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Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

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IL MERIDIONE CONDANNA GARIBALDI PER "INVASIONE". AVREBBE FAVORITO GLI INTERESSI DI PIU' POTENZE STRANIERE

Post n°109 pubblicato il 29 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

Giuseppe Garibaldi è “responsabile di aver violato nel 1860 la sovranità di uno Stato sovrano, il Regno delle Due Sicilie, dichiaratamente in pace con l’intera comunità internazionale, organizzando e utilizzando formazioni di combattenti irregolari, e di aver violato il diritto del popolo meridionale alla propria autodeterminazione, favorendo con ciò gli interessi di più potenze straniere”, interessate a quel tempo all’usurpazione delle risorse economiche e minerarie dell’Italia meridionale. È la “sentenza di condanna” arrivata dopo 45 minuti di camera di consiglio, al termine del processo storico celebrato il 25 giugno 2011 a Saludecio, borgo sulle colline riminesi che ospita anche un museo garibaldino, dove l’eroe si è trovato accusato di invasione di Stati esteri e spregio delle leggi di diritto internazionale, in un evento organizzato dall’associazione Identità Europea in collaborazione con il Comune romagnolo.
La Corte era presieduta da Francesco Mario Agnoli, già membro del Consiglio superiore della magistratura, storico e scrittore, e composta dal saggista Luigi Copertino e dall’avvocato Renzo Fogliata, del Foro di Venezia; pubblico ministero il magistrato napoletano Edoardo Vitale, direttore de L’Alfiere (storica rivista meridionalista che ha recentemente celebrato 50 anni di pubblicazioni), mentre la difesa era rappresentata da Domenico Cacopardo, magistrato Consigliere di Stato e noto scrittore siciliano. Folto il pubblico al Teatro Verdi, tra cui delegazioni delle Associazioni Garibaldine della Romagna e di numerose istituzioni e associazioni culturali da Veneto, Emilia, Toscana e Marche. Per la pubblica accusa, Vitale ha elencato «i danni concreti che l’impresa dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi, e la conseguente conquista piemontese, hanno inferto al Meridione d’Italia», chiedendo poi la condanna del condottiero. Per la difesa, Cacopardo ne ha chiesto invece la piena assoluzione: nel clima del 150º anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, si è appellato «alle ragioni della Storia, che nella sua marcia verso il Progresso libera da ogni possibile accusa chi si pone alla testa delle forze della libertà, come Giuseppe Garibaldi per tutta la sua vita coscientemente fece». Poi la sentenza (con la precisazione che «non può essere irrogata condanna nei confronti di un imputato defunto»), letta dal presidente della Corte. La difesa ha subito annunciato che presenterà appello; per l’anno prossimo, dunque, è già in agenda il processo di secondo grado.

Fonte: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=109975

 
 
 

