Blog
Un blog creato da lecittadelsud il 01/06/2010

LE CITTA' DEL SUD

Identità e decrescita sostenibile delle province duosiciliane

 
 

BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE

da: "DUE SICILIE" Periodico Indipendente - Direttore: Antonio Pagano

www.duesicilie.org

La storia della formazione dello Stato italiano è stata così mistificata che non è facile fornire un quadro fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all'unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio  Molti importanti documenti sono stati fatti sparire o tenuti nascosti, e ancora oggi sono secretati negli archivi di stato;

 

 INDICE

Sintesi storica

Situazione sociale ed economica

Le più importanti realizzazioni

Le cause della fine del Regno

I Garibaldine e l'invasione piemontese

La resistenza duosiciliana

Conclusioni

 

 

ITINERARIO STORICO NEL REAME DELLE DUE SICILIE
tratto da Giuseppe Francioni Vespoli (1828) e Antonio Nibby (1819)

Itinerario 1 (Napoli Capitale)
Itinerario 1 (da Portici a Pompei)
Itinerario 1 (da Pozzuoli a Licola)
(Intendenza di Napoli)
Itinerario 2 (da Nola al Matese)
Itinerario 2 (dal Garigliano a Venafro)
(Terra di Lavoro)
Itinerario 3
(Principato Citra)
Itinerario 4
(Principato Ultra)
Itinerario 5
(Basilicata)
Itinerario 6
(Capitanata)
Itinerario 7
(Terra di Bari)
Itinerario 8
(Terra d'Otranto)
Itinerario 9
(Calabria Citeriore)
Itinerario 10
(Calabria Ulteriore Prima)
Itinerario 11
(Calabria Ulteriore Seconda)
Itinerario 12
(Contado di Molise)
Itinerario 13
(Abruzzo Citeriore)
Itinerario 14
(Secondo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 15
(Primo Abruzzo Ulteriore)
Itinerario 16
(Intendenza di Palermo)
Itinerario 17
(Intendenza di Messina)
Itinerario 18
(Intendenza di Catania)
Itinerario 19
(Intendenza di Girgenti)
Itinerario 20
(Intendenza di Noto)
Itinerario 21
(Intendenza di Trapani)
Itinerario 22
(Intendenza di Caltanissetta)

 

I SONDAGGI

 

 

LE INIZIATIVE

create avatar

PER ADERIRE ALL'INIZIATIVA CLICCA SULL'IMMAGINE E COLLEGATI ALLA PAGINA DI FACEBOOK. PER PARTECIPARE AL FORUM CLICCA QUI

 

SCATTA L' ECOMOSTRO

inviaci una foto all'indirizzo:
lecittadelsud@libero.it


Ripe Rosse (Montecorice - SA)


Hotel Alimuri (Vico Equense - NA)


Punta Saponara (Porto Cesareo - LE)


Lido Rossello (Realmonte - AG)


Crescent piazza della Libertà (Salerno)

 

TURISMO E BENI CULTURALI



FAI PARTE ANCHE TU DEL PRIMO CAMPER CLUB PER CHI VUOLE RISCOPRIRE I LUOGHI E I SAPORI DEL NOSTRO ANTICO E GLORIOSO REGNO DELLE DUE SICILIE
info: duesiciliecamperclub@libero.it


create avatar

 


Il nostro spot per promuovere le bellezze della nostra terra.
Seleziona la lingua e buona visione 
i
taliano
e
spanol
english
deutsch
francaise
portugues


ASSOCIAZIONI CULTURALI



 

 

ITALIA CONTRO ITALIA

Post n°99 pubblicato il 09 Maggio 2011 da lecittadelsud
 

Uno dei pochi effetti piacevoli prodotti su di me in questi giorni dal clima rammemorativo generato dalla ricorrenza del 150° compleanno dell'Italia, è stato l'impulso a tornare a sfogliare qualche pagina di Giacinto De Sivo, il grande storico napoletano che Benedetto Croce, che gli dedicò un breve saggio garbatamente critico, definì "reazionario", mentre sarebbe forse più appropriata l'etichetta, un po' diversa, di "contro-rivoluzionario". Questo impulso è stato favorito dalla recente ristampa di quella monumentale ricostruzione degli avvenimenti che portarono alla fine del Regno delle due Sicilie che è anche la maggiore delle sue opere. Riproposto di recente, per la prima volta dopo circa quarant'anni, da un temerario editore pugliese, «Storia delle due Sicilie: 1847-1861» (Trabant, due volumi di pagine 582 e 574), per certi aspetti, è un autentico capolavoro. Indubbi sono infatti non soltanto il suo misconosciuto interesse storiografico, davvero sorprendente se si pensa che fu scritto quando i fatti che vi sono narrati erano appena accaduti, ma anche il suo valore letterario, giacché in tutte le sue oltre mille pagine risuona una delle prose più vibranti e icastiche del nostro Ottocento. Poche citazioni basteranno a dimostrare il rango di questo scrittore insieme cattolicissimo, supertradizionalista e arciborbonico. Ecco una strepitosa descrizione del clima dal quale scaturì il Quarantotto napoletano: "...afforzati dal soffio mazziniano, dalla caldezza inconsiderata de' giovani, dai vaghi del nuovo e dell'irrequieto, e più da' tanti che voglion torbido per mercatare sulle pubbliche sciagure, in breve le vulcaniche passioni nostre fecero divampare. Fu progresso il progredire a male, libertà l'attentare alla libertà altrui, coraggio civile la vigliacca baldanza che peì fortunosi tempi non poteva avere punizione. Le sette pria segrete vollero dar lezioni pubbliche per corromper la nazione e scostarla dalla devozione al sovrano; preser case in fitto e miservi circoli, dove aperto e a distesa concionavano e confabulavano, onde vi dominarono i più ciarloni; e, come sempre, chi più callido veemente ed esagerato aveva più plauso. Però legulei e storcileggi, usi al viso duro e allo sragionar di tutto, com'eran mastri di cavilli forensi, così fecersi primi demagoghi. Quei circoli con apparenza di tutelar l'ordine, aspiraron a pigliar la potestà; e sempre lottanti con essa, resero impossibile ogni potestà". Ecco un passo in cui la prosa di De Sivo, per esprimere lo strazio che gli procura lo spettacolo di un "risorgimento" ormai tralignato in feroce guerra civile, assume un nobile timbro oratorio: «Le nazioni civili che mirano lo svolgimento di questo gran dramma italiano, iniziato a nome della civiltà e del progresso, saran per fermo stupefatte al mirar la rea lotta che spezialmente nel reame delle Sicilie procede cruenta ed atrocissima fra Italiani ed Italiani. Dopo tante lamentazioni contro lo straniero, non è già contro lo straniero che aguzza e brandisce le arme quella fazione che vuol parere d'essere la italica nazione. Pervenuta ad abbrancare la potestà, ella non assale già il Tedesco, né il Franco, né l'Anglo, che tengono soggetta tanta parte d'Italia; ma versa torrenti di sangue dal seno stesso della patria, per farla povera e serva. Ella grida l'unità e la forza; e frattanto ogni possibilità d'unione fa svanire, con la creazione di odii civili inestinguibili; e distrugge la sua stessa forza in cotesta guerra fratricida e nefanda, che la parte più viva e generosa della italiana famiglia va sperperando ed estinguendo. L'Italia combatte l'Italia. Già stranieri potentissimi e formidabili sogghignano e preparano le arme; in mentre le persone, le industrie, il commercio, le arti italiane e ogni forza va in fondo, fra gli spogli, le fucilazioni, gl'incendi e le ruine. L'Italia subissa l'Italia". Ed ecco poche lucide righe sulle prevedibili conseguenze dell'annessione forzata: "L'unità per noi è ruina. In nome della libertà ne vien tolta la libertà; ritorniamo a' viceré, anzi a' luogotenenti, anzi a' prefetti . Siam costretti a pagare i debiti fatti dal Piemonte appunto per corrompere e comprare il nostro paese . Restiamo gretti provinciali, senza lustro, costretti a mercar giustizia da ministri lontani, superbi, e ignoranti delle cose nostre". Solo il primo di questi tre passi è però tratto dalla "Storia delle Due Sicilie". Gli altri due appartengono a quel suo breve preludio che è l'opuscolo intitolato "I Napolitani al cospetto delle nazioni civili". Pubblicato clandestinamente a Napoli nel 1861 e recentemente ristampato nelle edizioni "Il Cerchio" di Rimini, questo libello è uno dei testi più toccanti della nostra letteratura politica ottocentesca.

Ruggero Guarini

Fonte: http://www.iltempo.it/2011/05/08/1255857-italia_contro_italia.shtml?refresh_ce

 
 
 

NON CHIAMATECI PIU’ MERIDIONALI

Post n°98 pubblicato il 18 Aprile 2011 da lecittadelsud
 



Il Sud d’Italia oggi è diviso in due. E non politicamente, come potrebbe sembrare scontato, tra chi è di destra e chi di sinistra, ma esiste una divisione più profonda che si è generata nel corso di questi ultimi 150 anni e che oggi sembra cominciare ad avere una sua forte connotazione sociologica ed antropologica. Esistono cioè due categoie sociali, due popoli: i duosiciliani ed i meridionali. I primo sono coloro che che hanno preso coscienza, coloro che cercano la verità e sentono, come dice Pino Aprile, un bisogno “insopprimibile” di riappropriarsi della loro memoria storica e di riconciliarsi con il loro passato. Gli altri, i meridionali, sono coloro che vivono nelle “tenebre”, che non vogliono (o non sanno) riannodare i fili con il loro pasato e preferiscono continuare a chiudere gli occhi.

