« BYE BYE | VUOTO PNEUMATICO » |
La strada è chiusa in fondo dal vecchio ospedale: un portone di legno, tra due basse mura. All'ingresso si affollano donne, molte con bambini in braccio, zoppi, storpi, qualche cieco che mendica.
Il taxi mi lascia all'imbocco del vicolo, non può entrare, non ci passa.
La viuzza è costellata da negozietti piccolissimi come dei banchi di mercato: alimentari con insegne che pescano nei miei ricordi come "Tide" e "Omo", riparatori di biciclette, un macellaio, un venditore di bombole. E' stretta, non ci passa una macchina, solo carriole o carretti trainati da asini macilenti.
Si restringe sempre più, fino a diventare un budello tra le case. In fondo, un bambino, che incontrerò ogni giorno, mi chiede cantilenante un "bon bon".
Una porta di legno massiccio: busso più volte, sempre più forte. Mi apre una donna: intorno a me un cortile con una fontana. Sono arrivato. La bellezza dell'interno stride dolorosamente con il vicolo, con i mendicanti che vi dormono avvolti nei loro stracci, con gli occhi del bambino del "bon bon" mentre viene chiuso malamente fuori.
Ogni volta che passo mi chiedo cosa ci faccia io qui, turista intruso: "ricco" che ha scelto di vivere nella Medina per qualche giorno. Mi sorprendo a pensare che sarebbe meno immorale stare in un albergo moderno della città nuova.
Mi sento un ladro di povertà.
Lo sguardo di quel bambino, a cui stupidamente compro "bon bon" in giro per la città, sapendo benissimo che preferirebbe soldi, mi fa sentire ipocrita.
Ma gli voglio bene, lo porterei via da lì. E anche questo non mi piace.
La mattina sono nel vicolo, la sera comodamente seduto sul divano a guardarmi la registrazione del lavoro di Marco Paolini.
Il salto è troppo, faccio fatica. Ma le sue parole mi avvolgono, parlano di sè e di me. Siamo coetanei, le sue esperienze, rugby a parte, sono le mie: l'osteria, gli amici, il secchio della colla, i ta-tze-bao, le bombe, i morti. La mia adolescenza, la mia gioventù, sono state queste: costellate anche di drammi, ma imparagonabili con ciò che attraverserà quel bambino.
Finisce la registrazione, mi alzo. Prendo atto della realtà e ne sono grato a Paolini: io sono la mia storia.
la foto è di stann. splinder.com
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