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di Vittorio Casula

 
 

 

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Messaggi del 15/10/2014

Lo strano e drammatico dastino dei Kurdi nei libri di storia

Post n°1947 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da deosoe

 

Lo strano e drammatico destino dei Kurdi nei libri di storia

 Lo strano e drammatico destino dei Kurdi nei libri di storia

 

 

 

ROMA - I Curdi sono sottoposti ad uno strano e drammatico destino: fino a ieri senza diritti, deportati, incorporati coattivamente in una miriade di Stati stranieri: Iraq, Iran, Siria, Turchia e persino Libano e in alcune regioni asiatiche dell'ex URSS. Ed oggi armati, corteggiati, vezzeggiati: dall'Europa, dagli Stati Uniti  e persino dalla Turchia. Ovvero dalla Realpolitik dell'Occidente e da chi fin'ora ha negato loro uno Stato. E, temo, continuerà a negarglielo, dopo averli utilizzati per i propri interessi geopolitici ed economici: oggi, in particolare, contro l'Isis e il delirio criminale e fanatico jihadista.

Senza Stato, il popolo kurdo, con più di 30 milioni di abitanti, dal lontano 1924 ha subito una politica di discriminazione razziale che non ha esempi né precedenti in nessuna altra parte del mondo. Gli Stati che opprimono il popolo kurdo, con tutti i mezzi a loro disposizione, come la Stampa, La Radio-TV, l'esercito, la polizia, la Scuola, L'Università, hanno condotto e continuano a condurre una politica mirante non solo a negare i loro diritti inalienabili, sanciti da tutte le Convenzioni internazionali e dell'ONU, ma a eliminare la loro stessa esistenza fisica.

Per quasi un secolo i kurdi non esistono: né come popolo, né come etnia, né come lingua, né come cultura. In modo particolare in Turchia - ma anche gli altri Stati che li hanno incorporati non sono da meno, pensiamo solo ai massacri da parte del dittatore criminale Saddam Hussein - il popolo kurdo è soggetto a distruzione sistematica da parte di tutti i governi che si sono succeduti dal 1924.

Secondo alcuni storici dal 1924 al 1941 la politica kurda è stata nei confronti dei kurdi di vero e proprio "etnocidio": penso in modo particolare a J. P. Derriennic (Le moyen Orient au XX siecle,  pag.68).

Ma non basta. Il dramma dei Kurdi è certamente quello di essere martoriati e "negati" negli Stati in cui sono attualmente incorporati  ma anche quello di essere cancellati dall'attenzione dell'opinione pubblica mondiale, dai media, dalla scuola.

A questo proposito mi sono preso la briga di analizzare e visionare, in modo rigoroso e puntuale ben 32 testi scolastici di storia estremamente rappresentativi e attualmente in adozione nelle Scuole italiane, rivolti ai trienni delle scuole superiori (Licei, Magistrali, Istituti tecnici e professionali). Alcuni sono particolarmente noti, di storici di vaglia (G. Candeloro e R. Villari, F. Della Peruta e G. De Rosa, A. Desideri e M. Themelly, A. Giardina e G. Sabbatucci, A. Brancati e T. Pagliarani, A. Camera e R. Fabietti, A. Lepre e M. Bontempelli, C. Cartiglia e M. Matteini, F. Gaeta, P. Villani, G. De Luna).

E case editrici prestigiose (Laterza, Mondadori, Cappelli, Sei, Le Monnier, Bulgarini, Zanichelli, La Nuova Italia, Bulgarini etc. etc.) e che comunque vanno per la maggiore. Ebbene, dal mio studio e dalla mia indagine risulta che su 32 testi - che diventano 96 perché ogni pomo contiene tre volumi, uno per ciascuna classe del triennio -  ben trenta non dedicano neppure una riga al problema kurdo: di più, il termine kurdo non viene neppure nominato! Eppure si tratta di storici non solo noti e prestigiosi ma di ispirazione e orientamento prevalentemente cattolica, liberale, progressista ma soprattutto di sinistra. Ahi, ahi, che brutti scherzi combinano ai "nostri" le categorie storiche statoiatriche, centralistiche, eurocentriche e occidentalizzanti!.