In realtà dopo l’Unità d’Italia, ovvero dopo la brutale sottomissione dell’ex regno delle Due Sicilie al Piemonte, si è consumata, da parte dell’allora nascente stato italiano, una sistematica cancellazione di ogni traccia della nostra memoria, della nostra cultura e delle nostre tradizioni. E per far questo prima si è usata la violenza (vedi legge Pica), e poi la manipolazione della storia, chiudendo le nostre scuole per dieci anni salvo poi riaprirle con i programmi scolastici sostituiti da quelli piemontesi in cui si insegnava agli ex abitanti del regno delle Due Sicilie diventati nel frattempo meridionali che il Piemonte era sceso al Sud per portare la democrazia (la storia purtroppo si ripete) e liberarci dall’oppressore straniero. Però questo non bastava, bisognava fare crescere le nuove generazioni di “meridionali” con il senso di inferiorità fino al punto da teorizzare tale inferiorità attraverso le teorie razziste del pre-nazista Cesare Lombroso il quale pretendeva di stabilire il carattere e le inclinazioni di una persona a partire dal suo aspetto fisico e, in particolare, dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Lombroso credeva che esistessero due tipi di italiani, i settentrionali di origini ariano-nordiche e i meridionali di stirpe negra e africana, sfalsando il mito di un'omogenea razza italica. Egli formulò teorie razziali sull'inferiorità delle persone di colore e degli italiani del Sud, considerandole razze inclini alla violenza, e sulla base di tali teorie appare chiaro come fossero necessari due modi di governare il bel Paese. Inoltre, attraverso i reportages e le fotografie di briganti veniva diffuso lo stereotipo di una terra fosca e misteriosa: si diceva che i briganti mangiassero cuore e fegato del loro nemico e che bevessero da teschi umani.

Cosi, come dice Pino Aprile, ci hanno fatto credere che eravamo poveri e arretrati, e questo ha formato il nostro carattere, il nostro modo di camminare, il nostro modo di guardare gli altri e di essere guardati, perchè noi siamo gli sconfitti, siamo i “meridionali”, ovvero, parafrasando le parole dello storico e politico italiano Luigi Carlo Farini, gli “affricani” in casa.

Ad acuire la falsità della percezione politica che i ceti dirigenti del Nord avevano del Mezzogiorno, come ha scritto Nicola Zitara, vi furono, poi, i racconti esagerati degli esuli meridionali, più intenti a esprimere il proprio odio verso il Borbone “assolutista” che a descrivere la realtà sociale e politica in modo oggettivo. Essi, nei loro lunghi soggiorni a Torino, erano ormai estranei al Paese e, ciò nonostante, alimentavano la rappresentazione negativa del Sud. Per Zitara la borghesia meridionale, per giustificare il suo tradimento “ha cancellato la storia del suo paese, o peggio ha trasformato in negativo ciò che era positivo. Soprattutto ha mitizzato l’inferiorità del Sud e reciprocamente la superiorità della Padana; una superiorità economica che ieri non era un fatto ma oggi lo è”. Dai rapporti dei politici e dai dispacci dei generali, prosegue infine Zitara, emerge un disprezzo totale degli abitanti del Sud, dovuto sia all'incapacità di capire l'alterità di una cultura meridionale, ma sopratutto alla precisa volontà di eliminare l'antichissima autonomia meridionale per esaltare, al contrario, la piemontesizzazione, quale unica strada di sviluppo possibile e di civiltà.

Pertanto il termine “meridionale” ha assunto in tutti questi anni un valore negativo diventando sinonimo di popolo che fa fatica ad esprimersi correttamente, estremamente vivace, che gesticola in maniera sgarbata, che non è propenso al lavoro, che tende a delinquere con facilità, insomma, nel migliore dei casi, incivile. Ed in parte, se si guarda oggi al popolo meridionale, questo potrebbe risultare vero, salvo poi scoprire che molti di questi tratti negativi sono comuni a tutte le popolazioni che sono tenute in stato di dipendenza da parte di chi vuole estendere la propria influenza amministrativa, tecnica e culturale.

Ma per fortuna il Sud sta conoscendo, forse per la prima volta in 150 anni, la sua primavera, il suo riscatto da terra di conquista. E questo grazie al lavoro di quanti da anni, instancabilmente, cercano di diffondere la verità storica sulla conquista del mezzogiorno d’Italia, ma sopruttutto grazie alla rete che sta facendo da impressionante megafono a tali verità. Grazie a questa lenta rivoluzione culturale (che qualcuno ha già battezzato dei “gigli”) quei meridionali della colonia del sud che stanno riaquistando la loro memoria storica, e che stanno ricostruendo le tracce del loro passato cancellato, come se stessero risvegliandosi da uno stato di coma che dura da 150 anni, diventano duosiciliani, riaprono gli occhi, cominciano a sognare e a guardare con ottimismo il loro futuro, un futuro incerto ma di libertà, ma sopratutto si riconoscono come popolo. Perciò non chiamateci più meridionali, noi abbiamo smesso di piangere.

 
 
 

UN TESTAMENTO SUL QUALE RIFLETTERE

Post n°97 pubblicato il 16 Aprile 2011 da lecittadelsud
 

Non temo le urla dei violenti, ma temo il silenzio degli onesti. 
(Martin Luther King))

 E’ la frase-testamento che ci ha lasciato Vittorio Arrigoni, indelebilmente scritta nel suo blog, come un sasso lanciato nello stagno per smuovere le coscienze.
Ma gli “onesti” che tacciono hanno più diritto al silenzio ? Un tale silenzio non somiglia, anche troppo, alla connivenza e alla corresponsabilità ?
E  non si tratta, limitatamente,  ai fatti tragici che si consumano da molti decenni  in quella tormentata terra dove i rispettivi estremismi generano odio che sfocia nelle stragi e nello stillicidio delle morti.
Sarà comodo oggi scrivere di Vittorio Arrigoni, scomodando l’eroismo e l’appello al vento a richiamo di un umanesimo  tradito e relegato nelle cantine di questo Occidente egoista, che si nutre con le radici di una economia elitaria, che non genera lavoro e solidarietà, ma competizione da affrontare nei modi più ipocriti per trarre il maggior vantaggio.
E’ stato questo Occidente che ha sostenuto i dittatori del Nord Africa per lucrare sul lavoro a basso costo e imponendo un genere di consumi aleatori ma redditizi.
C’ è voluto il sacrificio di un pacifista altruista e generoso per farci tentare un approccio globale al problema sul quale si preferisce tacere.
La formulazione “il silenzio degli onesti” , pur nel rispetto di  Vittorio Arrigoni che l’ha formulata,  è fondamentalmente errata, perché l’onestà non si coniuga con il silenzio, così come il silenzio non identifica gli onesti, piuttosto gli omertosi, i mafiosi, i camorristi e gli assenteisti alle consultazioni elettorali.
Onestà deve identificarsi con la partecipazione, con il coraggio delle proprie idee e con la forza della denuncia, senza adagiarsi sul comodo silenzio che condanna alla complicità.
Vittorio Arrigoni doveva rientrare in Italia per essere presente alla commemorazione di Peppino Impastato, due vittime accomunate da un  medesimo destino che dovrebbe scuotere le coscienze e rilanciare la dignità della denuncia e il coraggio della partecipazione.

Fonte: http://ilpuntorosso.webnode.com/news/un-testamento-sul-quale-riflettere/

 
 
 

