di dati antropologici e

paleontologici rilevanti disponibili ha forzato

i ricercatori che volevano usare l'apprendimento

profondo a fare i furbi, creando loro dei dati.

"In un certo senso abbiamo giocato sporco",

ha detto Oscar Lao, ricercatore al National

Center of Genomic Analysis di Barcellona e

uno degli autori dello studio. "Potevamo

ùusare una quantità infinita di dati per addestrare

il motore di apprendimento profondo per il semplice

fatto che stavamo usando simulazioni".

I ricercatori hanno generato decine di migliaia

di storie evolutive simulate, basate su diverse

combinazioni di dettagli demografici: numero

di popolazioni umane ancestrali, loro dimensioni,

quando differivano l'una dall'altra, loro tassi di

mescolanza e così via. Da queste storie simulate,

gli scienziati hanno generato un gran numero di

genomi simulati per le persone di oggi.

Hanno addestrato il loro algoritmo di

apprendimento profondo con questi genomi,

in modo che imparasse quali tipi di modelli

evolutivi hanno maggiori probabilità di produrre

determinati modelli genetici.

Antichi fantasmi umani nel DNA modernoNell'immagine la scritta "Xe" indica dove

dovrebbe essere avvenuto l'incrocio fra

umani moderni e una popolazione "fantasma"

secondo la ricostruzione delle antiche migrazioni

fatta dal sistema di intelligenza artificiale.

(Cortesia Mayukh Mondal, Jaume Bertranpetit,

Oscar Lao)Il gruppo ha quindi impostato l

'intelligenza artificiale in modo che fosse libera

di dedurre le storie che meglio si adattano ai

dati genomici reali. Alla fine, il sistema ha concluso

che all'ascendenza delle persone di origine

asiatica aveva contribuito anche un gruppo

umano non identificato in precedenza.

Secondo quei modelli genetici, probabilmente

quegli esseri umani erano una popolazione

distinta nata dall'incrocio di Denisoviani e

Neanderthal circa 300.000 anni fa oppure un

gruppo che discendeva dal lignaggio dei

Denisoviani subito dopo.

Non è la prima volta che l'apprendimento

profondo è stato usato in questo modo.

Una manciata di laboratori ha applicato metodi

simili per affrontare altri filoni delle indagini evolutive.

Un gruppo di ricerca, guidato da Andrew Kern

dell'Università dell'Oregon, ha usato un approccio

basato sulla simulazione e sulle tecniche di

apprendimento automatico per cogliere le

differenze nei vari modelli evolutivi delle specie,

esseri umani compresi. Kern e colleghi hanno

scoperto che la maggior parte degli adattamenti

favoriti dall'evoluzione non hanno bisogno

dell'emergere di nuove mutazioni benefiche

nelle popolazioni, ma dell'espansione di varianti

genetiche già esistenti.

L'applicazione dell'apprendimento profondo

"a queste nuove domande - ha detto Kern -

sta dando risultati entusiasmanti".

Dubbi e speranze
Naturalmente, ci vuole molta cautela.

Innanzitutto, se la storia evolutiva umana

reale non fosse stata simile ai modelli simulati

su cui sono addestrati questi metodi di

apprendimento profondo, allora i risultati

sarebbero errati. Questo è un problema che

Kern e altri hanno cercato di affrontare, ma

resta ancora molto da fare per fornire maggiori

garanzie di accuratezza.

"Penso che l'intelligenza artificiale sia

sopravvalutata nelle applicazioni alla genomica",

ha detto Joshua Akey, ecologo e biologo

evolutivo della Princeton University.

L'apprendimento profondo è uno strumento

nuovo e fantastico, ma è solo un altro metodo.

Non risolverà tutti i misteri e le complessità

dell'evoluzione umana".

Alcuni esperti sono ancora più scettici.

"Ritengo che la densità e la qualità dei dati

non siano molto adatte ad analisi che non

siano ben ponderate e basate su un'intelligenza

non artificiale", ha scritto in una mail David Pilbeam,

paleontologo della Harvard University e del

Peabody Museum.