L'EMERGENZA RIFIUTI IN MENO DI 2.000 PAROLE

Post n°108 pubblicato il 29 Giugno 2011 da lecittadelsud

Il concetto di emergenza si riferisce a qualcosa di temporalmente ridotto.Un'emergenza può nascere da un fenomeno naturale, come un terremoto, che può durare pochi secondi, eppure avere conseguenze devastanti. L'emergenza rifiuti della Campania dura invece da 16 anni, e non è un fenomeno naturale, ma assolutamente antropico, provocato da esseri umani. Naomi Klein lo citerebbe come un caso lampante di Shock Economy, ovvero di creazione (e prolungamento) di un'emergenza al fine di ricavarne profitti. Tutto inizia nel 1994, quando viene nominato per la prima volta un Commissario del Governo, con poteri straordinari, al fine di risolvere le problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti urbani. Il problema principale, e mai risolto, era l'infiltrazione dei clan camorristici nella gestione delle discariche e nella raccolta e nel trasporto dei rifiuti. Da allora, in 17 anni, non è stato fatto nulla per risolvere il problema rifiuti, sono state solo tamponate le prevedibili emergenze. E i rifiuti non dovrebbero essere un problema, ma una risorsa: se differenziati e riciclati, infatti, potrebbero diventare di nuovo materia utilizzabile dalle industrie. Recuperando correttamente carta, vetro, plastica, alluminio e umido (gli scarti di cibo, che possono essere trasformati in concime), si riesce a riciclare quasi l'80-90% dei rifiuti. Un esempio? San Francisco. Con la riduzione a monte dei rifiuti, eliminando l’usa e getta e gli imballaggi inutili e vietando, man mano, l’utilizzo da parte delle industrie, dei materiali non riciclabili, attraverso una riprogettazione industriale di scarti e imballaggi: così puntano, entro il 2020, all’obiettivo Rifiuti Zero (Zero Waste). Inoltre esistono tecnologie che permettono di recuperare anche la frazione residua, quel 20% che non è riciclabile, trasformandolo in una sabbia sintetica, come succede nell'impianto di Vedelago (1) o nell'impianto Revet di Pontedera, che utilizzano queste sabbie plastiche per produrre mattoni, oggetti da giardino, componenti per motorini, mp3, e a breve anche articoli casalinghi. I Rifiuti Zero sono possibili, anche in Italia. Cosa è accaduto invece in Campania? Un piano criminale è stato costruito per prolungare l'emergenza, dato che emergenza significa denaro, tanto denaro. Una multinazionale italiana, Impregilo, vince, nel 2000, la gara d'appalto per gestire i rifiuti campani, perché offre un prezzo per lo smaltimento dei rifiuti decisamente basso e tempi più rapidi per la consegna, mentre la qualità del progetto presentato è decisamente scadente rispetto a quello presentato dall'altra concorrente (voto: 4/10). Il progetto prevede la costruzione di due inceneritori, 7 impianti per la trasformazione dei rifiuti in ecoballe (combustibile degli inceneritori), nonché varie discariche per tamponare l'emergenza. Altro che Zero Waste! Il rifiuto è un bene, è una merce, ed ha quindi un valore economico, è denaro. Brucereste mai denaro? In un’epoca in cui la quantità di materie prime che prendiamo alla Terra aumenta  perennemente, possiamo permetterci di bruciare o buttare via tonnellate e tonnellate di plastica o di carta?Inoltre gli inceneritori sono altamente inquinanti: «Gli inceneritori uccidono», così come sostiene Paul Connet, professore emerito di chimica alla St Lawrence University di Canton, New York; «Negli Stati Uniti, dal 1985 al 1995, è stata bloccata la costruzione di circa 300 inceneritori». Connet li ha definiti «un vero crimine ambientale»: immettono nell'atmosfera e nella catena alimentare grandi quantità di inquinanti tossici (diossine, PCB, furani, metalli pesanti, nanoparticelle di particolato fine ed ultrafine). E producono 1/3 di ceneri tossiche, che vanno smaltite in discariche speciali. Centinaia di studi a livello internazionale hanno accertato i danni: uno dei più famosi e tremendi è stato redatto su 5000 bambini che abitano nei pressi dell'inceneritore di Osaka, in Giappone, con danni registrati che vanno dalle difficoltà di concentrazione ai tumori e alle malformazioni. E allora perché si è puntato su un progetto del genere? Perché in Italia bruciare i rifiuti conviene. Le industrie che li costruiscono sono potenti, e vengono appoggiate dalla politica. Da molti anni, infatti, ricevono sussidi statali, un 7% preso dalle nostre bollette Enel, che dovrebbe essere destinato allo sviluppo delle energie rinnovabili, per bruciare i rifiuti, attività che non è per niente “rinnovabile”. Inoltre, guadagnano altri soldi vendendo l'energia prodotta bruciando i rifiuti: un'attività davvero lucrativa. Così la raccolta differenziata dei rifiuti, destinati al riciclo, viene boicottata da anni. Perché più rifiuti finiscono nell'inceneritore, e più soldi si fanno, perché più energia si vende. E sono le industrie e le banche italiane che lo hanno deciso: queste ultime, tramite l'Abi, Associazione Bancaria Italiana, inviarono una lettera al Commissariato in cui affermavano che avrebbero garantito i prestiti alla Impregilo, se avessero avuto come garanzia le ecoballe, i rifiuti da bruciare. I rifiuti così diventarono davvero denaro. Il piano è semplice: riciclare pochi rifiuti, bruciarne il più possibile. Ma la situazione in Campania, è molto più complicata, proprio perché i progetti della multinazionale Impregilo, come detto in precedenza, sono molto scadenti. L'inceneritore viene quindi attivato, non completamente e con grosse difficoltà, solo nel 2010, e viene continuamente bloccato per gravi problemi tecnici. I 7 impianti previsti per trattare i rifiuti e trasformarli in ecoballe, combustibile per l'inceneritore, non hanno mai funzionato come dovevano: i rifiuti non vengono trattati e quindi inertizzati, resi non pericolosi, ma solo tritati e imballati. E non essendoci un inceneritore dove bruciarli per 10 anni, con gravissime conseguenze ambientali, vengono sistemati sul territorio campano, in quelle che sono diventate vere e proprie discariche: parliamo di più di 8 ML di tonnellate di ecoballe di rifiuti inquinanti che marciscono sul territorio. Anche le discariche fatte in questi anni sono state costruite in maniera pessima: delle semplici buche, isolate malamente, che lasciano scivolare nel terreno e quindi nelle falde acquifere il liquido tossico che i rifiuti producono, il percolato. Ed anche sulle discariche i clan hanno lucrato con la collusione del Commissariato di Governo, attraverso le compravendite dei terreni dove sono poi sorte le discariche: pochi giorni prima della scelta ufficiale di un sito, i clan acquistavano a poco prezzo i terreni, che venivano poi venduti allo Stato a prezzi molto maggiori. Questa l'intricata vicenda che ha portato a 17 anni di emergenza, a milioni di euro spesi e alla devastazione ambientale, ha prodotto diverse inchieste giudiziarie che stanno coinvolgendo la Impregilo, i clan camorristici e i politici campani. Un altro motivo per cui l'emergenza perdura, infine, è sicuramente la questione rifiuti tossici, che interessa le mafie e le industrie del Nord Italia: una situazione di emergenza, in cui c'è confusione e mancanza di controllo, conviene a tutti. E qual è una delle attività che si inserisce perfettamente in questo contesto? Lo sversamento dei rifiuti industriali, i rifiuti tossici, che le aziende del Nord Italia producono, ma non vogliono smaltire legalmente (costa parecchio, ed esistono impianti pronti a trattare non più del 60% dei rifiuti industriali, un 40% resterebbe comunque non trattabile): li affidano ai clan, che li sversano ovunque, li bruciano e li buttano nelle campagne, nelle cave, nei corsi d'acqua, specie al Sud Italia, specie tra le provincie di Napoli e Caserta. E questi rifiuti tossici, sono stati spesso nascosti anche nelle discariche di rifiuti urbani. Le due emergenze, quella dei rifiuti urbani e quella dei rifiuti industriali-tossici, si mischiano, fino a confondersi. E tutto ciò continua senza problemi, ogni giorno, ogni notte. Si distrugge un territorio, senza che nessuno dei responsabili paghi. Il riciclo dei rifiuti viene boicottato. Discariche e rifiuti tossici inquinano irrimediabilmente la terra, l'acqua e il cibo. E ogni anno, anno e mezzo, l'emergenza torna, distribuendo denaro a imprenditori, politici e clan. Una prova del disastro? Ce la offrono gli Usa: il ritiro delle truppe americane dalla provincia di Caserta, al confine con la provincia di Napoli, per i pessimi risultati delle analisi ambientali, che hanno evidenziato la presenza di elevate percentuali di sostanze chimiche solventi nelle acque dei rubinetti domestici. L’ammiraglio Mark Fitzgerald, due anni fa, raccomandò al comando della Us Navy di non bere acqua del rubinetto... E va sottolineato che la Campania era una regione a vocazione agricola, anche se ormai ha l'inquinamento di una regione industriale, ma senza aver avuto industrie, tranne pochi casi isolati. Diossina nel sangue, arsenico nell'acqua. E poi cadmio, mercurio, piombo. Con i picchi nei comuni più vicini alle discariche e agli inceneritori. È quello che afferma un rapporto rimasto nascosto per mesi nei cassetti della Regione Campania, il Sebiorec, uno dei più imponenti studi epidemiologici con biomarcatori mai fatti in Italia. Sono stati trovati anche i pericolosi Pcb, policlorobifenili. E si parla espressamente anche di quella diossina chiamata “tipo Seveso”, la più pericolosa, e la si associa al consumo di mozzarella e verdure. Aggiungendo che nel quartiere di Pianura c'è più diossina che nel resto della regione. La preoccupazione è alta per tutte le patologie indicate dagli scienziati: allergie, malattie respiratorie, danni agli organi. Quello che li spaventa maggiormente è l'aria, ma il timore è che l'intera catena alimentare sia compromessa. Nel frattempo, siamo all'ennesima emergenza creata ad arte. Il presidente di Asia, l’Ing. Claudio Cicatiello, addirittura afferma che la mancata raccolta dei rifiuti di aprile non ha motivo, apparentemente: «L’emergenza di questi giorni non ha ragione d’esistere perché nelle altre province ci sta ampio spazio per smaltire tutti i rifiuti che oggi stanno a terra nella provincia di Napoli. Anche perché bisogna considerare una cosa: Napoli è messa male, ma tutta la provincia è in condizioni ben peggiori del capoluogo». Che sia un modo per esasperare i cittadini, al fine di aprire nuove discariche sui nostri già martoriati suoli? Il tutto sotto le imminenti elezioni amministrative, nello scaricabarile generale. E quest'ennesima emergenza porta alla creazione di nuove soluzioni per succhiare soldi allo Stato: una delle ultime in voga è la spedizione dei rifiuti, semplicemente tritati, nelle altre regioni. Un'inchiesta dell'Espresso testimonia come siano state mandate circa 30.000 tonnellate di munnezza, ovvero i rifiuti prodotti a Napoli in un mese, in Sicilia, pagando oltre 6 milioni di euro, in una discarica privata. Con un semplice accordo tra privati, evitando il necessario accordo tra le regioni quando si devono trasportare rifiuti indifferenziati, considerando invece i rifiuti tritati (ma non biostabilizzati) come rifiuti speciali. Nella totale mancanza di trasparenza: alcuni dei rifiuti campani entrati in Sicilia hanno fatto perdere le loro tracce! Si aprono così nuove inchieste della magistratura. E l'emergenza continua.

di Massimo Ammendola (Maggio 2011)
Fonte:http://www.cittafuture.org/index_file/
LEmergenzaRifiutiInMenoDi2000ParoleCittaFuture.htm

 
 
 

TRIANGOLO DELLA MORTE ACERRA-NOLA-MARIGLIANO

Post n°107 pubblicato il 29 Giugno 2011 da lecittadelsud
 



Per triangolo della morte si intende la vasta area della provincia di Napoli compresa tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano, un tempo nota per essere tra le più fertili della Campania, nella quale è stato riscontrato negli ultimi anni un forte aumento della mortalità per cancro che per alcune patologie raggiunge livelli molto più alti della media italiana. La causa dell'aumento di mortalità è attribuita all'inquinamento ambientale, principalmente dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti.

La definizione triangolo della morte è stata data nell'agosto 2004 dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale The Lancet Oncology (edita da Elsevier) che ha pubblicato uno studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza, quest'ultimo ricercatore del CNR di Pisa, dal titolo: Italian “Triangle of death” linked to waste crisis (Il "Triangolo della morte" italiano collegato alla crisi dei rifiuti).

