Venerdì ore 18,00 alla biblioteca Satta presentazione del libro di Francesco Casula: “Carlo felice e i tiranni Sabaudi”

15319276_10209975351372790_3344521594884127967_n
 

Il libro “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” di Francesco Casula (Editore Grafica del Parteolla), documenta in modo rigoroso la politica dei Savoia, sia come sovrani del regno di Sardegna (1726-1861) che come re d’Italia (1861-1946). La loro politica, con le funeste scelte (economiche, politiche, culturali) “ritardò lo sviluppo di quasi cinquant’anni, con conseguenze non ancora compiuta-mente pagate”: a scriverlo è il più grande conoscitore della Sardegna sabauda, lo storico Girolamo Sotgiu.

Gli storici, gli scrittori, gli intellettuali di cui si riportano valutazioni e giudizi nei confronti dei re sabaudi spesso sono filo monarchici e filo sabaudi (come Pietro Martini) e dunque non solo loro avversari (come Mazzini o Giovanni Maria Angioy), ma tutti convergono in un severissimo giudizio nei loro confronti, ma segnatamente nei confronti di Carlo Felice.
Il volume è rivolto in modo specifico agli studenti ma ha un carattere divulgativo per fare conoscere una storia – o meglio una controstoria – poco conosciuta, anche perché assente e/o mistificata da quella ufficiale. Pensiamo al Risorgimento e all’Unità d’Italia, presentati come espressione delle magnifiche e progressive sorti, dimenticando i drammi e le tragedie che comportarono, ad iniziare dalla “creazione” della Questione Meridionale ancora oggi più che mai presente.

Il libro verrà presentato il 24 marzo prossimo alla Biblioteca Satta.
 
Coordina:Tonino Cugusi, direttore della Biblioteca “Sebastiano Satta”,  intervengono: Alessandro Mongili, sociologo. Presenta: Giuseppe Melis, curatore della Prefazione  e conclude Francesco Casula, autore dell’Opera

Presentazioni

CARLO FELICE E I TIRANNI SABAUDI al Chiostro del Carmine.

0
Share

Nell’ambito dei “Venerdì con il Rotary”, ieri c’è stata la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Francesco Casula “Carlo Felice e i tiranni Sabaudi”. A presentare l’opera, insieme all’autore, il curatore della prefazione del libro Giuseppe Melis. A fare gli onori di casa, nell’Aula magna del Consorzio UNO, la presidente del Rotary club Oristano, promotore dell’evento, Adriana Muscas, che ha voluto sottolineare come l’opera di Casula ribalti molti punti di vista del periodo Sabaudo in terra sarda.

Il libro di Francesco Casula, svela la ferocia e l’arrogante prepotenza perpetrate dai Savoia in Sardegna.

Dopo i convenevoli della presidente del Rotary club Oristano Adriana Muscas, ad un uditorio attento e interessato, c’è stata la presentazione dell’opera da parte di Giuseppe Melis, curatore della prefazione del libro, nonché docente di Marketing turistico nel corso di Economia e Gestione dei Servizi Turistici, attivati nell’Università di Oristano, che ha subito precisato: “Io non sono uno storico, ma leggendo l’opera di Francesco Casula, mi sono reso conto della sua importanza. Da italiano, sono orgoglioso della mia sardità e mi rendo conto di quanto sia importante conoscere la nostra storia e le nostre radici. Questo è un libro che dovrebbe essere adottato dai docenti di storia nelle scuole sarde e dovrebbe essere letto da tutti per capire come una storia cancellata, abusi e incredibili soprusi abbiano condizionato e condizionino ancora l’idea della incapacità di autodeterminarci.”

Dal canto suo, l’autore ha subito chiarito che il suo libro documenta in modo rigoroso la politica dei Savoia, sia come sovrani del regno di Sardegna, sia come re d’Italia: “A mio parere la nostra storia occorre non solo disseppellirla e studiarla, ma anche riscriverla – ha sottolineato – Io ho tentato, in questo mio saggio, di riscrivere quei 226 anni di dominio sabaudo che ancora oggi ci condizionano e ritardano la nostra prosperità. Il governo sabaudo sfruttò la Sardegna, ma soprattutto represse tutti i movimenti democratici. Carlo Felice fu un re crudele, feroce e ignorante. Fu imposto anche il divieto, nella scuola ufficiale, della storia Sarda, che da quel momento in poi, è stata sepolta. Per questo occorre che i Sardi, anche a livello psicologico, escano da una mentalità subalterna.” Casula continua spiegando che i re sabaudi erano veri e propri tiranni e Carlo Felice era un re pigro e imbecille, famelico e sanguinario. “Ma la storia ufficiale e i libri di testo – ha continuato – delle malefatte e delle infamie sabaude non ne parlano.”