Tuttavia, secondo altri paleontologi e genetisti,

è un buon passo avanti, qualcosa che potrebbe

essere usato per fare previsioni su possibili future

scoperte fossili e su variazioni genetiche attese

che dovrebbero essersi verificate tra gli esseri

umani migliaia di anni fa.

"Penso che l'apprendimento profondo darà

davvero una spinta alla genetica di popolazioni",

ha detto Lao.

E potrebbe essere così anche per altri campi

in cui disponiamo di dati, ma non conosciamo

il processo che li ha prodotti.

Nello stesso periodo in cui Kern e altri genetisti

di popolazioni e biologi evolutivi stavano

sviluppando tecniche di intelligenza artificiale

basate sulla simulazione per affrontare le loro

domande, i fisici facevano lo stesso per capire

come vagliare l'immensa mole di dati prodotti

dal Large Hadron Collider del CERN di Ginevra

e da altri acceleratori di particelle.

Anche la ricerca geologica e i metodi di

previsione dei terremoti hanno iniziato a

beneficiare di questo tipo di approcci di

apprendimento profondo.

"Dove porti, non lo so davvero. Vedremo",

ha detto Nick Patterson, biologo computazionale

al Broad Institute del Massachusetts Institute

of Technology e della Harvard University.

"Ma è sempre bello considerare nuovi metodi.

Useremo tutto quello che possiamo se

sembra essere buono per rispondere alle

domande a cui vogliamo rispondere."

---------------------------
(L'originale di questo articolo è stato

 pubblicato il 7 febbraio 2019 da QuantaMagazine.org,

una pubblicazione editoriale indipendente online

promossa dalla Fondazione Simons per migliorare

la comprensione pubblica della scienza.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

Computer Science

Post n°1909 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
09 febbraio 2019

Per una teoria generale delle reti neurali

Per una teoria generale delle reti neurali

I sistemi di intelligenza artificiale più avanzati

si basano sulle reti neurali, ispirate alle

connessioni tra i neuroni, il cui comportamento

è però in gran parte imprevedibile.

Nuovi studi teorici stanno cercando di sviluppare

le fondamenta teoriche per collegarne la

struttura ai compiti che devono svolgeredi

Kevin Hartnett/Quanta Magazine

computer scienceintelligenza artificiale

Quando progettiamo un grattacielo, ci

aspettiamo che funzionerà secondo le specifiche:

l'edificio sosterrà tanto peso e sarà in grado di

resistere a un terremoto di una certa intensità.

Ma per una delle tecnologie più importanti del

mondo moderno in realtà stiamo costruendo

alla cieca. Giochiamo con design diversi, armeggiamo

con diverse configurazioni, ma finché non

facciamo una sessione di test va non sappiamo

davvero cosa possono fare e dove falliranno.

Questa tecnologia è la rete neurale, che è alla

base dei sistemi di intelligenza artificiale più

avanzati di oggi. Le reti neurali si stanno muovendo

sempre di più verso aree cruciali della società:

determinano ciò che apprendiamo del mondo

attraverso i social media, aiutano i medici a

diagnosticare le malattie e influenzano persino

il tempo che passerà in prigione una persona

condannata per un reato.

Eppure "la migliore approssimazione a ciò che

sappiamo è che non sappiamo quasi nulla di

come funzionano effettivamente le reti neurali

e di come sarebbe una teoria davvero profonda",

ha detto Boris Hanin, matematico della Texas A&M

University e visiting scientist alla Facebook

AI Research, che studia le reti neurali.

Per una teoria generale delle reti neurali

Koma Zhang/Quanta Magazine Hanin paragona la

situazione allo sviluppo di un'altra tecnologia

rivoluzionaria: il motore a vapore.

Inizialmente, i motori a vapore non facevano molto

più che pompare acqua. Poi hanno mosso i treni, che

è forse il livello di sofisticazione raggiunto dalle reti

neurali. Quindi scienziati e matematici hanno

sviluppato una teoria della termodinamica, che

consente di capire esattamente che cosa sta

succedendo all'interno dei motori di qualsiasi tipo.

Alla fine, quella conoscenza ci ha portato sulla Luna.

"All'inizio c'era una grande tecnologia, che ha permesso

ottimi treni, poi c'è stato bisogno di un po' di

comprensione teorica per andare sulle navicelle

spaziali", ha detto Hanin.

