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CI SIAMO ANCHE NOI
Post n°247 pubblicato il 14 Marzo 2009 da donulissefrascali
CI SIAMO ANCHE NOI
Riporto una lettera inviata da Don Nello Giraudo sulla situazione della carceri, molto interessante in quanto Don Nello è cappellano della carceri di Savona. Questa frase, ha bussato con insistenza nella mia mente, durante un convegno svoltosi a Genova il 10 – 02 – 2009 sull’insicurezza nelle carceri. La tematica estremamente interessante, si riferiva alla situazione del detenuto che, in determinate circostanze, può ricorrere all’autolesionismo, fino a raggiungere condizioni di suicidio. I relatori hanno sempre parlato di impegno competente e necessità di interscambio da inserire in una rete di operatori, sviluppando la tematica della speranza da offrire ad una popolazione in sofferenza. Anche le testimonianze di tre reclusi ha espresso il rispetto della dignità delle persone. Da quanto è emerso, ho colto l’importanza dell’impegno da impiegare all’interno delle carceri. Ho altresì notato una marginale attenzione per la figura del cappellano, emersa in maniera solo occasionale. Nella struttura carceraria esistono molti punti di riferimento: gli agenti di custodia, la direzione, operatori vari, equipes di vari generi e volontari... Tutti con una notevole presenza in termini numerici, e con un impatto ben evidente. Il cappellano, essendo un unico individuo, è separato sul piano della personale valenza. Non è inserito in nessun compito ufficiale. E’ considerato solo per la sua personalità e spesso gli viene affidato un compito marginale. Concludendo il cappellano deve agire senza interferire troppo sull’organizzazione. Ci sono cappellani che non hanno uno spazio adatto per ricevere i reclusi, la cappella rimane isolata dando vita a situazioni molto discutibili. Eppure quante opportunità si presentano. Abbiamo l’opportunità di accedere nell’animo di ogni individuo, e quante cose si riescono a recepire... E’ per questo che ritengo che dovremmo rivedere il nostro ruolo all’interno del carcere. Si sono organizzati convegni e consigli pastorali nazionali sul tema, ma in questo momento colgo ancora questa necessità, quella che esce dal carcere e dovrebbe entrare nelle diocesi, perchè è troppa la dimenticanza. Isolati i detenuti ed isolati i cappellani Mi sembra di capire che ognuno sviluppi in maniera autonoma il compito che ci è stato affidato. Difficilmente riusciamo a far superere l’accorata disperazione dei detenuti. Non riusciamo a superare le mura del carcere nonostante la pressante richiesta d’aiuto. Quanti bisogni e quante risposte mai concretizzate e quante giustificazioni attribuite alla burocrazia e mai alla volontà di agire positivamente. Nel mondo della Chiesa molte strutture sono vuote od occupate da pochissime persone contro una enorme richiesta abitativa, ma nessuna viene occupata per tale scopo. Esiste la buona volontà di qualche sacerdote che, criticato da tanti, ha messo a disposizione la sua casa: tale atto vuole essere stimolo per noi. L’attenzione al povero è il comandamento cardine: ”ogni volta che avrete fatto questo a uno più piccolo di voi, l’avrete fatto a me”. Certamente l’ambiente proposto e la maggiore emarginazione intellettuale proposto dalle istituzioni favorirà una ulteriore necessità di delinquere e confermerà la tesi che chi aveva commesso crimini non riuscirà più ad uscirne. Per tali motivi sarà logica la necessità di nuove carceri, dove segregare i malvagi e per salvaguardare la nostra dignità che va sempre più disgregandosi, anche se ne andiamo fieri. Noi, Chiesa, dobbiamo abbandonare certi metodi, anche se si trattasse di una sola persona.
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