Creato da lillysorriso il 13/06/2008

Vivere per amare

Riflessioni e pensieri sparsi di una piccola anima

 

 

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Il comandamento più importante

Post n°986 pubblicato il 03 Marzo 2009 da lillysorriso

            La profezia del rinnegamento

        

         Un altro testo a cui dobbiamo fare riferimento è Lc 22,31-34. Cristo in questo brano parla esplicitamente della seconda conversione come una tappa necessaria affinché i suoi discepoli raggiungano una maggiore stabilità nell’esperienza cristiana. Ciò avviene nel contesto di un dialogo con l’apostolo Pietro, dove la predizione del suo rinnegamento segna anche il passaggio che deve avvenire, nel cammino personale dell’apostolo Pietro, dalla prima alla seconda conversione: “Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. E Pietro gli disse: Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e anche alla morte. Gli rispose: Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”. Questi versetti, nelle loro battute succinte, contengono una teologia estremamente densa: innanzitutto l’allusione a una fase nuova e diversa che l’apostolo deve attraversare, per essere in grado di assumere una responsabilità pastorale nei confronti degli altri, i quali verranno corroborati dal suo ministero: “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (v. 32). L’azione ministeriale e l’assunzione di una responsabilità pastorale nella Chiesa, sono opere che presuppongono l’attraversamento della seconda conversione; il Maestro parla esplicitamente del passaggio di Pietro a un “secondo ravvedimento”. Che l’Apostolo si trovi nella fase della prima conversione, lo dimostrano con chiarezza i versetti successivi, dove Pietro assume gli atteggiamenti comuni a tutti coloro che si trovano nella prima conversione: un’eccessiva sicurezza sui risultati raggiunti nel proprio cammino e la non conoscenza di sé.

                     La seconda conversione conduce invece la persona alla conoscenza di sé in Dio e del proprio bisogno del sostegno continuativo della grazia, comprendendo che la grazia di Dio non va intesa come un pieno di benzina, che una volta fatto mi permette di camminare autonomamente per molti chilometri. Questa illusione crolla quando si passa attraverso la notte oscura indicata da Cristo con le parole: “Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano” (v. 31). La prima conversione è una fase in cui la persona, in forza di una volontà realmente indirizzata verso il bene, purifica se stessa compiendo un generale riordino della propria vita alla luce del vangelo. La conseguenza è che la persona, per i disordini derivanti dal peccato originale, entra in una forma di compiacimento, avendo l’impressione di avere raggiunto dei risultati apprezzabili nel suo cammino di fede. Allora il Signore, per tirare fuori la persona da quell’inganno in cui è caduta, permette grandi tentazioni, grandi oscuramenti, toglie la consolazione dello spirito, getta la persona in una prolungata aridità di spirito, fino a quando si radica nel suo intimo il bisogno di ricevere in ogni istante, nelle piccole e nelle grandi cose, l’aiuto della grazia. Nella seconda conversione, insomma, il concetto di autonomia tende a scomparire nella mente del battezzato; Pietro dimostra di avere conservato l’illusione dell’autonomia fino all’ultima cena. La convinzione di Pietro di avere raggiunto dei risultati nel discepolato dovrà essere frantumata dalla presa di coscienza, nella notte del Venerdì Santo, che gli aiuti della grazia sono necessari ad ogni istante, e che non esiste alcuna acquisizione, nel cammino del discepolato, che possa essere considerata definitiva, se non è continuamente alimentata da Dio. L’essere vagliati come il grano rappresenta perciò la fase di ingresso nella seconda conversione ed ha la caratteristica, come dice S. Giovanni della Croce, di essere simile a una “Notte oscura”.

                     Ma se Cristo da un lato indica a Pietro la necessità di essere vagliati come il grano, dall’altro gli assicura il sostegno della sua preghiera d’intercessione: “Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (v. 32). Per condurre il discepolo a una fase di ulteriore maturazione, Dio deve gettarlo nell’oscurità e nell’aridità profonda, ma questa aridità non intacca la stabilità della fede e delle altre virtù teologali, perché Dio sa dosare tutto con assoluta perfezione. Infatti, non avviene mai che siamo tentati in un modo o in una misura che possa farci del male o addirittura distruggerci (cfr. 1 Cor 10,13).

