CONTROSTORIA DELLA SARDEGNA: dalla Civiltà Nuragica al dominio spagnolo. ( GraficadelParteolla Edizioni)

Fra qualche giorno in tutte le librerie.

CONTROSTORIA DELLA SARDEGNA: dalla Civiltà Nuragica al dominio spagnolo. (Grafica del Parteolla Edizioni).

Dopo una lunghissima gestazione, ho partorito una nuova creatura. E sono contento anzi felice per questo mio lavoro.
Ci sono voluti ben sei anni di ricerche, studio, consultazioni e riflessioni: fra archivi e biblioteche, testi e documenti storici e archeologici ma anche letteratura e poesia popolare, quotidiani, riviste e persino social.
Come anticipato fin dal titolo è una “Controstoria”, dissonante rispetto alla storia ufficiale della scuola e degli stessi Media. Una storia che molti troveranno “fastidiosa” e persino urticante. Perché mette in discussione contesta e smonta vecchie e inveterate certezze, luoghi comuni e pregiudizi diffusi e circuitati ad arte dai nostri nemici: ad iniziare da Cicerone, insultante e diffamatore.
Siamo abituati a testi, anche di livello e specialistici, sulla “Sardegna punica”, “Sardegna romana”, “Sardegna bizantina”, “Sardegna spagnola”. In cui soggetti storici sono sempre gli “Altri”, gli occupanti, i dominatori e, noi Sardi sempre “oggetti”. Passivi marginali e “arretrati” noi, e centrali invece loro: addirittura diffusori e portatori di civiltà e non, come realmente erano, predatori e sanguinari: ad iniziare dai Romani.
Ebbene questa mia nuova opera racconta la “Sardegna, Sardegna” : analizzata, vista, “letta”, interpretata dal punto di vista di un sardo: senza alcun etnocentrismo ma anche senza ombre di subalternità culturale né di complessi di inferiorità o di minoritarismo.
È un ulteriore omaggio che faccio alla mia Terra e ai Sardi tutti, ma soprattutto ai giovani, agli studenti, perché conoscano il nostro passato per lo più sepolto, nascosto, rimosso.
E perché tale passato, una volta dissotterrato e conosciuto diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, come sardi aperti al suo respiro, il mondo; lottando contro il tempo della dimenticanza: quel mondo grande e terribile di cui parlava Gramsci.
Spero – forse mi illudo – di poter lasciare una lezione per i giovani, con cui sono sempre riuscito ad avere un dialogo aperto e rispettoso.
In un mondo estraniante ed omologante, i giovani sardi devono sforzarsi di ritornare alle proprie radici e di aprirsi, coltivando l’amore per la Sardegna, vista nell’universo mondo. Non si può essere cittadini del mondo fuori dalle radici locali.
Spero altresì che questo mio nuovo lavoro possa servire anche a tal fine.
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La copertina riproduce una foto dell’ingresso del Pozzo di Santa Cristina del grande archeoastronomo francese, Arnold Lebeuf, docente di storia delle religioni presso l’università di Cracovia che scoprì per caso l’esistenza del pozzo sacro nel 1973, in un convegno in Bulgaria, grazie a un articolo di Carlo Maxia ed Edoardo Proverbio.
Scrive Lebeuf il 4 maggio 2011: “Il pozzo nuragico di Santa Cristina? Un osservatorio astronomico perfetto. Un sistema raffinato per calcolare un fenomeno di grande complessità come quello delle fasi lunari e prevedere le eclissi”.
Nel 2005, approdò nell’isola per compiere ricognizioni e studi approfonditi ora raccolti nel volume, “Il pozzo di Santa Cristina, un osservatorio lunare” con oltre duecento pagine, tra testi, calcoli scientifici, splendide foto (in parte realizzate dal fratello Guillaume e Tomas Stanco) che raccontano una tesi sbalorditiva. Tremila anni fa su quell’altopiano a due passi dalla Statale 131, i nuragici edificarono, nell’arco di diversi anni, una elaboratissimo osservatorio. Tale da suggerire conoscenze astronomiche e scientifiche avanzatissime in un’epoca così lontana.
Un fatto probabilmente unico nella nostra geografia occidentale.
E così sul sito archeologico improvvisamente sembrerebbe accendersi una luce e allo stesso tempo aprirsi un enigma. Perché di quel raffinato sapere nuragico non è rimasta traccia? Si deve forse rivedere la tesi che il pozzo fosse dedicato al culto delle acque?
“L’uno non esclude l’altro – risponde Lebeuf – era un tempio delle acque come tantissimi altri nell’Isola”.

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