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di Vittorio Casula

 
 

 

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Messaggi del 23/10/2015

Immigrazione

Post n°2581 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Fondazione Moressa - Rapporto 2015 sull'economia dell'immigrazione

Nell'ultimo anno i lavoratori stranieri hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali. Lo sa bene l'Inps, perché essendo prevalentemente in età lavorativa, i migranti sono soprattutto contribuenti. Contribuenti che sostengono, quindi, economicamente un sistema nazionale di welfare che si rivolge prevalentemente alla popolazione autoctona.

E secondo le stime Istat, tra 10 anni gli stranieri supereranno quota 8 milioni con un'incidenza del 13,1% sulla popolazione complessiva. A pesare il tesoretto dei "nuovi italiani" è il Rapporto 2015 sull'economia dell'immigrazione della Fondazione Leone Moressa che verrà presentato a Roma il 22 ottobre p.v..


 
 
 

Maternità

Post n°2580 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Indennità di maternità alle professioniste anche in caso di adozione e/o affido

Cade l'ultimo paletto tra figli e figliastri. Ed è la scure della Consulta ad abbatterlo, dichiarando incostituzionale la norma secondo cui quando una libera professionista adotta o riceve in affido un bambino di nazionalità italiana sopra i sei anni non ha diritto all'indennità di maternità.

Si tratta infatti di una norma discriminatoria in danno dei minori con passaporto tricolore e delle mamme pronte a prenderli con sé, specie se si considera che la procedura di adozione nazionale risulta spesso lunga tortuosa: quando interviene il decreto di affidamento preadottivo il minore ha già superato il limite indicato dal DLgs 151/01.

La disposizione è dunque dichiarata incostituzionale dall'Alta Corte con la sentenza n. 205/2015, che vale tuttavia per il passato: nel frattempo un decreto attuativo del Jobs act, il numero 80/2015, ha già svincolato l'erogazione del trattamento del requisito anagrafico.

A sollevare la questione il giudice del lavoro di Verbania. "Il fatto che la professionista non sia la madre biologica del minore che entra nella sua famiglia non significa affatto che il bambino abbia bisogno di meno cure rispetto ai coetanei, né il minore può avere meno diritti se capita in una famiglia dove la donna che gli farà da madre è una lavoratrice autonoma invece che dipendente.

Cassazione.net

 
 
 

Cassazione

Post n°2579 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Cassazione su infortunio, DVR e responsabilità

Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso a un dipendente se quest’ultimo non è stato informato a dovere sui possibili rischi, anche in presenza di un Documento di Valutazione Rischi. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Cassazione (sentenza n. 24452 dell’8 giugno 2015), analizzando il rapporto tra la constatazione del rischio di incidenti e le omissioni e carenze relative al DVR.

La Corte ha esaminato il caso relativo alla condanna per lesioni colpose comminata al responsabile di prevenzione e sicurezza sul lavoro di un’azienda, in seguito a un incidente occorso a un lavoratore. La contestazione riguarda la mancanza di adeguata valutazione (ai sensi dell’art. 4.2 del D. Lgs n. 626 del 1994) del rischio e mancata prescrizione di dispositivi adeguati in grado di evitare incidenti di questo tipo.

La Corte d’appello ha convenuto con la difesa sul fatto che all’interno dell’azienda si era instaurata una prassi di prevenzione, nota al lavoratore e da lui sempre seguita, ma in occasione dell’infortunio non era stata applicata; ciò aveva provocato l’incidente, ma il lavoratore era ignaro dei rischi connessi alla mancata procedura. Rispetto a questa interpretazione dei fatti, l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, lamentando che la valutazione del rischio doveva essere in capo (e non delegabile) al datore di lavoro.

La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha rilevato che il lavoratore era all’oscuro delle ragioni che rendevano essenziale per la sicurezza la procedura non eseguita. Quanto alla responsabilità, i giudici hanno rilevato che effettivamente la valutazione del rischio era adempimento non delegabile del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1 comma 4 ter D. lgs, n. 626 del 1994. Tuttavia, al delegato incombeva l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi, ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo già citato, e quindi di adottare le procedure appropriate. Il delegato aveva individuato il rischio, tanto che vi aveva fatto fronte instaurando la prassi operativa, ma questa era inadeguata e non era comunque stata accompagnata dall’essenziale informazione al lavoratore. E ciò fonda adeguatamente la colpa.