Solo un testo (volume 3°, rivolto dunque alle Quinte superiori o alla Terza classe del Liceo classico) di Alberto De Bernardi-Scipione Guarraccino, accenna ai Kurdi indirettamente, quando parla di Kemal Ataturk. Ecco il riferimento testuale: "Nel 1925 represse nel sangue la rivolta dei Kurdi che chiedevano l'applicazione dell'Autonomia in base al trattato di Sevres" (La Conoscenza storica, Il Novecento, Edizioni scolastiche Mondadori, Milano 2000, pag.73.

Chi invece  dedica un lunga e pregevole nota è un testo firmato a più mani (il volume 3/1, Geografia della Storia - lo scontro per la supremazia mondiale - di Aruffo-Adagio-Marri-Ostoni-Pirola-Urso, ed. Capelli).

Mi piace riportare testualmente qualche stralcio della nota titolata:" I Kurdi e il Kurdistan". Eccola.

"Il Kurdistan è un territorio di frontiera, che si estende dal mare nero alla Mesopotamia, all'altopiano iranico e all'Anti Tauro. Esso è ai margini di quattro emisferi culturali, etnici e politici (arabo, persiano, turco, russo). E' territorialmente diviso fra Turchia, Iran, Iraq e Siria. Il Kurdistan settentrionale comprende 18 delle 67 province turche. Quello meridionale comprende 4 delle 18 province iraqene. Ad oriente il territorio kurdo copre 4 delle 24 province iraniane mentre il Kurdistan siriano costituito da 3 enclaves, è considerato propaggine di quello turco.

I Kurdi sono un popolo indoeuropeo la cui lingua ne qualifica l'identità nazionale, più della religione musulmano-sunnita. Sottoposti alla disintegrazione etnica-culturale (minoranze curde esistono in Libano e nelle regioni asiatiche dell'ex URSS), alla deportazione di massa da parte turca e iraqena, alla colonizzazione, i Kurdi sono stati costretti ad emigrare per evitare persecuzioni e disoccupazione. Alla loro storia nuoce non poco il fatto di abitare territori ricchi di petrolio e divenuti centro di contese regionali e internazionali. Col trattato di Sèvres fra l'impero ottomano e le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale (1918-1920), la Turchia si impegnò a favorire la formazione di un Kurdistan autonomo nella parte orientale dell'Anatolia e nella provincia di Mossul, presupposto dell'indipendenza. Il disegno delle potenze imperialistiche  mirava a farne uno stato cuscinetto fra Russia e Turchia. Ma la vittoria della rivoluzione Kemalista e il trattato di Losanna cancellarono i diritti del popolo kurdo".

Ricordo che tale rivoluzione fu guidata da Ataturk, celebrato dai "nostri" storici e dall'Occidente in modo entusiastico, quando in realtà fu il più grande persecutore e massacratore del popolo kurdo.

 

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Francesco Casula

 

Francesco Casula

 

 

 
 
 

Palmiro Togliatti

Post n°1946 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da deosoe

 

 Wikipedia, l'enciclopedia libera.  
PALMIRO TOGLIATTI
Togliatti.jpg

SEGRETARIO GENERALE DEL
PARTITO COMUNISTA ITALIANO
DURATA MANDATO1927 -
21 agosto 1964
PREDECESSOREAntonio Gramsci
SUCCESSORELuigi Longo

MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA DELREGNO D'ITALIA
DURATA MANDATO21 giugno 1945 -
1º luglio 1946
PREDECESSOREUmberto Tupini
SUCCESSOREFausto Gullo (Ministro di Grazia e Giustizia della Repubblica Italiana)

VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL REGNO D'ITALIA
DURATA MANDATO12 dicembre 1944 -
21 giugno 1945
PREDECESSOREGiuseppe Spataro
SUCCESSOREPietro Nenni

