Creato da Coralie.fr il 19/11/2009

sous le ciel de ...

... Paris (Cronache Francesi e altro)

Messaggi di Agosto 2018

2:0

Post n°149 pubblicato il 29 Agosto 2018 da Coralie.fr
 

 

- Greta, se stai ancora a letto ti faccio nera.

Perché?

- Perché non può esse’, Greta.

Non è Silvia e non sono le otto, quindi Rossella potrebbe lasciare che Greta resti a letto. Dopotutto è ancora in vacanza e sono solamente le dodici e otto.

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Alle otto il cortile era deserto, il cancello spalancato e l’atrio ancora vuoto. Irreale l’immagine e difficile da crederla possibile se non fossimo alla fine di agosto e le prove di rattrapage inizieranno da lì a qualche decina di minuti. Timbretti che disegnano cerchi e sigle con la biro nera, a marchiare fogli protocollo da distribuire. E l’aula diventa una sorta di campetto sul quale giocano, schierati l'uno contro l'altro, il debito e la promozione all'anno successivo. L’insegnante “eterno ripetente”, come un arbitro prepara lo schema dell’incontro e prima del fischio di inizio, mi accorgo che ne mancano due …

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…erano ancora a letto, come Greta. Ma a differenza della figlia della vicina di 8 anni che gode ancora dei suoi meritati giorni di vacanza, alla fine di agosto, i due mancanti all’appello, questa mattina, avrebbero dovuto trovarsi sul banco, alle otto. Ma siamo in equilibrio precario e tutto è sempre più relativo come la prova di matematica. Due diviso zero non è impossibile, “è indeterminato”.

E gli elefanti possono sostare sulla tela dell’ombrello aperto sospesi nell’etere come il Brucaliffo sul grosso fungo.

Solo che oggi il cielo è asciutto e la scuola, come lo specchio da attraversare, assomiglia sempre più al regno di OZ.

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Ho sbagliato romanzo.

 

 
 
 

Crocevia

Post n°145 pubblicato il 24 Agosto 2018 da Coralie.fr
 

La Duchessa del Devonshire, Deborah Vivien Freeman Mitford, in un sontuoso abito da sera con manto in taffetà, dà da mangiare alle sue galline. (Foto Bruce Weber, Chatsworth House, 1995)

L’aria è fresca e viola quando arrivo. Sull’uscio Paulette mi aspetta per consegnarmi le chiavi. Non ha età questa signorina dai capelli grigi raccolti con le forcine a comporre uno chignon talmente immobile e uguale a tutte le estati trascorse qui, che potrebbe indurre a credere che sia un posticcio, cristallizzato sulla sua nuca. Un tuppo fossile. E invece, a dispetto della sua misteriosa età anagrafica, - lei non la dice, àncora i suoi momenti di vita ad avvenimenti storico-socio-culturali e politici precisi del passato, senza indicarne l’anno,- Paulette è ben sveglia, l’intelligenza vivace e la battuta sempre pronta. Le sue osservazioni sono argute e le sentenze, premonizioni. Non ha inquietudini economiche: “ce li ha i soldi”, potrebbe acquistarsi dei vestiti nuovi, potrebbe andare dal parrucchiere tutte le settimane, comprare delle scarpe nuove e una borsetta nuova. E invece, forse per un antichissimo retaggio dei bambini nati tra le due guerre e che hanno vissuto proprio le conseguenze della Seconda, Paulette indossa abiti, calzature, collant (sic), forcine, foulard e ogni tipo di accessorio, nella borsetta ha persino dei guanti in organza ricamati, sicuramente bianchi come lo zucchero una volta, di quelli da passeggio che si soleva indossare per riparare le mani dal sole e da ogni altra amenità esterna, tutto di almeno sei decine di anni fa. Paulette non è consumata, non lo sono i suoi abiti, di ottima qualità indubbiamente se hanno resistito a più di mezzo secolo e certamente conservati con cura, non è liso alcun accessorio né prodotto che la copre e che l’accompagna. Tutto è solamente vecchio, nel senso di antico e di usato, datato come Paulette e la sua acqua di colonia alle violette. Se fosse indossato con vanità e non quotidianamente, si potrebbe etichettare vintage e invece è solamente demodé.

Non solamente i vestiti, l’acconciatura e gli accessori raccontano altri tempi, Paulette impiega anche un registro di lingua anacronistico per narrare comportamenti e avvenimenti quotidiani lontanissimi. Come la vita che si svolgeva nella grande épicerie di proprietà familiare, gestita dai genitori, il solo e unico esercizio commerciale con bar annesso, del paese. Ora non esiste più ovviamente, e da decenni, non molto distante dalla Chiesa di San Michele Arcangelo, sorge un Carrefour. Fornitissimo e sempre aperto, come era una volta, la drogheria di Paulette.

