Creato da nagel_a il 27/12/2008

la finestra

gli scenari dell'anima

 

l'isola dei feaci

Post n°415 pubblicato il 07 Giugno 2011 da nagel_a


Vi è, tra le sponde toccate da Odisseo, un'isola che non assomiglia a nessun'altra.
Scheria. E' un luogo della mente, un foglio bianco di possibilità, dove nulla ha nome. E' l'armatura per difendersi dagli stranieri. Non si nominano i monti e neppure i fiumi. L'approdo è infido, ma una volta superata l'insidia della costa, si dispiegano le ricchezze interne. Il clima è mite e il corpo trova ristoro. 
Allo sbarco sofferto, è contraltare una disancora lieve, dove le vele si gonfiano al vento per qualsiasi rotta.

Perché i Feaci non hanno nocchieri,
non ci sono timoni, come ne han l'altre navi,
ma sanno da sole il pensiero e l'intendimento degli uomini,
e san le città e i pingui campi di tutti,
e l'abisso del mare velocissime passano,
[...]
(Odissea, VIII)

 
 
 

La cappa

Post n°414 pubblicato il 03 Giugno 2011 da nagel_a


Vi sono giorni in cui un'indolenza serpeggiante rende svogliate le reazioni agli stimoli esterni. E' sufficiente la molla di qualche notte insonne trascorsa a calcolare tempi e impegni. La molla poi viene messa in efficiente compressione da una giornata stranamente rarefatta, in cui il tergiversare delle nuvole annienta ogni volontà residua. L'aria è pesante senza decidersi a dissolversi in pioggia.
A me basterebbero sole e azzurro, quel tanto da alleviare questo stato cosciente di frustrante inconcludenza.

 

 
 
 

La donna autentica

Post n°413 pubblicato il 31 Maggio 2011 da nagel_a




"In fin dei conti se il dilemma è: "Chi conosce la donna autentica, l'amante o il marito? Sono davvero così diverse l'una dall'altra? O sono forse sottilmente mescolate e indistinguibili? O sono plasmate con due sostanze che unite ne generano una terza, non più somigliante ad alcuna delle precedenti?", forse allora né il marito né l'amante conoscono la donna autentica. Eppure, è la donna più semplice che ci sia. Benché io abbia vissuto abbastanza a lungo da sapere che non esistono anime semplici."
(I. Némirovsky, Il calore del sangue)


Ancora sono indecisa se sia frustrante o appagante questo gioco di specchi, questa recita d'attori. Se siamo statue sfaccettate inattingibili allo stesso raggio o matrioske dal contenuto comunicabile solo a scomparti.
E' questione oziosa ma mi diverte. Come nel momento stesso di un denudamento completo, si acquisisca sembianza di sfinge. Così la sfida diviene togliere la maschera e in un giro concentrico dell'interpretazione, nessuno potrà giurare sul vero e sul falso. Perchè le categorie vengono ribaltate, perdono definizione. Confini e limiti si fanno fluidi. E nessuno potrà dire che io sia e come io sia.
Semplice speculazione, senza riscontri. Qualche aggettivo potrebbe essere azzeccato, ma l'etichetta non sostituisce la marmellata dentro al vaso. Eppure anche qui si imbandiscono laute fette, dai colori invitanti e dai profumi suadenti. L'aroma dell'arrosto per gli immortali.
Se non c'è margine tra realtà e immaginazione nel delineare ciò che è vero, io sono chiunque e non sono nessuno. E' un'ebbrezza di libertà. E' una disperazione di senso.
Rimane residua, a volte, la presunzione di un'inutile unicità.

 

 
 
 

Al dio lontano

Post n°412 pubblicato il 30 Maggio 2011 da nagel_a


Giunge la tua voce
a rompere il silenzio
di piogge amare
e ninnananne gitane.

Sale sulla nebbia
il tuo pensiero
e mi affligge
la punta della tua assenza.

Invoco un dio
lontano e abbandonato
di sciogliere il nodo
che strozza in gola.

Prego un dio
muto e segnato
di carezzare quieto
le mie palpebre chiuse.