Il tifone dopo la tempesta – La vera storia dell’Unitą d’Italia

Post n°96 pubblicato il 11 Aprile 2011 da lecittadelsud
 



Mi sa che quel che butti dalla porta, ti rientra poi dalla finestra….
così fu, che dopo essermi commossa al sentir declamare l’Inno di Mameli da Roberto Benigni a SanRemo, e dopo aver votato (:-P) ed esultato per la vittoria della bellissima canzone di Roberto Vecchioni… mi sento dire dal mio compagno di merende “Leggiti un pò stò libro…”, “Perchè?… ah” leggo il titolo “Terroni.. perchè? Che roba è? Sarà sulle solite cose… la mafia, l’arretratezza, ecc…”. “Leggi, leggi…” diceva lui. Quel giorno, lui, l’uomo che non mostra mai una lacrima e un’emozione era stato sconvolto tutto il giorno. E non capivo perchè.
Per un libro? Cose da pazzi, pensavo. E cominciai a leggere…
La lettura di questo libro per me è stata come una discesa agli inferi, una graduale, inesorabile, implacabile discesa nel fuoco dell’inferno; io che ero pronta a stendere al balcone il tricolore, io che, forse un pò presuntuosamente, ho sempre creduto di avere una certa cultura e di conoscere la storia… ho scoperto che non sapevo un cazzo. A metà libro non cel’ho fatta più: son scoppiata a piangere a dirotto, scossa da singhiozzi talmente violenti da non riuscire a fermarmi (non che mi ci voglia molto a piangere per la verità… ahahah, ma in questo caso lo ricordo ancora con ardore quel momento… mai un libro – nemmeno 1984 di Orwell!!!! – mi aveva scosso alle fondamenta in questo modo). Perchè? Perchè all’improvviso scopro che tutte le belle storielle e favolette che ricordavo con orgoglio – è il mio periodo storico preferito – sul Risorgimento non solo scopro che sono false, ma che son state anche mistificate ad arte e fatte imparare sistematicamente a scuola (perchè sui bambini è facile aver presa demagogica…) con tanto di romanzate versioni letterarie (vedi Cuore di De Amicis, o le varie versioni filmiche…)… all’inizio tu dici “No, non è possibile…”… poi passi al “Bè, ok, ammettiamo che sia vero, però…”, poi al “Basta… più di così non si può…”. E pagina dopo pagina, riga dopo riga scopri invece che sì, peggio ancora e ancor più peggio si può.
No, la cosa che non mi ha sconvolto di più non è stato scoprire le empietà degne dei peggiori nazisti perpetrate, taciute e mai rivendicate, no, nemmeno scoprire le reali trame e sete di potere che soggiacevano alle “leggendarie” gesta dei “cosiddetti” eroi, e neanche scoprire che in realtà eravamo la terza potenza economica e industriale dopo Francia e Inghilterra e che sicuramente, anche se certo i contadini non son mai stati contenti di sottostare ai latifondisti ecc, non avevamo bisogno nè di essere liberati, nè stavamo peggio che in Piemonte, Francia, Inghilterra ecc; no, nemmeno scoprire quanto era ricco il regno delle due Sicile, e che servì quella ricchezza a rimpinguare le casse in rosso dei Savoia e far partire le industrie del nord che (a detta degli austriaci, che le trovavano infruttuose per gli investimenti fatti)stentava a decollare; neanche scoprire con precisione chirurgica quali e quante leggi da 150 anni a questa parte sono state fatte apposta prima per punire e sottomettere, poi per sfruttare e mantenere sottomessi, in virtù di una millantata superiorità dei vincitori, i meridionali e renderli terroni. Neppure scoprire le strategie di deportazione che volevano infliggerci. No, niente di tutto questo mi ha sconvolto più della consapevolezza di esser stata ingannata: nei cosiddetti libri di storia (cioè della storia scritta dai vincitori) non c’è spazio per il milione di vittime, tra civili, soldati e affini, morti o impazziti dalla barbarie dell’invasore, nè per spiegare quel movimento politico di Resistenza armata che fu il “Brigantaggio” (e già il fatto che chi si sia ribellato in nome della libertà sia stato chiamato “brigante” la dice lunga…) o le terribili rappresaglie, a più riprese, molto più spietate e incivili di quanto fu poi fatto dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale….
Ero furiosa, scandalizzata, incredula. Centocinquantanni in cui la storia ci grida in faccia che i meridionali non sono mai stati considerati italiani, non dalla più parte; avevo il sospetto, intuivo, ma mai come ora ho visto con così lampante chiarezza: ci hanno considerato sempre una colonia. Rifletteteci: cosa facevano i Romani? Andavano in un posto, lo mettevano a ferro e fuoco dicendo che era in nome della “luce”, il progresso, che esportavano, lo chiamavano provincia, e poi lo usavano come borsellino monetario e umano, cioè per riscuotere tasse e uomini da mandare in altre gloriose imprese. O no? E cosa ha fatto l’Italia da 150 anni ad oggi? Riscuote le tasse (in questo siamo tutti italiani, eh…), gli uomini da mandare a morire in qualche parte del mondo… ma quando si è trattato di costruire scuole, strade, autostrade, ferrovie, porti (tutti insieme, le cosiddette “infrastrutture”…), investire nelle fabbriche del sud… allora no. Allora non siamo italiani come gli altri, siamo di serie B, veniamo dopo… veniamo sempre dopo…
Ci accusano di non esser in grado di far nulla al sud, che non abbiamo voglia di lavorare, di svilupparci… e io dico a un imprenditore del nord: vieni nel sud a partire da zero, e vediamo se tu ci riesci, senza agevolazioni fiscali (che al nord a più riprese hanno e hanno avuto), senza infrastrutture adeguate, a combattere con la mafia da una parte e lo stato dall’altra… e anzi, scopri addirittura (IL COLMO!!!!) che avevamo industrie coi Borbone e che poi i Savoia ci hanno chiuso, per non avere concorrenza intestina con le industrie del nord, che hanno attuato strategie legislative ed economiche per strozzare in tutti i modi tutto ciò che c’era di produttivo al sud, per favorire l’economia del nord…
Scopri tutto questo, completo di citazioni, rimandi bibliografici, fonti e testimonianze e ti chiedi… ma come abbiamo fatto? Come abbiamo fatto a sopravvivere? Oggi guardo la crisi e penso: se noi che siam partiti da sottozero siamo riusciti, con la forza della disperazione e il sacrificio di generazioni, a far cmq qualcosa e rimanere a galla, mentre l’imprenditoria settentrionale, con tutti i vantaggi che ha avuto e i soldi che ci avevano fregato, e le infrastrutture e il resto… se nonostante tutto adesso stanno annaspando pure loro… mi chiedo: chi ha fatto cosa? vale più il nostro galleggiare “da soli”, o il loro, nonostante tutto “annaspare”?
cioè: capire le ragioni storiche e le vere modalità con cui si decise di fare questa nazione, che no, non eravamo noi i cafoni e gli inetti, ma fummo resi così dalla barbarie del vincitore (perchè di una guerra civile si trattò), scoprire che non è che siamo noi gli inetti e gli incapaci, ma nonostante tutto, anzi, siamo capaci, grazie al nostro ingegno, la creatività, la nostra atavica capacità di arrangiarci anche con poco, capaci dicevo di colmare questo divario insopportabile tra due Italie che, ipocrite, fanno finta di essere una!
E’ radicalmente mutata la mia visione di me stessa come meridionale, della mia terra, della mia nazione, della mia storia e della mia identità…
L’unica cosa a cui pensavo mentre leggevo era “Devono sapere tutti… tutti… una cosa così grossa non può restar nascosta ancora a lungo…” e ho contattato quanti indirizzi potevo contattare sulla posta elettronica, poi su Facebook, e poi a Turi nel mio Paese… adesso scopro che non sono sola: oltre un milione di copie vendute di “Terroni” in tutt’Italia, gente che si cerca su Facebook o in giro, gente che si sta svegliando e no, non ci sta più ed esser ancora “terrona”. Abbiamo sopportato più che a sufficienza… partiamo dalla verità storica, rivendichiamo ciò che ci è stato tolto nella memoria per riacquistare una coscienza da tempo perduta, per tornare a far crescere una terra che ha molto e può dare moltissimo… la verità, dice la Bibbia, vi renderà liberi.
Per concludere riporto una citazione trovata in uan trascrizione di un’intervista a Pino Aprile: “Per liquidare un popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun’ altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia.”

Fonte:
http://terronia.wordpress.com/2011/03/19/il-tifone-dopo-la-tempesta-la-vera-storia-dellunita-ditalia/#comment-19

 
 
 

COLOMBA VS PASTIERA: CHI VINCERA' LA SFIDA?

Post n°95 pubblicato il 06 Aprile 2011 da lecittadelsud

Chi vincerà al sud la sfida tra la Colomba “nordista” e la Pastiera “sudista”? Inutile dire che noi tifiamo per la seconda. Anzi vogliamo fare un’invito a tutte le giovani mamme meridionali a riscoprire il valore della tradizione, come recupero delle proprie radici e della propria identità, e cimentarsi, magari per gioco insieme ai propri figlioletti, a fare la pastiera in casa come le nostre nonne sapevano fare. Basta girare su internet per leggere una infinità di ricette di pastiera napoletana, con tutte le sue varianti tra cui quella a doppia crema tipica della costiera amalfitana-sorrentina. La Pastiera, insomma, è un dolce che non deve mancare sulle tavole dei meridionali a Pasqua.  Simbolo della primavera, ha due ingredienti che la rendono inconfondibile: l'acqua di fiori d'arancio e il grano cotto.

Ma veniamo alle origini. La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto “confarratio”. Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.

Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.

È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.

La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.

Ancora più leggendaria e mitologica la storia della sirena Partenope che  incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia. Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero. Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo. La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.

Ancora, si racconta che Maria Teresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".

 

A Napule regnava Ferdinando

Ca passava e' jurnate zompettiando;

Mentr' invece a' mugliera, 'Onna Teresa,

Steva sempe arraggiata. A' faccia appesa

O' musso luongo, nun redeva maje,

Comm'avess passate tanta guaje.

Nù bellu juorno Amelia, a' cammeriera

Le dicette: "Maestà, chest'è a' Pastiera.

Piace e' femmene, all'uommene e e'creature:

Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,

'Mpastata insieme o' zucchero e a' farina

A può purtà nnanz o'Rre: e pur' a Rigina".

Maria Teresa facett a' faccia brutta:

Mastecanno, riceva: "E' o'Paraviso!"

E le scappava pure o' pizz'a riso.

Allora o' Rre dicette: "E che marina!

Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?

Moglie mia, vien'accà, damme n'abbraccio!

Chistu dolce te piace? E mò c'o saccio

Ordino al cuoco che, a partir d'adesso,

Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.

Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;

pe te fà ridere adda passà n'at' anno!"

 

Fonte: http://www.pastiera.it/index.htm

 
 
 

IO NON FESTEGGIO GENOCIDI, LA VITA E' BELLA

Post n°94 pubblicato il 18 Marzo 2011 da lecittadelsud
 

Durante le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'unità d'Itlia, da un balcone di piazza della Rotonda a Roma, subito dopo l'ingresso delle autorità al Pantheons, il nostro compatriota Gaetano Siciliano ha esposto un grosso manifesto con la scritta "Io non festeggio genocidi, la vita è bella", fatto togliere dopo pochi minuti, molto bruscamente, da un uomo della sicurezza che lo avrebbe, poi, denunciato.

In virtù dell'art. 21 della costituzione della Republica Italiana, Gaetano Siciliano, ha liberamente espresso il proprio pensiero, ma, contrariamente a quanto recita tale art.21 “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, il Patriota Siciliano è stato oggetto di censura, intimidito e minacciato di denuncia.

Questo è un fatto gravissimo che dimostra due cose: la prima è che in questo stato non esiste una vera democrazia matura, e la seconda è che si vuole coprire ad ogni costo “il fetore storico” del risorgimento, segno di una difficoltà dello stato italiano di continuare a nascondere, cosi come sta facendo da 150 anni, la verità su come è stata unita l’italia.

