come le nuvole
le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...
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Dei noiosissimi studi danteschi compiuti al liceo, quando ancora il Benigni non li aveva resi fascinosi, e la Divina Commedia veniva spiegata e recitata, da sputacchianti, vecchissimi, professori, in grado di rendere indigesto e mallopposo pure Sex and city, mi sono rimasti impressi, soprattutto, tre passaggi che hanno toccato qualcosa, nel mio mondo interiore, per cui sono restati, con me, per tutti questi anni, balenandomi, improvvisi, alla mente e sulle labbra, in momenti topici. Li ricordo anche perché, all’epoca, ci costringevano, noi poveri discenti, a “mandare a memoria” interi canti e poesie, circostanza che mi ha sempre fatto pensare che, se mai mi dovessero segrègare, privandomi di adeguati stimoli intellettuali, potrò sempre tenermi compagnia, rievocando scelti brani di Leopardi, Foscolo e similia. (sul perché dovrebbero rinchiudermi a Guantanamo, giuro, non ho alcun indizio) Il primo, dei tre passaggi, è quello in cui Dante scrive “… e come quei che, con lena affannata, uscito fuor del pelago à la riva, si volge à l’acqua perigliosa, e guata, così l'animo mio, che ancor fuggiva si volse a retro….”. Qui, secondo me, si affronta un particolare tipo di quiete, quella cioè che segue una tempesta, il “dopo”uragano. Più spesso, si pone attenzione alla suggestiva ed inquietante consapevolezza, che esista una quiete “prima” dello scatenarsi degli eventi…Sarebbe quel momento che, poi nel ricordo, ricostruisci come sereno, dove tutto procedeva liscio, in sequenze tranquille, com’è tipico della, ingiustamente vilipesa, routine. Subito prima dell’improvviso giungere della tromba d’aria di eventi che ti travolgono e sommergono, prima dei momenti spiacevoli e dolorosi, che ti lasciano boccheggiante, incredula su come sia possibile che, solo un attimo prima, tutto fosse pace… Tuttavia, dicevo, più psicologico ed ipnotico, è il pensiero dello stato d’animo che segue una tempesta, un pericolo, un cataclisma. Momento incredibile, in cui acquisti consapevolezza di essere ancora integra e viva, e respiri, stupita ed ansante, ripensando a come è stato fino a poco prima, e senti il bisogno di “rimirar” l’orrore, l’angoscia, da cui sei appena scampata, per poter apprezzare, ancora di più, la sopraggiunta quiete. Quella quiete, rassicurante e placida, che ti avvolge, e che ti appare più bella proprio perché arriva “dopo” che, come un naufrago in un mare stravolto, hai lottato contro gli eventi e sei approdata, alfine, sulla riva, al sicuro… Un po’ come il bianco, che si esalta perché esiste il nero, o il silenzio che diventa prezioso se contrapposto al frastuono, o il sonno dopo una veglia forzata, o la semplice assenza del dolore, gioia pura, se percepita dopo un mal di denti…
Ci sarebbero altre due espressioni dantesche di cui vorrei parlavi ma, l’acquisito, seppur precario, dono della sintesi, fà sì che li posponga ad altra, migliore, occasione… (ehii, un pò di contegno...si sentono, fin qui, i sospironi di sollievo…) |
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Sexy, no?
io, invece, ho sempre adorato Dante. sarà che mi suona ancora familiare? (come dicono i miei figli, io e lui parliamo lo stesso italiano. e non un complimento, è per sottolineare quanto io sia aniquata.:)
A proposito: il Pirata ha divaricato le due dita non per andare in bagno a mingere né perché volesse indicare approvazione nei tuoi confronti. Semplicemente, a forza di andare in barca, è diventato un palmipede.