 

 
 
 

L'assedio

Post n°411 pubblicato il 29 Maggio 2011 da nagel_a


Guardo le mie mani. Sono state mani forti e abili, i calli che mi segnano il palmo sono corona alla mia perizia. Sono mani di falegname, che ho ereditato da mio padre falegname. Le stesse mani che aveva anche mio nonno, falegname.
Ho lavorato, cesellandolo con il mio burchiello, ogni tipo di legno cresciuto nel bosco dietro la città. I miei mobili e quelli fatti dai miei padri adornano ogni casa e ogni chiesa nel perimetro martoriato di queste mura. Anche i banchi della scuola su cui è cresciuto mio figlio. E' un ragazzo in gamba mio figlio. Ha le mie stesse mani. Forti e abili. Ma le sue sono anche delicate, sa suonare il sassofono, mio figlio. Non so dove abbia imparato a tirare i fili segreti che legano le venature del legno alle note della musica. Però è bravo: è un bravo falegname, è un bravo musicista.

C'è stata una festa ieri in città. Una festa di primavera e quasi sembrava che la guerra fosse un incubo germinato dalla fame e dal freddo dell'inverno. C'era voglia di ridere e fiorire per le strade. Tutti i giovani si affollavano a calcare il selciato grigio, come garrule rondini ubriache d'azzurro.
Era stato eretto un palco sulla piazza. Si doveva suonare e ballare. Si doveva omaggiare la primavera, la fine dell'inverno, la fine della guerra.
Mio figlio doveva suonare il sassofono su quel palco. Con le sue dita agili e forti, fatte per creare bellezza.
Una granata ha sparpagliato al suolo i suoi petali scarlatti, oscurato l'aria con il suo veleno di piombo, polvere sudario stesa sul mondo.

Guardo le mie mani. I miei occhi sono asciutti. Il dolore è troppo fondo per trovare parola nelle lacrime. Sono le mie mani a piangere. Erano forti e abili, orgoglio di falegname. Sono rimaste tremanti, a fissare l'ultimo abito di plastica nera sul corpo straziato di mio figlio.


(Il mio debito, la mia suggestione, è a Maurizio Maggiani, al suo bellissimo Il viaggiatore notturno)

 

 
 
 

L'appuntamento

Post n°410 pubblicato il 26 Maggio 2011 da nagel_a

 

Registrò soprapensiero lo scenario: il rondò delle foglie turbinanti nel vento, il cigolio roco di altalene vuote, la nebbia che lenta s'insinuava tra i tronchi scuri. Un luogo strano per un appuntamento. La donna si strinse nella sciarpa, tuffandovi il naso e osservando il fiato rapprendersi nell'aria. Rabbrividì in quell'attesa che la teneva in piedi, irrequieta, lo sguardo vigile a spiare ogni movimento. Si chiese se avesse fatto bene ad accettare quello strano, inaspettato invito e non le venne in mente nessuna buona ragione a rassicurarla sull'opportunità della sua presenza lì.
Non aveva mai pensato a quanto fosse greve di solitudine un parco giochi in inverno, senza grida e risate di bimbi, senza la vivacità delle loro corse. Era come se qualche strega, uscita da un libro di fiabe illustrato, avesse steso sopra le cose il suo incantesimo: un cupo sonno dei cent'anni. Non si udiva il canto di un uccello, nessun passo a far scricchiolare il ghiaino dei viali, nessun colore a rompere la distesa della monotonia in grigio. La giostra dei cavalli immobile in un malinconico, cristallizzato galoppo.
Sollevò il lembo del guanto e sbirciò l'orologio. Era trascorso molto più tempo di quanto avesse sospettato. Doveva essere stata la strana malia di quel luogo a farle perdere la cognizione degli istanti. Ormai era superfluo attendere oltre. L'aveva presentito. Certe attese fin da subito, sanno di vuoto e di inutilità.

 

 
 
 

Confessioni di un'etera

Post n°409 pubblicato il 23 Maggio 2011 da nagel_a


Ho la pelle bianca di chi abita le notti e occhi grandi, sottobosco di un'anima che pudica nascondo. Perchè non è la mia anima che chiedono quelli che mi cercano.
Sono lo scrigno dei loro inconfessati sogni, la riva delle loro passioni indecenti. Raccolgo l'ardore delle loro notti infedeli.
Vogliono l'oblio della mia pelle di velluto, l'estasi delle mie labbra morbide, il naufragio del mio grembo. Io sono la marionetta dai fili docili e dal sorriso certo.
Ho lunghi capelli profumati e mani agili e svelte. Sono il fiore di loto della loro frenesia, la medicina notturna dei loro affanni.
Sono un'etera, sciolgo le mie membra in musica tra le braccia che mi cingono affamate. Sono un angelo dalle ali algide, che si diletta a creare con il fango.
Sono una schiava, regina incontrastata su un regno sterminato.