Esprimiamo, quindi, tutta la nostra solidarietà al compatriota Gaetano, figlio della Sicilia e figlio del sud. Onore a lui e a quanti lottano per affermare la verità storica e denunciare i crimini di guerra commessi contro il popolo dell’ex regno delle Due Sicilie.

Di seguito il link di un'itervista a Gaetano Siciliano:

http://www.facebook.com/l/148b7sDx5T7Q52ZW09LvMVRuiJQ
/qik.com/video/38472033?ref=nf

 
 
 

L’ENTRATA TRIONFALE DI GARIBALDI IL “REDENTORE” A NAPOLI VISTA DA GIUSEPPE BUTTA’

Post n°93 pubblicato il 16 Marzo 2011 da lecittadelsud
 



Giuseppe Buttà è stato un presbitero, scrittore e memorialista e, assieme a Giacinto de' Sivo, è forse il più famoso tra gli scrittori legittimisti filoborbonici. Nel 1860, allo sbarco di Garibaldi, partecipò all’intera campagna militare, seguendo il suo battaglione nell’inesorabile ritirata dalla Sicilia fino a Gaeta, e potendo assistere da testimone oculare a molti avvenimenti storici, fra cui la Battaglia di Milazzo, gli scontri sotto le mura di Capua e la Battaglia del Volturno. Fu tra i capitolati di Gaeta e, alla resa della piazzaforte e in seguito alla proclamazione dell’unità d’Italia, dopo un breve periodo di detenzione fu costretto all’esilio in quanto sospetto cospiratore filoborbonico. Nel 1975 pubblica “Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta”, una memoria sulla della spedizione di Mille, che tuttora rimane la sua opera più famosa ed in cui è forte il suo desiderio di far conoscere la “storia imparziale”, nella la speranza che questo avrebbe reso giustizia di tanti soprusi e persecuzioni patite.

La sua è la storia ma raccontata, quella dei vinti, che in questo stato, dal 1861, è stata volutamente  concellata o secretata negli archivi di stato.

Leggere Buttà, come anche Giacinto De Sivo, ci aiuta a comprendere cosa è realmente accaduto in in quel terribile anno che ha segnato la fine di un regno ricco e indipendente e l’inizio delle sofferenze del popolo meridionale. Ecco cosi scrive a proposito  dell’entrata “trionfale” di Garibaldi in Napoli:

 

“E’ indescrivibile il baccano che si fece all’entrata di Garibaldi in Napoli; qualunque penna non potrebbe darne un’idea approssimativa. Quel baccano superò l’altro di Palermo. Quelli però che applaudirono il dittatore erano stranieri, camorristi, donne di cattivo odore in toletta di signore; gente avida di novità, sfaccendati speranzosi di ghernire una pagnotta, e gente prezzolata. Si disse che Don Liborio erogasse in quella giornata ventiquattromila ducati dello Stato per suscitare que’ saturnali indecentissimi. La nobiltà napoletana quasi tutta avea preso la via dell’esilio, il clero sparito per incanto, l’onesta borghesia serrata in casa propria, le botteghe chiuse: il campo reso libero a’ camorristi, alla comprata plebaglia. Tutta questa gente girava in armi la città, a piedi e in carrozza, gridando Italia una, con tutte l’altre appendici, costringendo i curiosi spettatori a gridare nel modo medesimo, se no busse e coltellate. Questa gente buttava fiori sopra Garibaldi redentore; e gridò tanto Italia una che perdette la voce, e fu costretta alzare il dito indice della mano destra per indicare quell’una senza neppure intendere cosa fosse. Don Liborio fu ben servito da que’ gridatori, egli uomo scaltro avea fissato il prezzo corrispondente a’ gridi ed ai chiassi di ciascuno.

Preti spretati e monaci apostati, irti d’armi e di crocifissi, faceano anche numero in quel baccano. Più di cento cinquanta uffiziali di artiglieria, del genio, e d’altri corpi, disertori chi per codardia, chi per non perdere l’impiego, tenendo perduta la causa del Re, faceano anche numero fra quel popolaccio scomposto e briaco.

Faceano numero in quell’orgie tanti stranieri venuti a Napoli a bella posta per far popolo ed applaudire Garibaldi. Anche antichi impiegati rimasti per amor del proprio bene in officio, sperando promozioni applaudivano. Questi ultimi si atteggiavano a liberali per quanto si erano mostrati assolutisti e provocanti: si vantavano, chi liberale del 1820 e del 1848, raccontando persecuzioni che non avevano mai sofferte da’ Borboni. Anche le spie della polizia borbonica in quel giorno memorando vestivano aspetto di liberali, e si protestavano congiuratori e vittime del passato Governo.

Quel giorno, invece di essere il trionfo di Napoli, come lo chiamarono i cosi detti liberali, fu giorno che rilevò l’ingratitudine e la bassezza di non pochi napoletani, da far vergognare ogni anima onesta. Era rivoluzione: e non dobbiamo meravigliarci, se la feccia era venuta su. Cosi aviene in tempestosa marea, torna a galla ciò che in fondo giace.

Quasi in tutte le strade di Napoli seccedevano què tripudii satanici, ed i promotori erano per lo più quelli beneficati da’ Borboni, o gli stessi condannati da’ tribunali per fellonie perpretate nel 1820, nel 1830 e 1848, e a cui Ferdinando II non solo avea fatto grazia, ma aveali rimessi ne’ perduti impieghi. Questa gente facea di più, aizzava i camorristi e compagnia a perseguitare gl’innocui cittadini, o perchè designati come borbonici, o perchè non voleano far parte di quelle orgie”.

 
 
 

ESTATE 1861, IL MASSACRO DEI "BRIGANTI"

Post n°92 pubblicato il 08 Marzo 2011 da lecittadelsud
 

Una targa in memoria del massacro dei «briganti»

Un pugno di mesi appena dalla proclamazione dell'Unità d'Italia, e già l'intero Mezzogiorno brucia in un inferno di sangue e violenza. Nei territori periferici dell'ormai defunto Regno delle Due Sicilie divampa furiosa la rivolta legittimista contro le truppe piemontesi, contro la leva obbligatoria, contro le nuove tasse. Una vera e propria guerra civile, liquidata troppo frettolosamente dalla storiografia ufficiale come una successione di eventi puramente criminali. Campania, Lucania, Calabria: la mappa dell'insurrezione popolare è vasta. Decine i centri che si sollevano contro «l'invasore calato dal Nord» , aprendo le porte alle bande di «briganti», bruciando tricolori ed effigi della nuova dinastia sabauda. E scatenando rappresaglie ordinate dai vari Pallavicini, La Marmora o Cialdini, generale celebre per aver confessato di preferire di gran lunga «beduini affricani ai cafoni meridionali».
Una lunga lista di paesi martiri: Pontelandolfo e Casalduni i più noti, ma anche Auletta, teatro di un eccidio troppo spesso dimenticato. È il pomeriggio del 28 luglio quando una nutrita colonna di legittimisti invade il piccolo centro sulle rive del Tanagro. Accolta, secondo le accuse, da «ignobili feste, balli e canti». Da giorni i ribelli si concentrano nella vicina località Lontrano, in attesa di rinforzi che arrivano alla spicciolata. Contadini delusi, nobiluomini spiantati, disertori, soldati del disciolto esercito napoletano, cani sciolti. Disperati che non hanno nulla da perdere. Il primo atto, altamente simbolico, è la rimozione coatta dei ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, i padri della Patria. Il vessillo borbonico sventola di nuovo sul palazzo comunale, mentre nella chiesa di San Nicola di Mira riecheggia il Te Deum il suono delle campane invita l'intero circondario alla rivolta. Possidenti e liberali filo-piemontesi si sono già volatilizzati da un pezzo, incalzati dallo spettro di inevitabili ritorsioni. Dalla vicina Pertosa, sede di un drappello della Guardia Nazionale, scatta immediato l'allarme. Decine di guardie e carabinieri calano su Auletta nel tentativo di snidare i ribelli ma vengono respinti a suon di fucilate.
Troppo alto il numero degli insorti: urge una repentina ed esemplare azione di forza, l'analisi dei vertici militari del VI Comando, anche per scongiurare pericolosi tentativi di emulazione. Si decide l'invio dei bersaglieri, affiancati da una squadra di mercenari ungheresi. Al soldo dei Savoia già da diversi anni, gli ausiliari magiari (ma non mancano polacchi, russi, tedeschi, americani, avventurieri e tagliagole) affiancano spesso le truppe sabaude, incaricandosi del «lavoro sporco». Li precede una sinistra fama, alimentata da stupri, saccheggi, abusi e vessazioni. I soldati espugnano Auletta all'alba del 30 luglio, attraversando quella contrada Piano lasciata indifesa dagli assediati. È il caos.
Per le strade e i vicoli si apre una caccia al brigante, criminale e stupida, lo si intuisce ben presto, poiché in giro ci sono soltanto civili inermi: i veri guerriglieri hanno ritenuto più conveniente ripiegare nei boschi che affrontare un avversario superiore per numero ed equipaggiamento. Il paese viene messo a ferro e fuoco. I colpi di baionetta come colonna sonora, basta uno sguardo, una parola di troppo, un semplice sospetto per finire davanti al plotone di esecuzione. Un massacro. Sono proprio gli ungheresi a rendersi protagonisti dei crimini più orrendi, penetrano nelle case, saccheggiano, bruciano. La furia cieca e selvaggia della rappresaglia non risparmia nemmeno i luoghi di culto. E i preti, additati come i veri ispiratori della sedizione.
Il parroco Giuseppe Pucciarelli viene barbaramente seviziato a coltellate nella canonica, letteralmente fatto a pezzi dalla soldataglia assetata di violenza. Che ha il tempo di far piazza pulita di arredi sacri, ex-voto e reliquie. Stessa sorte tocca a quattro religiosi, pestati a sangue in piazza, obbligati ad inginocchiarsi al cospetto del tricolore sabaudo tra risate di scherno ed umiliazioni. Uno di loro - «quasi ottantenne» raccontano le ingiallite cronache del tempo - non resiste nella scomoda posizione, prova ad alzarsi in piedi ma un sergente gli fracassa il cranio con il calcio del fucile. Il bilancio finale della mattanza è terribile: 45 morti accertati (ma potrebbero essere molti di più) e oltre duecento arrestati, condotti a marcire nelle carceri di Salerno con l'accusa di rivolta e cospirazione.