Pmi.it

 
 
 

Infortuni sul lavoro

Post n°2578 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Cassazione su infortunio, DVR e responsabilità

Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso a un dipendente se quest’ultimo non è stato informato a dovere sui possibili rischi, anche in presenza di un Documento di Valutazione Rischi. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Cassazione (sentenza n. 24452 dell’8 giugno 2015), analizzando il rapporto tra la constatazione del rischio di incidenti e le omissioni e carenze relative al DVR.

La Corte ha esaminato il caso relativo alla condanna per lesioni colpose comminata al responsabile di prevenzione e sicurezza sul lavoro di un’azienda, in seguito a un incidente occorso a un lavoratore. La contestazione riguarda la mancanza di adeguata valutazione (ai sensi dell’art. 4.2 del D. Lgs n. 626 del 1994) del rischio e mancata prescrizione di dispositivi adeguati in grado di evitare incidenti di questo tipo.

La Corte d’appello ha convenuto con la difesa sul fatto che all’interno dell’azienda si era instaurata una prassi di prevenzione, nota al lavoratore e da lui sempre seguita, ma in occasione dell’infortunio non era stata applicata; ciò aveva provocato l’incidente, ma il lavoratore era ignaro dei rischi connessi alla mancata procedura. Rispetto a questa interpretazione dei fatti, l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, lamentando che la valutazione del rischio doveva essere in capo (e non delegabile) al datore di lavoro.

La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha rilevato che il lavoratore era all’oscuro delle ragioni che rendevano essenziale per la sicurezza la procedura non eseguita. Quanto alla responsabilità, i giudici hanno rilevato che effettivamente la valutazione del rischio era adempimento non delegabile del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1 comma 4 ter D. lgs, n. 626 del 1994. Tuttavia, al delegato incombeva l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi, ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo già citato, e quindi di adottare le procedure appropriate. Il delegato aveva individuato il rischio, tanto che vi aveva fatto fronte instaurando la prassi operativa, ma questa era inadeguata e non era comunque stata accompagnata dall’essenziale informazione al lavoratore. E ciò fonda adeguatamente la colpa.

Pmi.it

 
 
 

Pensioni

Post n°2577 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Cgil, Cisl, Uil - Mobilitazione a sostegno vertenza pensioni

Nel disegno di legge sulla stabilità per il 2016 non è presente alcuna proposta per il ripristino della flessibilità nell’accesso al pensionamento. Riteniamo che questo sia un grave errore - affermano in un comunicato Cgil, Cisl e Uil -, essendo invece necessario realizzare un intervento di modifica strutturale dell'attuale sistema previdenziale, garantendo flessibilità in uscita, 41 anni per i precoci e la giusta considerazione per i lavori gravosi ed usuranti. E' del tutto evidente che questo non si può fare a costo zero, come il rinvio al 2016 proposto dal governo sembra presupporre, perché ciò significherebbe scaricarne il costo sul valore delle pensioni.

E' positivo che si affrontino - prosegue - invece i temi degli esodati e dell'opzione donna, come da noi rivendicato, interventi che non aggiungono alcuna spesa a quanto già previsto negli anni scorsi, a conferma che si tratta di problemi che potevano invece essere risolti anche al di fuori della legge di stabilità.

Tuttavia anche in questi interventi, sulla base dei testi trapelati e non ancora ufficiali, manca la soluzione a questioni annose quali la quota 96 della scuola, i macchinisti, le ricongiunzioni onerose, etc.

Per queste ragioni Cgil, Cisl e UiI, intendono continuare e rafforzare le iniziative di mobilitazione per cambiare la legge di stabilità, - si sottolinea nel comunicato - sia attraverso l’azione di pressione e confronto politico da condurre, a livello nazionale, nei confronti del Governo, delle Commissioni competenti di Camera e Senato e dei Gruppi parlamentari, sia mediante iniziative territoriali unitarie e diffuse, che facciano crescere dal basso consenso alla nostra proposta.
Vi informiamo, inoltre, che stiamo lavorando a definire una iniziativa unitaria anche sui temi della previdenza complementare, di cui vi informeremo al più presto.

Cgil/Cisl/Uil   

 
 
 

Sangue infetto

Post n°2576 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Indennizzi vittime sangue infetto: Autorizzato il trasferimento delle risorse alle Regioni

La Ragioneria dello Stato ha dato il via libera al trasferimento delle risorse alle Regioni, stanziate un anno fa con la legge di Stabilità, con le quali si potranno pagare gli indennizzi alle vittime da sangue infetto. 

Finalmente un po’ di luce in fondo al tunnel per coloro che si sono ammalati, ai quali era stato riconosciuto il diritto, ma che per mancanza di fondi, non si sono visti corrispondere quanto spettava loro. 

Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, infatti, con il Decreto ministeriale n. 74997/2015, ha autorizzato il trasferimento di 100 milioni di euro alle Regioni per il pagamento degli arretrati della rivalutazione dell’Indennità Integrativa speciale e per i ratei non ancora corrisposti (tutte misure previste dalla legge 210/1992. 

Tutta questa vicenda nasce nel 2001, quando,  per snellire le pratiche di liquidazione degli indennizzi, le relative competenze finiscono in capo alle Regioni che, per legge,  si trovano, sostituzione del Ministero della Salute, a dover pagare le prestazioni economiche riconosciute agli ammalati contagiati. Con la manovra finanziaria del 2010-2011, però, vengono bloccati tutti i trasferimenti dei fondi ministeriali alle Regioni, compresi quelli necessari per gli indennizzi da vaccinazioni e da sangue infetto. Nella norma era inoltre stabilito che una quota dell’indennizzo, l’indennità integrativa speciale,  non devesse essere rivalutata al tasso d'inflazione, nonostante molti danneggiati fossero riusciti ad ottenerla per vie legali, dopo aver vinto numerose cause.

Per ripristinare il diritto alla rivalutazione integrale dell’indennizzo è dovuta intervenire la Consulta, su sollecitazione dell’Inca che ha attivato un ricorso legale, che, nel 2012, con una sentenza considerata storica, ha stabilito la incostituzionalità della norma; successivamente, nel 2013,  la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia per violazione dei diritti del malato imponendo allo Stato Italiano un termine entro il quale sanare le posizioni degli aventi diritto. In questo contesto, le Regioni hanno dovuto attingere, ai propri fondi e, il più delle volte, la mancanza di risorse economiche, ha comportato il mancato o ritardato indennizzo ai danneggiati. 

E’ a questo punto che la legge di Stabilità 2015 ha previsto lo stanziamento 100 milioni di euro da trasferire alle Regioni per l’anno in corso. Ma il decreto attuativo è arrivato soltanto a maggio. L’attesa per i tanti ammalati si è dovuta protrarre fino ad oggi, perché  bisognava attendere il via libera della Ragioneria dello Stato che è arrivato soltanto con il decreto n. 74997 del 1° ottobre 2015. Si tratta di soldi, che ora sono disponibili, con cui le Regioni potranno provvedere a pagare gli arretrati della rivalutazione dell’indennità integrativa speciale per gli anni 2001-2011 e i ratei d’indennità già anticipati dalle regioni per gli anni 2012-2014. Speriamo che sia questo l’ultimo atto di una vicenda davvero vergognosa di cui si è macchiato lo Stato italiano. 

Roberto Scipioni, Area danni da lavoro Inca nazionale

 
 
 

INCA

Post n°2575 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Inca: "Intollerabile attacco contro i patronati all'estero"

La presidenza dell'Inca chiede che venga fatta chiarezza sull'intollerabile attacco mosso nei confronti dei patronati all'estero. Negli ultimi mesi,  da più parti, si sta portando avanti una campagna denigratoria contro le associazioni estere convenzionate con i patronati. 

Una campagna fatta di illazioni campate in aria e insinuazioni fumose, che hanno il solo scopo di gettare fango sull’attività degli istituti di patronato, imputando loro comportamenti fraudolenti a danno del bilancio dello Stato italiano. L'Inca non ci sta.

Il lavoro di tutela svolto nei 70 anni di vita del patronato della Cgil, nonché la serietà e la dedizione di centinaia di persone impegnate nelle associazioni operanti all'estero, convenzionate con Inca, esigono rispetto; con sacrifici enormi, derivanti anche dai tagli al Fondo Patronati stanno garantendo la gratuità della tutela previdenziale e socio assistenziale ai tanti connazionali all'estero. 

Queste persone oggi esprimono profonda indignazione sia per la campagna offensiva mossa contro il loro operato sia per gli annunci di una ulteriore riduzione delle risorse destinate a questi istituti. 

Vogliamo precisare che l'attività del patronato viene annualmente ispezionata e certificata dagli ispettori del ministero del lavoro e A TESTA ALTA rivendichiamo la correttezza della statisticazione delle pratiche svolte all'estero e delle domande di pensione in convenzione internazionale.

Per questa ragione, siamo noi, ora, a chiedere che le modalità di rilevazione e controllo da parte del ministero cambino radicalmente. E' indubbio che l'attività all'estero è quella di più difficile controllo da parte degli ispettori ministeriali, visti i pochi uffici che vengono ispezionati ogni anno. Quindi, in primo luogo, bisogna fare in modo che il controllo sia più semplice e che possa essere esercitato a distanza su tutti gli uffici e su tutta l'attività svolta  e, ove possibile, incrociando i dati tra gli Enti.