                      In 2 Cor 12,9, l’Apostolo Paolo chiede di essere liberato da un inviato di Satana che lo schiaffeggia. Dinanzi alla preghiera dell’apostolo, Dio decreta di agire in senso contrario: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”; come a dire: “Tieniti i colpi dello schiaffeggiatore, perché in forza della mia grazia questi colpi ti miglioreranno”. Questo testo si riferisce indirettamente al mistero della divina pedagogia, la quale somiglia all’azione dello scultore che deve compiere un’apparente violenza sulla statua quando vuole renderla più armonica e più bella.

 

            Il comandamento più importante

 

Volgiamo adesso la nostra attenzione ai vangeli di Marco e di Giovanni e in particolare a quei testi in cui la necessità di una seconda conversione, si presenta ancora una volta nelle parole esplicite di Cristo. Per comprendere il senso dell’insegnamento che troviamo al capitolo 12 del vangelo di Marco, è necessario accostarlo a un altro insegnamento, che si trova al capitolo 13 del vangelo di Giovanni. Questo accostamento porterà alla luce un’esplicita descrizione di due fasi, entrambe vissute in Dio, ma qualitativamente differenti l’una dall’altra.

            Il capitolo 12 di Marco riporta il dialogo di Gesù con uno scriba. Questo stesso dialogo è presente in tutti e tre i sinottici, con la differenza che nel vangelo di Matteo è molto più succinto che in Marco (Matteo è interamente contenuto in Marco), e nel testo di Luca si prolunga nell’insegnamento della parabola del buon samaritano. Il dialogo tra Gesù e lo scriba è estremamente denso ma, in questo momento, il nostro obiettivo è solo quello di coglierne l’aspetto che entra in merito alla riflessione sulla seconda conversione. Questo dialogo prende le mosse da una domanda che lo scriba rivolge a Gesù: “Qual è il primo di tutti i comandamenti? Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi. Allora lo scriba gli disse: Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse:Non sei lontano dal Regno di Dio. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo” (Mc 12,28-34).

L’argomento riguarda fondamentalmente la questione dell’amore secondo aspettative precise che Dio ha verso se stesso e verso il prossimo. Questo stesso dialogo, nell’aggiunta di Marco che inizia al versetto 32, si sposta sulle fasi diverse che una persona attraversa, nel suo cammino di fede, per arrivare a Dio. Il versetto chiave che a noi interessa è il 34: “Non sei lontano dal Regno di Dio”. Non essere lontano è cosa ben diversa che essere arrivato alla meta; la Legge mosaica non ha il potere di introdurre nel Regno; tuttavia, Cristo non dice che lo scriba è fuori strada semplicemente perché si muove ancora nell’ambito della Legge mosaica. Lo scriba non è contro il Regno di Dio, ma neppure vi è giunto. Questa prospettiva ritornerà nel dialogo tra Gesù e il giovane ricco che gli pone una domanda anch’essa relativa alla legge mosaica (cfr. Mt 19,16-22). Cristo confermerà la Legge di Mosè, ma solo come tappa preparatoria. Essa è perciò insufficiente, ma non invalida. Il dialogo con lo scriba, si muove interamente nella prospettiva dell’AT, diversamente da come avviene nel dialogo con il giovane ricco, dove Gesù pone in una relazione di continuità il discepolato mosaico e quello cristiano: di fatto, Egli chiama il giovane entrare nel Regno mediante il discepolato (cfr. Mt 19,21).