Fonte:
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie
/arte_e_cultura/2011/7-marzo-2011/
estate-1861-massacro-briganti-190171956826.shtml

 
 
 

COMINCIAMO!

Post n°91 pubblicato il 03 Marzo 2011 da lecittadelsud
 



Nonostante i guai che da qualche tempo affliggono le potenze europee, c’è ancora chi va in giro a raccontare la storiella di un Suditalia destinato a far da ponte tra l’Europa e l’infelice Continente africano. Il commento appropriato sarebbe: “Fonte di che, di altri profitti? “ Comunque questa funzione di stazione ferroviaria tra un mondo in cui il pane raffermo si butta (o si buttava) e un mondo in cui il pane è ancora scarso, è tutt’altro che certa.  Gli architetti del Sud nuovo sono (non capisco bene se) contraddetti o coadiuvati da una legione di pessimisti (non escluso chi scrive), secondo cui l’avvenire del Sud si prospetta tutt’altro che felice. Più che fare da ponte con l’Africa, il Sud rischia di finire esso stesso in Africa. La diagnosi viene utilizzata come una minaccia dall’intera classe politica che canta l’Inno di Mameli, per incitare i meridionali a non essere insofferenti, ad avere pazienza; piuttosto a rimboccarsi le maniche (o forse a restare accosciati) onde possano meglio giovare a Roma, a Milano, a Vicenza, a Zurigo centrale di ogni finanza, e magari a Cuneo madrepatria di un grande mentore di virtù padane.
Fra gli storici che inneggiano al vincitore, non tutti sono motivati da basso servilismo, e non tutti i giornalisti si vendono l’anima per uno stipendio. Forse la maggior parte di loro, nel registrare lo strano fenomeno del dualismo italiano, non riesce a darsi altra spiegazione che quella ritrita di un meridionale abbarbicato a costumi antichi e selvaggi. Idee del genere sono alquanto diffuse. Sono passati ottant’anni da quando Gramsci, in un suo celebre scritto, cercò di spiegare, prima di tutto a sé stesso, la diffidenza che il proletariato torinese avvertiva verso i contadini sardi e meridionali vestiti in grigioverde. In appresso la diffidenza si è elevata di tono ed è vivace ancora oggi. Ma perché, poi, sorprendersi tanto, quando noi stessi siamo severi… con noi stessi? Vorremmo essere milanesi, genovesi, torinesi. I giovani nati in Settentrione da genitori meridionali – facilmente individuabili a scuola dal cognome - si affrettano a giustificarsi: “Sì, è vero. Ma io sono nato a Paullo.” E c’è persino chi nega il padre suo, come fece San Pietro.
Luigi Lombardi Satriani spiega che noi meridionali abbiamo introiettato la dipendenza. Ed ha ragione. Ma questo fenomeno incontestabile non dà una sola ragione del perché i meridionali e i settentrionali si avvertono nemici nel profondo.
L’italiano vero sarebbe il toscopadano. Gli altri si accostano sì e no. Centocinquant’anni di vita unitaria non sono bastati a superare i presunti ‘ritardi storici’ che il Sud portava con sé e che i perfidi Borbone, nemici di ogni progresso, non vollero affrontare. Siamo gente perduta, irredimibili, che è meglio perdere che trovare. Se da noi non si fosse fermato re Gioacchino, saremmo ancora al tempo in cui gli uomini si accoppiavano con le bestie.
Chi si limita a giudicare il presente, di regola addebita la colpa de ‘i mali del Sud’ alla cattiveria dei gruppi dirigenti e degli uomini di governo. ‘Piove, governo ladro!’ Spesso l’ho detto anch’io. Tuttavia una più matura riflessione porta a non separare il presente dal passato.
Partiamo da una constatazione. E’ noto che il Sud ebbe momenti di grande splendore e che registrò autentici primati civili e culturali. Credo di non sbagliare annoverandone tre. Uno di essi non disturba i sonni di nessuno, mentre sugli altri si mette la sordina. O più esplicitamente, sono noti agli addetti ai lavori e taciuti con l’opinione pubblica.
Primo. Di Magna Grecia ci riempiamo la bocca, ma quando si va a cercare quello che fu e come finì, i contorni si annebbiano. Atene democratica, Sparta guerriera, la tragica Tebe, Itaca pietrosa, Achille, Ulisse, Ajace, Elena e Cassandra non spiegano la Grecia Magna. Siamo intorno al 300 a.C. Atene e le altre città greche vanno decadendo. C’è una sola strada per rinascere, quella d’incettare nuove risorse. Alessandro il Macedone prende il toro per le corna e aggredisce i nemici storici dell’Ellade. Si spinge oltre l’Eufrate, verso l’Indo. Come risultato di una memorabile serie di vittorie, la civiltà ellenica si espande in tutto il Mediterraneo centro-orientale. Dovunque, lungo le sponde, fiorisce una cultura fine e moderna, non più nazionale o nazionalista, l’ellenismo. Il Continente mediterraneo non ha frontiere. Le capitali della vasta Comunità sono Alessandria (d’Egitto) e Siracusa.
Domanda: Chi distrusse quella grande civiltà che portò il Suditalia (allora Italia soltanto) a un livello di civiltà più avanzato dell’attuale? Dispiacerà sentirlo, ma la risposta è Roma. Ma perché, chiediamoci, tanta barbarie? Perché ammazzare Archimede, il fondatore delle scienze fisiche, un uomo di cui Copernico, Newton ed Eistein, sono solo i continuatori?
Il perché è questo: solo al Sud Roma avrebbe trovato le risorse necessarie per difendersi dai barbari padani. In verità Roma non distrusse soltanto Cartagine, come si legge comunemente nei libri di scuola, ma anche la civiltà e soprattutto la libertà del mondo italico, e utilizzò il primo disastro storico del Sud per finanziare la romanizzazione della Valle Padana, per edificare una cinta muraria intorno a Piacenza, per recingere un castrum che in appresso si chiamerà Mediolanum, per mettere Virgilio, mantovano, in condizione d’imparare il greco e di comporre – una volta appreso il concetto - elegantissimi versi in lingua latina.
Per dirla in due parole, Roma inaugura una bilancia politica e culturale valida in eterno: i costi da affrontare, per innalzare il Centronord, vanno scaricati sul Sud. E’ tutt’altro che vero che Roma abbia unificato la penisola. Fu un romano, e non altri, a scrivere: “Latifundia Italiam perdire”, dove Italia corrisponde a Suditalia e i padroni dei latifondi non si chiamano barone Poerio o baracco Baracco, ma gens Julia, gens Popilia, gens Duilia, di stirpe senatoria; famiglie di grandi usurai e di grossi padroni di schiavi, ingrassatesi con il sangue dei milites quadrati, i poveri coloni a cui, dopo venti anni di servizio nelle legioni, se tornavano vivi in paese, veniva assegnato come ricompensa un campicello di poche are, il quale, poi, veniva regolarmente venduto a un qualche civis pleclarus dai figli indebitati.
Amor di patria (italiana) pretende che nozioni del genere siano nascoste alle menti dei giovani. Inquinerebbero l’albero genealogico dell’elmo di Scipio!
Secondo. E’ limitativo soffermarsi soltanto sui bersaglieri di Cialdini e sul brigantaggio. L’assassinio di Archimede e la morte in battaglia di Manfredi ci dicono ben altro circa la concezione politica, che ispira da sempre gli altri ‘italiani’. Nell’occasione della seconda aggressione, Roma non è sola. Le stanno attorno i Comuni toscopadani (i guelfi) ingordi di prede meridionali.
Sopraffatto dai barbari nel quinto secolo dell’era volgare l’Impero Romano d’Occidente crolla. Qualche decennio dopo arriva in Italia l’esercito inviato da Giustiniano, l’imperatore romano d’Oriente. Nel tentativo di riconquistare (o non perdere definitivamente) l’Italia in mano ai barbari europei e agli arabi, i bizantini rimangono in Italia seicento anni, dal Quinto all’Undicesimo secolo d. C. Sono i secoli bui. Dei tempi in cui l’Italia viveva riccamente, in virtù dei tributi che Roma estorceva in tutto l’impero, è rimasto poco o niente. Persino il ricordo del passato si è offuscato. Soltanto i colti ne sanno qualcosa: notizie di seconda mano, mediate dagli storici greci e arabi. L’Italia è impoverita, imbarbarita. L’agricoltura, la manifattura, le città sono tornate duemila anni indiestro. L’ignoranza dilaga. In questo panorama desolato, soltanto al Sud si conserva, per effetto del legame con l’Oriente, qualcosa del vecchio ordine – per esempio gli scambi di mercato, la produzione artigianale, gli elementi imbalsamati dell’antico sapere. Più fortunata la Sicilia, che vede restaurata l’antica civiltà ad opera degli arabi. Tuttavia la decadenza del Sud non va confusa con la barbarie dominante al di là del Garigliano. Lo testimoniano cento cose, ma soprattutto il fatto che a fondare e a operare nei primi centri di livello universitario che il Papato avvia – Grottaferrata e Montecassino – sono dei monaci arrivati dal Suditalia.
La centralità del Sud nell’esportazione di manufatti, che venivano richiesti da re, imperatori, baroni e vescovi barbarici, è largamente attestata. Accanto alla splendida Palermo e alla altre città siciliane, fioriscono Napoli, Amalfi, Bari, Mola, Rossano. Sui territori in mano ai bizantini, i centri marinari godono di una considerevole autonomia privata, e qualche volta politica. I marmi che i papi romani importano per edificare nuove cattedrali vengono trasportati da navi amalfitane. La flotta di Amalfi si schiera in battaglia nelle acque di Ostia, a difesa del papa, e batte i saraceni. L’architettura e la scultura decorativa dell’età classica trovano alimento nella ricchezza dei commerci. Chi ha qualche dubbio su questi primati può facilmente toglierselo leggendo qualche pagina del fiorentino Giovanni Boccaccio e, se non sa leggere, facendosi un giro turistico per il Barisano e il Salento, per fortuna risparmiati dai terremoti che, altrove, hanno distrutto quasi tutto.
Come e perché si esaurì questo corso, se non propriamente grandioso, quantomeno promettente?
Anche in questo caso fu la stessa Italia a concepire e a condurre l’operazione d’annientamento. La vicenda è connessa con le Crociate. Il Sud del tempo è una società aperta, la gente non fa questione di pelle, è tollerante in materia religiosa, i cattolici seguono il rito ortodosso, la messa viene celebrata in greco, l’imperatore d’Oriente ha il diritto di mettere una mano nella nomina dei vescovi, i monaci basiliani si sono insediati nei centri jonici e in Sicilia, in molti luoghi si parla greco e non si raccolgono oboli da mandare a Roma. E se questo non basta, gli arabi - che sono una seria minaccia per i regni barbarici d’Europa - al Sud non sono accolti male (o non lo sono ancora, perché le scorrerie saracene non sono peggio dei saccheggi dovuti ai barbari insediatisi in Italia). Ultima ciliegina: il papa, integratosi nella logica dei regni europei, non gradisce le interferenze dell’imperatore romano d’Oriente. Per altro è maturata una nuova idea di sé. Rolando, il mitico vincitore degli arabi, assurge a nuovo eroe delle stirpi germaniche romanizzate e prende il posto tenuto da Achille e da Ettore nell’epos collettivo. Bisognerà che Dante Alighieri e gli altri componenti del suo circolo poetico assorbano la lezione che sale da Palermo, perché Omero e Virgilio tornino in auge.
I papi e i re d’Europa pensano che a migliore difesa dell’Europa e del Papato sia necessario spezzare il Continente mediterraneo, e siccome il Sud ne è la punta avanzata, bisogna che esso diventi una colonia d’Europa. Il compito viene affidato ai normanni, i quali s’impadroniscono del Paese, ma avviano l’opera d’imbarbarimento con visibile perplessità. Una volta padroni di questa terra non gli conviene condurla a rovina. L’esaurimento della dinastia regnante porta sul trono di Sicilia Federico II, che eredita anche il trono imperiale. A questo punto il disegno di partenza è messo in serio pericolo. Il nuovo re, obbedendo alle istanze provenienti dalla progredita collettività siciliana, progetta, per primo al mondo, uno Stato modello: laico, robusto nelle istituzioni e aperto al progresso. Ma è proprio quanto non serve alla Chiesa e ai toscopadani. Federico viene fortemente contrastato. Non vince e non perde, anche perché muore in giovane età. Suo figlio Manfredi, che tenta di unificare l’Italia, perisce in battaglia. Gli altri successori di Federico cadono per mano francese. Per il concerto delle nazioni barbariche e per i liberi comuni italiani il Sud sale alla dignità di colonia d’Europa.
