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Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

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« CHI ERA VERAMENTE CESARE...ROYALTY E PETROLIO: Una ... »

IL SOGNO INFRANTO DEL POPOLO DUOSICILIANO

Post n°59 pubblicato il 24 Agosto 2010 da lecittadelsud
 

E vero, il merdione d’Italia ha conoscito per secoli miseria e povertà, ma per la prima volta nella sua storia era riuscito, con i Borbone delle Due Sicilie, ad ottenere dal 1734 la sua indipendenza. I Borbone furono capaci di prendere in mano un sud in pezzi  riuscendo a far crescere la sua economia e a ricostruire un tessuto sociale lacerato e degradato. La popolazione crebbe, come anche il suo benessere. Fu condotta una lotta contro i latifondisti perchè convinti che la prima cosa da fare per uscire dalla povertà era dividere le terre, e negli ultimi anni del regno si avviò anche un importante processo di industrializzazione dopo aver rimesso in piedi l’agricoltura e la manifattura. La nostra marina mercantile divente la più numerosa e importante del mondo. Carlo di Borbone fu un re molto amato dai Napoletani, riuscendo ad entrare in sintonia con il popolo e i suoi bisogni. Con il passare degli anni sovrastò anche l'influenza dei suoi ministri, accentrando il potere nelle sue mani e apparendo quindi sempre più come il principale se non l'unico artefice di un periodo di grande risveglio per i regni di Napoli e Sicilia dopo secoli di dominazione straniera. Il principale merito di Carlo resta, in effetti, quello di aver ricreato la "nazione napoletana", aver reso il Regno indipendente e sovrano. Fu, nondimeno, artefice di una politica di profonde riforme amministrative, sociali e religiose che da tempo attendevano realizzazione.
Ma la sorte dei meridionale sembra essere sempre avversa, e proprio nel periodo di massima crescita avuto con Ferdinando II, il regno evapora nel nulla, ed improvvisamente ripiomba nella più totale disperazione per mano dell’imperialismo britannico e piemontese, che cancellano in pochi mesi il miracolo che i Borbone erano riusciti a compiere nell’arco di un secolo. Lasciando Napoli, Francesco II emanò un proclama, l'8 dicembre 1860, di cui riportiamo alcune frasi: «(…) ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori d'un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed Ancona. Ho creduto di buona fede che il Re del Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di Garibaldi, che negoziava col mio governo un'alleanza intima per veri interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutti i patti e fatte violare tutte le leggi, per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure ai trionfi dei miei avversari». Il proclama spaventò il capo della polizia della Luogotenenza Silvio Spaventa, visto che, come testimonia Ruggero Moscati, «produsse larghissima impressione in vasti strati della popolazione meridionale». A Gaeta convennero infatti migliaia di borbonici fedeli (contemporaneamente resistevano eroicamente anche le fortezze di Civitella del Tronto - che fu l'ultima a cadere - e Messina), pronti anch'essi a morire in difesa del proprio sovrano  e della loro patria e per testimoniare la fede e la civiltà avita e manifestare coi fatti il loro rifiuto di una società corrotta e traditrice alla quale sentivano di non appartenere.
Il saggio del 1834 di Mauro Luigi Rotondo, da cui estraiamo alcuni passaggi, è fondamentale per capire l’apporto che i Borbone delle Due Sicilie hanno dato alla nostra terra, soprattuto nella lotta al latifondo e ad un sistema feudale dei baroni che resisteva ai cambiamenti richiesti dalla nuova monarchia, partendo da una attenta analisi storica sulle cause dell’arretratezza delle provice meridionali al di qua del faro.

Saggio politico su la popolazione e le pubbliche contribuzioni del Regno delle due Sicilie al di qua del faro

