Se ascolto l’ironia rannicchiata in fondo alle cose, essa si scopre lentamente. Strizzando un occhio piccolo e chiaro, dice: “Vivete come se...”
Nonostante le molte ricerche, tutta la mia scienza è qui.
Camus, Il rovescio e il diritto
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Credo che gli studiosi di integrazione e multiculturalismo abbiano trascurato un ambiente fondamentale, specchio di ogni civiltà cittadina: la metropolitana.
Con un giro nelle viscere della città-preferibilmente all’ora di punta- si può capire molto più della sua composizione sociale che in tre giornate di convegno indetto dalla Regione in una sala affrescata.
Nella metro di New York, schiacciata su una porta da una signora le cui gambe non bastavano a sostenerla, mi sono resa conto di quanto la popolazione americana sia obesa; in quella di Parigi, guardando le coppie, di come la Francia si più avanti in fatto di integrazione degli Stati Uniti. A Roma ho capito che i ragazzini sono uguali dappertutto: jeans con cavallo alle ginocchia, modi insolenti e imbranataggine con le coetanee.
Prendo la metropolitana di Napoli da oltre dieci anni, e in tutto questo tempo ho sempre avuto una buona angolazione su come si evolve la città. Qualcosa muta, qualcosa resta: le persone cambiano, la tendenza a viaggiare senza biglietto rimane immutata. Non solo ragazzi, ma anche rispettabili signore e distinti pensionati si imbarcano in sceneggiate improbabili per giustificare la loro mancanza di biglietto senza prendere una multa. I controllori hanno l’aria navigata di chi nella sua carriera ne ha viste di tutti i colori.
Se si prende la metropolitana la domenica mattina il panorama cambia. Non ci sono pendolari in trance diretti al lavoro o ragazzi assonnati che vanno a scuola: in generale è difficile trovare persone di apparente nazionalità italiana. Infatti la domenica è l’unico giorno libero delle persone immigrate, quindi la metro è piena di deliziose signore dell’Europa Orientale - in genere bionde naturali e truccate anni’80 -, famiglie dello Sri Lanka educate e vestite a festa, gruppi di ragazzi nordafricani che scherzano tra loro.
Le mie preferite sono le signore dell’Est, che sono sempre garbate e con il loro abbigliamento mi ricordano la mia infanzia; inoltre mi sembra abbiano una capacità di adattamento strabiliante rispetto agli altri immigrati, che tendono a restare nelle maglie della loro cultura d’origine.
La migliore è stata una signora che ho visto in azione all’uscita della metropolitana di piazza Museo.
A Napoli, non ho ben capito perché, non controllano i biglietti sul treno, ma ai varchi all’uscita della stazione. Domenica scorsa il controllore di turno ferma una signora di mezza età, chiaramente dell’Europa Orientale. Lei non sembra capire cosa voglia l’uomo; solo dopo una lunga scena di mimo tira fuori un biglietto spiegazzato. E non obliterato.
Con evidente soddisfazione, il controllore prende il blocchetto dei verbali. Segue un’altra scenetta per far capire alla signora che deve dare un documento. Il foglietto che tira fuori si rivela essere un documento di assistenza sanitaria nazionale.
Il controllore dà i numeri: ma come, questi vengono qua, gli diamo pure l’ospedale gratis, e non pagano nemmeno il biglietto? Comincia a scrivere rabbioso il verbale. Dal documento della signora risulta che è nata a Minsk: sentendo nominare la sua città, lei si illumina e annuisce.
Quando il controllore le chiede dove vive a Napoli lei risponde tristemente “Vedova”. Lui smette di scrivere, le chiede spiegazioni. A parole smozzicate e gesti ampi, vien fuori che quel giorno è l’anniversario della morte di suo marito, con il quale cinque anni prima era venuta in Italia. Il controllore si gratta la testa con la penna.
La signora, molto dignitosa, tiene la testa bassa e torce un fazzoletto. Interrogata, racconta che ha due figlie, una incinta e l’altra con un “marito cattivo”.
Il controllore è imbarazzato, si guarda intorno. Alla fine si decide: strappa la multa, oblitera il biglietto della signora e le raccomanda di fare attenzione. Lei ringrazia calorosamente, “Spaziba, spaziba”.
Superati i varchi, la signora raggiunge un’amica evidentemente in sua attesa.
Mentre la bacia sulle guance le dice:
“Marò e ch’agg’avut’ passà!”. Ovvero: Madonna, che ho passato. In perfetto napoletano.
Sempre in dialetto, le racconta la sceneggiata che ha appena sostenuto per scamparsi la multa.
Se non è integrazione questa.
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