DATI GENERALI
PARTITO POLITICOPartito Socialista Italiano(1914-21),
Partito Comunista Italiano (1921-64)
TITOLO DI STUDIOLaurea in giurisprudenza
ALMA MATERUniversità degli Studi di Torino
PROFESSIONEgiornalista, dirigente politico
FIRMAFirma di Palmiro Togliatti
ON. PALMIRO MICHELE NICOLA TOGLIATTI
Bandiera italianaAssemblea costituente
LUOGO NASCITAGenova
DATA NASCITA26 marzo 1893
LUOGO MORTEJalta
DATA MORTE21 agosto 1964
TITOLO DI STUDIOLaurea in Giurisprudenza
PROFESSIONEgiornalista
PARTITOPartito Comunista Italiano
GRUPPOComunista
CIRCOSCRIZIONECollegio Unico Nazionale
Pagina istituzionale
ON. PALMIRO MICHELE NICOLA TOGLIATTI
Bandiera italianaParlamento italiano
Camera dei deputati
Palmiro Michele Nicola Togliatti
LUOGO NASCITAGenova
DATA NASCITA26 marzo 1893
LUOGO MORTEJalta
DATA MORTE21 agosto 1964
TITOLO DI STUDIOLaurea in Giurisprudenza
PROFESSIONEGiornalista, funzionario di partito
PARTITOPartito Comunista Italiano
LEGISLATURAIIIIIIIV
GRUPPOComunista
COALIZIONECol Partito Socialista Italianofino al 1963
COLLEGIOTorino, Roma
Pagina istituzionale

Palmiro Michele Nicola Togliatti (Genova26 marzo 1893 - Jalta21 agosto 1964) è stato un politico e antifascista italiano, leader storico del Partito Comunista Italiano. Come ringraziamento per le sue attività politiche, ricevette anche la cittadinanza sovietica[1].

Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d'Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano, del quale era stato il rappresentante all'interno del Comintern (di qui, per le sue capacità di mediatore fra le varie anime del partito, lo pseudonimo di «giurista del Comintern» attribuitogli da Lev Trotsky[2]), l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Anche di questo organismo Togliatti fu uno degli esponenti più rappresentativi e, dopo che esso fu sciolto nel 1943 e sostituito dal Cominform nel 1947, rifiutò la carica di segretario generale, offertagli direttamente da Stalin, preferendo restare alla testa del partito in Italia.

Dal 1944 al 1945 ricoprì la carica di vice Presidente del Consiglio e dal 1945 al 1946 quella di Ministro di Grazia e Giustizia nei governi che ressero l'Italia dopo la caduta del fascismo. Membro dell'Assemblea Costituente, dopo le elezioni politiche del 1948 guidò il partito all'opposizione rispetto ai vari governi che si succedettero sotto la guida della Democrazia Cristiana.

 

Indice

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Togliatti2

Post n°1945 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da deosoe

 

L'inizio dell'attività politica[modifica | modifica wikitesto]L'Ordine Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

 

 

Il primo numero de L'Ordine Nuovo

A Torino, Togliatti insegnò diritto ed economia in un Istituto privato e collaborò come cronista nel quotidiano socialista Avanti!: s'impegnò anche nell'attività politica delle sezioni del Partito e tenne il suo primo comizio a Savigliano.

Nel 1919 il Partito socialista era in piena espansione di consensi elettorali, particolarmente nel capoluogo piemontese, dove lo sviluppo industriale aveva creato un forte nucleo operaio. Dopo il successo della Rivoluzione russa i giovani socialisti torinesi, Gramsci in testa, avevano avvertito che, di fronte all'inerzia dei dirigenti socialisti nazionali - parte dei quali ritenevano che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta ineluttabilmente per forza propria, mentre altri consideravano strategica una politica esclusivamente riformista - quello torinese poteva essere un laboratorio politico dove sviluppare le premesse di una rivoluzione italiana, per conseguire la quale occorreva però un'azione diretta allo scopo. Per dare voce a tali esigenze, per comprendere i nuovi, enormi problemi creati dalla guerra e dalle rivoluzioni che si sviluppavano in Europa e per fare i conti con la cultura italiana contemporanea, GramsciTascaTerracini e Togliatti fondarono il settimanale L'Ordine Nuovo, il cui primo numero uscì il 1º maggio 1919.