Alla presentazione hanno assistito numerose persone, entusiaste e attente, che hanno gremito l’Aula magna del Consorzio Uno.

Gian Piero Pinna

Due belle e nuove recensioni sul mio libro

 
 

 

Due belle e nuove recensioni sul mio libro

Due belle e nuove recensioni sul mio libro

“CARLO FELICE E I TIRANNI SABAUDI”.

15304620_10209948322497085_841334512711093037_o

  1. GIAN PIERO PINNA su SARDEGNA/REPORTER.IT

Di Redazione OR pubblicato il 11 febbraio 2017

Nell’ambito dei “Venerdì con il Rotary”, ieri c’è stata la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Francesco Casula “Carlo Felice e i tiranni Sabaudi”. A presentare l’opera, insieme all’autore, il curatore della prefazione del libro Giuseppe Melis. A fare gli onori di casa, nell’Aula magna del Consorzio UNO, la presidente del Rotary club Oristano, promotore dell’evento, Adriana Muscas, che ha voluto sottolineare come l’opera di Casula ribalti molti punti di vista del periodo sabaudo.

Il libro di Francesco Casula, svela la ferocia e l’arrogante prepotenza perpetrate dai Savoia in Sardegna.

Dopo i convenevoli della presidente del Rotary club Oristano Adriana Muscas, ad un uditorio attento e interessato, c’è stata la presentazione dell’opera da parte di Giuseppe Melis, curatore della prefazione del libro, nonché docente di Marketing turistico nel corso di Economia e Gestione dei Servizi Turistici, attivati nell’Università di Oristano, che ha subito precisato: “Io non sono uno storico, ma leggendo l’opera di Francesco Casula, mi sono reso conto della sua importanza. Da italiano, sono orgoglioso della mia sardità e mi rendo conto di quanto sia importante conoscere la nostra storia e le nostre radici. Questo è un libro che dovrebbe essere adottato dai docenti di storia nelle scuole sarde e dovrebbe essere letto da tutti per capire come una storia cancellata, abusi e incredibili soprusi abbiano condizionato e condizionino ancora l’idea della incapacità di autodeterminarci.”

Dal canto suo, l’autore ha subito chiarito che il suo libro documenta in modo rigoroso la politica dei Savoia, sia come sovrani del regno di Sardegna, sia come re d’Italia: “A mio parere la nostra storia occorre non solo disseppellirla e studiarla, ma anche riscriverla – ha sottolineato – Io ho tentato, in questo mio saggio, di riscrivere quei 226 anni di dominio sabaudo che ancora oggi ci condizionano e ritardano la nostra prosperità. Il governo sabaudo sfruttò la Sardegna, ma soprattutto represse tutti i movimenti democratici. Carlo Felice fu un re crudele, feroce e ignorante. Fu imposto anche il divieto, nella scuola ufficiale, della storia Sarda, che da quel momento in poi, è stata sepolta. Per questo occorre che i Sardi, anche a livello psicologico, escano da una mentalità subalterna.” Casula continua spiegando che i re sabaudi erano veri e propri tiranni e Carlo Felice era un re pigro e imbecille, famelico e sanguinario. “Ma la storia ufficiale e i libri di testo – ha continuato – delle malefatte e delle infamie sabaude non ne parlano.”

Alla presentazione hanno assistito numerose persone, entusiaste e attente, che hanno gremito l’Aula magna del Consorzio Uno.