 

 
 
 

Roma o il firmamento

Post n°408 pubblicato il 19 Maggio 2011 da nagel_a


Vi sono crete dalla natura proteiforme, che appena uscite dalle mani del disavveduto creatore, amalgamano le loro impurità in perfetta alchimia. Ma, raggiunta forma autonoma, si dilettano a dosare le proprie componenti, lasciando affiorare ora l'una ora l'altra delle molteplici facce, secondo le leggi di un bizzaro e casuale divenire.
Tale natura, dall'apparenza ambigua, è in realtà sintesi perfetta di una totalità che contempla al suo interno, materna e feconda, gli opposti.
Così non si dà medaglia senza recto e verso e difficilmente esiste cosa, circostanza o persona che possa essere univocamente e monoliticamente determinata.

Uno dei periodi che più mi affascina nelle sue complesse volute e nelle sue chimeriche espressioni è il barocco.
Roma è il palco privilegiato che vede avvicendarsi due avversi spiriti, opposti eppure complementari: Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini. Il contrasto tra i due è leggendario e senza esclusione di colpi.
C'è un libretto, dalla vivida copertina arancione, che racconta di una "Roma sospesa tra la luce e l'ombra, i ruderi e il cielo, gli inferi e l'aldilà". Sullo sfondo di questo scenario si contrappongono come un Giano bifronte le due figure, le impurità di quel 1600 che vide nella luce e nella sua negazione l'origine delle sue forme nate in quel limbo della ragione tra sogno e incubo.
"Sembra che l'anima barocca abbia avuto bisogno di queste due persone eccezionali per esprimere tutte le sue violenze e le sue contraddizioni: estroversa o introversa sino all'eccesso, come in questa architettura da lei ispirata, dove il concavo e il convesso sono l'asta e il filetto di una medesima calligrafia".
(citazioni da Gérard Macé, Roma o il firmamento)

 

 
 
 

La sveglia

Post n°407 pubblicato il 17 Maggio 2011 da nagel_a


C'è una sveglia sul davanzale bianco della finestra in cucina. Scandisce i tempi delle mie ricette, la cottura della pasta, i minuti del caffè la mattina.
E' una sveglia di quelle che di solito stanno sul comodino delle camere da letto.
Una volta ce la tenevo anche io, poi l'ho spostata.
L'ho allontanata dal mio letto perchè racchiude un'anima dispettosa e indisponente. Ogni tanto, senza alcun perchè apparente, il suo ticchettio si faceva più insolente. Si alzava di un tono e prevaricava su ogni altro lieve rumore della notte. Allora anche il mio cuore aumentava la velocità e l'intensità del battito e il mio sangue circolava più in fretta, in una strana ipnotica attesa.
Poi la mattina! Non so dire che suono agghiacciante avesse per darmi la sveglia. Mi ritrovavo di scatto a tapparle la bocca con la mano tremante, le palpitazioni e le gambe vaghe. Dovevo stare qualche minuto seduta al bordo del letto per riprender fiato dallo spavento. Avevo cominciato ad andare a dormire con l'ansia di prevenirla. La notte, svegliandomi, incrociavo lo sguardo con le sue lancette e le promettevo silenziosamente che l'avrei battuta, che mi sarei svegliata subito prima che lei suonasse, che l'avrei anticipata zittendola prima del suo tempo.
Volevo vincere sulla sua arroganza, sulla sua violenza.
Alla fine l'ho spostata in cucina. L'ho resa muta di quella sua voce improvvisa e acuta... ma ancora, a volte, le sue lancette cominciano, nel cuore della notte, il loro ticchettio assordante. Quel ritmo infernale, che non sbaglia un colpo, attraversa tutta casa fino a giungere nel mio letto. E io mi rigiro sotto le coperte e attendo con l'orecchio teso, fingo di dormire, perchè so che appena mi alzerò per andare a darle l'usuale colpetto, lei ammutolirà beffando la mia insonnia.

