Messaggi del 17/03/2015
Post n°1386 pubblicato il 17 Marzo 2015 da non.sono.io
Lo spiego per quelli che non hanno mai visto la stazione della metropolitana di Rebibbia, a Roma. L’entrata è una grande bocca semicircolare che affaccia su una piazzetta delimitata da alti muri di mattoncini grigi. La fermata si trova accanto alla Tiburtina da un lato, e al fiume Aniene dall’altro. D’inverno la sera su quella piazza si forma una specie di nebbiolina, acre, densa, composta di tutti gli scarichi delle fabbriche che il corso d’acqua raccoglie nel suo percorso verso le fogne. La maggior parte delle volte, dei cinque lampioni piazzati nel perimetro, ne funziona solo uno; l’ambiente è spettrale, se ci si dimentica dei claxon e dei rombi dei motorini che scorrazzano a meno di centro metri. Proprio lì, in mezzo ai miasmi, un uomo basso, grasso, pelato a chiazze, cammina avanti e indietro, con fare nervoso. Indossa un camice da dottore, ma non si capisce bene perché quel suo agitarsi lo fa continuamente uscire dal campo illuminato dall’unica fonte di luce in quella piazza. Da dentro la stazione, il barrire di una bestia gigantesca rimbomba nei cunicoli sotterranei. Dall’uscita sbuca un drappello di persone. Il ciccione si blocca, scruta tra la gente, grugnisce e torna a fare passetti a vuoto. Dopo poco, solitario, esce trafelato un ultimo passeggero. E’ un giovane di colore, ha il fiatone, e trasporta un pesante fardello con sé. Si vede solo un attimo nella scena, perché appena fuori sparisce nel buio, e possiamo capire i suoi spostamenti solo concentrandoci sui suoi occhi bianchi, splendenti anche nelle tenebre. Lo vediamo ricomparire per intero solo quando si porta sotto il lampione. Allora scarica il suo bagaglio, e ansimando chiede scusa al grassone. Quello lo osserva serio. “Che cazzo hai fatto Kal? Qui andiamo male Kal, lo sai vero?”. Il giovane di colore, scuote la testa, fa un grande respiro per recuperare l’aria spesa nel correre. “Mi devi scusare, ma mi è successa una cosa incredibile. Cioè non so neppure se mi, anzi ci, è capitata sul serio…”. Il pelato si gira, dandogli le spalle. “Ma come, io trascuro pure il lavoro per essere puntuale. E tu mi fai aspettare venti minuti? Cose da pazzi…”. Il ragazzo cerca di fargli capire: “La metropolitana…”. L’altro fa qualche passo avanti, si allontana nell’oscurità. “Non me ne frega un cazzo, Kal. Stai zitto. Hai portato almeno quello che dovevi?”. Kal si china sul fagotto, lo apre e infila le mani dentro scuotendole. Produce un rumore metallico che rimbomba tra i muri di mattoncini. “Bene”. Sentenzia il ciccione. Poi fa sparire una mano dentro il camice e tira fuori una pistola. Stende il braccio, che entra nell’inquadratura del fascio di luce, e la canna della pistola arriva a meno di tre centimetri dal naso del ragazzo. |
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