2. ADRIANO SITZIA SU APPUNTI ORISTANESI 11-2-2017

CONSERVET DEUS SU RE? NO, NO E ANCORA NO, SECONDO FRANCESCO CASULA

di adrorist

Conservet Deus su re/ Salvet su Regnu Sardu/Et gloria a s’istendardu/Concedat de su re!”. Con queste parole dell’Angius – credo 1842 –  inizia un inno, ormai dimenticato, s’Hymnu sardu nazionali. Parole che ieri sera certamente avrebbero stonato di fronte al vero e proprio j’accuse che il professor Francesco Casula ha pronunciato con appassionata veemenza quasi tribunizia contro i Savoia, presentando al Carmine il suo ultimo lavoro storiografico: “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” (Grafica del Parteolla, 2016).
Introdotto da Adriana Muscas, presidentessa del Rotary club Oristano, che ha organizzato l’incontro, e dal professor Melis, docente di marketing turistico nel locale ateneo, nonché autore della prefazione al libro, Casula ha esordito lamentando la scomparsa della Sardegna dalla storia, in particolare nei 226 anni (1720 – 1946) di dominio sabaudo, in cui spicca negativamente la figura di Carlo Felice, prima vicerè a Cagliari e poi per dieci anni re di Sardegna. Eppure da dire ce ne sarebbe stato tanto, per tutto ciò che i Sardi hanno subito dall’avvento dei “Saboia” in poi. “Non sono io a dire queste cose: infatti nel libro a parlare sono i documenti – ha continuato il docente originario di Ollolai – sono le testimonianze, sono gli storici, quelli del passato, quasi tutti filo-monarchici, e quelli del presente: così Pietro Martini definì Carlo Felice un gaudente parassita, di poca cultura di lettere come di pubblici negozi, mentre il nostro contemporaneo Aldo Accardo lo descrive come un pigro imbecille”.
Che Carlo Feroce – così lo soprannominò il piemontese Brofferio! – non fosse certo “farina per fare ostie”, è del resto giudizio pronunciato da tanti, compresi importanti politici piemontesi come il D’Azeglio che parlò di “dispotismo pieno di rette ed oneste intenzioni ma del quale erano rappresentanti ed arbitri quattro vecchi ciambellani, quattro vecchie dame d’onore con un formicaio di frati, preti, monache, gesuiti”. E il Lavagna, alto magistrato algherese, componente della Reale Udienza, addirittura si dimise dal prestigioso incarico protestando contro l’iniqua, assurda tassazione voluta proprio da Carlo Felice: iniqua ma anche  illegittima perché fatta passare sulla testa degli stessi Stamenti, con la solita complicità di certi personaggi legati interessatamente al Savoia.
Casula per definire la politica di questo sovrano – ma anche dei suoi successori – nei confronti della Sardegna ha, parafrasando Leopardi, coniato il motto “nulla innovare nulla mutare”, se non ciò che lo arricchisse. Infatti tra le alte qualità di questo eminente Savoia la rapacità e l’avidità di denaro erano preponderanti.
L’autore ha poi proposto un vero e proprio elenco di torti e di malefatte di Carlo Felice e degli altri suoi consanguinei precedenti e successivi, nei confronti della Sardegna e, dal 1861, di tutto il Mezzogiorno:
il controllo strettissimo – con tanto di lettura di tutta la corrispondenza – e le feroci repressioni poliziesche, che colpirono indiscriminatamente e spesso senza motivo in alto e in basso, laici e chierici, con la “scusa” della lotta al banditismo, raggiungendo livelli di vero e proprio terrorismo legalizzato;
la conservazione del potere feudale, dei baroni, per poi cancellarlo ovviamente a spese delle comunità e facendo i nobili ancor più ricchi di prima;
le chiudende e la truffa (anche giuridica) della fusione perfetta;
il favore sempre accordato all’economia piemontese e poi settentrionale contro quella sarda e del Mezzogiorno (la mancata flotta sarda; il blocco alla coltivazione del gelso; la disastrosa rottura da parte di Crispi – un meridionale! – del patto commerciale con la Francia per favorire le industrie del Nord);
la distruzione dei boschi e delle foreste sarde;
il continuo ricorso allo stato d’assedio al primo battito d’ali di protesta (La Marmora, Durando ecc.);
l’imposizione dell’italiano come strumento di incivilimento da parte di chi neppure lo conosceva perché parlava in francese;
gli “spogliatori di cadaveri” come li definì Gramsci, e cioè i gli industriali caseari, quelli delle miniere e quelli di legna e carbone, sempre sotto la protezione governativa;
l’enorme differenza tra la tassazione sarda e quella nel resto del Paese;
la tassa sul macinato;
i “luminari” Lombroso e Niceforo e le loro teorie razziste, tenute in grande considerazione negli ambienti di governo, in particolare sotto Umberto I, altro “grande” sovrano, e le feroci, spietate spedizioni repressive che ne scaturirono, tra cui quella del 1899 descritta nel libro “Caccia grossa” da Giulio Bechi, che vi prese parte come ufficiale;
le grandi emigrazioni dell’Ottocento e del Novecento;
le decine di migliaia di morti e di mutilati sardi della Prima come della Seconda guerra mondiale, guerre volute e imposte da Vittorio Emanuele III, lo stesso che mise Mussolini al governo e che, dopo l’8 settembre, fuggì coraggiosamente da Roma per riparare a Brindisi con tutta la sua corte.
Di tutto ciò – e di altro ancora – non si parla mai. O, meglio, non si parlava mai. Oggi qualcuno, in Sardegna, ma anche nel Mezzogiorno d’Italia, comincia a farlo, rileggendo in maniera più obiettiva epoche e personaggi che la vulgata ufficiale aveva irrimediabilmente bollato come nemici dell’Unità d’Italia. Un’unità che, vale la pena ricordare, alla Sardegna non ha certo dato quanto ha tolto.
A conclusione dell’intervento di Casula anche il pubblico ha potuto dire la sua, con una serie di riflessioni, soprattutto sull’importanza della tutela e della conoscenza della storia e della lingua sarde