Mauro Luigi Rotondo, 1834

Questo bel paese soffrì la crudele sventura di cambiar spesso padroni, e di essere sempre in preda a guerre intestine e sterminatrici. Non bastarono tante orride vicende, e la nostra desolazione fu compita allorchè fummo ridotti alla condizione di provincia. Queste sciagure politiche non furono affatto comuni alle altre nazioni di Europa, per cui con ragione dai sommi scrittori oltramontani si è detto che nessun paese può offrire ad uno storico un campo più vasto di sciagure e di disgraziate politiche combinazioni quanto il regno di Napoli. Il sistema feudale, i fedecommessi, e le tante pie ed ecclesiastiche instituzioni avevano usurpate quasi intieramente la proprietà territoriale, che non si curava non dico già di migliorare, ma neppure di coltivare. Vi esistevano adunque pochi ma grandi possessori, e malgrado la scarsezza della popolazione i prodotti del suolo erano così modici che neppur bastavano ad alimentarla.
Un' errante pastorizia occupava come presso i popoli barbari i più fertili terreni. Le piogge e le alluvioni, non trovando più alcun ostacolo, sommersero colle loro devastazioni le feconde pianure, e resero il cielo insalubre. Tutte le comunicazioni rimasero interrotte: Non commercio, non arti, e la più squallida miseria regnava in queste fortunate contrade. I Vicere che opprimevano i nobili lasciavano che questi in compenso opprimessero i popoli, i quali non trovando altro scampo ed altri mezzi da vivere che nelle rapine, formarono quelle famose comitive di masnadieri, che si sostennero per più di un secolo contro la debolezza del Governo e contra un' indisciplinata soldatesca, mettendo tutto a sacco ed a rovina, mentre le spiagge erano esposte ai saccheggi de' pirati, le campagne alle devastazioni dei ladroni e le città erano in preda alle sfrenate licenze di parecchie migliaia di soldati per compire da per tutto il disertamento e la desolazione.
Tale era la situazione di questa nazione fino ad un secolo addietro. Precisamente nel 1753 cessata la dominazione straniera si ebbe la sorte di avere un Sovrano che reggesse i suoi destini. Malgrado che i mali passati avessero così inviliti gli uomini da togliere la possibilità di un risorgimento, pure gli effetti furono così prodigiosi, che la sola presenza di un Sovrano proprio ed impegnato pel bene de' suoi sudditi vinse e superò la forza de' mali, moltiplicò gli uomini, e migliorò la sorte del Regno, in modo che divenne uno de'più floridi.
Ma i presidi militari stabiliti nelle Province formarono un ostacolo ma debole per frenare i nuovi abusi de' feudatari, e non poterono svellere gli antichi che erano pur molti e che si sostenevano collo specioso titolo della prescrizione; e riunendo essi attribuzioni civili militari e giudiziàrie si confondevano in loro tutti i poteri, e vi si mescolavano tutte le amministrazioni pubbliche . Fu richiamata in vigore la legge del nostro Federigo intorno al divieto di nuovi acquisti delle manimorte, molte terre insalvatichite e paludose furono largite, e molti usurpati fondi furono resi alle Comuni; ma le proprietà continuarono ad essere inceppate dagli antichi legami che ne impedivano le divisioni ed i miglioramenti.
Molte strade si aprirono, ma nè le comunicazioni divennero libere nè i camini facili e sicuri, inguisachè rammentiamo tuttavia che il viaggio dalle lontane province nella capitale si credeva tanto pericoloso da non doversi affrontare senza far prima il testamento.
Una marina da guerra fu creata, molti porti furono ripuliti, e degli utili trattati furono conchiusi colla Porta Ottomana colla Svezia colla Danimarca e coll' Olanda; una forma amministrativa fu data alle dogane, stabilite le giurisdizioni consolari, creato un tribunale di commercio, ed un consolato di mare e di terra; ed in fine introdotte delle manifatture di seta di lana di porcellana: però ne il commercio né le industrie poterono sviluppare quella energia corrispondente alle benefiche intenzioni dei Sovrani, per gl'inviluppi de'regolamenti vincolanti rimasti tuttavia nelle mani degli arrendatori, e per le suggezioni feudali che arrestavano ogni sviluppo ed ogni innovazione di miglioramento. Quest' inconvenienti che pur per la maggior parte erano comuni agli altri stati di Europa superar si dovevano gradatamente, onde le scosse e le oscillazioni de'passaggi da un sistema ad un altro non avessero precluse le vecchie risorse, prima di aprire i nuovi canali delle industrie e delle produzioni. Industria somma ci volle a riformar le parti tutte della gran macchina amministrativa, ligarle nell' insieme fra loro, e rinvenire il punto di contatto, ovvero l'articolazione per congiungerle allo stabilimento dell'unità del Regno, ai nostri diversi costumi, ai rapporti del pubblico diritto Europeo, ed alle nuove relazioni commerciali che si presentavano su la faccia della terra, onde metter la nazione su di un piede permanente di prosperità. Quest' opera che forma l'epoca la più gloriosa del Regno, ebbe il suo compimento in pochi anni.