Prima o poi la porterò in giardino e la regalerò a qualche gatto di passaggio.

 

 
 
 

Della fantasia e dell'immaginazione

Post n°406 pubblicato il 15 Maggio 2011 da nagel_a


 

Vi sono uomini che lasciano tracce, disseminano indizi. Ciò accade inevitabilmente, con parole, gesti e sguardi. La pericolosità sta nel potere evocativo dei loro segni. La pericolosità che si racchiude in ogni potenziale rapimento. Perchè ogni viaggio comporta il rischio del sovvertimento delle coordinate. Ciò che si richiede alla mente del viaggiatore è la disponibilità alla rivoluzione.
Perchè ogni viaggio, ogni strada, ogni racconto può svelare Copernico.

Vi sono uomini che inseguono tracce e raccolgono indizi. Come segugi dal raffinato olfatto e dalla vista acuta. Sulla inebriante scia di una scoperta che li conduca ove la loro fantasia non giunge, ma dove la loro immaginazione meravigliosamente si abbevera. Il fascino del viaggio li irretisce nella pericolosità radicale della sua portata.
Perchè perdersi è l'ebbrezza più insondata e profonda, potenza visionaria che scioglie i sogni più indicibili e indecenti.
Perdersi è mettersi a nudo, dimentichi dei veli, nella libertà selvaggia della danza.

 

 
 
 

La voce a te dovuta

Post n°405 pubblicato il 12 Maggio 2011 da nagel_a


"Tereza sa che il momento in cui nasce l'amore si presenta così: la donna non resiste alla voce che chiama all'aperto la sua anima spaventata; l'uomo non resiste alla donna la cui anima presta orecchio alla sua voce."
(M. Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere)


Sono ebbra delle tue parole, lucide foglie frementi irretite dal vento, gravide di possibilità e significati, frutti acerbi che lasciano intuire la loro polposa maturità.
Chiudo gli occhi alle storie che mi racconti, storie che si ampliano in mille vampe, come riverberi di luce. Cominciano le danze, si sovrappongono le immagini, i mari, i deserti, le distese artiche, gli spazi stellari... sei il flauto magico della mia fantasia e l'ala possente dei miei sogni...

E io rimango catturata laggiù, in fondo al viale, a camminare tra le prime stelle, in balia della tua voce.

 

 
 
 

In un amore felice

Post n°404 pubblicato il 10 Maggio 2011 da nagel_a

 


Certi titoli, come certi nomi, contengono promesse. Come fossero scrittura del destino, velo che suggerisce una possibilità nascosta dietro i suoi impalpabili paludamenti. E immaginiamo da una scheggia l'intero bastimento.

Poi si scopre che i titoli, come i nomi, non offrono garanzie. Sono una civetteria, che promette ma non s'impegna a mantenere.
E allora si rinuncia anche alla categoricità: non basta l'aforisma a denudare il pensiero, non basta il titolo a illustrare il libro, non basta il nome a conoscere la persona.

[però Ceronetti è una garanzia :))] 

 
 
 

Sincronia

Post n°403 pubblicato il 09 Maggio 2011 da nagel_a


Ci sono momenti in cui tempo e luogo ci sono estranei. Come se la nostra anima si fosse alienata nella ricerca di un'armonia che sfugge, come se si manifestasse un'asincronia nel nostro stare.
Se tracciassimo i due assi, spazio e tempo, a circoscrivere il nostro essere, troveremmo un punto a rappresentarci, che non obbedisce ad alcuna legge del diagramma. Qualcosa di assolutamente imprevedibile se non nella sua disubbidienza a qualsiasi legge matematica che non sia quella del caos. O, se esiste, a quella dell'incoerenza e della contraddizione.

Non so se sia sufficiente, raccolte in solitudine le energie, chiamati in riga i pensieri, allineati come soldati di un'armata perduta, fare pace. Fare pace come dopo i litigi dei bimbi, con un sorriso e una stretta di mano. Davanti a uno specchio prima e dinnanzi a una finestra aperta poi.