Manifesto sardo

Carlo Felice e i tiranni Sabaudi: un libro da scoprire per scoprire se stessi

3 gennaio 2017

Giuseppe Melis

I Sardi hanno idea di chi sia stato Carlo Felice? E hanno idea di cosa abbiano fatto i Savoia nel corso delle loro dominazioni? A giudicare dai comportamenti dei più si evince che la maggior parte delle persone che abitano l’Isola non ha una idea precisa su questa parte della storia di Sardegna e, quando ce l’ha, forse è persino sbagliata.

A fare chiarezza su questo personaggio e sulle opere della sua famiglia ci ha pensato lo storico Francesco Casula che mette a disposizione di tutti noi la sua ultima opera intitolata “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”, dando già nel titolo una chiave di lettura dell’opera.

Si tratta di un lavoro di ricerca meticoloso e puntuale svolto su documenti storici di vario tipo che messi insieme con uno stile semplice, divulgativo e rigoroso insieme, offre al lettore la possibilità di conoscere, attraverso le citazioni di storici, studiosi, prelati e scrittori di quella e di epoca più recente, fatti e misfatti compiuti da una famiglia che mai amò la Sardegna, fondamentalmente perché ricevuta in luogo di quella Sicilia che avrebbe preferito per dimensioni e, soprattutto, per ricchezza di risorse.

Attraverso la lettura del libro si scopre così che, per esempio, i regnanti sabaudi ebbero un costante atteggiamento di arroganza e disprezzo verso i Sardi (forse per la ragione indicata in precedenza legata al desiderio di avere la Sicilia col Trattato di Londra), come viene ben documentato nella prima “pimpirìa de istoria” (pillola di storia), in cui Casula citando Mazzini racconta come “La Sardegna fu sempre trattata con modi indegni dal Governo sardo (leggi dai Savoia): sistematicamente negletta, poi calunniata, bisogna dirlo altamente” (p. 20). Con parole non molto diverse il padre scolopio Tommaso Napoli afferma come “l’arroganza e lo sprezzo con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti … inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione” (pp. 44-45). E che dire di quando Casula nella scheda dedicata a Carlo Emanuele III evidenzia come i Savoia assumono decisioni volte ad “accentrare e centralizzare il potere” e nel 1776 l’imposizione della lingua italiana “per la dessardizzazione e snazionalizzazione delle popolazioni, per poterle dominare meglio e di più” (p. 23).

Lo stesso significato assumono le decisioni di questi regnanti e dei loro seguaci di modificare la toponomastica delle città e dei paesi, per segnare ulteriormente la loro opera di sradicamento dei Sardi dalla propria terra e inculcare loro l’idea di essere altro e non ciò che alla terra li lega. La lettura di questi fatti del passato offre però l’occasione per una valutazione critica di vicende più vicine ai nostri tempi.