Nel triangolo abitano circa 550.000 persone e l’indice di mortalità (numero di morti l'anno per ogni 100 000 abitanti) per tumore al fegato sfiora il 38.4 per gli uomini e il 20.8 per le donne, dove la media nazionale è del 14. La mortalità è più alta che nel resto d’Italia anche per quanto riguarda il cancro alla vescica e al sistema nervoso, per quanto in maniera più modesta. Questo a fronte di una mortalità generale per tumori in Campania in generale inferiore della media italiana.

L'incremento della mortalità viene attribuito all'inquinamento causato dallo sversamento illegale di sostanze tossiche di varia provenienza, in particolare dalle industrie del nord Italia, operata da parte della Camorra.

Un ulteriore studio del 2007 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Regione Campania ha monitorato in 196 comuni campani la mortalità per tumori e le malformazioni congenite nel periodo dal 1994 al 2002. Lo studio ha applicato elaborate tecniche statistiche, comprensive di una stima degli intervalli di confidenza associati a ciascuna stima di mortalità grazie ad un'analisi bayesiana. Lo studio ha evidenziato che «la mortalità per tutte le cause è risultata in eccesso significativo per gli uomini del 19% nei comuni della provincia di Caserta e del 43% nei comuni della provincia di Napoli; per le donne del 23% nella provincia di Caserta e del 47% nella provincia di Napoli». Sono stati inoltre riscontrati eccessi di malformazioni congenite. La relazione evidenzia che «Le zone a maggior rischio identificate negli studi sulla mortalità e sulle malformazioni congenite in buona parte si sovrappongono e sono interessate dalla presenza di discariche e siti di abbandono incontrollato di rifiuti», ma sostiene che «è comunque difficile stabilire se la corrispondenza dei numerosi eccessi con la possibile occorrenza di esposizioni legate allo smaltimento dei rifiuti sia di natura causale e, nel caso, stimare l’entità di tale impatto».

La presenza di pericolose sostanze inquinanti, come la diossina, in particolare nella zona di Acerra, è comunque accertata, oltre che per le attività illecite di smaltimento dei rifiuti, anche in relazione all'attività della Montefibre, e già nel 1987 un decreto del Ministero dell'Ambiente definiva Acerra territorio “ad elevato rischio di crisi ambientale”.

La tesi che lega l'aumento dell'incidenza dei casi di tumore all'inquinamento ambientale, che in realtà coinvolge anche altre aree della Campania, è avvalorata dalle confessioni del boss Gaetano Vassallo, legato al clan dei Casalesi, che avrebbe per vent'anni lavorato per sversare sistematicamente in Campania rifiuti tossici corrompendo politici e funzionari del commissariato di Governo. La maggior parte dei rifiuti arriva dal nord Italia, come anche affermato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel giugno del 2008.

Nelle campagne campane e nel sangue di alcuni abitanti sono state misurate alte concentrazioni di policlorobifenili (PCB), che sono prodotti da industrie chimiche assenti in regione. Fanghi industriali provenienti da Porto Marghera, per un ammontare di ottomila tonnellate, sarebbero stati smaltiti nelle campagne di Acerra dai clan dei Casalesi, grazie a proprietari dei terreni compiacenti, mascherandoli da compost fertilizzante. Emblematico è il caso di una ditta, i cui beni sono stati sequestrati dai carabinieri nell'ambito di un'inchiesta partita il 2006, che smaltiva illegalmente rifiuti provenienti da industrie del Veneto e della Toscana riversandoli nei territori di Bacoli, Giugliano e Qualiano, per un totale, in tre anni, di circa un milione di tonnellate e per un fatturato di 27 milioni di euro. La ditta era già stata oggetto di un'inchiesta nel 2003, ma ha continuato ad agire indisturbata ancora per anni. A Marigliano è stata ritrovata interrata un'intera autocisterna piena di sostanze velenose sotterrata in una discarica abusiva.

A queste attività, si aggiungono i roghi appiccati per eliminare copertoni, o per recuperare il rame dai cavi elettrici. I roghi, che producono diossina, sono diventati più frequenti quando potevano essere confusi tra i numerosi roghi appiccati ai cumuli di immondizia durante la crisi dei rifiuti in Campania del 2007-2008. I carabinieri hanno accertato che solo tra gennaio e marzo 2007 sono stati incendiati in terreni agricoli 30.000 chilogrammi di rifiuti con un ricavo di oltre 118.000 euro.

La presenza di roghi ha dato il nome all'area a nord di Napoli di terra dei fuochi, nome usato da Roberto Saviano nel libro Gomorra come titolo del XI ed ultimo capitolo.

Lo sversamento di rifiuti industriali altamente inquinanti riguarda anche in discariche legali. Già nel 2000 un'inchiesta della commissione parlamentare sui rifiuti ha messo in luce che probabilmente fanghi dell'ACNA di Cengio sono stati smaltiti nella discarica di Pianura, a Napoli, per un ammontare di almeno ottocentomila tonnellate. Tra gli abitanti delle zone limitrofe alla discarica di Pianura, un'indagine epidemiologica ordinata dalla Procura di Napoli ha dimostrato che almeno 60 persone hanno contratto il linfoma di Hodgkin. Irregolarità negli sversamenti nella discarica di Villaricca emergono anche nelle intercettazioni telefoniche ordinate della Procura di Napoli sulla gestione dei rifiuti da parte della FIBE (società del gruppo Impregilo) che si occupa dello smaltimento dei rifiuti in Campania.

La mancanza di fiducia nelle istituzioni, che negli anni hanno permesso o non si sono efficacemente opposte a sversamenti illeciti di rifiuti pericolosi, anche in discariche autorizzate, che hanno causato casi di tumore accertati è tra i motivi della protesta della popolazione di Chiaiano nei confronti dell'apertura della nuova discarica prevista dal piano straordinario del commissario Guido Bertolaso. Analoghe motivazioni suscitarono violente proteste per la riapertura della discarica di Pianura, paventata dal commissario di governo Giovanni De Gennaro, e poi smentita. La protesta degenerò in vera e propria guerriglia urbana tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 tra Napoli e le zone limitrofe di Quarto e Pozzuoli, anche per l'azione di esponenti criminali che agivano sotto la regia di politici locali collusi con i delinquenti per interessi legati alla speculazione edilizia.

Analogamente, il timore per un'ulteriore fonte di inquinamento, rappresentata dall'inceneritore di Acerra è stato motivo della protesta degli abitanti del luogo.

Nel marzo 2008 furono riscontrate presenze di diossina nel latte di bufale provenienti da allevamenti del casertano, attribuite all'inquinamento ambientale, tanto da causare la temporanea sospensione delle esportazioni verso alcuni paesi tra cui Corea del Sud e Giappone. A seguito della notizia, che comunque riguardava in maniera limitata gli allevamenti impiegati per produrre la mozzarella di bufala campana DOP, la vendita di prodotti caseari della Campania è diminuita significativamente, non solo in Italia, ma anche all'estero.

Lo sversamento illegale di rifiuti tossici in Campania viene affrontato nel libro Gomorra dello scrittore Roberto Saviano e rappresentato nell'omonimo film di Matteo Garrone, e nel film-documentario Biùtiful cauntri.

 

Fonte: Wikipedia

 
 
 

La Rete si organizza contro la censura Agcom

Post n°106 pubblicato il 27 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

Migliaia di siti potrebbero sparire da Internet senza giusto processo
Come preannunciato a marzo, l'Agcom (Autorità Garante per le Comunicazioni) sta per ordinare agli Internet Service Provider (Isp) di rimuovere contenuti per via amministrativa sulla base di semplici segnalazioni dei detentori dei diritti, senza passare per il sistema giudiziario. Migliaia di siti potrebbero sparire da Internet, senza che ne' gli utenti ne' i proprietari dei siti ne sappiano nulla, visto che saranno notificati solo gli Isp.