La risposta di Gesù allo scriba è presa in parte dal Deuteronomio (cfr. Dt 6,4-5) e in parte dal Levitico (cfr. Lv 19,18). Tuttavia, di chi osserva questi due precetti veterotestamentari, non si deve dire che è arrivato al Regno, ma si deve dire che “non è lontano”. Se le cose stanno così, comprendiamo come siano in errore coloro i quali conoscono due sole opzioni possibili: o in Dio o fuori da Dio, o nel Regno o fuori dal Regno. Cristo conosce infatti una terza possibilità: quella di coloro che non sono né contro il Regno né sono dentro di esso, ma  presso. La condizione di chi non è lontano dal Regno di Dio è precisamente la prima conversione. Durante questa fase, non si può dire che la persona si trovi nel cuore dell’evangelo; è piuttosto necessario che dai pressi ci si inoltri sino al cuore della novità evangelica. Qual è la condizione per cui questo avvenga? Cristo dice così ai suoi discepoli: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Da questo insegnamento ultimo, enunciato da Cristo nel contesto dell’Ultima Cena, risulta che Egli ha unificato in un unico comandamento ciò che aveva enunciato allo scriba in due comandamenti separati. I due comandamenti separati sono: quello dell’amore a Dio al di sopra di tutto, e al prossimo secondo la misura dell’amore che si ha verso se stessi. Nel Regno questi due comandamenti si fondono in unico nuovo comandamento, che non è un terzo da aggiungersi ai due della Legge mosaica, ma un comandamento che li include entrambi e che nello stesso tempo li supera nel modello divino di Cristo. In modo particolare, l’amore verso il prossimo è concepito dal Levitico come un amore misurato sull’amore che si ha verso se stessi, e che si realizza quando si desidera per gli altri lo stesso bene che si desidera per sé. Il cuore dell’evangelo è invece quel modo di amare Dio e il prossimo unificato nel mistero della croce, dove l’amore verso il prossimo è un amore misurato su quello che Cristo ha avuto verso di noi. In poche parole, è nel cuore dell’evangelo colui che è disposto a dare la vita per gli altri. E’ questo il livello massimo dell’amore che si può dare a Dio e al prossimo contemporaneamente. Cristo non può dare un comandamento che riguarda il prossimo e uno che riguarda Dio, perché “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv  15,13). E notiamo che Cristo non dice: “Non c’è amore più grande, verso gli altri, di chi dà la vita per gli amici” ma semplicemente “Non c’è amore più grande di chi…”; la genericità di questo enunciato allude contemporaneamente ai due amori di Dio e del prossimo, intendendo dire che non c’è amore più grande del suo, nel quale l’amore di Dio e l’amore del prossimo si fondono in unico amore. Nessuno può amare più di Lui.

Entrare nel comandamento nuovo equivale a incamminarsi verso la seconda conversione, che appare quindi come l’esperienza di un totale decentramento e dimenticanza di sé, lasciando che Dio agisca nella mia vita e faccia di me tutto quello che gli pare.

L’apostolo Giovanni, così come accade a Pietro, è presentato nelle due fasi della prima e della seconda conversione. La prima conversione è rappresentata da Gv 1,37, dove l’Apostolo si mette in cammino per incontrare Cristo. Infatti, la prima conversione è incentrata soprattutto su quello che io faccio per Dio, dal momento che, questa prima fase, consiste in un riordino generale della mia vita alla luce della fede; e questo non è Dio che lo fa, ma devo farlo io. C’è una garanzia della grazia e del suo sostegno in questa mia opera, indubbiamente il Signore sosterrà la mai buona volontà, ma questa opera è prevalentemente mia. Il Signore subentrerà con le purificazioni passive, quando io avrò finito di riordinare la mia vita nei comportamenti e nelle motivazioni. Quando avrò raggiunto quella purificazione possibile alle mie forze, lo Spirito di Dio comincerà la sua, e si entra così nella “notte oscura” che prelude alla seconda conversione. L’Apostolo Giovanni, in Gv 1,37, presenta se stesso nella disposizione attiva di impostare la propria vita sulla base dell’insegnamento del Messia: “Maestro, dove abiti?”. Ma lo stesso Apostolo ed evangelista presenterà se stesso anche con un’altra definizione: “Il discepolo che Gesù amava”; questa definizione non compare nel vangelo prima dell’ultima cena. Se in 1,37 Giovanni si muove verso Cristo, amandolo con le sue forze, in Gv 13,24 ci appare come “il discepolo amato”, che riceve da Cristo le sue confidenze. Questo lasciarsi amare da Cristo equivale ad accettare la sua pedagogia nella propria vita senza resistenze, senza condizioni, senza irrigidirsi dinanzi all’opera del vasaio, rischiando di impedire all’artista il compimento del suo capolavoro. Una delle caratteristiche della seconda conversione è infatti una docilità nuova e incondizionata alla divina pedagogia.