L'attuale popolazione de'Reali Dominii al di qua del Faro si approssima a sei milioni. Giusta la numerazione fatta nel 1824 gli abitanti erano 5,5i2,370, nel 1828 erano 5,733,430 e secondo lo stato del 1834 ammontano a 5,8i8,136. Se si eccettuano i tempi anteriori al terzo o al quarto secolo di Roma, ne' quali gli Scrittori i più moderati co' loro calcoli arbitrari fanno ascendere la popolazione a 10 milioni, non mai il numero degli abitanti del Regno è giunto a tanta floridezza. Si presume che sotto l'Imperatore Federigo la popolazione del Regno oltrepassasse i quattro milioni. Questo calcolo non è sicuro, ma si deduce dalle tasse allora esistenti giusta i registri rinvenuti nell' Archivio della Sommaria, e dall'idea del buon governo pur troppo ben dovuta alla memoria immortale di quell'Eroe. Egli è vero che Federico superò i suoi tempi, avendo finanche tentato di basare la costituzione del Regno sulla libertà civile de' comuni per indebolire l'aristocrazia feudale; ma quei tempi erano troppo miserandi, ed il suo trasporto pel pubblico bene e per migliorare il destino de' popoli onde fiaccare la potenza de' baroni e trionfare de'suoi nemici ravvolse lui ed il Regno in tante sciagure, che la sua famiglia fu distrutta. Tanto è vero che non bisogna giammai nè urtare ne spingere o forzar troppo i progressi al di là dello spirito del secolo.
È incontrastabile che questo progressivo aumento di popolazione sia intieramente dovuto alla perfezione delle nostre politiche e pubbliche instituzioni, ed al miglioramento della nostra economia. La popolazione ha subite le stesse fasi della politica. Florida (per quanto i tempi lo comportavano) sotto gli Eroi Svevi, che successero ai Normanni. Declinò sotto gli Angioini. Sembrava quasi di volersi estinguere sotto gli Aragonesi, e di completarsi sotto i Vicere il disertamento. Rapido ne fu l'accrescimento colla restaurazione della Monarchia perchè si arrestò il corso degli abusi e de' mali;
La popolazione del Regno di circa sei milioni coltiva un' estensione di terreni di quattordici milioni di moggia, ed ognun sa che abbondiamo di tante produzioni territoriali da cambiarle in gran parte coli' estero, e crediamo esser minacciati da sventura se per poco le politiche e le commerciali combinazioni frapponessero un ostacolo all'estraregnazione de' nostri prodotti. È da rammentarsi ancora che le penurie, e le carestie non solo nel nostro Regno, ma in Europa erano più frequenti ne'secoli passati quando la popolazione era più scarsa. In Lombardia l'estensione superficiale de' terreni produttivi non ricade neppure ad un iugero e mezzo a testa, compresa la non indifferente estensione delle terre boscose. Mi è sodisfacente di poter convalidare la mia opinione coll' esempio di un paese florido d'Italia, ed ove non può dirsi neppure che gli altri rami d'industria sieno grandemente estesi, e perfezionati.
È un principio riconosciuto da tutti gli scrittori di pubblica economia che le popolazioni si mettono a livello co' mezzi di sussistenza, per cui se i.nostri sforzi giungono a render fecondi i 17 in diciotto milioni di moggia de' nostri fertili terreni suscettibili tutti di coltivazioni oltre le terre boscose, nel Regno vi saranno tanti mezzi di sussistenza da mettersi a livello con una popolazione di otto in nove milioni, la quale sarà tanto più florida e comoda per quanto saprà accoppiare alle produzioni agrarie le risorse e gli utili del commercio e delle altre industrie.
Se poi ci compariamo colle altre nazioni da lungo tempo incivilite pei progressi delle arti e delle manifatture è forza convincerci che ben poco ci siamo inoltrati al di là dell' infanzia delle moderne manifatture. Noi siam privi tuttavia di filande tanto necessarie per far gareggiare nel prezzo i nostri tessuti cogli esteri, e siàm sforniti di quelle macchine senza di cui le manifatture non possono prosperare, ed a cui l'Inghilterra e le altre nazioni van debitrici della perfezione de' lavori. Ma se è vero che co'mezzi economici che largamente possediamo la popolazione del Regno possa spingersi ad uno stato di maggiore prosperità non dobbiamo già credere che la nostra sorte sia peggiore di quella delle altre nazioni incivilite di Europa. Può dunque ciascuno da se facilmente, rilevare che la bilancia economica di questo Regno, in rapporto alla popolazione, sia superiore agli altri Stati di Europa. La divisione delle proprietà adunque è una delle cause della prosperità pubblica. Qual gran differenza se ci paragoniamo all' Inghilterra , ove ognun sa quanto sia ristretto il numero de' contribuenti delle proprietà fondiarie.
Ma si dirà che a fronte di tanta prosperità sia inconcepibile l'esistenza della miseria, e della mendicità che si, osserva in questo paese. Se i poveri ed i mèndici costituissero la sola misura della situazione economica di una nazione, ogni paese dir si dovrebbe di essere in uno stato deplorabile. Nei regni di cui s' invidia l'opulenza l'attività delle industrie e l'accumulamento di molti valori, la miseria è grande e forse qualche volta anche desolante, ma intanto non mai si è opinato che la classe de' miseri sia indizio di retrogradazione di una nazione, ed altra causa conveniva investigare per dare una spiegazione di questo affliggente fenomeno.