Nel corso dei cinque secoli compresi tra il tempo in cui Dante era un giovanetto a quello in cui si spegne Gianbattista Vico, il Sud percorre un cammino a ritroso, taglieggiato com’è dai baroni francesi e spagnoli, e impoverito dalle usure genovesi e fiorentine. Il ritorno all’indipendenza nazionale, nel 1734, è preparato da un moto, detto impropriamente ‘illuminismo napoletano’, e che meglio si chiamerebbe riformismo napoletano, di cui la dinastia borbonica si propone come garante e guida operativa. Chi ha qualche dubbio si rilegga le belle pagine che Benedetto Croce – di cui è ben noto il cavourrismo e il sabaudismo – dedica a questo passaggio della storia politica napoletana. I Borbone cercano di portare il paese alla modernità commerciale e industriale, e si difenderlo dall’Inghilterra e dalla Francia, che sventolano bandiere liberali e ugualitarie, ma sottobanco sgraffignano tutto quello che arriva loro a portata di branca.
Ma l’indipendentismo borbonico è mal digerito. Francia e Inghilterra non lo tollerano. Quasi una tacita congiura tra patrioti meridionali, scaltri politicanti e incalliti diplomatici, stronca l’intelligente e generoso tentativo di modernizzazione. Il Sud riprecipita nelle grinfie della politica europea, impostata sulla crescita attraverso la colonizzazione, e diventa nuovamente un territorio di pascolo aperto alle usure toscopadane.
Per merito dei poeti e degli studiosi, e specialmente per merito (o demerito) della Chiesa romana gli italiani hanno elaborato una lingua comune e sedimentato una tradizione consimile. Ma non unitaria. Le due parti del paese sono state assieme politicamente soltanto per qualche secolo, dal regno di Tito a quello di Costantino. Sin dal tempo della prima colonizzazione greca esistono due formazioni sociali, due Italie, una che viene dal mare e una nata dalla terra. Roma, alle origini città etrusca o largamente etrusca, si é estesa verso nord, fin oltre le Alpi, ed è ancora la postazione più meridionale del continente politico e militare Europa. A sud di Roma, la società si apre quando arriva un contatto dal mare, e si gela quando a realizzare il contatto è il Nord. L’alterità è persino anteriore a Roma ed è testimoniata dallo scontro tra una flotta etrusca e una magnogreca nel Golfo di Gaeta. Questa alterità è tuttora visibile. Basta guardare una cartina geografica, per rendersene conto. Tra il reticolo metropolitano che si affaccia sul Golfo di Napoli e il reticolo urbano della Bassa Padana, se in mezzo non ci fosse Roma (in pratica il papato), si vedrebbe un forte calo di densità urbana. Il fatto era ancora più evidente prima che Roma divenisse la capitale del Regno d’Italia, nonostante che per millenni l’Italia fosse stato il paese più densamente popolato dell’Occidente. Quindi due formazioni sociali scarsamente comunicanti fra loro, e solo debolmente integrate sul terreno politico e sociale ad opera della Chiesa romana.
Questo Sud che, non ascoltando i buoni consigli di Giorgio Bocca, potrebbe precipitare dal suo piedistallo italiano nel deserto del Sahara, non è mai stato Europa, ma una colonia desertica d’Europa. Il generoso tentativo di Federico II di fare dello Stato un’opera d’arte si è esaurita con l’inconsistenza di un sogno e la buona volontà dei dinasti Borbone, di allentare la morsa della colonizzazione europea, si è spenta con il tradimento della classe baronale e sotto l’onda del loro finto liberalismo, infognando la coscienza collettiva in ascarismo di facciata e nell’impotenza strutturale del meridionalismo.
Oggi, non c’è un solo aspetto della vita sociale che non sia impantanato. La disoccupazione imperversa sin dal giorno in cui i bersaglieri risorgimentarono l’ordine padanista nelle Fonderie di Mongiana e nello stabilimento di Pietrarsa. Da quel lontano anno il Sud italiano ha ininterrottamente prodotto milioni di disoccupati e interminabili eserciti di emigrati. Ma il sogno esogeno di pane e companatico oggi è off limis. La valvola di sfogo è chiusa. Anche l’altro corno dello storico dilemma ‘o emigranti o briganti’, come dire la sollevazione popolare del paese, è inconcepibile. Anche la Chiesa, che al tempo di Pio IX aveva difeso i suoi privilegi, è passata dall’altra parte. Per giunta il sistema politico italiano prevede che i moti popolari meridionali possano avere dignità politica solo se ispirati e diretti dai partiti padanisti, untuosamente definiti nazionali. A qualche militante della vecchia sinistra brucia ancora sulla pelle lo sbarco a Reggio Calabria dei venti o trentamila metalmeccanici guidati dal resistenziale e liberator d’Italia, Luciano Lama, per fustigare come fascista una rivolta inequivocabilmente di origine popolare.
Quanto ai politici, non c’è da fare assegnamento. Il sistema italiano non lascia loro altro spazio che l’uso inverecondo del pubblico danaro. Le cose stanno anche peggio fra la gente comune. La mobilità sociale è possibile solo nel quadro della corruzione o con l’impiego della lupara. Le aziende private hanno la teorica libertà di sopravvivere, ma soltanto negli spazi lasciati vuoti dal capitalismo toscopadano. E solo se si appoggiano alle armi.
A tutto questo, che già bastava per configurare un disastro, è venuto a sommarsi una decina d’anni fa l’abbassamento della curva dei salari e ultimamente la confisca di stipendi e pensioni, collegata alla circolazione dell’euro.
E’ immaginabile che con il sopraggiungere delle nuove spoliazioni decretate dal monopolio elettrico e da quelli del gas, dei telefoni, della distribuzione di frutta e verdura, nonché a causa dal sensibile rialzo dei prezzi per i manufatti cinesi, scoppi – mafia permettendo – qualche disordine. E’ anche ipotizzabile che i disordini crescano nei mesi e negli anni, ma, mancando un progetto politico alternativo, tutto quel che il Sud otterrà sarà qualche lacrima di cordoglio in un editoriale del ‘Corriere della Sera’ e un titolo a tutta pagina su ‘il Manifesto’.
Nessuno può dire quel che accadrà domani. Fra le tante cose, potrebbe avvenire che il prossimo governo decida di essere meno permissivo e consonante con la mafia. Ma la cosa non migliorerà in alcun modo l’assieme. Continuando a scambiare l’effetto per la causa, la mafiosità dilagherà come l’unica, possibile fonte di sopravvivenza. Danni ancora peggiori fa l’idea che il Sud debba modellarsi di più e meglio sull’Italia restante. Insistendo su questo equivoco, il meridionalismo si è spento per consunzione. Con smodato cinismo, il coordinamento romano continua a proclamare come modello da seguire, quello toscopadano, ben sapendo che esso non si attaglia alla siluette meridionale. Un disastro che dura da 150 anni lo dimostra a sufficienza. Il Sud è paese grande, con una sua storia antica. Come l’India e come la Cina, che avvizzirono sotto la dominazione o l’influenza inglese, e una volta libere sono rifiorite - così il Sud, che, portato al disastro dal governo unitario, riacquisterà la voce e l’anima, se e quando tornerà libero e indipendente.
L’idea che viviamo una condizione coloniale è chiara nella mente di tutti, ma non si sa come uscirne. Ora, dacché mondo è mondo, dal colonialismo non si esce per iniziativa del colonizzatore - nel nostro caso di Roma e consorti toscopadani - ma in seguito a un processo di liberazione e decolonizzazione.
Avverrà sì o no? Come avverrà? Quando avverrà? Nessuno può dirlo. La risposta è nelle mani di Dio. Noi possiamo fare soltanto il nostro dovere di patrioti, di figli di questa terra, di uomini e donne di questo popolo, di padri e madri di altri meridionali, a cui potrebbe toccare in sorte la stessa impotenza e le stesse umiliazioni che noi abbiamo patito e patiamo. Il debito di amor patrio che abbiamo verso di noi e con il mondo, non lo assolveremo da barbari e ingordi di saccheggi liberisti, ma da esseri pensanti; lo faremo con la giusta umiltà dell’inerme, ma anche con l’orgoglio di sentirci pronipoti di Archimede, di Mafredi, di Antonio Genovesi, di Ferdinando II, di Carmine Crocco.
Il nostro primo dovere sta nell’immaginare un’alternativa al presente che sia coerente con i veri bisogni della nazione. Il primo dei quali è sicuramente un lavoro. Il quadro economico a cui facciamo riferimento è quello dal quale la politica delle potenze europee ci ha strappato: il Mediterraneo orientale. I paesi dell’arco orientale stanno rinascendo. Se un giorno si arriverà alla pace tra ebrei e palestinesi, l’avvenire sarà ancora più limpido. Certamente non è più il tempo di Atene o della Koiné alessandrina. Non è più il Mediterraneo orientale a produrre idee per il mondo. Però è necessario che nell’accettare gli input esterni, essi siano rielaborati, affinché aderiscano con minor dolore umano alla rimodulazione della realtà sottostante. Va soprattutto respinto il principio d’indifferenza rispetto all’occupazione, che è contenuto nel comandamento del minimo costo di produzione. Si tratta di una concezione spesso fallace, fatta circolare ad arte perché favorisce l’azienda capitalistica. Infatti il minor costo di produzione dell’azienda concorrenziale frequentemente si rivela come un maggior costo economico per la collettività circostante, oltre che - naturalmente - un maggior costo umano (l’indifferenza verso i costi umani della transizione è poi il credo non rivelato della filosofia liberl-liberista, come attualmente è facile vedere in Cina).
Il Mediterraneo orientale torna a essere un crocevia del commercio con l’Africa e e con l’Asia. Ma se resteremo nel quadro nazionale italiano, la cosa sarà per noi un’occasione perduta. E non perché l’Italia vorrà tenersi fuori, ma perché i centri nevralgici del movimento saranno dirottati dalle forze politiche verso Livorno, Genova, Trieste, Venezia, e questi porti saldamente collegati da mani milanesi. E forse l’operazione estorsiva ha già raggiunto Napoli, Brindisi, Gioia Tauro.
Il resto del nostro progetto non è difficile da articolare. Il Sud ha gli uomini capaci e le risorse economiche necessarie per portarsi ai livelli più moderni in tutti i settori della produzione: agricoltura, industria, trasporti, commercio, banca, servizi sociali, scuola etc. Niente pensieri mediani. Il fattore che manca è la libertà statuale. Per questo motivo, è supremamente importante la capacità politica e la serietà del futuro governo. La restaurazione della monarchia borbonica è un dato fondamentale del progetto. Dopo 150 anni di casini elettoralistici, il paese ha bisogno di un punto fermo. Legge e ordine: e non nel senso reazionario, ma in quello della consapevolezza dei doveri personali verso la collettività. In particolare i giovani vanno riportati al senso dell’onore, del rispetto di sé e degli altri, all’amore per il lavoro e per il sapere, al senso critico.
Dove c’è lavoro, prosperità e sapere, crescono spontaneamente la cultura e l’arte.
Oggi c’è solo dolore e vergogna. Cominciamo! Non sarà facile, ma non c’è altra scelta. Che lo spirito dei nostri maestri ed eroi poggi una mano benevola sul futuro di questo paese!

