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L'Angelo di Goedel (1/N)

Post n°196 pubblicato il 29 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Per sfizio, ma in realtà non proprio per sfizio, sto rileggendo "Ombre della mente", di Roger Penrose. Il libro è il seguito ideale (un ampliamento e un nota bene, se volete) de "La mente nuova dell'Imperatore", dello stesso autore.

Il punto fondamentale che preme a Penrose, Dio solo sa per quale preciso motivo, è una confutazione, basata su argomenti che trovo in parte condivisibili, in parte largamente fantascientifici, delle tesi fondamentali dell'IA (Intelligenza Artificiale), tanto in senso forte quanto in senso debole.

Riassumo brevemente la situazione, altrimenti parlo di fuffa al vento. Secondo i sostenitori dell'IA in senso forte, ogni pensiero è computo. Calcolo, insomma. In particolare, il senso della consapevolezza (la coscienza, compresa la sua estensione umana, l'autocoscienza) sarebbe suscitato dall'esecuzione di appropriati algoritmi di calcolo. Penrose etichetta questa tesi con la lettera A, in stile calligrafico.

Dopo di che, il buon Penrose etichetta come B (nello stesso stile calligrafico), la tesi dei sostenitori dell'IA in senso debole: ossia, mentre la consapevolezza (qualunque cosa sia) è il risultato dell'azione fisica del cervello, e mentre qualunque azione fisica può essere agevolmente simulata con un'opportuna strategia di calcolo, la simulazione computazionale non può però di per sé suscitare consapevolezza.

C'è poi un punto C, quello cui aderisce lo stesso Penrose, e che può riassumersi come segue: la consapevolezza è suscitata, in qualche modo, da qualche azione fisica del cervello, ma questa azione non può neanche essere simulata, cioè non può essere approssimata, finta, da nessuna strategia di calcolo.

Infine c'è il punto D, ossia esiste una piccola anima immortale, quindi non rompeteci troppo i coglioni con queste menate.

Per riassumere il riassunto: il punto D è autoevidente (inutile simulare alcunché, tanto la consapevolezza c'è data da una scintilla divina in noi); il punto A implica che prima o poi i computers saranno non solo più intelligenti di noi, ma almeno altrettanto autocoscienti; il punto B significa che l'intelligenza potrà essere simulata, ma questo non comporterà la nascita artificiale della coscienza; mentre il punto C, lo confesso, è quello che mi causa problemi, quello che non capisco.

Naturalmente capisco che il motivo per cui non lo capisco non è esplicitato nelle righe che precedono, ma il fatto è che sto proprio cercando di spiegare perché non capisco il punto C. Va da sé che non è che non lo capisco, in qualche senso: comprendo bene (credo) come possano esistere universi deterministici ma non computazionali (a dirla tutta mi è anche abbastanza chiaro che il nostro universo è non-computazionale). Diciamo che il punto C mi sembra una diramazione del punto B (ma a dirla tutta anche il punto D mi sembra un'ulteriore diramazione).

Il fatto fondamentale, credo, è che per Penrose "intelligenza" richiede comprensione, e "comprensione" richiede consapevolezza. Il problema è che occorre intendersi sui termini, e non vorrei che alla fine tutto si giochi sulla differenza e sull'ambiguità che (dis)legano coscienza ad autocoscienza.

Mi è per esempio abbastanza chiaro come la gatta-Lou sia una "macchina intelligente"; è evidente inoltre come "comprenda" perfettamente quando sto per tirarle una ciabattata a causa di qualcosa che ha fatto e che non avrebbe dovuto fare (tipo pisciare sotto al tavolo in soggiorno), perché scappa a gambe levate. Ma quanto e a che livello la gatta-Lou è consapevole? E le serve poi questa "consapevolezza" per essere intelligente e comprendere che deve scappare quando è il caso, per non pigliare la ciabattata sul muso?

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 03/03/08 alle 13:49 via WEB
Mi sono applicata nella comprensione del problema(quindi il risultato sarà pessimo: io capisco molto di più quando non mi applico). Ci sono due ordini di problemi: il rapporto tra intelligenza umana e quella artificiale e il rapporto tra intelligenza umana e quella animale. Sulla seconda questione (il tiro della scarpa alla gatta) , lascerei perdere. Non penso che si possa determinare con ragionevole certezza di cosa sia consapevole il gatto, mentre, grosso modo, possiamo essere certi di come funziona un computer (cioè: io non ho la minima idea di come funzioni nemmeno un orologio- ma so che esistono umani che sanno queste cose). Per cui, falciamo la questione ‘l’intelligenza presuppone autoconsapevolezza’. Facciamo finta di sì. Allora, facendo finta di anche sapere di cosa sto parlando, mi riformulo la domanda numero 1 (rapporto tra intelligenza umana e artificiale): posto che allo stato attuale, nessun computer è in grado di provare autoconsapevolezza, è astrattamente possibile che un computer in futuro possa riuscirci? La questione ne presuppone altre: 1. In senso leopardiano: perché rovinare la vita anche ai computer? Non sentono il profondo senso dell’inutilità del tutto, stanno bene così 2. Scherzi a parte, il limite di cui parliamo, è davvero nel computer? O piuttosto, discende dall’incapacità dell’essere umano? In altre parole, è l’uomo che non riesce a programmare in modo opportuno il computer, o proprio non è possibile trasmettere l’autoconsapevolezza attraverso quelle cose che voi sapete e io no (programmazione etc). In altre parole, un essere onnisciente e con abbastanza tempo a disposizione (facciamo pure eterno) riuscirebbe a rendere consapevole la macchina, non soffiandoci sopra, però, semplicemente programmandola? Mi chiedo: perché no? Astrattamente, mi sembra possibile. Probabilmente, ci spinge verso il no un pregiudizio, come quando gli uomini discutevano se una donna potesse mai ragionare come loro. Però, visto che nei dintorni non solo non ho incontrato un dio, ma dubito anche che l’essere onnisciente e eterno possa perdere tempo a giocare con un computer (ad esempio, potrebbe rivelarci come Kakfa avesse in mente di concludere ‘il processo’), c’è sempre la questione dei limiti umani. Di fatto, mi sembra di poter concludere che io non ho capito niente, ma in realtà nessuno ne sa nulla. Al massimo, possiamo dire che cosa siamo capaci di fare, non il resto. kleo
 
 
semi.conduttore
semi.conduttore il 03/03/08 alle 14:08 via WEB
uh, ma che bellissimo commento. i margini sono troppo stretti qui per rispondere eccetera, quindi replicherò direttamente con un post, quotando e citando, se me ne dài il permesso
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 03/03/08 alle 15:58 via WEB
sì, sì. figurati. citati da solo. io lo faccio sempre. kleo
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 03/03/08 alle 14:29 via WEB
E' vero, bellissimo commento, soprattutto dove dici: "In senso leopardiano: perché rovinare la vita anche ai computer?" :)
LdC
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 03/03/08 alle 16:14 via WEB
bene, e pensare che non sono mai riuscita a imparare le tabelline dopo quella del sei! kleo
 
kleocoppersmith
kleocoppersmith il 04/03/08 alle 10:30 via WEB
ps: ho pensato alla tesi C. domande: 1. come fa pensrose a distinguere tra simulazione e non? 2. perchè la tesi C non dovrebbe essere applicabile anche agli esseri umani? insomma, mi sa che non ho ben chiaro il concetto di autocoscienza. concludo parafrasando woody allen: non so se l'autocoscienza esista, ma se non esiste mi sa che ho speso troppo per la mia moquette. kleo
 
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