Togliatti vi tenne la rubrica culturale «La battaglia delle idee», con articoli spesso polemici: ne fecero le spese il già ammirato Prezzolini, ora giudicato un moralista, un «maestro di scuola, predestinato alla sterilità», lo scrittore Piero Jahier, cui rimproverò il dilettantismo politico e Piero Gobetti, un «predicatore del rinnovamento morale del mondo», un «ragazzo d'ingegno» sì, ma dal «frasario nuvoloso che dovrebbe dare l'illusione della profondità».[12] La recensione al libro Polemica liberale del noto giornalista Missiroli gli diede occasione, dopo aver riconosciuto i meriti storici dei principi liberali, di denunciare i limiti del liberalismo politico italiano, «movimento di un'aristocrazia intellettuale e non riscossa di sane e forti energie sociali», rispetto al quale «il socialismo può diventare il vero liberatore del paese nostro».[13]

 

 

Amadeo Bordiga

Da giugno, sotto l'impulso di Gramsci, il settimanale mutò interessi e contenuti: meno rassegne culturali e più attenzione alle forme di organizzazione che il movimento operaio italiano si stava dando, sulla scorta dell'esperienza russa dei Soviet come di quella tedesca dei Revolutionäre Obleute e degli Arbeiterräte austriaci: la creazione dei Consigli operai. La commissione di fabbrica è giudicata da L'Ordine Nuovo non solo un organo di democrazia operaia ma anche il nucleo di un futuro potere proletario, l'«ordinatrice di fatto e di diritto di tutto il regime di produzione e di scambio».[14]

Le valutazioni positive de L'Ordine Nuovo contrastavano con le posizioni critiche, per diversi motivi svolte al riguardo tanto dai sindacalisti della Camera del Lavoro - che rimproverano di anarchismo quegli operai - quanto da Amadeo Bordiga, che dalla rivista Soviet accusava l'iniziativa di «economicismo»: il proletariato non può emanciparsi sul terreno dei rapporti economici «mentre il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico».[15]

 

 

Togliatti nel periodo della collaborazione a L'Ordine Nuovo

Il movimento dei Consigli continuò a svilupparsi, insieme all'estensione dei conflitti sindacali, delle serrate e delle occupazioni delle fabbriche, e gli ordinovisti, come del resto la FIOM, appoggiarono l'occupazione dellaFIAT, avvenuta il 1º settembre 1920 a seguito della serrata industriale, che fu imitata da quasi tutte le fabbriche della città, e la gestione della produzione attivata dai Consigli operai in assenza dei tecnici e dei dirigenti della fabbrica. Togliatti, che in luglio aveva assunto la carica di segretario della Sezione socialista torinese, era convinto che la dittatura proletaria fosse attuabile «perché era realizzata la sua fondamentale premessa storica: il prevalere del proletariato industriale e rivoluzionario nella vita del paese, e l'imporsi della sua ideologia di conquista a tutte le categorie di lavoratori».[16]

 

 

 
 
 

Togliatti3A

Post n°1944 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da deosoe

 

La fondazione del Partito comunista[modifica | modifica wikitesto]

L'occupazione ebbe termine il 26 settembre con un compromesso tra la proprietà e gli operai favorito da Giolitti. Di fronte all'inerzia del Partito socialista gli ordinovisti si convinsero che «il destino della rivoluzione socialista dipende soprattutto dalla esistenza di un partito che sia veramente un partito comunista»,[17] e la Sezione torinese decise a grande maggioranza di costituirsi in frazione comunista, partecipando con Gramsci al Convegno di Imola che il 29 novembre sancì ufficialmente la frazione comunista del Partito socialista, che vedeva in Amadeo Bordiga il suo leader più prestigioso. Il 15 gennaio 1921 si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza comunista si costituiva in partito, il Partito comunista d'Italia: degli ordinovisti, erano presenti a Livorno Gramsci e Terracini, mentre Togliatti era rimasto a Torino a dirigere L'Ordine Nuovo, ora divenuto quotidiano.