Nicola Zitara (Siderno, 18 Novembre 2005)

 

Fonte: http://www.eleaml.org/nicola/politica/cominciamo.html

 
 
 

ATTENZIONE AL TRASFORMISMO DI STAMPO MERIDIONALISTA

Post n°90 pubblicato il 02 Marzo 2011 da lecittadelsud
 


Si sa l’Italia è il paese in cui è nato il tarsformismo politico, che ha liquidato la dialettica dei partiti (le maggioranze si formano sui singoli provvedimenti e non per schieramenti), segnando una scadimento della vita politica italiana. Ma quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi è paradossale, e cioè si sta materializzando una nuova fase del trasformismo politico italiano che non è più un passaggio trasversale da partiti di aree opposte, ma avrebbe, in apparenza, un velo di alto profilo ideologico: il meridionalismo e la causa del sud.

Sembra che all’improvviso, ma con un tempismo micidiale, ci sia stata un folgorazione di massa per cui, da destra e sinistra, si sente un bisogno insopprimibile di scendere in campo per difendere la causa meridionale. Da destra a sinistra aumentano a macchia d’olio i “pentiti” di turno che lanciano appelli all’unità (del popolo meridionale) ed al riscatto del sud, come se queste persone fossero scese da un’altro pianeta e non avessero mai preso parte all’attività politica e parlamentare di questo paese.

E cosi succede che dopo decenni in cui nelle sedi dei partiti nazionali non era più di moda parlare di meridionalismo e di “questione meridionale”, adesso si riscopre improvvisamente che in questo paese è esistito il meridionalismo, sono esistiti Salvemini, Dorso, Fortunano, Nitti, Sonnino, ecc., e che adesso bisogna “accantonare i colori politici quando c’è di mezzo il futuro del Sud e combattere uniti per centrare l’obiettivo senza farsi marginalizzare, come al Nord sanno fare molto bene”. E poi c’è chi da sempre promette, o meglio mente sapendo di mentire: “Il Cipe farà di tutto e anche di più per garantire al territorio di Trapani questa importante opera viaria. Solo lavorando in sinergia sarà possibile trovare le soluzioni più opportune per dotare la vostra provincia di infrastrutture necessarie per il suo sviluppo”. Salvo poi  scoprire che il CIPE stanzia 21 miliardi al nord e 200 miolioni al sud. Ma c’è di più, addirittura si arriva anche ad esclamare all’avversario politico, anche lui meridionalista, che è sempre piu' “isolato e abbandonato” e che “ rilascia ormai dichiarazioni sconnesse, dimenticando di essere l'unico ad aver tradito il popolo meridionale e le aspettative di chi aveva creduto in un progetto di riscatto per il Sud”. E questo solo perchè appartiene ad uno schieramento politico di segno contrario.

Insomma siamo alla fiera del surreale. Persone che sono state responabili, diretti o indiretti, dell’aggravarsi delle condizioni del mezzogiorno, ora si riciclano e si riscoprono paladini del sud. Ma perchè? E perchè adesso?

La risposta è molto semplice: il sistema di potere mafio-massonico che da 150 anni mantiene il sud in una condizione di subalternità, al limite del colonialismo, oggi comincia a temere una perdita di consensi da parte di un sud sempre più deluso e in crisi.

La disoccupazione, la criminalità che impedisce di intraprendere, la corruzzione, la clientela politica, il disastro ambientale, l’abusivismo sono tuttio fattori negativi che, aggiunti al risveglio delle menti attraverso la riscoperta della propria identità e della verità storica sui fatti che hanno determinato l’unità d’Italia, stanno creando un mix esplosivo di rabbia e odio che è pronto per esplodere.

Questo il sistema lo ha capito e si è dato subito da fare cercando di far proliferare falsi movimenti e partiti meridionalisti il cui unico obiettivo è dividere e calmierare i bollori di una possibile “rivoluzione” meridionale. E questo nel modo più subdolo possibile, come ben si addice ad un sistema di regime, e cioè mettendo i meridionali gli uni contro gli altri e sottraendo voti ai veri partiti e movimenti meridionalsti ed indipendentisti che da molti anni, ormai, stanno portando avanti una battaglia culturale nella totale assenza dei mass-media e osteggiati da quella stessa poltica che oggi vorrebbe appropriarsi di quel raccolto che, dopo anni di sudore e sacrifici, finalmente comincia a dare i sui frutti.

Perciò stiamo bene attenti quando qualcuno parla di meridionalismo e difesa del sud. Apriamo gli occhi e non facciamoci dividere e indebolire. Chi è responsabile dei disastri di oggi, o anche solo chi fino a ieri ha chiuso gli occhi, è stato connivente con la criminalità o ha addiruttura favorito gli imprenditori del nord attraverso giri di danaro pubblico che da Roma andavano al sud e poi misteriosamente ritornavano al nord, lasciando deserto e miseria, non può essere poratore “sano” dei valori del meridionalismo. Sarà sempre un servo corrotto del sistema.