Sarebbe un provvedimento che poggia su basi giuridiche estremamente dubbie e senza precedenti in altri paesi sviluppati, che apre la strada a una potenziale censura su Internet generalizzata perchè senza il vaglio del sistema giudiziario.

In sintesi, secondo la delibera Agcom se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. Cinque giorni per il contraddittorio. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

Il popolo della Rete si sta attrezzando per respingere il provvedimento, nella speranza di convincere l'Agcom a rivederlo.
Qui una pagina che raccoglie
le informazioni e i vari link, come la raccolta di firme, i
flashmob e le pagine di Facebook
.

Tutto questo mentre
l'Olanda invece per prima in Europa si schiera a favore della
neutralità della Rete
...

 

Fonte: http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/
grubrica.asp?ID_blog=2&ID_articolo=1218&ID_sezione&sezione

 

 
 
 

L’OPERA DI ASSOGGETTAMENTO DEL SUD

Post n°105 pubblicato il 21 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

Dopo l'annessione sabauda, il paese napoletano e la Sicilia erano scomparsi progressivamente come realtà, degradando, prima, a Questione meridionale -qualcosa che stava tra lo storiografico e l'antropologico- approdando, poi, a mera espressione geografica: territori popolati da uomini che assumevano rilevanza demografica se e quando utili alla patria italiana. Caso eclatante, la guerra all'Impero austriaco, che i fanti padani e le brigate alpine non se l'erano sentita d'affrontare da soli. In tale circostanza i contadini meridionali erano stati proclamati italiani a tutti gli effetti militari e invocati a difesa della lontana, sconosciuta e oppressiva Valle Padana.

Casi meno eclatanti, ma non meno importanti: il ripianamento della bilancia estera italiana con lo spudorato uso delle rimesse dei terroni emigranti, e l'impiego della corrispondente valuta per convertire l'immane debito pubblico (padano) e per dotare di impianti moderni la nascente industria (sempre gloriosamente padana); ciò nello stesso momento in cui il Sud invocava spasmodicamente lavoro (in sostanza nuovi investimenti).

In verità, l'opera di assoggettamento del Sud era stata condotta con spregiudicata eleganza; quasi senza lasciare tracce. Intonando patriottici inni, facendo squillare vibranti ottoni, sventolando tricolori, labari, gagliardetti e medaglieri, producendo una legislazione apparentemente appoggiata su una sola gamba, ma in effetti articolata su due, come la gru di Chichibio, l'Italia aveva piegato il Sud alle sue necessità di aspirante potenza militare ed economica.

Ovviamente la soggezione presupponeva la negazione dell'identità storica meridionale. Ma la cosa funzionava soltanto con le classi istruite, che sin dalla prima elementare -anzi sin dall'asilo- potevano essere rieducate al disprezzo della propria terra e all'esaltazione dell'ethos venale e del verbiloquente epos guerresco dei toscopadani.

Non aveva invece senso presso i contadini e il proletariato urbano. Volendo riparare, italianamente e pretescamente si escogitò un darwinismo terronico, contemplante l'inferiorità razziale dell'homo sudico, non sempre erectus, meno che mai sapiens, immancabilmente deficitario di scatola cranica e di materia grigia, di pubblica e privata moralità (su detta linea c'è ancora tanti, per esempio l'americano Putnam e persino il sudico Arlacchi, presidente, o quasi, dell'ONU).

Arretratezza storica, malgoverno borbonico, crocianesimo, lombrosismo contribuirono a comporre l'alibi vincente con cui la nazione una poté ribaltare le responsabilità del colonialismo interno addossandole tutte sugli stessi meridionali, quelli vivi e quelli morti.

Certo, anche il Sud era Italia, una parte della patria, ma solo come Questione meridionale. Per il suo bene supremo, era necessario che si emendasse, che si riscattasse dalle sue storiche ed etnografiche colpe, ovviamente, servilmente imitando l'Italia restante. Commossi, straziati, i meridionalisti avevano condotto defatiganti inchieste, le quali avevano stabilito che tutto il Sud era uno sfasciume pendulo fra due mari. Senza, però, ricordare né a sé né agli altri che lo sfasciato sfasciume manteneva il paese e pagava, con le sue esportazioni agricole, il debito estero padano.

Pur assolvendo a tale nazionale e patriottico ruolo, i contadini sudici rimanevano poveri. Essendo poveri erano anche denutriti.

Bisognava quindi che italianamente mangiassero qualche pagnotta di più. Per farlo, erano necessari dei soldi. Ma i soldi non c'erano. A qualcuno venne anche in testa che i soldi non c'erano, perché se li pappava lo stato, cioè il Nord. Ma evidentemente non era una cosa seria, degna dell'Italia una (neanche Arlacchi l'avrebbe ben giudicata). Inoltre i contadini erano analfabeti. Lo erano perché non andavano a scuola. Ma non andavano a scuola perché le scuole non c'erano. E se le scuole non c'erano, la colpa era tutta dei borboni, che non avevano provveduto ad elevare il popolo.

Dopo tanto ben architettato trattamento, alla data del 1970, il Sud era ridotto a meno di un morto che parla. In effetti non parlava. Era ammutolito, esterrefatto, inebetito, non possedeva più le idee e le risorse per comunicare umanamente con il mondo. Di esso si sapeva soltanto quel che raccontava Amleto: che c'era del marcio in Danimarca. Un cratere che vomitava clientelismo, malaffare politico e malavita organizzata.

La discriminazione nazionale era stata introiettata e aveva messo radici. Il Sud era alla vergogna di sé, alla prostrazione economica e politica. Svisato del passato e del presente, negato a se stesso, aveva sopportato tutto: offese, spoliazioni, sopraffazioni d'ogni genere. Sempre applaudendo i proconsoli di turno; ieri Ferdinando Nunziante e Giovanni Nicotera, all'atto, il colto Misasi e l'intraprendente Mancini. Ciò spiega la sorpresa dell'opinione pubblica nazionale per la Rivolta di Reggio -benché preceduta dal moto di Battipaglia- e contemporaneamente la finta indignazione dei giornali.

 


Nicola Zitara

fonte:
http://www.eleaml.org/sud/stampa/
reggio1970.html#assoggettamento

 
 
 

SCAFATI, LA VISITA DI CARLO DI BORBONE RISCALDA I CUORI DEL SUD

Post n°104 pubblicato il 10 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

 


Il busto di Ferdinando II di Borbone presente al Polverificio Borbonico di Scafati


SCAFATI – Una giornata intensa e piena di significato quella trascorsa a Scafati che ha ricevuto la visita di Sua Altezza Reale Carlo di Borbone. Martedì il Duca di Castro è arrivato in visita nella città del Salernitano accompagnato  dai vertici del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dai più stretti collaboratori della Real Casa di Borbone.