Ciò può avvenire replicando quanto avviene per le pratiche riferite alla immigrazione, per le quali il Ministero dell'Interno comunica annualmente l'attività svolta da ogni patronato; dati che vengono confrontati con la statistica da noi prodotta e che permette a noi e agli ispettori di concentrarsi solo sulle discordanze.

Allo stesso modo, per l'estero, sarebbe possibile chiedere all'Inps di segnalare tutte le pensioni in convenzione che vengono trattate dagli uffici di patronato e che coinvolgono le nostre sedi all'estero. Il modello da seguire, quindi, è quello già utilizzato per Red e Cud, che prevede l'accreditamento delle pratiche di cui l'Inps dà riscontro, salva nostra prova contraria.  

Per quanto riguarda le pensioni richieste all'estero agli enti previdenziali locali e per le pensioni complementari, la tracciabilità può essere data rendendo disponibile al Ministero, per via telematica, copia della domanda, del mandato di patrocinio e dei provvedimenti di liquidazione emessi dagli Enti. Insomma, per tutta l'attività svolta, proponiamo di rendere possibile un controllo telematico a distanza, a disposizione del Ministero. Non abbiamo nessun timore neppure per quanto riguarda le pratiche rivolte a oriundi (nati all'estero) con cittadinanza italiana e suggeriamo che, anche in questo caso, la verifica possa essere agevolmente fatta incrociando i dati con i Consolati.  

Di converso, occorre che sia riconosciuto e statisticato tutto ciò che l'Inps ci chiede, a partire dalle pratiche di esistenza in vita, che altrettanto facilmente potrebbero essere controllate con la modalità telematica di rapporto tra Inps, patronati e ministero. Riteniamo poi che sia giunto il momento di fare chiarezza nei rapporti con il Ministero Affari Esteri e con i Consolati, addivenendo finalmente ad un protocollo di convenzionamento per tutte le attività di supporto che già oggi svolgiamo, per il loro esplicito riconoscimento e statisticabilità, nonché per l'inserimento nel paniere a punteggio e a remunerazione.    

Tutte queste proposte e molte altre avremmo voluto farle, ad esempio, alla Commissione del Senato, presieduta dall’onorevole Micheloni, Commissione nata e così denominata per avanzare una proposta di riforma delle attività di patronato all’estero. Ad oggi, dopo un anno di inchieste e indagini e visite in tutto il mondo, la Commissione non ha più ascoltato nessuno di noi.

I patronati all’estero come in Italia assistono gratuitamente milioni di nostri concittadini per vedere tutelati i loro diritti, spesso rispetto a carenze ed errori delle Istituzioni pubbliche. Di questa tutela godono soprattutto i cittadini più deboli, quelli che sarebbero soli rispetto alle istituzioni o costretti, in altro modo, a pagare professionisti e strutture private.

E’ il nostro ruolo, che svolgiamo con onestà, con competenza e orgoglio: un ruolo che rafforza la nostra società e, dunque, la nostra democrazia. Se ne ricordi chi, mosso da rancori e scopi personali, ci attacca strumentalmente. Se ne ricordi soprattutto chi ha un ruolo istituzionale assegnatogli dagli stessi concittadini.


La Presidenza dell'Inca 

 
 
 

Esodati

Post n°2574 pubblicato il 23 Ottobre 2015 da deosoe

Esodati nella legge di stabilità, ma...

Fra le misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 approvata dal Governo vi è la settima salvaguardia esodati che riguarda 26.300 esodati, usciti dal mondo del lavoro nel 2011 e rimasti senza stipendio e senza pensione in virtù delle nuove norme della Riforma Fornero.

Si tratta di lavoratori in mobilità, autorizzati ai contributi volontari, cessati dal servizio e in congedo per assistenza parenti disabili nel 2011. Per rientrare nella settima salvaguardia devono maturare la decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2017. A questi 26mila 300 esodati se ne aggiungono altri 5mila che non erano rientrati nelle sei precedenti.

Ma i Comitati degli esodati tuonano che i lavoratori da salvaguardare sono 49.500. Di fatto, quindi, si chiede al Governo di garantire anche per i restanti 23.200 la salvaguardia fino a tutto il 2018, eliminando le condizioni restrittive della Legge di Stabilità che limita il contingente, modificando correttamente quell’articolo della manovra con un suo collegato o con un nuovo provvedimento di salvaguardia.

Pmi.it

 
 
 
 
 

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