Ma per spiegar la miseria che pur vi domina in alcuni luoghi di campagna di questo Regno convien ricordarsi per poco qual era la sorte del nostro paese un secolo addietro. Prima della restaurazione della monarchia quello squallore e quell' aria di miseria che oggi si vede in alcuni luoghi era quasi generale in tuttole campagne, e direi anzi in molti comuni delle province. Non i soli mezzi di vita mancavano, ma l'uomo istesso sembrava degenerato dalla sua dignità. Quindi una porzione era dedita al delitto percorrendo e devastando le campagne, ed il rimanente avvilita sotto il servaggio de'feudatari de'nobili e de'prepotenti. In questi ultimi che componevano la generalità della popolazione si era estinto ogni sentimento della dignità della specie umana, e si erano abituati a contentarsi di alimenti, che spontaneamente offriva il suolo, ed a limitare i loro bisogni colla minor spesa possibile al puro necessario, per conservare la naturale esistenza. Le nuove instituzioni politiche civili ed amministrative che hanno operata la rigenerazione delle province, sebbene principiarono dal 1734, pure non hanno ricevuto la loro perfezione che da pochi anni, ed in pochi anni i progressi debbono dirsi soddisfacenti. I progressi delle nuove colonie e de’popoli nuovi, ove le virtù sociali gareggiano coll' industriosa attività non sono da paragonarsi con quelli di un paese depravato, ove ostacoli forti, e vizi resi venerandi da secolari abitudini ritardano il cammino de'miglioramenti.
Gli effetti adunque della nostra ristaurazione se àn recato un incivilimento nelle città e ne'villaggi prossimi ai capoluoghi delle pubbliche amministrazioni o vicini alle comuni di una popolazione florida per l'attività del commercio e delle industrie, non poteano coll' istessa rapidità diffondersi nelle campagne distanti e segregate dalle città, per cui non ancora ha potuto penetrarvi lo spirito moderno compierciale. Nei primi che pur compongono la massima parte della popolazione son cresciuti i bisogni e le convenienze sociali, e con esse lo stimolo di sodisfarle. In conseguenza ciascuno si è attivato di mettere a profitto i talenti i capitali e la sua idoneità per procacciarsi i mezzi da vivere non solo, ma di figurare nella società nel perimetro della sua classe. Questa gara, ovvero avvalendoci dell'espressione di Canard, quest'emulazione di travaglio, mentre ha favorito le industrie, ha reso nei paesani di un certo agio necessarie molte cose, che ne' tempi passati si consideravano come oggetti di lusso. Ove questi nuovi bisogni della civiltà han vinto la forza e l'abitudine dell'ignoranza e della viltà, ivi col desiderio di sodisfarli si è dato un eccitamento alle industrie, e questi stimoli sempre crescenti, favorendosi a vicenda, han fatto progredire l’incivilimento e lo stato prosperevole della pubblica economia. Che non sia sperabile di veder migliorata la sorte e la condizione di alcuni luoghi di campagna se non co'maggiori progressi delle industrie e della coltura che sono da attendersi dalle novelle instituzioni del Regno, e dalle cure del Governo nel diffondere gli stabilimenti, e nel vantaggiare la condizione civile di taluni Comuni i più vicini agli abituri delle campagne.
Il perfezionamento delle nostre istituzioni politiche e finanziarie hanno trasfuso alla nazione una forza senza di cui la popolazione e le industrie non avrebbero potuto fare quei progressi che noi abbiamo rilevato nel corso di quest' opera. È vero perciò che il sistema delle pubbliche contribuzioni in mano de'governi rischiarato dai lumi della scienza ha consolidato lo stato politico ed economico de' popoli, liberandoli dal servaggio, e dall' inerzia in cui tutti i motori e gli agenti della produzione giacevano sotto l'antico reggimento feudale ed amministrativo. Che le casse di risparmi e le associazioni di previdenza sieno le più utili instituzioni per riparare i colpi dell'avversità dell'infortunio e dell'età caduca. Che le case di lavoro, e di correzione sieno state riconosciute dì grande utilità per diminuire il numero de' mendici, e finalmente che i fondi della pubblica beneficenza costituiscono una sufficiente risorsa per soccorrere quella classe di poveri che privi di ogni aiuto han dritto di reclamar i mezzi di vita dalla Società. Avvicinando adunque tutte le idee si può senza temerità conchiudere che la massa generale delle pubbliche contribuzioni non sia nè esorbitante nè opprimente.
I governi sotto quell' antico ordine di cose poco riscuotevano e poco spendevano, ma i popoli erano oppressi, e mancanti di forza e di energia sì perchè invincibili erano gli ostacoli che soffocavano qualunque movimento industrioso, e sì perchè mettendosi a calcolo la natura ed i valori de' servizi , delle opere, delle prestazioni de' generi in natura, e delle tasse a cui le cose le persone e tutte le transazioni della vita civile erano soggette, le imposizioni divenivano di un peso opprimente, per cui la miseria la spopolazione il disertamento erano le inevitabili e triste conseguenze.
Le nazioni che possedevano un esteso commercio entrano nel nostro confronto coi vantaggi derivanti dai vistosi ed immensi capitali, dalla destrezza delle manifatture, ed infine dalla sagacità acquistata per abito in ogni dipartimento di affari. Noi che aspiriamo a rivaleggiarle, dopo di aver combattuto colle molte difficoltà che vincer si doveano, dobbiamo non affliggerci se tardi sieno stati gli avanzamenti, contentarci di andar avanti con lentezza, e confidare che i progressi sieno costanti, ritrovandosi nella sola perseveranza quelle risorse che renderanno felice e prosperevole la situazione economica del regno.
Ferdinando II ascendeva al trono, e col riordinamento delle finanze, e collo spirito di economia insegnato ai popoli coll’esempio della Reggia, le speranze più liete facea rinascere ne' cuori de'suoi sudditi alimentate dalla fiducia dell'impero delle leggi, e dalla sicurezza delle proprietà e delle persone, che sono i mezzi più efficaci della prosperità pubblica, ed a cui Smith attribuisce con ragione la floridezza dell' Inghilterra .