Vado a fare la spesa.

 
 
 

Ch'Nord

Post n°144 pubblicato il 22 Agosto 2018 da Coralie.fr
 

 

Il Nord è terril, cumuli di carbone vecchio accatastati da decenni, tanti, che disegnano colline. E che tracciano solchi nel cielo di memoria non troppo lontana.

Il Nord è la frontiera belga a poche centinaia di metri, che si confonde con la vegetazione e con le case basse dai mattoni rossi.

Il Nord è la “o” aperta e accentata dove si trova la “a” finale: “là” diventa “Lɔ e francescAsi trasforma in francescò”.

Il Nord è l’orto nei giardini con i fiori gialli di zucchina, che si aprono al mattino e si chiudono al pomeriggio.

Il Nord è la Deûle e i suoi battelli che risalgono il fiume fino alla Manica.

Il Nord è la pista ciclabile e i cavalli di Zoè, gli asini e le capre marroni.

Il Nord è Dunquerke e il suo porto di meduse.

Il Nord è maroilles e birra, frites e fricadelle.

Il Nord è la mia amica Cathy.

 
 
 

Incontri

Post n°143 pubblicato il 16 Agosto 2018 da Coralie.fr
 

È vero che altri avvenimenti accadutimi nel passato recente e più remoto, avrebbero meritato uguale attenzione da parte mia, quindi probabilmente questa decisione è supportata dal mio attuale stato emotivo e anche dalla forza fisica di “perdere” qualche decina di minuti a raccontare un pomeriggio recente. O forse, in fondo, è questa “cosa” ripetuta, che ora andrò a narrare, che probabilmente domanda di essere detta. Non per un motivo particolare o nascosto o trascendentale, penso sia solo per rendere testimonianza, forse pure banale. Sicuramente. Ma mi chiama a scrivere. E cosi è.

Gli avvenimenti risalgono a qualche giorno fa.

Sistemo il sacchetto ambrato, e già un po’ unto, delle chocolatine per ultimo, sopra il cruscotto, e parto. Destinazione le Ch’Nord.

“Périphérique ou Paris?”

L’esitazione è breve perché per pigrizia, non ho pianificato nulla e non ho voglia ora di pensare, mi accodo alle auto in fila per la ville lumière.

“Bon, ça commence bien!” penso mentre passo sotto alla scritta panne à 4000 mètres.

Il display a mo’ di ghigliottina, lampeggia come un presagio, cattivo. Ovviamente.

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I galli dicono che la vita non è un lento fiume tranquillo, più o meno così, credo, ma dicono tante cose i francesi, sarà per questo motivo che il flusso del traffico, appena dopo Porte d’Italie (e lo so: potrebbe sembrare un espediente narrativo ma non lo è), riprende la sua corsa.

In piena carreggiata, transennata da barriere di metallo, è ferma un’ambulanza. Ai suoi lati sfrecciano incuranti gli automobilisti, felici forse, della riconquistata velocità.

“E certo: un 15 mi manca” dico a voce alta mentre guadagno la corsia di sinistra.

Dall’autoradio, le note di À nos actes manqués assumumono la forma sonora di un preludio sinistro che dopo ogni couplé, si espande nell’abitacolo.

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Non scriverò della spia rossa luminosa, del tintinnio del campanello metallico, della vettura in sosta di emergenza, non scriverò neppure del carroattrezzi e neanche della rozzezza del custode del capannone, e mi accorgo pure che io, a rozzo, attribuisco una connotazione positiva, mentre il padrone della rimessa è proprio un bougre, un cafone insomma e non assolutamente alla siloniana accezione. No, non scriverò di quanto accadutomi nei pressi di Roissy Charles de Gaulle perché non ha alcuna rilevanza.

Invece merita di essere affidato allo scritto (scripta manent verba volant) il racconto dell’incontro con due persone che a loro modo, hanno spolverato il grigio del metallo e spazzato via l’acqua caduta, ma non solo, due belle persone che hanno dato mani di colore ad un pomeriggio faticoso e inzuppato la mia aria di calore.

Dentro la cabina dello sgraziato carroattrezzi, un giovane, o piuttosto un ragazzo, incapace di parlare, articolava solo dei gutturali, competente però a rispondere al telefono e a guidare contemporaneamente. La suoneria ad altissimo volume, un’accozzaglia di rumori da far tremare l’abitacolo, eppure non è audioleso ma sicuramente “altroleso”, penso. Mi scarica letteralmente davanti ad una stazione di rifornimento sul ciglio dell’autostrada perché l’entrata di “BONJOUR” è sbarrata dal nastro a strisce rosso e bianco legato intorno ad un birillo arancione: a qualche metro, infatti, un omino in grigio e giallo con un grosso tubo in mano, alimenta le due postazioni di rifornimento.