Facciamo appello, allora ai movimenti e partiti storici, sia meridionalisti che indipendentisti, e che ora sono divisi, a dichiararsi finalmente fuori dalla dipendenza dei partiti nazionali, dalle ideologie o dal colore politico, ed unirsi nella lotta comune. Destra e sinistra per noi meridionali sono solo “indicazioni stradali” e un grande movimento identitario meridionalista non può avere una colorazione politica. E’ vero, questo implica tempi più lunghi per avere una rappresentanza parlamentare, ma abbiamo avuto 150 per risolvere la questione meridionale, nessuno a mai fatto niente e il popolo del sud ha continuato a camminare in silenzio e con dignità. Non bisogna avere fretta. Innazitutto va preparato il popolo sul piano culturale e poi quando questo lavoro sarà compiuto, solo allora potra cominciare la vera lotta politica. Oggi le regole del sistema di potere ci porteranno ad avere tanti partiti meridionalisti di destra e di sinistra in lotta fra di loro. Se questa è la prospettiva, allora il sud non sarà mai riscattato.

 

 
 
 
 

RADIO CITTA' DEL SUD

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

TAG

 

AREA PERSONALE

 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 5
 


Sito denuclearizzato


LE RADIO


La radio di notizie e musica 'made in Sud' per ridare memoria storica al nostro popolo e per riaffermare valori e cultura del territorio che prima dell'unità d'Italia era il Regno di Napoli, poi Regno delle Due Sicilie
 

radio insorgenza 
La Web Radio del Movimento di Insorgenza Civile

 

SITI DI INFORMAZIONE


logo_nuovos




SITI DUE SICILIE




 

adesivo ovale due sicilie
copia, ritaglia e incolla sulla tua auto

 

L'AFORISMA

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Italo Calvino, da “Le città invisibili”

 


LA RICETTA
Paccheri Al Regno delle Due Sicilie
Paccheri di Gragnano ripieni di ricotta di pecora e Gamberetti di Mazzara su ragout di pomodorini del Vesuvio e salsa di Gamberi
vedi la ricetta in dettaglio

LA POESIA
"E ' a Riggina! Signò! … Quant'era bella! E che core teneva! E che maniere! Mo na bona parola 'a sentinella, mo na strignuta 'e mana a l'artigliere… Steva sempre cu nui! … Muntava nsella Currenno e ncuraggianno, juorne e sere, mo ccà, mo llà … V''o ggiuro nnanz' 'e sante! Nn'èramo nnammurate tuttequante! Cu chillo cappellino 'a cacciatora, vui qua' Riggina! Chella era na Fata! E t'era buonaùrio e t'era sora, quanno cchiù scassiava 'a cannunata!… Era capace 'e se fermà pe n'ora, e dispenzava buglie 'e ciucculata… Ire ferito? E t'asciuttava 'a faccia… Cadiva muorto? Te teneva 'mbraccia…".
(tratto da O' surdato 'e Gaeta di Ferdinando Russo)


PER RIDERE UN PO

cavour_garibaldi
Cavour è un tale che muore dal freddo piuttosto che dividere il fuoco con gli altri (G.Garibaldi)

LA FOTO



 

MOVIMENTI E SITI DI INFORMAZIONE


 

 

 

  




 

 

Facciamoci vedere!

 

LIBRI IN VETRINA

 

 
Il Sud e l'unità d'Italia
Giuseppe Ressa
Centro Cult. e di Studi Storici
Brigantino-Il Portale del Sud, 2009
Scarica la versione in pdf


Terroni di Pino Aprile
Terroni

Tutto quello che è stato fatto
perchè gli italiani del sud
diventassero meridionali
Pino Aprile
Piemme, 2010



La Rivoluzione Meridonale
Guido Dorso
Edizioni Palomar, 2005


Fuoco del Sud
Lino Patruno
Rubbettino Editore, 2011

 

I NOSTRI VIDEO

https://www.youtube.com/watch?v=MkiLtLOsXjE
UNITA' D'ITALIA: UNA SPORCA GUERRA DI CONQUISTA

https://www.youtube.com/watch?v=DywufX7s5Hw
L'ATTACCO DELLO STATO ALL'INDUSTRIA MERIDIONALE

https://www.youtube.com/watch?v=_xP6vELmimo
FRATELLI MASSONI

https://www.youtube.com/watch?v=agVEOR1Rf2c
STORIA DELL'IMMAGINE AFRICANA DEL MEZZOGIORNO

https://www.youtube.com/watch?v=IuwD7x18vHA
ZEROCITY: LA CITTA' DEL FUTURO

 

I VIDEO DALLA RETE


INNO DELLE DUE SICILIE
(Giovanni Paisiello 1787)


IL MERIDIONALISMO E IL SUO PROFETA
(Nicola Zitara a Mizar-TG2)


I PRIMATI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
(sotto la dinastia Borbone dal 1734 al 1860)


CARO NORD
(liberamente tratto dall'omonima lettera di Giuseppe Quartucci)

 

LINGUE E DIALETTI MERIDIONALI

 

Wikipedia Napoletano

 

 

Wikipedia Siciliano

SEGNALATECI INIZIATIVE DI RECUPERO E VALORIZZAZIONE DELLE LINGUE E DEI DIALETTI MERIDIONALI ALL'INDIRIZZO: lecittadelsud@libero.it

 

CAMPAGNE E INIZIATIVE DAL WEB

 

denuncia episodi di
discriminazione razziale
o territoriale verso
i meridionali
CLICCA QUI

 

LE PETIZIONI

SEGNALA LA REGGIA DI CARDITELLO COME LUOGO DEL CUORE

 

SEGNALA IL PARCO FLUVIALE DELL'IRNO COME LUOGO DEL CUORE

picture to gif
 

Comitato No Lombroso - NoLombroso.org

 

LOGO_noCrescent
L''ecomostro in costruzione nel cuore di Salerno
FERMIAMOLO
FIRMA QUI

make a gif

L'uso criminoso dei NOSTRI soldi per avvelenare le NOSTRE FAMIGLIE deve finire.

 

HANNO DETTO SUL MERIDIONE


Il governo piemontese si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli
L’ Osservatore Romano (1863)

Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell'unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari
Pietro Calà Ulloa (1868)

Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli
Giacinto De Sivo (1868)

L’unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’ unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali
Giustino Fortunato (1899)

Sull’unità d´Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone
Gaetano Salvemini (1900)

Le monete degli stati pre-unitari al momento dell’annessione ammontavano a 668,4 milioni così ripartiti:
Regno delle DueSicilie 443,2, Lombardia 8,1, Ducato di Modena 0,4, Parma e Piacenza 1,2, Roma 35,3, Romagna,Marche e Umbria 55,3, Sardegna 27,0, Toscana 85,2, Venezia 12,7
FrancescoSaverio Nitti (1903)

Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti
Antonio Gramsci (1920)

Prima di occuparci della mafia  dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia
Rocco Chinnici (1983)

L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie,
delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute
Angelo Manna (1991)

 
 

LINK UTILI

- Arcosanti
- INU Commissione Ambiente
- Greencityenergy
- Greenlife
- Stopthefever
- Green Building Council Italia
- Lifegate
- Laboratorio Sottosuolo
- Rinascimento Urbano
- Agenzia Internazionale Energia
- Comitati Due Sicilie
- Due Sicilie
- Eleaml
- Morrone del Sannio
- Insorgenza Civile
- Decrescita Felice
- Rinascita Campania
- 2° Circolo Didattico Scafati
- Indipendenzaenergetica
- Brigantino - Il portale del Sud
- Il Brigante
- Libera Pluriversità Napoli
- Scuola & Territorio
- Nazione Napoletana
- Iniziativa Meridionale
- Movimento Neoborbonico
- Reggenza Regno Duesicilie
- Editoriale Il Giglio
- Ass. Culturale Amici Angelo Manna
- L'Altro Sud
- Parlamento delle Due Sicilie
- Rifondazione Borbonica
- Signoraggio.it
- Per il Sud
- Pino Aprile
- Sud Federale
- Rifiuti Zero Campania
- Rifiuti Zero Sicilia
- Centro Studi Carlo Afan De Rivera
- Alunni Briganti
- Movimento VANTO
- No Inceneritore Salerno
- Pizzicapizzica
- Siano Eco-Sostenibile
- Orgoglio Sud
- Sud Indipendente
- Alternativa Sostenibile
- Onda del Sud
- Magna Grece
- Due Sicilie Oggi
- Identità Mediterranea
- 2033 Progetto Sud
- Alleanza Etica
- Sud Libero
- Fare Sud
- Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie
- Rete Due Sicilie
- Terronia
- Il Regno delle Due Sicilie
- Il Giglio del Sud
- Patrioti Briganti
- Fronte Indipendentista Due Sicilie
- Orgoglio Napolitano
- Popolo Napulitano
- Città Future
- Irredentismo
- Vittime Fenestrelle
- La Terra dei Fuochi
- Giggino & Totore
- Fronte Meridionalista
- Il Cambiamento
 



Questo sito non rappresenta una testata giornalistica. Non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 07/03/2001. L'autore non ha alcuna responsabilità per ciò che concerne siti ai quali è possibile accedere tramite i link posti all'interno del proprio blog, forniti come semplice servizio agli utenti della rete. Le foto e i contenuti riportati in qualche caso sono scaricati da internet. Se sono stati lesi diritti di terzi, l'autore prega di segnalarli. L'autore provvederà immediatamente alle rimozioni relative.

 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963