All'interno dell'estesa comunità che si occupa dello

sviluppo di reti neurali, c'è un piccolo gruppo di

matematici ricercatori che sta cercando di costruire

una teoria delle reti neurali in grado di spiegare come

funzionano, per garantire che, se si costruisce una

rete neurale in un modo specifico, sarà in grado di

eseguire determinati compiti.

Questo lavoro è ancora nelle sue fasi iniziali, ma

nell'ultimo anno i ricercatori hanno prodotto vari

articoli che elaborano la relazione tra forma e

funzione nelle reti neurali.

Il lavoro fa ripartire le reti neurali dalle fondamenta.

Dimostra che molto prima di poter certificare che le

reti neurali possono guidare le automobili è

necessario dimostrare che possono moltiplicare.

La migliore ricetta per un cervello

Le reti neurali puntano a imitare il cervello umano

e un modo per pensare al cervello è che esso

funzioni accumulando astrazioni più piccole in

astrazioni più grandi.

La complessità del pensiero, in questa prospettiva,

viene quindi misurata dalla gamma di astrazioni più

piccole da cui è possibile attingere e dal numero di

volte in cui è possibile combinare le astrazioni di

livello inferiore in astrazioni di livello superiore,

come quando impariamo a distinguere i cani dagli

uccelli.

"Per un essere umano, imparare a riconoscere

un cane significa imparare a riconoscere quattro

soffici zampe", dice Maithra Raghu, una studentessa

di dottorato in informatica presso la Cornell University

e membro di Google Brain. "Idealmente, vorremmo

che le nostre reti neurali facessero lo stesso tipo di cose."

L'astrazione è naturale per il cervello umano.

Le reti neurali devono lavorare per arrivarci.

Come nel cervello, le reti neurali sono costituite da

blocchi chiamati "neuroni" che sono collegati in vari modi.

(I neuroni di una rete neurale sono ispirati ai neuroni

nel cervello ma non li imitano direttamente).

Ogni neurone può rappresentare un attributo o una

combinazione di attributi, che la rete prende in

considerazione a ogni livello di astrazione.

Per una teoria generale delle reti neurali

Le reti neurali si ispirano alle reti di neuroni,

ma non li imitano direttamente

(Science Photo Library RF / AGF) Quando

uniscono questi neuroni, i progettisti hanno

molte scelte da fare. Devono decidere quanti

strati di neuroni dovrebbe avere la rete (vale

a dire quanto dovrebbe essere "profonda").

Si pensi, per esempio, a una rete neurale che

ha il compito di riconoscere oggetti nelle immagini.

L'immagine entra nel sistema al primo livello.

Al livello successivo, la rete potrebbe avere

neuroni che rilevano solo i bordi dell'immagine.

Lo strato ancora successivo combina le linee

per identificare le curve nell'immagine.

Quindi il livello seguente combina le curve in

forme e trame, e il livello finale elabora le

forme e le trame per giungere a una conclusione

su ciò che sta guardando: un mammut lanoso!

"L'idea è che ogni livello combini aspetti diversi

del livello precedente. Un cerchio è un insieme

di curve in molti posti diversi, una curva è un

insieme di linee in molti posti diversi", dice

David Rolnick, matematico dell'Università

della Pennsylvania.

I progettisti devono anche decidere la "larghezza"

di ogni strato, che corrisponde al numero di diverse

caratteristiche che la rete prende in esame a ogni

livello di astrazione. Nel caso del riconoscimento

dell'immagine, la larghezza dei livelli sarebbe il

numero di tipi di linee, curve o forme che esamina

in ogni livello.

Oltre alla profondità e alla larghezza di una rete,

ci sono anche delle scelte su come connettere i

neuroni all'interno dei livelli e tra di essi, e quanto

peso dare a ogni connessione.

Quindi, se si ha in mente un compito specifico,

come si fa a sapere quale architettura di rete

neurale lo realizzerà al meglio?

Ci sono alcune regole generali.

Per le attività relative alle immagini, i progettisti

utilizzano tipicamente reti neuronali "convoluzionali",

che presentano lo stesso schema di connessioni

tra gli strati ripetuti più volte.