Da tempo erano iniziate le violenze delle squadre fasciste nell'indifferenza delle forze dell'ordine, che privilegiavano la sorveglianza dei comunisti. Il fascismo è giudicato «la parte peggiore dellaborghesia italiana, quella che non ha mai fatto l'abitudine a una scuola di pensiero, quella che è classe dominante unicamente per una specie di diritto di ereditarietà; ma non possiede alcuna delle qualità che occorrono ai dirigenti di uno Stato».[18]

Saluta l'opposizione alle violenze fasciste di Firenze del marzo 1921 scrivendo che «il proletariato non deve mai dare esempio di viltà [...] meglio, cento volte meglio, lasciare cinquanta morti sul lastrico di una città che tollerare senza reazione la violenza e l'offesa», e di fronte all'incendio della Camera del Lavoro di Torino, avvenuto senza incontrare opposizione, scrive il 4 maggio 1921: «Quando ti pentirai, o popolo, di quello che non hai fatto, di quello che non hai ancora saputo fare, di quello di cui gli avversari tuoi hanno dovuto farti la scuola? ... Ma non rallegratevi, borghesi: nell'animo del popolo d'Italia maturano propositi. E non parole, non canti, ma fuoco e cenere d'incendi, e secco scoppiettare di fucilate li fan maturare».[19] Mentre Gramsci rimase a Torino a dirigere L'Ordine Nuovo, alla fine dell'estate del 1921 Togliatti venne mandato a Roma, «città dei trafficanti e dei burocrati, città del popolo eroico e generoso e della borghesia vile e parassita»,[20] come redattore-capo del quotidiano «Il Comunista», diretto dal deputato Luigi Repossi, che iniziò le pubblicazioni l'11 ottobre: percepiva 1.500 lire al mese e alloggiava in una pensione di via Giovanni Lanza 152; continuò tuttavia a collaborare anche al quotidiano torinese, telefonando alla sera le proprie corrispondenze. A Roma si stampava anche «Compagna», diretta da Giuseppe Berti: fra le redattrici vi era la torinese Rita Montagnana, sorella di Mario, un altro redattore de L'Ordine Nuovo, e tra Rita e Togliatti nacque qualche tempo dopo una relazione che sfocerà nelmatrimonio, celebrato nel Municipio di Torino il 27 aprile 1924.

 

 

Tessera del PCd'I del 1921

 

 

Mario Montagnana

Il III Congresso dell'Internazionale Comunista, nel giugno del 1921, di fronte all'esaurirsi della spinta rivoluzionaria in Europa, aveva stabilito la nuova tattica che i partiti comunisti nazionali avrebbero dovuto seguire: quella di un fronte unico con i partiti socialisti per opporsi alla montante reazione della destra. Tuttavia il Partito comunista d'Italia si oppose a quell'indirizzo e nel suo II Congresso, tenuto a Roma nel marzo del 1922, Bordiga e Terracini, per la maggioranza dei congressisti, ribadirono nelle loro tesi il rifiuto a ogni accordo con i socialisti, sottovalutarono il pericolo fascista e previdero uno sbocco socialdemocratico alla crisi italiana: restava operante solo l'intesa con i socialisti sul piano sindacale.[21] Gramsci e Togliatti, che entrò a far parte del Comitato Centrale, si allinearono con la maggioranza di Bordiga, pur non condividendo l'opposizione alle direttive del Comintern, perché temevano una frattura, se non una scissione nel partito.[22]

Il 5 ottobre, commentando la conclusione del XIX Congresso socialista, Togliatti scrisse su L'Ordine Nuovo che l'espulsione dal PSI dei riformisti di Turati rappresentava un segnale positivo per il riavvicinamento dei due partiti,[23] un concetto ribadito il 12 ottobre, in un discorso tenuto al Comitato centrale del Partito.[24]