[A P. che raccoglie le energie e le racconta con poesia]

 

 
 
 

L'incontro

Post n°402 pubblicato il 04 Maggio 2011 da nagel_a


La porta si richiuse. Quasi un sibilo nell'aria ferma e densa. Vi era un'immobilità paziente a coprire ogni cosa, come lenzuola appoggiate in case disabitate. Ogni movimento avrebbe potuto infrangere quel silenzio, sortilegio di un sonno protratto.
L'ultimo guizzo di luce sfuggito al battente, si disperse dopo aver indugiato appena più del prevedibile sui capelli della donna. Il suo sguardo ne inseguì la fuga, aggrappandosi al suo filo di vita, machete che il braccio impugna tra le mangrovie.
Il dissolversi dell'esile filamento luminoso permise alla donna di leggere nella penombra e di individuare all'angolo opposto del locale, la leggera voluta di fumo che, impennandosi da una sigaretta accesa, saliva pigra verso il soffitto. Lunghe dita nodose ne stringevano il corpo bianco, indolenti. La donna ebbe un brivido, nell'afosa atmosfera della sala, per quella mano dalle nocche evidenti. Il ricordo del loro tocco le attorcigliò il ventre.

Dopo l'esitazione iniziale, mosse a passi morbidi e cadenzati verso la poltrona dove sedeva l'uomo. Non ne vedeva lo sguardo, nascosto sotto la tesa di un panama bianco. Immaginava l'inquadratura che avrebbe offerto a quel guardare dal basso: i sandali dal tacco alto, le caviglie affusolate, le gambe nude ma non ancora abbronzate.
Dopo un momento che le parve interminabile, in cui le parve di stare sospesa, galleggiando in quel limbo senza tempo, l'uomo alzò la testa e la guardò negli occhi. Allora tutto si fermò, si cristallizzò in quell'istante infinito, persino il respiro trattenne il suo ritmo. Poi la voce profonda dell'uomo la sciolse. Ti stavo aspettando.

 

 
 
 

Horror vacui

Post n°401 pubblicato il 03 Maggio 2011 da nagel_a


 

"La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura"
(M. Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere)

Vi è un indizio di morte nel desiderio soddisfatto. Se la perfezione è il tentativo dell'uomo, quel tentare, quel tendere, scintilla del divino, non possono che essere frustrati, per permettere alla vita di continuare. Il dolce naufragare è la malia delle sirene, lo scioglimento del dualismo corpo e anima in un unico afflato di sensi, senza più peso, liberi da necessità che non sia quella dell'essere.
Il vuoto sarebbe allora per noi come la fiamma per la falena.

[A volte la stanchezza conduce sul filo dove il vuoto inizia]

 

 
 
 

Le nuvole

Post n°400 pubblicato il 02 Maggio 2011 da nagel_a


Siamo apparati dai vetrini a specchio. Un alito di vento e la polvere che porta, la pioggia e l'impronta delle sue gocce, il volo di un uccello e l'ombra delle sue ali, la fame degli insetti e i pollini sulle loro zampe: i vetrini vanno fuori assetto.

Rileviamo nuvole su cieli sgombri e tersi, perdiamo i segni che raccontano l'arrivo delle tempeste. Totem dalle orbite vuote, monito al nulla, mentre il vento spazza la pianura.

[E' una malattia cercare significati in ogni cosa. E io sono una malata terminale]

 

 
 
 

Della felicitą

Post n°399 pubblicato il 27 Aprile 2011 da nagel_a


"Si dice che di tanta felicità si può anche morire, ma si può altresì uccidere, uccidere ogni pretesa degli altri su di noi, di coloro che non sono riusciti a regalarcela."
(Nadine Gordimer, Storia di mio figlio)

C'è una vetta nella selva che percorriamo. Una vetta che sovrasta ogni albero e ogni passo. Allarga la sua ombra, un'ombra che si allunga e si accorcia, si propaga e si ritira, seguendo il corso delle circostanze e degli interessi. Pur nelle sue mutevolezze, si ripropone a ogni sguardo, che sia franco o sbieco, spada di Damocle allungata nell'orbita delle stelle.
Questa vetta è chiamata con molti nomi, che di volta in volta ne indicano la tetra tragica materia oppure la leggiadria dei pendii. Non so come capiti, ma nel trascorrere dei giorni, sappiamo, da qualche intima pulsione, che la nostra felicità sta in cima ad essa e che il nostro scopo è scalare i suoi dirupi e osservare la selva dall'alto.

