Nella mia nuova casa, almeno all'inizio, non ci saranno piatti. Non ci saranno forchette, coltelli, cucchiai, macchinette del caffè, pentole, bicchieri, caraffe, strofinacci. Non ci sarà un letto per dormire, né lenzuola per rifarlo, né coperte per scaldarsi. Non ci saranno librerie e non ci saranno libri con cui riempirle. Non ci saranno mensole, soprammobili, quadri, orologi, fotografie, sedie, poltrone, divani, tavolini, posaceneri. Non ci saranno tende, lavatrici, asciugamani.
Poco male. Ci saranno quattro pareti, almeno una porta da cui entrare e uscire, un paio di finestre per lasciar passare il vento; e ci sarò io.
La mia nuova casa me la farò su misura: parva sed apta mihi. Per piatti, letti eccetera ci penserà poi il signor Ikea, con più o meno calma. Il resto, le cose fondamentali, le porterò con me.
Darò una rinfrescata ai muri con un po' di libertà, ché si ricordino che non mi contengono; avrà un profumo a metà tra il gelsomino e la lavanda, ma tenue, quasi etereo, e potranno sentirlo in pochi (quelli che contano, chiaro). Laverò i pavimenti con la verità, un paio di volte al giorno, fino a che non resterà più nessun nascondiglio per la menzogna.
Condirò le mie prime insalate con gioia di vivere, la mia prima pastasciutta con ozio laborioso, la prima bistecchina con rosmarino e voglia di riscatto. Poi fumerò una sigaretta con le finestre aperte, così che il vento potrà asciugare le lacrime che non verranno.
Non tutti potranno entrare nella mia nuova casa. Per le mie stelle sarà sempre aperta, calda, accogliente; ma il Passato, tanto per fare un esempio, dovrà bussare a lungo, e sarà ammesso solo se mostrerà i segni dei ceci sulle ginocchia; e forse non basterà nemmeno.
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