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Creato da: Rebeldia il 26/05/2006
Morte al fascio, oggi più che mai! Ora e sempre, RESISTENZA!!!
Post N° 66
Post n°66 pubblicato il 22 Ottobre 2006 da Rebeldia
Caso Giuliani:indietro non si torna Di Carlotta Bazoli (Articolo pubblicato su "Il Nuovo Municipio n° 5, ottobre 2006)
La necessità di scrivere un articolo su Carlo Giuliani nasce di conseguenza alla pesante disinformazione che c’è attorno ai fatti di Genova e ai suoi protagonisti. Disinformazione che purtroppo non dipende dalla gente – o da singoli individui – ma dalla maggior parte delle televisioni e dai giornali stessi che, anziché spiegare cos’è stata la Genova di quei giorni di luglio, hanno confuso le idee e decentrato l’attenzione pubblica verso notizie fittizie o puramente inventate. La verità, signori, non è mai facile, né da vedere, né da accettare. Specialmente quando coinvolge le istituzioni che dovrebbero proteggerci, in sordide storie fatte di violenza e depistaggi. Depistaggi, disinformazione... per rendersene conto non serve andare lontano. Una volta, parlando di politica con una persona, è saltato fuori l’argomento G8 e mi viene chiesto come mai “noi comunisti” abbiamo fatto diventare martire un cretino che si divertiva a lanciare estintori verso i carabinieri. Dico che Carlo Giuliani non è martire, Carlo è, semmai, un simbolo. Il simbolo della libertà negata, della violenza gratuita verso i manifestanti pacifici che quella notte tra il 21 e il 22 luglio vennero sorpresi nel sonno dalle forze dell’ordine nella Diaz e massacrati – senza motivo - di botte. È il ricordo forte e indelebile degli abusi consumati tra le mura della caserma di Bolzaneto. Carlo Giuliani è l’anima di quella prigione a cielo aperto che era Genova in quei giorni. Purtroppo, siccome l’ignoranza trova sempre una bocca per parlare, mi viene risposto che è impossibile, che i Carabinieri non hanno organizzato nessun pestaggio, che i Carabinieri e le forze dell’ordine in generale non possono più torcere un capello a nessuno. A nessuno. Che è tutto roba inventata “da voi comunisti”. È stato lì che ho deciso di fare un articolo su Carlo che era nato nel mio stesso anno e che adesso non è più qui a lottare per cambiare le cose, sulla grande vergogna del G8, su Genova... che per parte di nonna sento un pò anche mia... Quella persona che nega e chiama Carlo “cretino”, forse non leggerà mai quello che scrivo, ma quando tutto sarà sulla carta, io starò senz’altro meglio. Quel 20 luglio Genova era blindata. Carabinieri e polizia dappertutto, strade chiuse dalle barricate. Dalla stazione giungevano frotte di manifestanti dai vestiti colorati, armati solo di bandiere della pace e buone intenzioni; avrebbero marciato alla volta di Piazza delle Americhe, punto in cui era fissato il limite dell’autorizzazione, per dimostrare in modo pacifico il loro dissenso verso la globalizzazione e a quel gruppo di persone eleganti che, riunite attorno a un tavolo, in quei tre giorni avrebbero deciso il destino del mondo. Scrive Emiliano Sbaraglia in uno dei suoi bellissimi articoli sull’argomento: “Il presidente del Consiglio da poco in carica (Silvio Berlusconi n.d.a) non seppe fare niente di meglio che chiedere ai cittadini di ritirare i panni stesi fuori dai balconi, gentilezza da osservare per non fargli fare brutta figura con i compagnucci del quartiere globale. L’altra cosa che disse invece rafforzò la convinzione popolare riguardo le doti paranormali del santone da Arcore, fresco unto dal Signore e pronto per una possibile beatificazione una volta esaurito il suo compito di salvatore della Patria: “A Genova ci scappa il morto”, proclamò con l’aria di quello che la sa lunga. D’altra parte lo abbiamo imparato con l’esperienza, Berlusconi è uno che mantiene le promesse, altro che comunisti. E morto fu.”