 

 

 
 
 

Togliatti 3°parte

Post n°1943 pubblicato il 15 Ottobre 2014 da deosoe

 

L'avvento del fascismo[modifica | modifica wikitesto]

Il 28 ottobre 1922, in coincidenza con la marcia su Roma, una squadra fascista penetrò nella tipografia dove si stampava «Il Comunista»: vi era anche Togliatti, che riuscì a fuggire. Il quotidiano cessò le pubblicazioni il 31 ottobre, con un ultimo appello all'attività illegale. A Torino, ci aveva pensato il 29 ottobre il questore Benedetto Norcia a chiudere provvisoriamente L'Ordine Nuovo, imitato dal collega diTrieste che aveva sospeso le pubblicazioni dell'altro quotidiano comunista «Il Lavoratore».

Minimizzava intanto, come la maggioranza del gruppo dirigente del Partito, il significato politico dell'avvento dei fascisti al governo: «non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana [...] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democratici».[25]

Togliatti ritornò a Torino dove, 7 novembre, tenne un comizio in celebrazione dell'anniversario della Rivoluzione russa; nel dicembre successivo Torino fu sconvolta dalla strage del 18 dicembre, quando gli squadristi comandati dal console della Milizia Piero Brandimarte devastarono la Camera del Lavoro e la sede de L'Ordine Nuovo, uccidendo 22 persone. Dopo questo avvenimento Togliatti si distaccò dall'attività politica, per motivi non chiariti: per una malattia,[26] per una crisi sentimentale,[27] per paura delle rappresaglie fasciste o forse perché «per Togliatti la politica era arte di governo, non milizia rivoluzionaria. Forse gli si presentò in quella e in altre occasioni il problema se dovesse veramente abbandonare i suoi studi per dedicarsi unicamente alla politica».[28] Non fu nemmeno coinvolto dall'ondata di arresti ordinati nel febbraio del 1923 da Mussolini: oltre ai delegati comunisti di ritorno dal IV Congresso dell'Internazionale, che aveva imposto la fusione dei partiti socialista e comunista, furono arrestati più di 5.000 dirigenti comunisti di vario livello;[29] tra le maggiori personalità, sfuggirono all'arresto, a parte Gramsci, rimasto a Mosca, e Tasca, che si trovava in Svizzera, soltanto Terracini, Camilla Ravera e lo stesso Togliatti.

 

 

Camilla Ravera

L'operazione poliziesca coordinata da De Bono era del tutto illegale e infatti tutti furono prosciolti in istruttoria o assolti alla fine dell'anno nel processo, ma raggiunse lo scopo di allontanare dal Partito i militanti meno decisi e di sconvolgere l'organizzazione, costringendola all'illegalità. In aprile Togliatti riprese i contatti con il Partito, entrando a far parte del Comitato esecutivo: assunto lo pseudonimo di Paolo Palmi, si trasferì nella nuova sede clandestina costituita adAngera, sul Lago Maggiore.

 

 

Mauro Scoccimarro

Erano i giorni in cui l'Internazionale, con un atto d'imperio, aveva imposto al Partito italiano la formazione di un nuovo esecutivo costituito da tre esponenti della maggioranza di sinistra, Togliatti, Scoccimarro eFortichiari,[30] e da due della minoranza di destra, Angelo Tasca e Giuseppe Vota, con il compito di portare ad effetto la fusione con la frazione del Partito socialista aderente all'Internazionale,[31] guidata daGiacinto Menotti Serrati. Togliatti, ancora legato a Bordiga, il quale era nettamente contrario all'operazione, esitava, dichiarandosi disposto ad accettare la carica a condizione di sviluppare «una polemica aperta con l'Internazionale e con la minoranza del partito» e denunciando a Gramsci quello che riteneva essere il tentativo, da parte della minoranza, di liquidare l'«esperienza del movimento politico proletario 

 

 

 
 
 
 
 

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