 

 

 

 

Il Sindaco di Scafati saluta la numerosa platea di autorità e borbonici



IL REAL POLVERIFICIO BORBONICO

Prima tappa della giornata la visita al Real Polverificio Borbonico, inaugurato meno di un anno fa e restaurato grazie alla volontà dell’amministrazione comunale e della Soprintendenza ai Beni Artistici e Culturali di Salerno e Avellino. Ad attendere Sua Altezza Reale, arrivato puntualmente alle 15.30 al Polverificio, oltre un centinaio di persone tra autorità civili, militari, membri dell’Ordine Costantiniano, e, soprattutto, tanti afficionados dei Borbone giunti da tutto il Sud per applaudire il Principe. Tra i tanti erano presenti i componenti e i dirigenti dei Comitati Due Sicilie, del Movimento Neoborbonico, del movimento RdS (rinascita del Sud), dell’Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie e dell’Ass. Culturale De Mollot. La manifestazione vera e propria è cominciata con l’introduzione del Primo Cittadino, Angelo Pasqualino Aliberti che ha ricordato la visita effettuata dallo stesso Carlo di Borbone al Real Polverificio nel 1996 quando venne presentato il primo piano di restauro. A presentare la storia del Polverificio è stato lo storico Angelo Pesce. A volere la struttura fu Re Ferdinando II di Borbone (1830 – 1859) nell’ottica di quel piano di auto sostentamento dello Stato, incremento della produzione nazionale e di creazione di posti di lavoro necessari a mantenere la popolazione. Avviata la costruzione nel 1851, tre anni dopo il polverificio venne inaugurato e, assieme alla bonifica del Sarno (che da allora fu navigabile nel suo ultimo tratto fino al mare), fu la principale impresa avviata dal Grande Re Ferdinando II in quell’area. Pochi anni dopo anche Scafati fu annessa al Regno di Sardegna e nel 1895 la produzione di polvere fu sostituita (era divenuto meno costoso e più semplice produrre polveri infumi dalla lavorazione della nitroglicerina) con l’insediamento, nelle strutture, del Regio Istituto Sperimentale per la coltivazione del Tabacco. Tra alti e bassi le strutture furono vissute fino al 1980 anche se con progressivo degrado. In occasione del terremoto dell’Irpinia vennero completamente abbandonate al degrado e messe a disposizione dei vandali. Alla metà degli anni ’90 Comune e Soprintendenza pensarono di riadattare la struttura per farne un centro della cultura. Un lavoro di restauro durato dieci anni ha restituito al Sud una delle creature borboniche più utili e apprezzate dalla popolazione locale. Un apprezzamento dimostrato proprio in occasione della visita di Carlo di Borbone il quale, assieme al Sindaco, ha scoperto una lapide marmorea del 1860 che celebra l’interesse per la struttura dimostrato dall’ultimo Sovrano delle Due Sicilie, Francesco II.



  

Il Duca di Castro scopre la lapide dedicata a Francesco II e in posa accanto al Sindaco e allo storico Pesce



LA LAPIDE IN RICORDO DI FRANCESCO II

Come già detto la lapide commemora l’interesse dell’ultimo Re al Polverificio. In particolare, va aggiunto che Francesco II donò alla struttura nuovi mezzi e strumenti per rendere ancora più produttivo lo stabilimento semplificando il lavoro degli operai. La lapide (come si vede dalle preziose immagini scattate dall’amico e compatriota Giancarlo Rinaldi che ringraziamo per l’ottimo lavoro fatto con le foto a corredo di questo resoconto) è spezzata nel mezzo. Essa è stata utilizzata, fino a pochi mesi fa, come tavolo da lavoro presente nella parte retrostante la struttura restaurata. Il Polverificio dispone infatti di un’area verde che lo storico Pesce ha affermato essere superiore ai 200mila metri quadrati. Nell’area verde, oggi abbandonata anche se c’è l’impegno dell’amministrazione comunale di puntare al recupero di questo maxi parco, sorgevano i veri e propri capannoni industriali di ferro e vetro all’interno dei quali si lavorava e si realizzava la polvere. Questo perché in caso di esplosioni accidentali non si danneggiassero le strutture principali e si potesse rapidamente rialzare il luogo di lavoro evitando una eccessiva interruzione dei lavori. In quest’area si trovava la lapide che oggi ricorda quella donazione e che è stata scoperta proprio da Sua Altezza Reale Carlo di Borbone. La lapide celebra:

 

FRANCISCUS II

PIUS FELIX SEMPER AUGUSTUS

QUO

PULVERIS IGNIGENAE CONFLATIONI

NIHIL MATERIATIS AEDIFICIS

AB INCLITO MAXIMOQUE PARENTE

VEL INCHOATIS VEL DECRETIS

TABERNAS MISTARIORUM

OFFICINAS

ELUTRIENDIS ELEMENTALITIIS SUBSTANTIIS

STATIONEMQUE

MILITARI PRAESIDIO PRAESTRUCTAM

EXCITAVIT

VEL AD CUMULUS PERDUCTAS

CONSUMMAVIT SUB ASCIA

ANNO R.S. MDCCCLX



(Francesco II Pio Felice sempre Augusto affinchè nulla mancasse ai nuovi edifici lignei
iniziati o decretati dall'illustro sommo genitore per la commistione della polvere da sparo fece erigere le baracche dei miscelatori le officine per la raffinazione delle materie prime e una caserma predisposta a presidio militaree avendole portate a compimento le consegnò per l'usonell'anno del suo regno 1860)



 

 


Il Principe Carlo viene accolto dal Preside Vincenzo Giannone



 


La folla che attendeva all'ingresso della Scuola



VISITA ALLA FERDINANDO II DI BORBONE 

Dopo aver lasciato il Polverificio Borbonico, Sua Altezza si è spostato presso la scuola media di Scafati che il Dirigente Scolastico, Vincenzo Giannone, ha fatto titolare lo scorso anno proprio alla memoria del Re Ferdinando II. Lo spettacolo visto alla scuola di Scafati martedì pomeriggio ha superato le più rosee previsioni. Confermando l’antico legame tra i Borbone e il proprio popolo, una folla composta dal corpo docenti, dai bambini della scuola (con in mano le bandierine del Regno delle Due Sicilie), dalle autorità e dai tanti afficionados arrivati dal Polverificio, ha accolto nel migliore dei modi Carlo di Borbone. Il Principe ha visitato la scuola media, all’interno della quale erano esposte decine di foto che ritraevano le bellezze del nostro Sud, monumenti e paesaggi, rimanendo favorevolmente colpito dal calore dei presenti che non hanno perso occasione per continui e ripetuti attestati di stima. Assieme al Sindaco e al Preside Giannone, il Duca di Castro ha scoperto una targa commemorativa della visita e ha consegnato, assieme a S.E. l’Ambasciatore Giuseppe Balboni Acqua, il cavalierato al merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, allo stesso Preside per la tenacia e la costanza dimostrata nella intitolazione della scuola al Re Ferdinando II nonostante il clima che si respira nel Paese che festeggia i 150 anni dell’unificazione politica della penisola. Carlo di Borbone, contrariamente alla ritrosia di cui si pensa possano essere affetti esponenti di casati illustri, ha dimostrato di apprezzare e non si è lesinato nelle foto e nelle firme che il suo popolo gli domandava. Non si è negato fino all’ultimo nonostante i suoi collaboratori gli facessero presente gli impegni della sera fissati a Napoli, fatto questo, che ha amplificato il sentimento di simpatia e stima nei suoi confronti. La visita a Scafati ha mostrato chiaramente quanto siano ancora importanti per il Sud i Borbone e quanto siano ancora amati, segno che la memoria è ancora viva nel popolo meridionale. Una lezione per il futuro, con l’auspicio che queste visite possano essere sempre più frequenti.


Roberto Della Rocca

Fonte: http://istitutoduesicilie.blogspot.com/2011/06/scafati-la-visita-di-carlo-di-borbone.html

 

 
 
 

QUANDO SALERNO ERA LA TERZA PROVINCIA ITALIANA.........