Quel 20 luglio il Vicepresidente del Consiglio Fini e i parlamentari di AN e della maggioranza, trascorsero diverse ore a Forte S. Giuliano, sede del comando dei carabinieri e centrale operativa. Perchè? Per solidarietà, venne detto. Forse solidarietà verso quel gruppo di persone dai volti coperti e spranghe di ferro in mano con i quali vennero fotografati, quella mattina stessa, alcuni carabinieri... A quella “strana” gente venne imputato di far parte del gruppo dei “Black Block” e prima di sapere da dove erano usciti, per molto tempo attribuirono la violenza del loro agire ai “No-Global”, i ragazzi del corteo... Quando poi si comprese lo stato effettivo delle cose, si disse che i presunti Black Block fotografati insieme alle forze dell’ordine altro non erano che “agenti infiltrati”, necessari per fare intelligence. Sì, intelligence con spranghe di ferro. Da filmati regolarmente documentati e portati in tribunale sappiamo che alle 9.00 in Piazza Alimonda passeggiavano soltanto uno sparuto gruppetto di manifestanti, per nulla intenzionati a provocare disagi. La prima carica dei carabinieri, in tenuta antisommossa, partì da via Invrea, con lanci di lacrimogeni. I ragazzi, allarmati da tale ingiustificato trattamento, posizionarono dei cassonetti dell’immondizia lungo la strada, prevedendo un’eventuale autodifesa; lo stesso si fece anche in via Caffa in direzione Piazza Tommaseo, ma le successive cariche della polizia dispersero definitivamente “la folla”. La giornata andò avanti carica di tensione e non pochi furono i ragazzi del corteo che, trovati lungo le strade, vennero fermati e picchiati senza un vero motivo dalle forze dell’ordine (il tutto è stato meticolosamente ripreso dalle immagini di una telecamera addosso a un poliziotto). Intorno alle 17.00 circa in Piazza Alimonda si trovavano solamente alcuni carabinieri, tra cui il Vicequestore Lauro, referente di piazza e il Tenente Colonnello Trulio a bordo di una delle due Land Rover Defender presenti sul posto. Arrivò anche un’ambulanza, chiamata da chissà dove per soccorrere non si sa chi (Carlo Giuliani morirà intorno alle 17.30, quindi la presenza dell’autolettiga suona sinistra e sospetta...). E qui cominciò la grande messinscena. Oggi sappiamo che il contingente di poliziotti e carabinieri in riassetto risolutivo, quindi con caschi, maschere e scudi, aggirò Piazza Alimonda per attaccare il corteo pacifico che, del tutto in regola con i permessi e senza disturbo alcuno, passava lungo via Tolemaide proprio in quel momento. Oggi sappiamo, ma allora ci fu fatto credere che i manifestanti – i famigerati No-Global – fossero stati gli artefici di una vera e propria guerriglia urbana, pertanto punibili a suon di botte e manganellate. La verità è che il corteo venne caricato di fianco, di sorpresa, e i ragazzi, travolti da questa ondata di violenza, si difesero lanciando i sassi che trovarono per strada. I carabinieri, molto più numerosi dei manifestanti attaccati, fecero inspiegabilmente dietrofront per poi fuggire in ordine sparso. Cosa volevano far credere? Carlo Giuliani fu filmato mentre, con altri ragazzi, cercava di difendere una barricata di fortuna. Una ventina di minuti dopo sarebbe morto. Sono sospette anche le dichiarazioni che lo stesso Vicequestore Lauro fece in tribunale, al momento di deporre riguardo i fatti di quella tragica giornata: disse che i manifestanti insorti erano più di 400 (mentre dalle fotografie portate come prova si vede con chiarezza che non superano la settantina) e che quindi alle forze dell’ordine, soverchiate “dai nemici”, venne spontaneo fuggire. Scapparono