Creato da jo_march1979 il 28/01/2007

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Di convegni e contegni

Post n°62 pubblicato il 04 Luglio 2007 da jo_march1979
 

Una decina di giorni fa ho partecipato per la prima volta ad un convegno di letteratura, ad Ischia. Un’esperienza interessante, più che per i risvolti accademici, per quelli umani: fuori dalle aule universitarie professori, dottori e dottorandi cambiano.

Il convegno si è svolto nel Castello Aragonese di Ischia, un posto a dir poco fiabesco. Organizzare in un luogo così bello un evento in cui numerosi relatori fanno variazioni infinite intorno ad uno stesso tema ha dei pro e dei contro. Da un lato si bendispongono i dottorandi cooptati  a partecipare per fare pubblico (se proprio tocca presenziare, meglio in un castello a  Ischia che in qualche lurida aula dell’Orientale). Dall’altro si rischia che i medesimi dottorandi cooptati, attraversando l’isola per giungere al convegno, vi arrivino con lo stesso brio dei galeotti verso le cave di pietra. O non arrivino proprio più, perché casualmente caduti nel mare trasparente di Ischia.

Una volta arrivati al convegno, si scopre che il dibattito di chiusura del giorno è stato anticipato all’inizio dei lavori. Ottima mossa per rompere il ghiaccio: costringere a parlare gente che non ha ancora capito perché è lì. La moderatrice si guarda intorno, invita a prendere la parola. Segue assordante silenzio. Lei comincia a guardare nella mia direzione, dicendo soavemente: “Invito a parlare anche chi si occupa di altre aree...- continua a guardarmi- ad esempio la letteratura araba...”. Pausa. Mi sentirei più osservata solo se avessi  una freccia fluorescente puntata verso la testa.

Mi tocca. Devo alzarmi e andare al microfono. In confronto a me i galeotti di cui sopra camminano facendo la coreografia di Singing in the rain. Biascico qualcosa.

Dopo qualche altra stentata domanda, il convegno ha ufficialmente inizio.

L’atmosfera è inizialmente sonnacchiosa, come in ogni conferenza che si rispetti. C’è però un interessante fenomeno: le sedie (da giardino, in plastica) tendono a schiantarsi a terra sotto il peso degli occupanti. Il primo a cadere è un tondo professore d’inglese che resta anche incastrato nei relitti della sedia (esattamente davanti a me). Pochi minuti la moderatrice elogia una professoressa: “Ringraziamo la prof. X”. Pramm! La prof. X precipita al suolo.

 Sarà questo il peso della cultura di cui si sente tanto parlare?

A quel punto temiamo tutti di schiantarci, per cui il convegno prosegue in un’atmosfera vigile: tutti monitorano l’equilibrio del proprio fondoschiena, adoperando incidentalmente l’alto livello di attenzione per ascoltare anche i relatori.

Dopo quattro ore di faticosi bilanciamenti sulle sedie, arriva il premio: cena su una terrazza del castello, a picco sul mare. Bello da togliere il fiato.

I gabbiani passeggiano sui tavoli. Le zanzare banchettano. I relatori torinesi si commuovono davanti ai pomodori al forno.

Nel corso della cena si chiacchiera, si scherza. Piano piano si palesa la tipica  perversione del dottorando: parlare male del proprio tutor, possibilmente seduto al tavolo accanto.

Dopo la cena, alle 21, è prevista una sorta di lezione-concerto. La cena finisce alle 23 inoltrate. Ci si appresta a lasciare il castello, quando arriva la notizia che il professore è pronto e scattante per la sua lezione musicale.

Con molto slancio ci si accomoda. In effetti la lezione è interessantissima, peccato che metà del pubblico stia cecando dal sonno; l’altra metà già dorme. Un professore alto e sottile come un insetto-stecco, misteriosamente caduto dalla sedia nel pomeriggio, ronfa beato, stendendo il suo metro e novanta sulla fragile sedia da giardino.. Si capisce come abbia fatto a schiantarsi anche se è più leggero di me. Quando parte la musica salta in aria, si guarda intorno e simula un colpo di tosse, come a dire “Non dormivo, macchè, riposavo gli occhi”

 

Il giorno dopo (40 gradi all’ombra) il mare ammicca beffardo ai prigionieri del castello. La vostra webmater, relatrice nel pomeriggio, ostenta sicurezza e progetta piani di fuga. L’atmosfera del convegno intanto si fa elettrica: l’arsura del giorno più caldo dell’anno è infuocata da un animato dibattito sul teatro francese del ‘600. Appassionante. Fortuna che la cena in terrazza mitiga gli animi a colpi di bicchieri di vino bianco.

 

Il giorno seguente mi scampo l’ultima mattina di convegno: l’aliscafo delle 8 da Ischia a Napoli usa come aria condizionata il vento marino.

Torno a casa morta di fatica, scottata dal sole preso nel tragitto dall’hotel al castello, contenta dell’esperienza e arricchita di una nuova consapevolezza: in fondo i professori universitari sono esseri umani come tutti. Solo più pesanti.

 

 
Rispondi al commento:
jo_march1979
jo_march1979 il 05/07/07 alle 10:31 via WEB
Era la mia prima volta, non me la sono sentita. Anche se la tentazione c'era. Quanto alle sedie, ad un certo punto ho pensato anch'io che dovevano essere state scelte apposta...Ciao cara:)
 
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