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Quando il bambino era bambino (1/2)

Post n°193 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Oggi ho sublimato talmente tanto che se eiaculassi adesso il liquido seminale - spermatozoi inclusi, poveracci - passerebbe icchetennunchete alla fase di vapore. Ma non sono qui per parlarvi dei miei amori con le cinque dita: sono qui per parlarvi nientepopodimenoché dei miei trascorsi atletici. Lo so che a voi non ve ne frega un cazzo: figuratevi quanto me ne frega a me di quanto ve ne frega a voi.

Comunque sia, c'è stato un tempo in cui non solo ero giovane e bello come il sole, appetibile e appetito (lo so che può suonare strano a chi conosce questo presente fardello di ciccia, eppure è così), ma anche virgulto atletico, nelle migliori tradizioni della gloriosa gioventù italica (lo scrivo casomai il ventennio tornasse di moda, magari acquisto posizioni senza farmi la Marzia; su Roma).

A quei tempi si giocava il tennis e il calcetto (occasionalmente il calciotto): il tennis rigorosamente martedì, giovedì e sabato, il calcetto quando capitava (il calciotto ancora meno).

Martedì e giovedì giocavo contro il Giamba. Dopo un po' di tempo siamo arrivati all'equilibrio termico: diciamo che in media facevamo un set a testa, e pace. Il problema è che dopo tanti tanti set l'uno contro l'altro ci conoscevamo troppo bene: io giocavo il serve and rolley (servizio molle, e poi lento rantolare verso la rete, come un pesce preso all'amo del suo inesaudibile desiderio d'oblio), e quindi venivo con regolarità passato di dritto sul lungolinea (di rovescio era una pippa madornale: pensava d'essere Sampras (d'altronde io pensavo d'essere McEnroe), quindi con gesto virile nonché artificiosamente spontaneo riusciva senza eccezione di regola a spedire la palla 1. a rete, 2. verso i Mari del Sud della sua fantasia, 3. esattamente dove la mia racchetta l'anelava - incrocio esiziale a seguire).

Sul suo servizio stavo tranquillo: se sbagliava la prima (il che avveniva con una frequenza di circa 0.9) tirava la seconda con la stessa rabbia canina, mandandola con quasi ossessiva regolarità a rete: strappargli il servizio era quindi una mera questione di su e giù da un lato all'altro del campo, senza null'altro fare.

La stessa nequizia che tanto mi deliziava il martedì e il giovedì, quando ce l'avevo contro, mi faceva imbufalire il sabato, quando ce l'avevo compagno avverso i "bombardieri", i quali erano così detti perché tiravano certe sleppe che scansate.
"Porco Zio", gli sussurravo cercando di non farmi sentire dai nostri avversari, "vuoi tenere quella cazzo di seconda dentro, per favore? Una che sia una? Magari ce la giochiamo, eccheccazzo!"

Lui niente, sparava la seconda come un missile fuori controllo; poi se la prendeva con l'effetto farfalla, "sai, le perturbazioni atmosferiche, il caos, la pallina s'è spostata...". Io contavo fino a dieci, a volte fino a venti, ma poi era più forte di me, di norma lo mandavo affanculo, lui, Lyapunov e i loro esponenti: "la farfalla t'ha dato alla testa, caro il mio farfallon-minchione: e mettila dentro 'sta cazzo di seconda, cazzo!"

D'altronde i bombardieri (Fabrizio & Fabrizio) in due facevano un quattro ante comodo comodo: a rete scendevano di rado, ed era pressoché impossibile, dato l'uno e novantacinque a cranio, passarli di palombella; sparare quando erano a fondocampo era allo stesso modo inutile, perché restituivano la pariglia con inusitata violenza. Sta di fatto che non abbiamo vinto manco un set, contro di loro.

Una volta, il Giamba febbricitante mi disse: "è un peccato sprecare il campo" - l'avevamo prenotato fisso il martedì e il giovedì alle 16, un campo coperto, quindi la pioggia, pure d'inverno, ci faceva un baffo - "è un vero peccato, trova qualcuno con cui giocare". Io avevo notato un ricercatore (all'epoca ero un misero dottorando), tal F.F. (non faccio nomi perché adesso è direttore di sezione e capace che mi licenzia in tronco se legge queste poche vere note), che arrivava frequentemente all'uni con sacca da tennis in spalla. Allora vado da lui e gli dico: "Oh, ciò un campo prepagato, ci facciamo due scambi domani?" Lui mi guarda storto e mi fa: "Ma tu, come giochi?"

Ora, cercate di capire: io giocavo col Giamba martedì e giovedì, e poi il sabato contro i bombardieri, ma non è che fossi Panatta redivivo, insomma, me la chiavicchiavo, ma niente di che. Quindi gli faccio: "mah, che vuoi, giochicchio...". E lui: "no, sai, perché a tennise, se l'altro non è in gamba, ci si annoia... io gioco contro uno che ha fatto la coppa italia, aho, non so se me se piega...". Al ché, io: "ah, vabe', se la metti così lasciamo perdere".

Insomma, capite: è ricercatore, è alto un metro e novantasette (quindi fantastico facilmente l'ace veloce di servizio), e mi deve fare l'esame di dottorato a fine anno (le sue dispense passarono alla storia come le più confuse dai tempi della Bibbia). Quindi morta lì, e quella settimana il campo io e Giamba l'abbiamo pagato per niente.

Ma il bello si è che un anno dopo, quando ero ormai già a Ginevra, chéz le CERN, il tal F.F. in visita accademica viene a bussare alla porta del mio ufficio. "Aho, nun se trova un cane pe' fa' du' scambi a tennise", dice lui (mi sono scordato di raccontare che noi studenti lo si chiamava MadMax, non solo per via della somiglianza con l'omonimo personaggio filmico, ma anche per la sua, come dire, rugosità), "s'annamo a fa' du' tiri?". Io gli faccio "guarda che non è che sono migliorato molto da un anno a questa parte, anzi, so' pure ingrassato 10 kili de vacherain...". Lui mette su un'aria come di sopportazione, come dire "e vabe', facciamo quel che si può, se non c'è di meglio..."

Il risultato, l'avrete capito, ormai, è stato un secco 6-2 per me.

Francesco K. invece, sguizzero itagliano che ho incontrato a Berlino, un quattro ante di spalle da solo, era un vero signore: sul 5 a 0 per lui finivo invariabilmente per vincere un gioco. Era decisamente troppo forte per me (potente fisicamente, sette anni anagrafici di meno, troppi anni d'agonismo tennistico in più), per cui ci si ritrovava, come fosse una regola, 5 a 0 per lui. A quel punto, magicamente, i miei lungolinea cominciavano a passarlo, le sue volée si smorzavano a rete, so un cazzo, fatto sta che il set finiva 6-1 (per lui). Senza eccezioni. Un signore, un uomo d'altri tempi. Non sarebbe riuscito a sopportare il 6-0 senza scusarsi. Francesco, se mi leggi sappi che ti voglio ancora bene. E grazie per quei due sacchetti di spesa che m'hai portato a casa dopo che sono uscito barcollante dall'ospedale di Koenigs-Wusterhausen (o come cazzo si scrive), ricoverato una notte per un sospetto d'eccesso alcolico (in fondo avevo solo mandato giù tre aulin con una boccia di grappa). Ma era solo un sospetto, in realtà era malinconoia.

(to be continued)

 
 
 
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