verso Piazza Alimonda, trascinandosi appresso un gruppo di ragazzi che non fecero fatica ad accerchiare. Poi accadde tutto molto velocemente. Dalle immagini sconvolgenti di un filmato amatoriale si vede Carlo Giuliani portarsi a ridosso di una delle due jeep dei carabinieri; ha in mano un estintore raccolto lì intorno e fa per gettarlo verso il lunotto posteriore del mezzo. I due colpi di pistola partono a distanza ravv Chi si trovò vicino a Carlo disse di aver visto la canna di una pistola spuntare fuori dal finestrino posteriore del Defender e sentito uno dei carabinieri all’interno urlare: “Bastardi comunisti, vi ammazzo tutti”. Carlo Giuliani morì quel pomeriggio del 20 luglio 2001. Aveva 23 anni, proprio come il carabiniere che, dicono, abbia sparato: Mario Placanica. Al momento dell’accaduto Placanica era un carabiniere di leva e stava nell’arma da sei mesi soltanto. Nonostante il corpo di Carlo fosse a terra, in un lago di sangue, nonostante i testimoni che avevano sentito gli spari, subito scattò una bieca e laida azione di copertura. Si cercò di far credere che a uccidere il ragazzo fosse stata una pietra lanciata per colpire il Defender. A questo proposito è tristemente famoso un altro filmato che mostra un poliziotto che rincorre uno dei manifestanti urlando: “L’hai ucciso tu, l’hai ucciso, bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso!”. Per meglio sostenere la teoria della pietra assassina, qualcuno non ebbe scrupoli a raccogliere da terra un calcinaccio e con questo spaccare la fronte di Carlo riverso al suolo (lo si vede in un altro, preziosissimo filmato: Carlo è a terra e la pietra incriminata giace a diversi metri da lui. C’è confusione, poi qualcuno si china sul suo corpo. Non si vede bene cosa faccia, ma un attimo dopo la pietra, sporca di sangue, s’è avvicinata e sulla fronte di Carlo è apparsa una consistente lacerazione ossea che prima non aveva). Poi, fatta l’autopsia fu accertato che Carlo era morto perchè colpito da un proiettile, e la versione dei fatti cambiò di nuovo: secondo gli inquirenti il proiettile di Placanica, sparato verso l’alto, per ironia della sorte era andato a cozzare contro un sasso - che proprio in quel momento veniva scagliato da uno dei manifestanti – deviando così la propria traiettoria e andando a colpire Carlo in pieno volto. L’assurda e inverosimile “teoria del sasso” ha retto per quattro anni prima che un gruppo di legali volenterosi, spinti dalla famiglia Giuliani, potesse far luce sull’accaduto e riaprire le indagini chiuse in tutta fretta pochi giorni dopo la tragedia. Placanica venne accusato di aver premuto il grilletto per legittima difesa, ma non è certo che sia stato veramente lui a sparare. In una fotografia che ha fissato per sempre il momento degli spari, all’interno della jeep dei carabinieri si vede qualcuno di profilo che si copre le orecchie con le mani. Quasi sicuramente è Placanica, il suo profilo corrisponde. Quel che è certo è che a bordo della jeep, oltre a lui c’erano l’autista Filippo Cavatoio e il carabiniere Dario Raffone. Chi ha sparato? Anche sul proiettile estratto dal corpo di Carlo, durante l’autopsia, regna tutt’oggi il mistero. Ufficialmente dovrebbe trattarsi di un proiettile calibro 9 parabellum, ma non corrisponde alle caratteristiche di tale modello, pertanto è molto probabile che sia stato sparato da un’arma irregolare, non di ordinanza. Si tratta di un proiettile leggero, con poca massa e che si frammenta facilmente, studiato per non lasciare tracce di sé. Studiato per la guerra. Durante le indagini è emerso che i comandanti del plotone