Per l'elaborazione del linguaggio naturale - come

il riconoscimento vocale o la generazione di linguaggio

- i progettisti hanno scoperto che le reti neurali

"ricorrenti" sembrano funzionare meglio.

In queste, i neuroni possono essere collegati a

strati non adiacenti.

A parte queste linee guida generali, tuttavia, ci si

deve afidare in gran parte a prove sperimentali:

si fanno girare 1000 diverse reti neurali e si

osserva quale svolge il compito.

"Nella pratica, queste scelte sono spesso fatte

per tentativi ed errori", dice Hanin.

"È un approccio un po' complesso perché ci sono

infinite scelte e in realtà non si sa quale sia il migliore".

Un approccio migliore comporterebbe un po' meno

tentativi ed errori e una comprensione un po' più

anticipata di ciò che fornirà una determinata

architettura di rete neurale.

Alcuni articoli pubblicati di recente hanno spostato

il campo di ricerca in questa direzione.

"Questi lavori cercano di sviluppare una sorta di

ricettario per progettare la rete neurale giusta.

Se sai che cosa vuoi ottenere dalla rete, ecco la

ricetta per quella rete", dice Rolnick.

Legare una pecora rossa

Una delle prime importanti verifiche teoriche

sull'architettura delle reti neurali risale a tre decenni fa.

Nel 1989, gli informatici hanno dimostrato che se

una rete neurale ha un singolo livello computazionale,

ma si consente a uno strato di avere un numero

illimitato di neuroni, con connessioni illimitate tra

di loro, la rete sarà in grado di svolgere qualsiasi

compito si possa chiederle.

È stata una dichiarazione generale che si è r

ivelata abbastanza intuitiva e non così utile.

È come dire che se si può identificare un numero

illimitato di linee in un'immagine, si può distinguere

tra tutti gli oggetti usando solo un livello.

Questo può essere vero in linea di principio,

ma è ben difficile tradurlo in pratica.

Per una teoria generale delle reti neurali

Schema di progettazione di una rete neurale

(in inglese) (Lucy Reading-Ikkanda/Quanta Magazine)

I ricercatori oggi descrivono reti così ampie e

piatte come "espressive", vale a dire che sono

capaci in teoria di catturare un insieme più ricco

di connessioni tra i possibili input (come un'immagine)

e gli output (come le descrizioni dell'immagine).

Tuttavia queste reti sono estremamente difficili

da addestrare, il che significa che è quasi

impossibile insegnare loro come  produrre

realmente questi output. Dal punto di vista

computazionale, inoltre, sono anche più

impegnative di quanto potrebbe gestire

qualunque computer.

Più di recente, i ricercatori hanno cercato

di capire fino a che punto possono spingere

le reti neurali nella direzione opposta,

rendendole più strette (con meno neuroni

per strato) e più profonde (con più strati

complessivamente). Può darsi che basti scegliere 

solo 100 linee diverse, ma dotate di connessioni,

per trasformare quelle 100 linee in 50 curve,

che poi è possibile combinare in 10 diverse

forme, che danno tutti gli elementi costitutivi

necessari per riconoscere la maggior parte

degli oggetti.

In un articolo completato l'anno scorso,

Rolnick e Max Tegmark del Massachusetts

Institute of Technology hanno dimostrato che

aumentando la profondità e diminuendo la

larghezza, è possibile eseguire le stesse

funzioni con un numero di neuroni esponenzialmente i

nferiore.

Hanno dimostrato che se la situazione

che si sta modellizzando ha 100 variabili di

input, è possibile ottenere la stessa affidabilità

usando 2100neuroni in uno strato o solo 210

 neuroni distribuiti su due livelli.

Hanno scoperto la potenzialità che c'è nel

prendere piccoli pezzi e combinarli a livelli

più alti di astrazione invece di tentare di

catturare tutti i livelli di astrazione

contemporaneamente.

"La nozione di profondità in una rete neurale

è legata all'idea che puoi esprimere qualcosa

di complicato facendo molte cose semplici in

sequenza", dice Rolnick. "È come una catena

di montaggio."

Rolnick e Tegmark hanno dimostrato l'utilità

della profondità chiedendo alle reti neurali

di svolgere un compito semplice: moltiplicare

le funzioni polinomiali.