Il lettore è così indotto a continui confronti con quanto accaduto in epoca più recente: dal periodo costituente – nel corso della quale venne trovato l’escamotage delle regioni a statuto speciale per non riconoscere pienamente il diritto delle Nazioni senza stato a vedere tutelato il proprio diritto a salvaguardare il principale elemento distintivo (la lingua) –al comportamento vessatorio dello stato italiano e del suo governo in materia di servitù militari, fino ad arrivare ai mancati trasferimenti (per anni) di quote di risorse finanziarie che pure erano dovute per legge costituzionale.

Nondimeno, l’atteggiamento centralizzatore perpetrato dai Savoia non può non far pensare al fallito tentativo di modifica della Costituzione che il referendum svoltosi lo scorso 4 dicembre ha spazzato via grazie ad un collettivo e generalizzato risveglio delle coscienze di tanti che da anni non andavano a votare. Questo per dire che – mutatis mutandis – anche chi in questi anni ha governato l’Italia non sembra discostarsi molto dalle logiche centralistiche sabaude, seppure non certo con i linguaggi e i metodi praticati in quel tempo e dietro il maldestro “paravento” della necessità (giusta) di “razionalizzare” e “risparmiare” evitando gli sprechi. Anche in questo si può notare come il libro di Casula pur parlando di fatti del passato sia estremamente utile per leggere il presente.

Ritengo sia un libro da adottare nelle scuole superiori di tutta la Sardegna o comunque utilissimo per l’aggiornamento professionale dei docenti di questa materia, perché non deve più accadere che nella formazione delle nuove generazioni non vi sia spazio per la conoscenza della storia di questa terra e di questo popolo, da studiare insieme alla storia di altre terre e di altri popoli, compreso quello dei nostri cugini italiani con cui condividiamo la cittadinanza proprio in virtù di questo pezzo di storia dai più ignorato.

FABRITZIU DETTORI

FABIDEMMU IN SASSARESU
CARLO FELICE E I TIRANNI SABAUDI
LU LIBRU NOBU DI FRANTZISCU CASULA «SI DEBI ISCHUMINTZÀ CUN UNA RIBURUZIONI CULTURARI»
DI FABRITZIU DETTORI
 
 

Ca semmu noi? Noi poburu sardhu? Cosa è la Sardhigna? Parimmu un poburu traiparenti, kena nudda. Kena linga, e ken’isthoria. La tzibilthai nuragica? Bah! Li Giganti di Monti Prama? Eh, so i frinelli di la Dinamo. La tzibilthai giudicari? E ca la cunnosci?! Li patrioti di lu sittizentu e di l’ottuzentu? Furriaddi a lu ventu! Abesumeu no semmu nudda avveru, ma pa kissu poggu ki semmu, pa kissu nudda ki semmu, noi vurimmu isisthì e cuntinuà a assé sardhi. Ma l’ischosthigghi ancora tzi negani lu nosthru pa dassatzi ke un puntu di piubaru morthu i la cartha giografigga.

Tutti li varori d’impurthantzia ki li pitzinni assibisthani da li docenti, so kissi matessi ki iprecani li libri d’ischora di lu “Ministero della pubblica istruzione”.

A settanta’anni di autonomia ipiziari la puritigga di l’ischora è sempri kissa di aprittà, in manera capillari, li figliori nosthri, ipuntugliendiri e dendiri una pisaddia bona a assé lu rissori di l’ideorogia di lu puderi curuniari. In kistha fraitza l’ischurani e l’isthudenti sardhi so buggaddi a fóra, escrusi, da kissa ki dubaristhia assé una naturari e noimmari incrusioni a la Sardhigna.

E pari ki li pitzinni nosthri vibiani una situazioni di disagiu lu fattu d’assé sardhi, parchì si da una parthi s’abizani ki v’è una sardhiddai in tzercha di iscinni a pizu e d’ischisthià, da l’althra kistha matessi a ischora è ifiaddadda e kena uffitziariddai.

Di siguru la Regioni, cumenti dizi l’arthicuru 5 di l’Isthatuddu, po fà tantu integrendi l’isthoria sardha i li prugrammi d’ischora: “[…] la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni della legge della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie: a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi; […] ”. Ma lu rapporthu puritiggu ki dazi puderi è sempri un rapporthu di ommini: si unu (la Regioni) no vari nudda l’althru (l’Isthaddu) appundareggia.

