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Mi riesce difficile dirlo, ma anch’io nel mio piccolo, ho sperimentato e sperimento l’esperienza incredibile di essere “Il Capo”. Ma chi è il capo? Io ho un concetto un po’ strambo della figura. In modo freddo e razionale, il capo è una persona che organizza altre persone in modo che la squadra possa rendere al massimo, secondo un obiettivo comune che ci si dà all’inizio. Diciamo che prima viene l’obbiettivo, poi si determina la squadra, poi ci si organizza e si verifica che tutto funzioni al meglio. Il capo è quello che si prende le responsabilità verso il mondo esterno, quello che si addossa le colpe se qualcosa non funziona, ma poi cerca di capire insieme agli altri perché e cosa non ha funzionato, e cerca insieme a loro un rimedio. È quello che è felice di spiegare ad un giovane come funziona e come può lavorare più sereno. È quello che nei momenti di tensione e difficoltà ha sempre la battuta inaspettata. E che gode se tutti si ride insieme prima di affrontare una questione spinosa. È quello che lascia il tempo ed il silenzio a ciascuno per poter arrivare a far crescere le proprie capacità, stando attento che nessuno resti indietro o che debba affrontare ostacoli troppo grossi per lui. È quello che mette a disposizione la propria esperienza a chi è più giovane. È quello che se uno dei suoi “ragazzi” poi fa carriera è felice e si gongola dei loro successi. È quello che non si arrabbia e non urla, ma affronta gli errori in modo meticoloso e cerca di correggerli uno ad uno insieme con gli altri. Il capo ha molte soddisfazioni quando i “suoi” ragazzi chiedono di lavorare ancora con lui, quando gli chiedono “Ma come si fa a diventare Il Capo come te?”, quando gli telefonano dopo mesi che non si lavora più insieme per sparare due cazzate, quando uno dei suoi ragazzi diventa account manager di un importante multinazionale, altri lo superano e diventano capi più importanti di lui. Forse è per questo che io non sono un vero capo. Perché la carriera la fa chi incolpa gli altri dei propri insuccessi, chi abbandona il gruppo a se stesso davanti alle difficoltà, chi urla dalla mattina appena arriva in ufficio fino alla sera quando se ne esce, dimostrando di avere “polso” davanti ai suoi superiori, chi lavora pensando solo ai suoi superiori e non a chi lavora per lui, chi mette gli uni contro gli altri, perché “divide et impera”, chi crede che il timore degli altri nei suoi confronti sia la chiave del successo, chi considera le altre persone come strumenti per il raggiungimento dei propri fini, chi usa le altre persone per sfogare le proprie frustrazioni, chi incolpa le altre persone di non avergli fatto ottenere una promozione, chi ha sempre ragione e gli altri sempre torto, chi conosce tutte le soluzioni lui e gli altri debbono solo metterle in pratica, chi… … ma va a rompere i coglioni da un’altra parte, và! Nella foto i magnifici nove di Columbia, al ristorante texano. Da sinistra: Johnny Shankee, Sandro, Ciccio, crisse, Francesco, Franz, Emilio, Andò, Ale. La foto è stata scattata dalla cameriera del post precedente.
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