(Queste sono equazioni che presentano

variabili elevate a esponenti che sono numeri

naturali, per esempio y = x3 + 1).

Hanno addestrato le reti mostrando loro

esempi di equazioni e dei loro prodotti.

Quindi hanno chiesto alle reti di calcolare i

prodotti delle equazioni che non avevano

mai visto prima. Le reti neuronali più profonde

hanno appreso il compito con molti meno neuroni

di quelle meno profonde.

Anche se la moltiplicazione non è un compito

che rivoluzionerà il mondo, Rolnick afferma

che l'articolo ha segnato un punto importante:

"Se una rete poco profonda non può nemmeno

fare un moltiplicazione, non dovremmo

fidarcene per nient'altro".

Altri ricercatori hanno studiato la quantità

minima di larghezza necessaria. Alla fine di

settembre, Jesse Johnson, già matematico

dell'Oklahoma State University e ora ricercatore

presso la casa farmaceutica Sanofi, ha dimostrato

che a un certo punto nessuna profondità può

compensare la mancanza di larghezza.

Per avere un'idea del suo risultato, immaginiamo

delle pecore in un campo.

Tuttavia, si tratta di pecore punk-rock: la loro

lana è stata tinta in diversi colori.

Il compito della nostra rete neurale è tracciare

una linea attorno a tutte le pecore dello

stesso colore.

In sostanza, questo compito è simile alla

classificazione delle immagini: la rete ha una

raccolta di immagini (che rappresenta come

punti nello spazio di dimensione superiore)

e ha bisogno di raggruppare quelle simili.

Johnson ha dimostrato che una rete neurale

fallirà in questo compito quando la larghezza

degli strati è inferiore o uguale al numero di input.

Quindi, riguardo alle nostre pecore, ciascuna

può essere descritta con due input: una x e

una y per specificare la sua posizione nel

campo. La rete neurale etichetta dunque

ogni pecora con un colore e traccia un bordo

attorno alle pecore dello stesso colore.

In questo caso, ci sarà bisogno di tre o più

neuroni per strato per risolvere il problema.

Più nello specifico, Johnson ha dimostrato

che se il rapporto larghezza-variabile è

sbagliato, la rete neurale non sarà in grado

di definire cicli chiusi, il tipo di cicli che avrebbe

bisogno di definire se, per esempio, tutte le

pecore rosse fossero raggruppate insieme al

centro del pascolo. "Se nessuno degli strati

è più spesso del numero di dimensioni di input,

ci sono alcune forme che la funzione non

sarà mai in grado di creare, indipendentemente

dal numero di livelli che si aggiungono",

ha detto Johnson.

Articoli come quello di Johnson stanno

iniziando a costruire i rudimenti di una

teoria delle reti neurali. Al momento, i ricercatori

possono fare solo affermazioni molto basilari

sulla relazione tra architettura e funzione e

queste affermazioni sono una piccola parte

rispetto al numero di compiti che le reti neurali

stanno affrontando.

Quindi, anche se la teoria delle reti neurali

non cambierà di colpo il modo in cui vengono

costruiti i sistemi, si stanno elaborando i

progetti per una nuova teoria su come

imparano i computer: una teoria che potrebbe

avviare l'umanità lungo un percorso con

ripercussioni ancora maggiori del viaggio sulla Luna.

(L'originale di questo articolo è stato 

pubblicato il 31 gennaio 2019 da QuantaMagazine.org,

una pubblicazione editoriale indipendente online

promossa dalla Fondazione Simons per migliorare

la comprensione pubblica della scienza.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

Computer Science.

Post n°1908 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte Le Scienze

07 dicembre 2018

Una simulazione al computer contro la mafia

Comunicato stampa - Ricercatori del Cnr-Istc

hanno sviluppato un modello virtuale sul

fenomeno malavitoso del pizzo, analizzando

e riproducendo la realtà di Palermo.