Post n°103 pubblicato il 09 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

Quando nel 1861 l’Italia venne unita, il valore aggiunto pro capite del Sud non era lontano anni luce da quello del Nord come adesso. A ripercorrere la storia del Pil pro capite nelle province italiane è Unioncamere, che oggi ha pubblicato anche i dati sul 2011: quest’anno ogni italiano produrrà mediamente 23.500 euro di valore aggiunto, 570 euro in più rispetto al 2010. Solo che si va dai 35.000 euro di Milano ai 13.200 di Crotone. Considerando il valore aggiunto medio per abitante nel 2011, il Nord-Ovest registrerà il 120,2, il Nord-Est 119, il Centro 11,7, il Mezzogiorno soltanto il 67,1.
AI tempi dell’unificazione c’erano già delle differenze, ma non così marcate. Il valore aggiunto medio per abitante, ricorda Unioncamere, era pari a 326 lire, la provincia più ricca era Livorno (con 428 euro per abitante) e la più povera quella della Capitanata (245 lire), corrispondente più o meno all’attuale provincia di Foggia. Nel Mezzogiorno si piazzavano bene Napoli (i suoi abitanti avevano un reddito del 2,1% superiore alla media nazionale) e anche Palermo e Bari, solo leggermente al di sotto della media. Ancora nel 1871 Salerno era al terzo posto della classifica nazionale, con un valore aggiunto pro capite del 16,7% superiore alla media (nessuna provincia meridionale è mai più arrivata così in alto…).
Nel 1931 il Sud comincia ad allontanarsi a grandi passi dal resto del Paese: mentre nel Centro-Nord il valore aggiunto per abitante sfiora le 3600 lire, al Sud non arriva alle 2400. Nel 1951 la forbice sul valore aggiunto pro capite si fissa sui 52,5 percentuali tra Nord e Sud: è in quell’anno, sottolinea Unioncamere, che l’Italia “si divide”. Il Pil pro capite del Centro Nord saliva a quota 287.000 lire, il Mezzogiorno rimaneva fermo a 161.000.  Milano si afferma con forza: con l’Italia pari a 100, Milano vola a 174,5, e raggiunge il primo posto che mantiene ancora oggi.

di Rosaria Amato

link: http://amato.blogautore.repubblica.it/2011/06/08/quando-salerno-era-la-terza-provincia-italiana/comment-page-1/#comment-5068

 
 
 

LA PROVINCIA DI SALERNO SOTTO IL DOMINIO PIEMONTESE TRA SCANDALI E CORRUZIONE

Post n°102 pubblicato il 01 Giugno 2011 da lecittadelsud
 

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Nel primo lustro di vita politica ed amministrativa unitaria, si ebbe un incremento delle rete stradale ed in particolare nei primi tre anni, dal 1860 al 1863, furono costruite strade «nazionali» per un importo di 26 milioni di lire, mentre ne erano in progetto altre per una spesa di 18 milioni, il che portò alla realizzazione di tredicimila km. di strade. In realtà gran parte di questo incremento fu dovuto al completamento di opere già iniziate con i Borbone, mentre altre già progettate e finanziate furono sospese con l’avvento dei piemontesi. In molti casi si registrarono fenomeni di corruzione e di ritardi nelle relizzazione con enorme spreco di denaro pubblico. Insomma già dai primi anni di unità si verificarono numerosi scandali negli appalti pubblici, fenomeno poi destinato a diventare uno dei mali incurabili dello stato italiano.

In particolare suscitò all’epoca molto clamore lo scandalo per la realizzazione di una strada di collegamento tra Salerno, Vietri di Potenza ed Acerno, complessivamente 250 km di strada di cui ne furono appaltati, però, solo 100. La nuova provincia di Salerno aveva ottenuto un prestito di 560.000 lire e stipulato il lavoro con l’impresa Giordano di Napoli. Il primo lotto sarebbe costato 1.700.000 lire. Questo primo lotto, la cui costruzione fu prevista in sei anni, restò a lungo incompiuto e diede luogo ad un vero e proprio “caso”. Nel 1865, a tre anni dall’inizio previsto dei lavori, non era stato assegnato neanche 1 km di strada, mentre la provincia aveva versato alla ditta appaltatrice, su certificati degli ingegneri dipendenti, 1.515.130 lire. Fu lo scandalo. Venne aperta un’inchiesta e fu sospettato di concussione persino il prefetto di Salerno Cesare Bardesono di Rigras, piemontese e uomo di Cavour, il quale avrebbe forzato la mano agli ingegneri. L’inchiesta assodò che i lavori effettivamente eseguiti ammontavano a 849.428 lire, mentre gli ingegneri della provincia ne avevano certificato l’esecuzione per un’importo di 1.415.130. lire!

Il fatto che Bardesono fosse un piemontese non deve sorprendere: alla fine del 1866, su 59 prefetti esistenti, ben 43 erano piemontesi ed il resto emiliani o toscani; anche la toponomastica di strade e piazze fu cambiata e nel Sud toccò a Venafro, il 12 febbraio 1861, la sorte d’essere la prima cittadina ad avere una “Piazza Milano“, in memoria di un battaglione mobile formato da milanesi; seguirono poi le centinaia di piazza Garibaldi, Mazzini, corsi Vittorio Emanuele ecc.

La costituzione, le leggi, il codice penale, l’ordinamento giudiziario, le istituzioni pubbliche e il sistema finanziario piemontese furono imposte a tutte le ex intendenze duosiciliane e si avviò il processo di “piemontesizzazione” delle province meridionali. Il modo e le motivazioni “vere”, non quelle di facciata, con le quali fu raggiunta l’unità furono il peccato originale che intorbidò, fin dall’inizio, i rapporti tra il Nord e il Sud. Nel suo libro “L’Italia e i suoi invasori” Girolamo Arnaldi ha scritto: “La visione dell’Unità come conquista dell’Italia da parte dei piemontesi si è affermata anzitutto come stato d’animo. Molti italiani, soprattutto nel Mezzogiorno, si sentirono infatti “conquistati”, non unificati in una patria comune. Ai loro occhi, prima Garibaldi e poi Vittorio Emanuele II apparvero come conquistatori stranieri

Ma ritornando allo scandalo di Salerno, mentre gli ingegneri furono rinviati a giudizio, l’opinione pubblica e il mondo politico salernitano furono accesi da aspre polemiche a tutti i livelli. Ai “mazziniani” di Salerno, che da qualche anno rappresentavano la sinistra in seno al consiglio comunale ed a quello provinciale, non parve vero poter diffondere ai quattro venti notizie e particolari dello scandalo in cui era implicato il prefetto Bardesono, che come detto era un uomo di Cavour, poichè aveva fatto parte della segreteria particolare prima di essere assegnato a Salerno. Ma il prefetto, nonostante lo scandalo nel 1867, divenne poi addirittura senatore del regno.

Al coro di proteste e contro il partito di governo aggiunsero le proprie voci anche l’elemento cattolico e quello filoborbonico, non dimentichi dell’ostilità del Bardesono contro l’istituzione del Real Liceo cittadino e nei confronti di tutto l’ambiente magistrale di salernitano. Anche questo non deve meravigliare: l’ostilità del Bardesono non è personale ma corrisponde ad un disegno della cultura post-unitaria che si adoperò per sradicare dalla coscienza e cancellare dalla memoria il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico" operato dei Garibaldini, sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile, e tacendo la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori. Per contro si diede della deposta monarchia dei Borbone delle Due Sicilie un'immagine traviata e distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero".

Nel 1860, prima dell’invasione piemontese, il real Liceo di Salerno aveva le seguenti Cattedre: fìsica chimica e farmacia, istoria naturale, anatomia e fisiogia, patologia generale e medicina legale, medicina pratica e clinica medica, chirurgia teoretica, ostetricia e operazioni. Inoltre aveva un gabinetto di mineralogia, di fisica e di chimica. Poco dopo l'unità d'Italia, esattamente nel 1865, il Real Liceo con le sue cattedre viene soppresso, diventando il Liceo-Ginnasio "Torquato Tasso". Questo episodio suscitò l’indignazione dei studenti salernitani che riuniti in un comitato protestarono contro Vittorio Emanuele per chiedere la riapertura delle cattedre, ma senza esito. Bisognerà attendere circa un secolo per veder risorgere un ateneo a Salerno e solo nel 2006, infine, per riavere la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Lo scandalo di Salerno si concluse con la sola rimozione del Bardesono che fu sostituito dal nuovo prefetto Decoroso, affinchè questo, si legge negli atti della provincia di Salerno, “facesse quanto occorre presso il governo per correggere un esempio cosi riprorevole di pubblica immoralità e di tradita fiducia, sostenuto in prima linea dal conte cesare Bradesono, giacche se un prefetto è potente non è certo onnopotente”. Le responsabilità dell’appltatore Giordano, invece inspegabilmente, risultarono non molto gravi tanto che gli fu rinnovato l’appalto, pur essendo state fatte da altri appaltatori offerte piu vantaggiose, e fu elevato il prezzo da 17.000 a 21.000 lire per chilometro ancora da costruire.