Nel capitolo 13 del vangelo di Giovanni troviamo un altro insegnamento esplicito sulla seconda conversione, che è in un certo qual modo parallelo a quello già visto in Lc 22, 31-34, con lo stesso personaggio, ossia l’apostolo Pietro. Nel vangelo di Luca, Cristo gli annunciava una seconda conversione, un nuovo ravvedimento, dopo che Satana avrebbe vagliato come si vaglia il grano il gruppo dei Dodici. Durante l’ultima cena, e precisamente nel contesto della lavanda dei piedi, proprio parlando con Simon Pietro, Cristo ritorna sul tema delle due fasi che è necessario attraversare prima di giungere a una più profonda conoscenza del mistero di Cristo. In Giovanni 13 Gesù si muove verso Simon Pietro e si accinge a lavargli i piedi, ma Pietro gli dice: ”Signore, tu lavi i piedi a me? Rispose Gesù: Quello che io faccio tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo” (Gv 13,6-7). Qui notiamo una caratteristica ben precisa della seconda conversione: una nuova e particolare illuminazione che permette di comprendere nella luce di Dio ciò che prima, della sua pedagogia, non era stato compreso. E’ chiaro che Cristo stabilisce un prima e un dopo, e che Pietro in questo momento si trova nella medesima condizione descritta da Luca 22, cioè nella prima conversione. La caratteristica della prima conversione, personificata qui da Pietro, è una conoscenza parziale del mistero di Dio e della divina pedagogia. Una seconda caratteristica che va evidenziata, e che fa parte anch’essa della prima conversione, è una insufficiente docilità alla mano di Dio che agisce come un vasaio sulla nostra vita. Al versetto 8 Pietro oppone resistenza a Cristo che sta per lavargli i piedi: “Gli disse Simon Pietro: Non mi laverai mai i piedi!”. Questa resistenza è la caratteristica costante della prima conversione. Essa è motivata dalla luce parziale che non permette di vedere lo splendore del disegno di Dio sulla nostra vita e la sapienza con cui la sua mano divina ci guida. Lo sguardo di chi si trova nella prima conversione è infatti offuscato e incapace di riconoscere dove Dio manifesta il suo amore. La resistenza alla divina pedagogia è quindi determinata da questa luce parziale, ma anche da un’altra forma di oscurità: l’illusione che accompagna il battezzato in tutta la fase della prima conversione: la convinzione di sapere che cosa è bene per se e che il progetto che io ho elaborato nella mia vita è migliore, più bello, più perfetto di quello che Dio ha elaborato per me. Da questa illusione deriva la resistenza e l’incapacità di arrendersi al progetto di Dio che ancora è ritenuto inferiore al proprio progetto personale. 

            Nella seconda conversione si entra in una dimensione diversa rappresentata dall’apostolo Giovanni. La caratteristica della seconda conversione è il lasciarsi amare da Cristo, ossia lasciare lo spazio libero all’intervento di Dio, senza resistere con le proprie convinzioni, i propri progetti e disegni personali. La poca docilità è determinata anche da un’insufficiente conoscenza di se stessi: in Luca 22, Pietro professa la sua fedeltà a Cristo fino alla morte, mentre Gesù gli predice un rinnegamento che avrà luogo molto presto. Ben diverso è il Pietro descritto al capitolo 21 del vangelo di Giovanni: dopo che gli eventi del Venerdì Santo hanno frantumato la sua eccessiva sicurezza e gli hanno dato una migliore conoscenza di se stesso. Adesso Pietro, alla domanda          Simone di Giovanni, mi ami?”, non risponde più come aveva risposto una volta: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”, ma si limita a dirgli semplicemente: “Signore tu sai tutto” (Gv 21,15). In tal modo, Pietro si pone davanti a Cristo lasciandosi amare, è ora arrivato alla seconda conversione, laddove l’Apostolo Giovanni era già al tempo dell’Ultima Cena. Il discepolo Giovanni, infatti, in quella circostanza, descrive se stesso con la definizione “Il discepolo che Gesù amava” (Gv 13,23). Che Giovanni, già al tempo dell’Ultima Cena fosse entrato nella seconda conversione, lo dimostra la sua presenza sotto la croce, unico tra gli Apostoli; questi ultimi, invece, entreranno nella seconda conversione dopo che il buio del Venerdì Santo li avrà introdotto in una luce maggiore.

 

 
 
 
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Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non ha risparmiato nulla fino a esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo amore. E invece di riconoscenza non riceve dai più che ingratitudine per le irriverenze e i sacrilegi, per la freddezza e il disprezzo che hanno per me in questo sacramento di amore.

 

 

 

 

 

 

 

..Gesu è vivo!

 

Gesu è vivo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LAMPADA AI MIEI PASSI E' LA TUA PAROLA

 

AVE MARIA

Ave, o Maria piena di grazia,
il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne
e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso, e nell’ora della nostra morte.
Amen.

 

PADRE NOSTRO

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Amen.

 

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