I risultati, pubblicati su Complexity, potrebbero

aiutare a individuare strategie efficaci nella

lotta alla mafia. Lo studio è stato realizzato

nell'ambito del progetto europeo Gloders sui

meccanismi di estorsionedi CNR

computer sciencescienze forensi

Roma, 7 dicembre 2018 -

Studiare in un laboratorio virtuale le dinamiche

che regolano la criminalità organizzata, e

utilizzare i risultati per elaborare nuove strategie

contro la mafia. È l'obiettivo di un recente

modello informatico sviluppato dall'Istituto di

scienze e tecnologie della cognizione del

Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-che

utilizza gli strumenti della simulazione sociale

per riprodurre al computer fenomeni complessi.

Lo studio, pubblicato su Complexity, è stato

realizzato nell'ambito del progetto europeo

Gloders, coordinato dall'Università del Surrey

in Gran Bretagna, che ha studiato i meccanismi

e le dinamiche di racket a livello europeo.

In Italia, i ricercatori del Laboratory of Agent-

Based Social Simulation (Labss) del Cnr-Istc si

sono concentrati sul pizzo, la forma di estorsione

con cui in Italia i proprietari di attività commerciali

sono costretti a versare una parte dell'incasso

alla mafia in cambio di 'protezione'.

Un'attività che, secondo Confcommercio, solo

in Sicilia porta alla criminalità organizzata oltre

un miliardo di euro all'anno, con una media del

70% dei commercianti coinvolti.

Il modello riproduce la realtà della città di Palermo:

a partire da fonti storiche e da interviste con

studiosi e magistrati, gli scienziati hanno

riprodotto virtualmente i meccanismi alla base

della raccolta del pizzo nel capoluogo siciliano.

"Abbiamo identificato quali attori principali del

modello i mafiosi, i commercianti, i cittadini, lo

Stato e le associazioni non governative come

Addiopizzo, da anni in prima linea contro la

criminalità organizzata in Sicilia, e che ha

condiviso la sua esperienza con i partner del

progetto Gloders", racconta Giulia Andrighetto

del Cnr-Istc, che ha coordinato lo sviluppo del

modello. "Confrontando i risultati di questo

esperimento artificialecon i dati reali raccolti a

partire dagli anni '80 a Palermo, è emersa una

corrispondenza tra modello simulativo e realtà".

I ricercatori hanno quindi utilizzato la simulazione

al computer per testare due linee di intervento

di contrasto alla mafia: una autoritaria e una dal

basso. "Nel primo approccio, ispirato alle strategie

di lotta alla mafia realmente messe in atto dallo

Stato a partire dagli anni '80, vengono intensificati

il controllo della polizia e applicate pene più severe

in tribunale: una strategia efficace ma costosa e

poco adattabile a eventuali cambiamenti interni

della mafia", continua Andrighetto.

Il secondo approccio, tipico delle associazioni

non governative, prevede invece una serie di

campagne di sensibilizzazione dei cittadini per 

renderli più coscienti dei danni economici ed etici

causati dalla mafia. "Anche in questo caso la

strategia si rivela solparzialmente efficace:

si verifica un notevole aumento delle denunce

di estorsione, seguito però da azioni di vendetta

e ritorsione da parte della mafia contro chi si

rifiuta di pagare, senza che ci sia una protezione

adeguata messa in atto dallo Stato.

Una raccomandazione di policy che emerge da

questo lavoro è che lo Stato deve assicurare

che le iniziative di cambiamento sociale dal basso

siano sostenute da un'azione legale e che tale

linea di intervento integrata sia portata avanti

fino a che il fenomeno non viene estirpato",

osserva la ricercatrice Cnr.

Il modello simulativo ha permesso così di

visualizzare 'in vitro' gli effetti di diverse strategie

di contrasto alla criminalità organizzata.

"Questo approccio computazionale può essere

applicato anche ad altri ambiti della criminalità,

per valutare i costi e l'efficacia degli interventi di

contrasto alle mafie e promuovere la diffusione di

norme sociali che favoriscano una cultura della

legalità", conclude Andrighetto. "In quest'ottica

siamo attualmente coinvolti nel progetto europeo

'Proton', coordinato dall'Università Cattolica di

Milano, dove stiamo sviluppando un modello per

capire i meccanismi di reclutamento nella

criminalità organizzata e nelle reti terroristiche".

 
 
 

Computer Science...