Trascino trolley, giacchetta, busta libri, borsa computer e chocolatine all’ingresso del punto di ristoro e lasciato tutto in prossimità della porta, entro. Non c’è tavolino, non ci sono sedie. Solo il bancone. Chiedo al lavorante, che ho capito dopo essere di sicuro un parente del carroattrezzi, se, mentre aspetto il taxi, potrebbe darmi una sedia. Ovviamente nulla. Ed è a questo punto che mi sento chiamare. Madame …

Un uomo, o piuttosto un ragazzo, ambrato, ma non unto come il mio sacchetto di chocolatine, sorridente e con una reverenza che viene dal rispetto per l’età, per il sesso, per la condizione di difficoltà, indubbiamente un accanito fumatore, mi dice che se voglio posso sedermi nella sua automobile, che intanto apre, e aspettare comodamente il taxi. Lui, mi spiega, attende la moglie che fa les courses in un centro commerciale non molto lontano da lì. “Le ci vorrà almeno un’ora” mi dice. Siamo rimasti a chiacchierare per più di un quarto d’ora prima che giungesse finalmente il mio taxi, che intanto si era perduto fra le diverse stazioni di servizio disseminate lungo tutto il tratto di autostrada. “Sylvain” mi risponde mentre gli tendo la mano per salutarlo chiedendo quale fosse il suo nome e poi aggiungo: “Moi, c’est Francesca”. Sylvain ha trentasette anni, è di origine algerina, viene da Ascain un paesino basco a sud di Bordeaux, la targa della macchina riportava infatti le cifre 33, ma lavora a nord di Paris. Lavora tanto e duramente a contatto con le persone di ogni estrazione, provenienza, condizione e soprattutto con gli anziani.

Merci Sylvain. Grazie per la tua generosità e per la tua gentilezza. Perché mi ha sorpreso ritrovarmi nel tuo agire e nel tuo sentire.

“Che strada vuole fare?” mi chiede l’autista mentre lascia la stazione di servizio. Io non so rispondere a queste domande. Ma non glielo dico e replico: cosa le propone il navigatore?

Che poi, che razza di domanda è: il tassista chiede al passeggero quale tragitto percorrere? Prendiamo la 104. Quindi fuori da Paris. Non attraversiamo la metropoli ma la costeggiamo. Non c’è molto traffico. È un tardo pomeriggio di lunedì. L’automobile è grande. Dentro ha 6 sedili comodi. Riconosco la pedana per l’handicappato motorio. Guardo il dispositivo, mentre mi dico: dopotutto percorriamo lacentoquattro, e assorta nelle mie riflessioni esistenziali, odo solamente l’ultima sequenza dell’enunciato proferito dallo chauffeur. …

Stiamo insieme per 75 km per un totale di 185 euro.

Parliamo di tante cose. Il suo taxi è quasi nuovo, paga una ecotassa di 8500 euro. Prima lavorava anche con la SECU ora non più: troppi documenti, troppe attese, troppa burocrazia. E il cliente, il paziente, le persone a volte sono insopportabili. Lo so, gli dico. Capisco, aggiungo. Conosco, gli spiego. E parliamo molto di cose note ad entrambi e che comprendiamo. Lui però mi dice che è stanco di capire. E io lo capisco.

Poi, ad un certo punto, mi pone una domanda a cui sono abituata: Madame, mi dice, vous avez un petit accent, vous venez d’où? Sono italiana, rispondo. E così mi racconta che sua moglie è Polacca e che lui è un Kabyle, che hanno due figli: un bambino e una bambina. Il figlio ha un nome algerino, scelto dalla madre di lui, invece la figlia ha un nome inventato dalla moglie: Zorinne, come Corinne, ma con una Z, mi spiega, al posto della C.

Mi racconta che il loro è stato un coup de foudre, che si sono incontrati a Roissy Charles de Gaulles perché lei, accompagnava degli handicappati motori a rue du Bac, mentre lui, prestava servizio con il taxi dotato appunto di pedana.

Polacca? Chiedo

Sì.

Di religione cristiana cattolica?

Sì.

E lei è musulmano? domando, sebbene la Cabilia fosse una regione algerina inizialmente cristiana, poi divenuta musulmana in seguito all’invasione e alla dominazione ottomana.

Sì.

E come fate? Chiedo

Nessun problema, risponde. All’inizio è stato complicato perché mia moglie non conosceva una parola di francese. Altrimenti io sono musulmano e je bois de l’alcol et je mange du porc (bevo alcolici e mangio maiale).

Dopotutto, penso, i Polacchi hanno Cracovia, Santa Faustina e la misericordia. La Misericordia.

Grazie anche a questo tassista di origini algerine perché mi ha regalato una storia vera, una vita d’integrazione e di speranza.

 

 

…continua. Forse

Merci Alexandre.

 
 
 

 

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