Al di la delle vicende giudiziarie e di corruzzione, che rimangono purtoppo immutate fino ai giorni nostri, è interessante sottolineare come questi eventi rappresentavano l’occasione per denunciare l’abbandono in cui era lasciato il meridione, soprattutto nell’ambiente politico salernitano ad opera di Giovanni Nicotera, il quale, commemorando la Spedizione di Sapri a Salerno nel primo anniversario (4 luglio 1875), disse: “Penso non essere né giusto, né possibile che una parte di questa Italia perduri in condizioni economiche poco dissimili da quelle in cui si trovava prima di entrare a far parte della grande famiglia italiana; e per spiegarmi più chiaramente dirò che queste province meridionali hanno diritto di avere nel più breve tempo possibile quei facili mezzi di comunicazione, di cui da un pezzo sono fornite le altre province del Regno”. Le strade, dirà a sua volta un altro consigliere provinciale di opposizione, Luciano Saulle di Pisciotta, “sono questione di lavoro e di sicurezza; le doglianze sono immense e se il brigantaggio non è ancora finito, colle strade finirebbe. Evvi emigrazione continua dalla provincia per l’America a cagione dello scarso lavoro ... e invece, principiando nuove strade e riprendendo quelle sospese, il proletariato troverà lavoro, il proprietario vantaggerà i suoi prodotti. E son già sei anni che tanti desideri e tante speranze vengono deluse”.

Effettivamente, dopo sei anni da che era stata fatta l’Italia, nonostante leggi e circolari, si era al punto di prima se non addirittura peggio: negligenza, illeciti amministrativi, soprusi, si perpetravano a discapito delle zone più depresse. In sei anni era stato ultimato solo il tratto Sarno-Foce, pochi chilometri in pianura nella parte settentrionale della provincia, e non compresi nel programma del ‘61, mentre nel Cilento tutto languiva, fatta eccezione per pochi tratti.

 
 
 

NAPOLI E' TUA, NOSTRA. RIPRENDIAMOCELA

Post n°101 pubblicato il 17 Maggio 2011 da lecittadelsud
 

Voglio essere 'sindaco per Napoli' perché come napoletano non posso permettere che la mia città, la nostra città, sia inghiottita dalla rassegnazione rispetto a tutte le sue problematiche, perché non possono permettere che prevalga la triste coscienza che niente possa cambiare e,soprattutto, migliorare.
La sfida per regalare alla città di Napoli una nuova stagione etico-politica è possibile, si può vincere.
Non me lo dicono i sondaggi, di cui mi interesso poco, me lo dice l'entusiasmo dei tanti cittadini e delle tante cittadine che ho incontrato in questa campagna elettorale, in occasione della quale ho visitato la città quartiere per quartiere, con più di venti comizi, con concerti e iniziative.
Non nascondo la difficoltà, perché si tratta di una sfida che ci vede competere contro il sistema: il sistema degli apparati di partito, delle clientele, del voto di scambio, delle macchine economico-organizzative, delle lobby.
Ma proprio questo aspetto, ci consente di conquistare il sostegno della società civile onesta e pulita, stanca del consociativismo trasversale e del partito della spesa pubblica, delusa ma non rassegnata alla politica degli interessi e dei poteri, quindi pronta a supportare questa nostra battaglia fondata, invece,sugli ideali e la speranza, sulla concezione che la politica sia garantire tutti, che la democrazia sia attuare la nostra Costituzione e i diritti cheessa sancisce.
Siamo alternativi a chi sceglie di candidare Cosentino col volto di Lettieri, ma anche Bassolino con quello di Morcone, per questo siamo credibili, per le mani pulite e per la voglia di non tenerle in tasca.Napoli è la città dell'arrevuoto: dove tutto è sottosopra, ma dove tutto è anche possibile.
Arrevuotiamola, pacificamente ma con determinazione.
Sarà un messaggio inviato a tutto il paese, sarà la dinamo per un cambiamento anche nazionale.
Napoli è già altro rispetto alla città dell'immondizia in strada, della disoccupazione, della camorra, delle cricche, del conflittosociale, dell'intolleranza: i napoletani vogliono cambiare, come abbiamo dimostrato con questa nostra campagna elettorale.
Ai napoletani, a tutti i napoletani dico: Napoli è tua, è nostra. Riprendiamocela.
Subito dopo, ci riprenderemo anche l'Italia.

Luigi de Magistris
fonte: http://www.demagistris.it/

 
 
 

LA LEGGE SUGLI IMMIGRATI? CI PENSARONO I BORBONE

Post n°100 pubblicato il 09 Maggio 2011 da lecittadelsud
 



Con la legge del 1817 e col decreto del 1846 Ferdinando I e Ferdinando II di Borbone regolamentarono una materia di grande attualità. L’aquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri e dei loro figli? Il Regno delle Due Sicilie era avanti di due secoli rispetto alla legislazione vigente italiana
Quanto i cittadini del Regno delle Due Sicilie ancora non conoscessero cosa fosse l’emigrazione? Il Governo di questo Stato si occupava di disciplinare, nel 1817, prima la “Legge per naturalizzazione degli stranieri” e dopo, nel 1846, il “Decreto circa la naturalizzazione degli individui nati nel Regno da genitori stranieri”. Normativa di estrema attualità, innovativa per l’epoca se si pensa che alcune di queste norme sono state recepite – per quanto concerne la maggiore età – nel 1992 dallo Stato Italiano, ma con una limitata e restrittiva portata legislativa.
Le attuali norme dello “Stato Italiano” che definiscono questa materia sono regolate dalla Legge del 5 febbraio 1992, n.91 la quale recita all’art. 4, c. 2: “Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”. Avete letto bene: c’è un preciso arco di tempo entro il quale si può acquistare la cittadinanza per nascita e residenza, il diciottesimo anno di età. Passato il diciannovesimo anno non si può più diventare italiani per nascita e residenza!!! E non è finita: visto che è richiesta anche la prova della residenza legale senza interruzione dalla nascita (DPR 12/10/83, n. 572), accade che anche chi è nato in Italia e vi ha continuamente vissuto fino a diventare maggiorenne, non possa ottenere la cittadinanza solo perché la madre, che aveva al momento del parto un regolare permesso di soggiorno, non aveva in quel momento eletto la residenza nel comune, come spesso accade quando non si dispone di un alloggio stabile, oppure perché nell’arco dei diciotto anni il nucleo familiare si è allontanato per qualche mese dal paese ed ha per questa ragione perso la residenza. Questo è quanto dispone l’attuale legislazione dello “Stato Italiano”.
La normativa del Regno delle Due Sicilie regolò questa materia con una legge di portata generale approvata il 17 dicembre del 1817 e con un decreto del 1846. Il testo della legge del 1817 recita: “Legge per la naturalizzazione degli stranieri” (Ferdinando I. Per la Grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie, ecc.).