Post n°1907 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
21 dicembre 2018

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

Stabilire se un paziente con una lesione

cerebrale è consapevole di se stesso o

dell'ambiente è un compito complesso,

anche a causa delle incertezze sulla reale

natura della coscienza. Un algoritmo di

apprendimento automatico usa i tracciati

dell'EEG per calcolare le probabilità che

un paziente in coma si risvegli, ma il suo

utilizzo solleva diversi interrogatividi Sam Rose

/ Scientific AmericanLa coscienza è un'idea

particolare, anche misteriosa. Da un chilo e

mezzo di carne emerge la consapevolezza

del corpo che la ospita e del mondo che la

circonda.Tutti noi riconosciamo la coscienza

quando la vediamo, ma che cos'è veramente?

E dove va quando non c'è più?Le neuroscienze

non hanno gli strumenti per rispondere a

queste domande - se pure è possibile farlo -

ma in un ospedale i medici devono essere in

grado di stabilirne la presenza. Devono sapere

se un paziente con una lesione cerebrale è

consapevole di se stesso o dell'ambiente circostante.

Questa diagnosi per lo più è ancora fatta

con un semplice esame al capezzale.

Il paziente esegue i comandi? Sta gesticolando

o verbalizzando intenzionalmente, eccetera?


Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

© BSIP / AGFPer i pazienti sul limitare della coscienza,

non lucidi ma non comatosi, definire lo stato di

coscienza è difficile. Movimenti e suoni casuali

possono somigliare molto a quelli intenzionali.

La consapevolezza va e viene.

In molti casi, la posta in gioco con la diagnosi è

molto alta. Il paziente si trova in uno stato di

minima coscienza, dove c'è una certa probabilità di

guarigione, o il paziente è colpito da sindrome di

veglia aresponsiva, in cui le azioni sono ritenute

casuali e prive di intenzionalità e in cui c'è ben

poca speranza di recupero? Purtroppo, in ben il

40 per cento dei casi la diagnosi è problematica.

Considerata la posta in gioco, un studio da poco 

pubblicato sulla rivista "Brain"  cerca di dare ai

medici un piccolo aiuto.

L'articolo descrive in dettaglio un algoritmo di

apprendimento automatico che distingue la

sindrome di veglia aresponsiva dallo stato di

minima coscienza usando le registrazioni 

elettroencefalografiche (EEG).

Se fosse adottato, l'algoritmo ridurrebbe la

necessità di affidarsi a congetture per formulare

la diagnosi e probabilmente funzionerebbe meglio

della maggior parte dei medici umani.

Ma diagnosticare lo stato mentale con un

algoritmo solleva preoccupazioni etiche.

Fino a che punto ci sentiamo tranquilli ad

affidare una diagnosi di vita o morte a una

macchina, soprattutto pensando alla ben

scarsa chiarezza su cosa sia la coscienza?

L'idea di scrutare il cervello alla ricerca di

tracce di coscienza non è nuova.

Per decenni, i ricercatori hanno vagliato

la possibilità di usare tecniche di scansione

del cervello come la PET e la fMRI per studiare

il limite della coscienza.

In un importante studio del 2014, le scansioni

PET hanno dimostrato che in alcuni pazienti a

cui era stata diagnosticata (sbagliando) la sindrome

di veglia aresponsiva il cervello poteva rispondere

alle indicazioni. Inoltre, i pazienti con una PET attiva

avevano maggiori probabilità di ottenere un

recupero significativo.

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

© Science Photo Library / AGFQuesto risultato indica che

in caso di dubbi sullo stato di coscienza di un paziente

si dovrebbe ricorrere alle scansioni PET.

Queste scansioni, però, non sono disponibili in tutti

gli ospedali, e sono costose, soggette ad artefatti e

difficili da interpretare.

Un'alternativa più accessibile è l'elettroencefalografia,

in cui sensori elettrici sono collocati sul cuoio capelluto

del paziente per rilevare l'attività cerebrale attraverso

il cranio. L'EEG registra l'attività cerebrale sotto forma

di onde quando un numero sufficiente di neuroni si

attiva all'unisono. In una persona sana, queste onde

hanno frequenze prevedibili. Dopo una lesione

cerebrale, il loro schema è meno prevedibile.

