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si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia."

Alda Merini


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Post N° 170

Post n°170 pubblicato il 24 Giugno 2004 da manualeperdonne

ORFEO

Orfeo, mitico citareda di Ridope, era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope (o secondo altri di Apollo e di Calliope). Il Dio Apollo gli donò la lira e le muse gli insegnarono ad usarla ed era talmente abile che lo stesso Seneca narra:

"Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto ..."

Egli amò in tutta la sua vita una sola donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo. Infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandole la morte istantanea.

Narra Pindemonte (Epistole: "A Giovani Pozzo")

"Tra l'alta erba non vide orrido serpe
che del candido piè morte le impresse."

Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige e circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, giunse alla presenza di Ade e Persefone.

Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a cantare la sua disperazione e solitudine e nel suo canto mise tanta abilità e tutto il suo dolore che gli stessi signori degli inferi si commossero; le Erinni piansero; la ruota di Issione si fermò ed i perfidi avvoltoi che divoravano il fegato di Tizio non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro compito. Anche Tantalo dimenticò la sua sete e per la prima volta nell'oltretomba si conobbe la pietà come narra Ovidio nella Metamorfosi (X, 41-60).

Fu così che fu concesso ad Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra non si voltasse a guardarla in viso fino a quando non fossero giunti alla luce del sole.

Orfeo, presa così per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce ma durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì ed Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta.

Narra Ovidio nelle Metamoforsi (X, 61-63)

“Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse al marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa"

Invano Orfeo per sette giorni cercò di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita.

Si rifugiò allora Orfeo sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Riceveva solo uomini e ragazzi che istruiva all'astinenza e sull'origine del mondo e degli dei. Molte donne tentavano di catturare il suo cuore e tra queste alcune Baccanti. Quest'ultime, irate dalla sua indifferenza e istigate da Dioniso per la mancanza di devozione che Orfeo aveva nei suoi confronti, decisero di ucciderlo durante un'orgia bacchica. Arrivato il momento stabilito, si scagliarono contro di lui con furia selvaggia, lo fecero a pezzi e sparsero le sue membra per la campagna gettando la testa nell' Ebro.

Disse Virgilio (Georgiche, IV):
"... anche allora, mentre il capo di Orfeo, spiccato dal collo bianco come marmo, veniva travolto dai flutti, <> ripeteva la voce da sola; e la sua lingua già fredda: <> chiamava con la voce spirante; e lungo le sponde del fiume l'eco ripeteva <>."

Le pietre, le selve, gli uccelli piansero la morte del meraviglioso cantore e tutte le ninfe indossarono una veste nera in segno di lutto. Le Muse piangenti raccolsero le membra di Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo, là dove ancor oggi il canto degli usignoli è più dolce che in qualunque parte del mondo.

Poichè il delitto delle Baccanti era rimasto impunito, gli dei colpirono la Tracia con una terribile pestilenza. L'oracolo, consultato dalla popolazione su come porre fine a tanta tragedia, rispose che per farla cessare, era necessario ricercare la testa di Orfeo e rendere al cantore gli onori funebri. Il suo capo reciso fu così trovato da un pescatore presso la foce del Melete e fu deposta nella grotta di Antissa. In quel luogo la testa di Orfeo iniziò a profetizzare finchè Apollo, vedendo che i suoi oracoli di Delfi, Grinio e Claro non erano più ascoltati, si recò alla grotta e gridò alla testa di Orfeo di smettere di interferire con il suo culto.

Da quel giorno la testa tacque per sempre.
Apollo, per onorare Orfeo, decise di porre la sua immagine nel cielo che divenne la costellazione della Lira.

 
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