Li kitti, di kisthu fallimentu autonomisthiggu, so sempri pagaddi da li giobani ischurani ki, posthi a pizu a pari di l’Itaria, in “automatiggu” escini fóra di pari da un liammu forthi cu’ la Sardhigna. Lu sardhismu culturari, punendi fatu ancora a kistha andadda puritigga, abarà a assé soru kissu genericu e suttrattibu, “a li cuattru mori”, ki jà cunniscimmu. Tzaibeddu e cori abarani a assé sempri pa kissa madre patria Itaria ki ani interiorizaddu da minoreddi drentu a la crassi. Eddi, li pitzinni, no poni sabé ki semmu un poburu nigaddu e ki no so itariani. No poni sabé ki propiu un itarianu Carlo Baudi di Vesme dizia, daboi di 127 anni d’occupazioni preitariana, i li –Torino, stamperia reale 1848 – Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna: “È falso ciò che molti credono che la Sardegna sia spagnola: non è spagnola, ma non è italiana: è e fu da secoli pretta sarda”, una nazioni.

Tuttu passa primma pa l’isthoria. E è paghisthu ki semmu andaddi a intindì la prisintazioni di lu libru di Carlo Felice e i tiranni sabaudi, ed. Grafiche Parteolla, di Francesco Casula. Orghanizadda da lu sotziu Pesa Sardigna i la bibrioteca comunari in Carra Manna a Sassari, à ischumintzaddu e courdhinaddu lu trabagliu la prufissora Ninni Tedesco e prisindaddu l’obara li prufissori Federico Francioni e Cristiano Sabino. À cumpriddu la prisintazioni, in un appusentu mannu e pienu di jenti, l’autori matessi. A ischribì di kisth’ommu, Francesco Casula, no si po akì inogghi no abemmu loggu. Abarà a basthà, abesumeu, dì ki è un pruffissori i li licei, un isthoriggu, ki à ischrittu vintisetti libri ma, sobrattuttu, ki è un interettuari miritanti ki si poni da sempri a guardhia di la Sardhigna e di li diritti di lu poburu sardhu. Calchunu pudaristhia dì ki, sigumenti è un “miritanti”, lu libru funtumaddu è di parthi. Liggendi lu libru, parò, cassisia passona si po abizà di lu rigori iscientifiggu di cument’è ischrittu: li riferimenti so tutti bè documentaddi. E so kisthi infuimmazioni ki a lu libru dazini ubbiettibiddai e ki tzi ponini cara a cara cu’ la disaura e l’isthragu ki l’antigghi nosthri ani passaddu cu’ li Savoia. «Eu porthu – tzi dizi Francesco Casula – l’isthoria vera e no akì soggu eu ki doggu amparu a una interpretazioni mea, ma so li matessi isthorigghi di tandu, pensu a Pietro Martini, Giovanni Siotto Pintor ki, firumunarkici e firusabaudi so critigghi i li cunfronti, pa esenpiu, di Carlo Felice. Kisthu era un re ki è ‘sthaddu lu peggiu di tutti, sia da visurré ki da re: era riddosthu, sanghinariu, fammiggosu. La cosa “isthrana” è ki l’immusgiu di feroce no vi lu dazini li sardhi, ma li piemuntesi». Kisthi Savoia, “Kena cori e kena tzaibeddu”, abiani in nivra li sardhi e è paghissu ki ani arriggiddu l’iviruppu di la Sardhigna, tantu ki ni semmu ancora ischittendi kissa marasorthi.

Cun Frantziscu Casula tz’abemmu fattu un’arrasgiunadda:

In kisthu libru beddu tzi so puru purraddi d’isthoria inedita?

«Tzi so documenti poggu o pa nudda cunnisciddi. Fotzu riferimentu, pa esenpiu, a La storia della Sardegna di Mazzini, oppuru a li Carthi di Lavagna. Kisthu era un patriziu di L’Ariera cun una carriera manna cu’ li Savoia, ma a un tzerthu puntu, candu era arribiddu a la Riari Udientzia, à daddu li dimmissioni pa prutestha contru a lu dunatibu ki era ‘sthaddu triplicaddu pa mantinì li dui corthi ki erani jumpiddi in Sardhigna: una era di lu re Carlo Felice e l’althra di lu visurré Carlo Alberto».

In Sardhigna pari ki la cussentzia natziunari e isthorigga no ridescia propiu a ivuruppassi. Cument’è ki kisthu libru po falli insannì?