Nel nuovo studio, un gruppo dell'ospedale Pitié-

Salpêtrière di Parigi ha effettuato registrazioni EEG

su 268 pazienti ai quali era stata diagnosticata la

sindrome di veglia aresponsiva o uno stato di

minima coscienza.

Gli EEG sono stati registrati prima e durante un

compito di ascolto progettato per rilevare l'elaborazione

cosciente dei suoni. Decine di aspetti dei dati sono

stati inseriti in un algoritmo di apprendimento

automatico chiamato DOC-Forest.

In questo complesso compito DOC-Forest si è

comportato piuttosto bene. Circa 3 casi su 4

sono stati diagnosticati correttamente.

(Nota: per valutare le prestazioni invece della

classica accuratezza, gli autori hanno usato una

metrica più sofisticata chiamata AUC. La AUC

tiene conto del tasso di falsi positivi, che in questo

caso ha conseguenze significative.)

Gli autori hanno  testato DOC-Forest anche in

scenari realistici, introducendo nei dati del rumore

casuale in modo da simulare l'effetto di possibili

differenze nelle procedure di raccolta dei dati.

Hanno considerato la diversa disposizione dei

sensori sul cranio, e hanno anche usato l'algoritmo

su un secondo gruppo di pazienti. DOC-Forest ha

dato sempre buoni risultati, fornendo valori di

prestazione simili.

Sotto un certo profilo, questo algoritmo di

apprendimento automatico rappresenta un

progresso significativo. I dati EEG sono complessi

e hanno molte dimensioni - tempo, frequenza,

condizioni di prova, posizione dei sensori, e via

discorrendo - che si sviluppano sul monitor

schermata dopo schermata.

In genere, i ricercatori si concentrano su una

manciata di caratteristiche di facile interpretazione,

per esempio la comparsa di una specifica onda

cerebrale durante l'attività di ascolto.

Questa focalizzazione sull'interpretazione

esclude però aspetti potenzialmente importanti

dei dati. L'apprendimento automatico non ha

questo pregiudizio umano a favore

dell'interpretabilità e della comunicabilità.

Si concentra solo sulla classificazione corretta

dei dati, che è tutto ciò che serve in

questo caso.

Un algoritmo per stabilire lo stato di coscienza

L'algoritmo messso a punto è in grado di

individuare negli EEG segnali difficilmente

identificabili da un essere umano

(© Science Photo Library / AGF)Se usato

nella pratica clinica, DOC-Forest potrebbe

essere uno strumento utile per un neurologo

alle prime armi, scandagliando le sinuose

tracce elettroencefalografiche e fornendo

le probabilità che il paziente abbia un certo

livello di coscienza, sfuggito al medico

inesperto durante i test al capezzale.

Qui però c'è un circolo vizioso.

L'algoritmo è addestrato su casi che i

neurologi umani hanno diagnosticato

proprio con test al capezzale.

Mentre il gruppo di Pitié-Salpêtrière ha

potuto seguire i pazienti per un certo

tempo così da ridurre al minimo gli errori

diagnostici, l'algoritmo associa comunque

solo i segnali EEG a quelle diagnosi al

capezzale, sia pure fatte da esperti.

Che cosa ci può però dire di una qualche

forma di coscienza che non sia rivelata

da nessuno di questi test, EEG o altro?

Teniamo a mente che in realtà non sappiamo

dove e come emerga la coscienza.

Al di fuori di quelle che sperimentiamo su noi

stessi, non abbiamo un'idea delle forme che

può assumere l'esperienza cosciente.

Si potrebbe sostenere che la nostra ridottissima

comprensione del problema significa che non

dovremmo ancora coinvolgere le macchine.

D'altra parte, non è chiaro se avremo mai

risposte soddisfacenti a queste domande.

Quindi, perché non lasciare che uno

strumento attentamente progettato,

come DOC-Forest, aiuti a prendere

decisioni nel quadro della nostra attuale

comprensione della coscienza? Non c'è

una risposta facile, ma la questione

probabilmente dovrebbe essere discussa

perché l'ora dell'uso quotidiano di questi strumenti si avvicina.

--------------------------
(L'originale di questo articolo è stato

 pubblicato su "Scientific American" il 18 dicembre 2018.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

 
 
 

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