“Volendo dare un attestato della nostra benevolenza verso quegli stranieri i quali pe’ loro talenti, pe’ loro mezzi, o per via di contratti vincoli si rendono giovevoli allo Stato, con accordar loro il godimento di quei diritti che dalla naturalizzazione risultano; e volendo per quest’oggetto stabilire una regola certa, secondo la quale il Supremo Consiglio di Cancelleria possa discutere le dimande di naturalizzazione, che da Noi vengono al suo esame rimesse; udito il parere dello Supremo Consiglio di Cancelleria; udito il nostro Consiglio di Stato; abbiamo risoluto di sanzionare, e sanzioniamo la seguente legge:
Art. 1) Potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione nel nostro Regno delle Due Sicilie:
c. 1. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato;
c. 2. Quelli che porteranno dentro dello Stato de’ talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili;
c. 3. Quelli che avranno acquistato nel Regno beni stabili su’ quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento l’anno; al requisito indicato ne’ suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del Regno almeno per un anno consecutivo;
c. 4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per 10 anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuto la residenza per 5 anni consecutivi, avendo sposata una nazionale.
Art. 2) Gli stranieri enunciati nel precedente articolo dovranno alla dimanda di naturalizzazione far precedere presso del sindaco del comune, ove dimorano, la dichiarazione di voler fissare il loro domicilio nel Regno, ed unire alla stessa domanda il documento della loro maggiore età;
Art. 3) De decreto di ammissione, che Noi faremo, sarà spedita al naturalizzato una copia autentica: munito della quale egli si presenterà all’Intendente della provincia ove dimora, per prestare nelle di lui mani il giuramento di fedeltà. Sarà preso notamento del decreto di ammissione, tanto ne’ registri d’Intendenza, quanto in quelli del comune del domicilio; facendosi menzione del prestato giuramento di cui sarà formato verbale. Vogliamo che e comandiamo che questa nostra legge da Noi sottoscritta, ecc. ecc.”.

Firmato, Ferdinando.

Non ci sono parole, una legge inimmaginabile: questi si occupavano di estendere il diritto di cittadinanza a stranieri che avessero reso o che “renderanno” importanti benefici allo Stato; a stranieri che “introdurranno” nello Stato “dei talenti distinti, delle invenzioni, industrie utili”; a stranieri che avessero acquistato “beni immobili” nello Stato; a stranieri che avevano la residenza da 10 anni e dimostrassero avere “onesti mezzi di sussistenza”; a stranieri residenti da 5 anni che avessero “sposato una nazionale”!!! (alla faccia ‘e sti quatt’ cape ‘e puorc ra Lega Nord e governanti). Con decreto, poi, n. 10406 datato Napoli, 19 ottobre 1846, avente ad oggetto “Decreto circa la naturalizzazione degl’individui nati nel Regno da genitori stranieri”, Ferdinando II stabiliva:
Veduto l’art.11 delle leggi civili, così concepito:
“Qualunque individuo nato nel Regno da uno straniero potrà nell’anno susseguente alla di lui maggiore età reclamare la qualità di nazionale; purchè residendo nel Regno, dichiari l’intenzione di fissarvi il suo domicilio; ed abitando in paese straniero, prometta formalmente di stabilire il domicilio nel Regno, e ve lo stabilisca nel decorso di un anno dall’atto della suddetta promessa”.
“Promosso il dubbio intorno al metodo come un individuo nato in Regno da genitori stranieri, ed ed inscritto ne’ registri dello stato civile, debba nel corso dell’anno ventiduesimo di sua età proporre la sua dimanda per conseguir la nazionalità del Regno delle Due Sicilie, giusta il trascritto articolo 11 delle leggi civili;
Veduta la legge del 17 di dicembre 1817,che stabilisce le condizioni e le forme come ottenersi dagli esteri la naturalizzazione in questo Reame;
Veduto il decreto de’ 18 maggio 1818, con cui fu commessa agl’Intendenti la istruzione su le dimande per naturalizzazione;
Veduto il rescritto del 6 maggio 1818, per lo quale i soli cattolici possono aspirare alla naturalizzazione in Regno;
Veduto l’articolo 15, n. 6 della legge del 14 di giugno1824 organica della Consulta generale, che commette alla medesima l’esame delle dimande per naturalizzazione;
Considerato che secondo lo spirito della vigente legislazione del Regno la nazionalità non si acquista in verun caso, senza espressa concessione;
Che la domanda per reclamo di nazionalità nel caso che tratta l’articolo delle leggi civili rientra essenzialmente nella domanda di naturalizzazione;
Veduto il parere della Consulta generale del Regno:
Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia;
Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato;
Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:
Art.1. Le dimande per naturalizzazione degl’individui nati in Regno da genitori stranieri saranno inviate per istruirsi a’ termini del decreto de’ 18 di maggio 1818 all’Intendente della provincia sia del luogo della nascita del reclamante, sia del luogo del suo domicilio in Regno, unitamente a’ documenti giustificativi dell’adempimento delle condizioni prescritte dallo articolo 11 delle leggi civili, nel modo stabilito nell’articolo e della legge de’ 17 dicembre 1817.
Art. 2. La istruzione che si compilerà,sarà trasmessa al nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia, su la cui proposizione, udito pria il parere della Consulta generale del Regno, ci riserbiamo di provvedere intorno alle cennate dimande per nazionalità.
Art. 3. La disposizione dell’articolo 3 della citata legge del 17 di dicembre 1817 sarà applicabile anche al caso di concessione di nazionalità di che tratta l’articolo 11 delle leggi civili.
Art. 4. L’individuo nato in Regno da straniero, ma non iscritto ne’ registri dello stato civile, ovvero che inscritto ne’ detti registri abbia voglia acquistare la nazionalità, dovrà uniformarsi interamente a quanto è prescritto dalla sopraccitata legge de’ 17 dicembre 1817 per la naturalizzazione degli stranieri.
Art. 5. Il nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia, ed il nostro Luogotenente generale ne’ nostri reali domini oltre il faro sono incaricati della esecuzione del presente decreto”.
Firmato, FERDINANDO

L’attuale legge italiana per l’acquisto della cittadinanza per “nascita e residenza” stabilisce due criteri fondamentali inderogabili:
1) al compimento della maggiore età la richiesta per l’acquisto della cittadinanza deve essere presentata entro un anno dalla suddetta data, altrimenti si perde il diritto;
2) documentare la prova della residenza legale senza interruzione di tempo.

La legislazione del Regno delle Due Sicilie prevedeva invece per questa materia norme più elastiche corrispondenti alla garanzia ed alla tutela di tale diritto. Infatti stabiliva che:
Qualunque individuo nato nel Regno da uno straniero potrà nell’anno susseguente alla di lui maggiore età reclamare la qualità di nazionale purché risiedendo nel Regno, dichiari l’intenzione di fissarvi il suo domicilio; ed abitando in paese straniero, prometta formalmente di stabilire il domicilio nel Regno, e ve lo stabilisca nel decorso di un anno dall’atto della suddetta promessa”.
La legge concedeva quindi la possibilità del “diritto di nazionalità” anche a chi avesse oltrepassato la maggiore età ed avesse stabilito la residenza in un altro stato – diritto da richiedere in qualsiasi momento – di venire ad abitare nel Regno. Non solo, mentre la legislazione italiana dispone tassativamente che “entro un anno dalla maggiore età” si deve richiedere tale diritto pena la decadenza, la legislazione del Regno delle Due Sicilie riconosceva la possibilità, invece, di richiedere tale diritto anche a “l’individuo nato in Regno da straniero, ma non iscritto nei registri dello stato civile, ovvero che inscritto ne’ detti registri abbia oltrepassato la età di anni ventidue, qualora voglia acquistare la nazionalità, dovrà uniformarsi intieramente a quanto è prescritto dalla sopracitata legge de’ 17 dicembre 1817 per la naturalizzazione degli stranieri”.
Conclusione: la legge del Regno delle Due Sicilie in materia di cittadinanza degli stranieri e dei loro figli era avanti rispetto a quella in vigore nello “Stato Italiano” di ben 200 anni!!!

E. Gemminni

fonte: http://www.ilfrizzo.it/Luceriae0957.htm

 
 
 
 

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Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

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