La nostra fiducia, poichè l'illusione sovente s'intreccia al desiderio e all'immaginazione, indugia inoltre nell'attesa di una figura dai contorni spesso indistinti.
Una guida che conosca i valichi e i passi, che ci indichi la natura delle piante e delle pietre, che ci mostri il volo della farfalla e la planata del falco.
Spesso quest'attesa si spegne nelle delusioni dei giorni, si dimentica nella frenesia del quotidiano, per palpitare nuovamente al crepuscolo, quando la luce del giorno cede alla sera e precorre il buio della notte. Allora si dispiega e lascia annegare lo sguardo nelle profondità dell'orizzonte.

La serenità alberga fin nei primi passi della scalata.

 

 
 
 

Della bellezza

Post n°398 pubblicato il 21 Aprile 2011 da nagel_a


C'è dell'azzurro oggi nell'acqua del fiume, sarà l'eco degli uccelli frementi tra i rami o il ronzare pigro della gru nel cantiere oltre sponda.
C'è una limpidezza improbabile oggi nell'acqua del fiume, come di vincoli sciolti, di geli infranti.
La mia pelle s'imbeve di tutta questa luminosità feroce, edulcorando la mia fame di sole.

Se le parole non si fossero svuotate di senso, piegate alle necessità aleatorie del quotidiano, direi, certa di trasmetterne la forza: "è così bello oggi il fiume"...
... se solo quell'aggettivo, bello, riuscisse a restituire la meravigliosa terribilità della bellezza e il suo potere dissolvente...

 

 
 
 

La tempesta

Post n°397 pubblicato il 19 Aprile 2011 da nagel_a


Il lampo successe al tuono e poi improvvisamente fu il temporale. Nessun preavviso, nessun argine a contrastare l'immensità d'acqua vomitata dal cielo. Una barca stava ferma là nel mezzo. Fragile, senza ancora, se non illusione, senza remi, se non speranza. Le barche sono costruite per navigare. Navigare sull'acqua. Ma troppa era l'acqua, e troppo impetuosa.
Alzava il mento il nocchiero a pregare le nuvole basse. Ma il mento alzato fu punito, perchè le preghiere si fanno a capo chino. Fu punito perchè si prega chiedendo, ma al nocchiero non era stata insegnata domanda.
La barca fu divelta dalle onde, strappata dal suo mare di quiete, dalla sua piscina di plastica, dall'azzurro di ceramiche smaltate. La superficie si scheggiò. L'acqua invase il cielo e smorzò ogni grido. Le parole divennero mute perchè nell'acqua il suono si propaga con altre leggi, con altre onde.
Quando l'acqua si acquietò, riemerse il deserto.
Dalla sabbia qualche germoglio. Qua e là i frammenti di legno di uno scafo.

 

 
 
 

Dello smalto

Post n°396 pubblicato il 18 Aprile 2011 da nagel_a


La traduzione di un opposto nell'altro: metamorfosi alchemica che trattiene eppure dona. Come non vi fosse piena essenza senza la prova dell'immedesimazione.
Se la profondità si immagina raggiungibile, attingibile, allora deve dare cenni di sè nel riflesso, deve nuotare alla superficie.
E nel suo tra-vestirsi, nel suo incognito, godrà dell'epifania narcisisticamente agognata.
La profondità si dà nella superficie. Una caccia al ladro che provoca l'indiscreto. 
La lettera rubata è segno dell'in-visibilità del manifesto. 


"La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie."
(H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici)

 

 
 
 

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"Oltre alla realtà empirica e banale c'era l'ambito dell'immaginazione, costituito da quello stesso mondo percepibile grazie alla vista, al tatto e all'odorato, ma con in più le schiere infinite degli spiriti e delle ombre. [...] Allora non mi capacitavo del fatto che la maggioranza assoluta dell'umanità appartiene al regno del senso profondo non in virtù del proprio sapere - dono assai raro -  bensì della vita, della raggiante, viva sostanza, e che, dunque, accusarli di ignoranza era sciocco e assurdo. Invece di interrogatori, inquisizioni e tormenti, avrei dovuto osservarli e comprenderli. Osservarli con tenerezza e comprenderli con intelligenza"
A. Zagajewski - Due città

 

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