 
 
 
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SITI DUE SICILIE




 

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L'AFORISMA

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino, da “Le città invisibili”

 


LA RICETTA
Paccheri Al Regno delle Due Sicilie
Paccheri di Gragnano ripieni di ricotta di pecora e Gamberetti di Mazzara su ragout di pomodorini del Vesuvio e salsa di Gamberi
vedi la ricetta in dettaglio

LA POESIA
"E ' a Riggina! Signò! … Quant'era bella! E che core teneva! E che maniere! Mo na bona parola 'a sentinella, mo na strignuta 'e mana a l'artigliere… Steva sempre cu nui! … Muntava nsella Currenno e ncuraggianno, juorne e sere, mo ccà, mo llà … V''o ggiuro nnanz' 'e sante! Nn'èramo nnammurate tuttequante! Cu chillo cappellino 'a cacciatora, vui qua' Riggina! Chella era na Fata! E t'era buonaùrio e t'era sora, quanno cchiù scassiava 'a cannunata!… Era capace 'e se fermà pe n'ora, e dispenzava buglie 'e ciucculata… Ire ferito? E t'asciuttava 'a faccia… Cadiva muorto? Te teneva 'mbraccia…".
(tratto da O' surdato 'e Gaeta di Ferdinando Russo)


PER RIDERE UN PO

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Cavour è un tale che muore dal freddo piuttosto che dividere il fuoco con gli altri (G.Garibaldi)

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LIBRI IN VETRINA

 

 
Il Sud e l'unità d'Italia
Giuseppe Ressa
Centro Cult. e di Studi Storici
Brigantino-Il Portale del Sud, 2009
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Terroni di Pino Aprile
Terroni

Tutto quello che è stato fatto
perchè gli italiani del sud
diventassero meridionali
Pino Aprile
Piemme, 2010



La Rivoluzione Meridonale
Guido Dorso
Edizioni Palomar, 2005


Fuoco del Sud
Lino Patruno
Rubbettino Editore, 2011

 

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(sotto la dinastia Borbone dal 1734 al 1860)


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HANNO DETTO SUL MERIDIONE


Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

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