di carabinieri - impiegati quel giorno in piazza Alimonda - altro non erano che ufficiali addestratissimi alla guerra facenti parte, o comunque provenienti dal Battaglione Tuscania, coinvolti a vario titolo nelle vicende della spedizione Ibis in Somalia nei primi anni ’90: violenze, stupri, torture nei confronti della popolazione civile. Giuliano Giuliani disse: “Gli annichilitori di Nassiriya cominciarono da Genova il loro addestramento”. Aveva ragione e fin da subito si sentì anche in dovere di mettere in guardia i media e l’opinione pubblica riguardo le sorti del giovane Placanica: “...temo per quel ragazzo, per tutte quelle contraddizioni mai chiarite.” Che il suo fosse solo un presentimento o qualcosa di più concreto non ci è dato sapere, ma subito dopo i fatti di Genova, Placanica – sconvolto per l’accaduto – venne ricoverato in una clinica psichiatrica e dichiarato incapace di intendere e volere, quindi escluso da qualsiasi processo in cui avrebbe potuto testimoniare. Poi, due anni dopo fu vittima di un terribile incidente automobilistico nel quale per poco non perse la vita. Si scoprì che i freni della sua macchina erano stati manomessi. Si dice che la verità non stia mai né a destra né a sinistra, cosa certa è che quel giorno a Genova “ci doveva scappare il morto”. Carlo gettò l’estintore verso la jeep perchè vide la canna di una pistola puntata sui ragazzi, a pochi metri da sé. Quel lancio, che avrebbe provocato ben pochi danni perchè diretto ad un mezzo blindato, gli costò la vita e cambiò quella di tutte le persone che lo amavano. Cambiò anche la nostra perchè “dopo Genova” nulla fu come prima. Sono venute a galla cose che fanno rabbrividire, che creano orrore, come le violenze subite dai manifestanti che in quei giorni vennero fermati per le strade e portati nella caserma di Bolzaneto. Picchiati e umiliati, spinti giù dalle scale per inscenare un incidente, giustificare i lividi e le ossa rotta. Qualcuno di quei ragazzi ha riportato danni permanenti alle vertebre e ora è costretto su una sedia a rotelle... Ci sono ragazzine di 15 anni che hanno subito perquisizioni corporali da gente in divisa che non avrebbe potuto e dovuto toccarle nemmeno con un dito. E poi ci sono i medici del pronto soccorso che hanno visto cose di cui è meglio non parlino, se tengono al loro lavoro... Genova lascia una profonda ferita nel tessuto sociale del nostro Paese, ci sconvolge pensare alle violenze gratuite occorse alle forze dell’ordine per soverchiare dei ragazzi, tra cui molti minorenni, giunti in città per dimostrare in modo assolutamente pacifico. Era proprio necessario spruzzargli addosso dei gas CS (i 6200 lacrimogeni lanciati tra il 20 e il 21 luglio sulla folla) tra l’altro vietati in guerra da convenzioni internazionali per le conseguenze irreversibili che provocano? Era necessario sorprenderli nel cuore della notte mentre dormivano all’interno della scuola Diaz, picchiarli con ferocia per poi trasportarli a forza nella caserma di Bolzaneto come i peggiori degli assassini? Fa male pensare che in quei giorni a Genova si verificò la più grave sospensione dei diritti umani e civili mai registrati nel corso della storia della nostra Repubblica, addolora e vergogna sapere che, per tutto questo tempo, qualcuno ha lavorato solo ed esclusivamente per insabbiare e nascondere il tutto. Questo ci insegna soltanto a non chiudere mai gli occhi, neanche per un secondo e a non fidarsi troppo nemmeno di coloro che dicono di volerci proteggere... perchè hanno giurato fedeltà specialmente allo Stato.
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