Creato da le_corps il 27/02/2007

punto sul rosso

il teatro il delirio l'oblio

 

 

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Dispari

Post n°201 pubblicato il 07 Ottobre 2008 da le_corps

Mezza guancia è attraversata da un taglio, è una striscia non molto profonda ma una bella striscia rossa che risalta sulla pelle pallida. Se qualcuno mi chiede il perché di quello sfregio in bella mostra, rispondo che i gatti possono colpire ovunque.
Un’unghiata felina che poteva costarti un occhio! - mi apostrofano i più.
Già, dico io.     

Se solo avessi davvero un gatto, penso tra me e me.
Ma gli altri non lo sanno, non sanno nemmeno dove abito esattamente: appena fuori le mura, dico io (ma le mura girano tutt’attorno alla città), e vivo sola, aggiungo, per scongiurare domande d’altro genere.
Gli altri sanno ciò che vedono, ciò che riescono ad intuire vedendo ciò che io porto fuori, o meglio, ciò che io indosso fuori per coprire il dentro. Indossiamo segnali, è vero, li indossiamo nostro malgrado ma ciò che possiamo fare è confonderli. L’assenza di coerenza e la contraddizione possono a loro volta essere un segnale, e qualcuno potrebbe dire: quella ragazza è un coacervo di contraddizioni, è un’accozzaglia di indecisioni, un pozzo di indecifrabilità o, semplicemente, quella ragazza non ha stile, o, ancora, il suo stile è proprio nel non avere stile.
Di certo non possono dire ch’io parli poco. A me piace parlare, e ridere. E rispondo sempre a tutte le domande, a volte le ingoio, le domande, è vero, ne faccio un sol boccone, e l’interlocutore non si ricorda più che domanda aveva fatto o se aveva domandato qualcosa. Ma la discussione procede comunque, nonostante questi inconvenienti, questa stranezza delle domande inghiottite, disperse, smarrite, una volta formulate, ma poi chissà se erano state formulate davvero.
Vestendomi posso dissimulare le fattezze del corpo in una certa misura, posso giocare con le dimensioni del seno, con l’altezza, posso nascondere tatuaggi e cicatrici, e il colore della biancheria intima, così come il numero di nei che ho sulla schiena o tra le cosce, e la durezza dell’anca o la morbidezza del ventre. Posso dare ad intendere una cosa e l’altra, perché il mio corpo, se voglio, è ora una cosa ora un’altra, visto da fuori, visto ammantato, visto vestito ovvero rivestito.
E’un corpo riscritto, ad uso e visione degli altri che chiedono indagano sondano e spiano, ma senza convinzione senza spregiudicatezza.
E’un corpo aggiustato, rattoppato, camuffato, perché dica meno di quello che direbbe, perché lasci credere quello che non è o quello che è molto distante da ciò che è. Tanto la verità non interessa; tanto preferiscono al vero, il credere che sia vero. Il vero è non necessario, non utile alla comprensione non utile all’interazione sociale: il vero non porta alcun valore; anzi, il vero può essere disturbante. Il vero della realtà, e il mio corpo è reale, è fisico, è carne, è qui; e il vero dell’onirico, e le mie idee e le mie immaginazioni hanno sostanza del vero pur essendo immateriali, ma sono il principio formatore della materia stessa.
Oddio, non so più quel che dico, ed ho perduto un guanto, forse mi son persa proprio a causa di questa mancanza: ora sono irrimediabilmente asimmetrica, senza un guanto, e se ne indossassi uno solo qualcuno potrebbe chiedersi perché e potrebbe chiedermi di sfilarlo per vedere sotto cosa c’è.
Ma cosa vuoi che ci sia sotto? Una mano. Delle dita. Un palmo. Un polso. Tutta roba regolare, denunciata e dichiarata, tutta roba mia, roba del mio corpo, che ricopro e proteggo e ammanto come voglio come meglio credo che sia. E finché sono io a decidere come e se vestirmi, il mio credere vale sopra ogni altra volontà di credere, e ciò che è giusto lo decido io.
Perché dovrei togliermi questo unico guanto? Solo per dare soddisfazione alla tua morbosa curiosità, solo per concedere una risposta alla tua domanda? Ma la domanda l’ho già inghiottita, assieme a questo boccone di torta al limone.
Ma l’altro guanto dov’è? - mi chiedo tra me e me.
Qualcuno me l’ha nascosto per farmi uno scherzo, per farmi tremare di paura, perché una cosa persa dimenticata è come un buco perso dimenticato, dunque pericoloso, che può risucchiarti in qualsiasi momento, allora per non rischiare di cadere stai ferma immobile, sperando che non si apra una voragine proprio sotto il tappeto sul quale hai incollato, per sicurezza,  la tua schiena. Ma il timore dell’insicurezza può agguantarti ovunque e in qualunque momento, soprattutto se hai perduto un guanto: non si è più al riparo senza uno dei due guanti! Ma cercarlo non darebbe frutti, anzi, guai a cercarlo! perché il guanto disperso è un’esca, un’insidia, un invito a cadere nel buco, ed io non posso abboccare, se lo facessi qualcuno potrebbe dire: c’è cascata, c’è cascata! È cascata nel buco del guanto. Ora rubiamole qualcos’altro. E facciamola disperare. Che brutta parola, rubare. Va bene, allora: nascondiamole qualcos’altro. Ma anche disperare è una brutta parola, ma loro non se ne avvedono. E dicono: miniamo il suo bisogno di simmetrie, la sicurezza che le dà il paio il due il pari; gettiamola in un mondo dispari, che poi è il mondo. Ma lei non lo sa, e si ostina a voler pareggiare i conti e a stare nell’ordine del 2 e dei suoi multipli: senza resti senza avanzi senza esuberi senza difetti.
Ad ognuno il suo mondo vorrei obiettare io, e schermirmi, ma ho una mano offesa, priva del suo guanto e allora non posso difendermi, sono indifesa imbelle inerme in balia di un dominio impari, del dominio dei dispari, sono in disequilibrio numerico, algebricamente spacciata.
L’1 tiranneggia il mio essere, quasi mi fa soffocare, e allora mi incollo al tappeto ma non basta, perché sento il pavimento cedere da un lato, e un occhio scivolarmi dalla faccia, e mezza faccia scivolarmi assieme all’occhio, o viceversa, ed io vorrei trattenerla e ricomporre la simmetria del mio corpo, ma non riesco: da una parte scivolo, dall’altra sono paralizzata. Eppure una volta la mia polarità funzionava benissimo, e mi teneva in equilibrio, una polarità appagante fondata sul due.
Ma ora c’è solo l’1, e niente può devastare come o più dell’1, questo dispari insolente in quanto primo tra i dispari e primo tra i primi, questo dispari pieno di sé, che si regge benissimo sulla sua unica gamba.
Un’unica gamba? Ma è impossibile per me. Senza una gamba come faccio dove vado? Eppure dopo il guanto ho perso anche quella, ecco perché mi ritrovo distesa incollata al pavimento, e dopo la gamba, la faccia: metà della faccia è scivolata via. Ed io mi ritrovo asimmetrica, dunque. E’questo, dunque, il mio destino? Eppure pensavo che il 2 mi avrebbe sempre accompagnata e rassicurata. Pensavo che…
Ma ora non c’è più tempo per pensare. Devo uscire, i colleghi mi aspettano, con le loro domande da inghiottire e i loro sguardi da imbottire. 

 

 
 
 
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