«La cussentzia isthorigga e, ipiremmu kissa natziunari puru, po criscì. Intantu cu’ la cunnuscentzia di lu ki semmu ‘sthaddi e di lu ki tz’ani impididdu di fà. Fotzu l’esenpiu: jà i l’ottuzentu v’erani imprendidori sardhi ki vuriani dudà la Sardhigna di una flotta sarda e frabiggà, tandu, nabi a vapori. Ca à impididdu kisthu prugettu? Li Savoia! Akì eddi ani sempri pribiriggiaddu la Cumpagnia Rubattino. V’è ‘sthaddu tandu da parthi di li sardhi un tentatibu, ma lu ki dubimmu fà è di tzirchà la causa di lu fallimentu. Una situazioni pritzisa l’agatemmu fintzamenta i lu nobizentu, candu althri sardhi vuriani custhituì una cumpagnia aerea e nabari, ma puru kistha è ‘sthadda buicuttadda».

Cument’è ki i lu 2017 no abemmu ancora una cumpagnia sardha pà viaggià? Ca antraccuru v’è abà?

«Oggi tzi l’impiddi lu fattu ki la maggiò parthi di la crassi puritigga sardha è ascara. Ki è a dì, dipendenti, kena un’autonomia culturari propia, da la crassi puritigga di Roma e Miranu. Si no ridiscimmu a ciambà kisthu tipu di mentariddai, d’assé subalterni, no abaremmu a jumpì mai a nudda. Eu parò soggu fidutziosu. Kisthu libru a pogghi dì da l’imprenta à vinduddu di più di tzincuzentu copi. E in dugna prisintazioni veggu sobratuttu di giobani. Eu pensu ki in kisthu mamentu, si puru tzi so imparthidduri, li settarismi, lu leaderismu, [lu riferimentu è a lu mondu sardhistha-indipendentistha] è nascendi una cussentzia culturari noba. Si no v’è kistha no v’abarà a assé mancu una cussentzia natziunari».

A prupositu di “cussentzia”, i li ‘schori candu jumpestha Sa die de sa Sardigna l’ischurani, li masthri, li prufissori, ciamani genericamenti kistha dì “la festa della Sardegna”, e sutzedi puru ki li docenti no s’ani mancu l’annu di kissu 28 d’abriri…

« Eu aggiu daddu imparu i li licei più di cuarant’anni e possu dì ki la maggiò parthi di li docenti no so priparaddi sobratuttu i l’isthoria sardha. Vibini di rendidda, di lu ki ani imparaddu i l’ischora uffitziari ki è kissa matessi ki tz’à furriaddu l’isthoria nosthra. Da kisthu primmu erementu veni lu fattu ki ancora umbè di docenti so ingraugliaddi e assuggittaddi da una visioni oleografica, giustificatziunistha, ki no è l’isthoria vera. No si dizi di li cunfritti, di li cumbatti, esenpiu: ca à mai fabiddaddu di Frantzischu Sanna Corda, Frantzischu Cilocco e di lu tintatibu insurretziunari e di fà di la Sardhigna una repubrigga? Si s’era sabuddu ca erani di siguru la mentariddai di li sardhi era ‘sthadda dibessa».

La Regioni cun l’assessoraddu a la cultura e a la pubrigga isthruzioni pudaristhia dà un signari forthi a manera ki kisthu possia sutzidì?

«Emmu, ma lu po dà candu v’abarà a assé una cussentzia, da parthi di la jenti, ki fazi pressioni. Fintza a candu, pa esenpiu, li docenti no abarani a ipignì cu’ purraddi di truncaddura, abarà a assé diffitziri ki la Regioni aggia a immubissi in kissu drettu. Di la crassi puritigga e di la crassi puritigga regionari, dubimmu dì dui cosi: primmu, pa lu più no à cultura; sigundu, no à un mubimentu mannu ki ni la isceddia e la porthia i la realthai. Kisthu mubimentu, e kisthu è di dì, puru lu più indipendentistha, no poni addanantzi la cultura, ma la propaganda ideorogica. E sigundu me kisthu è un ibagliu. Noi dubimmu dà ischumentzu a una riburuzioni culturari. Una riburuzioni puritigga kena kissa culturari no à ipirantzia».

In Còssigga tutti li cossi cunnoscini l’isthoria d’eddi: s’ani ca era Pasquale Paoli e tanti althri patrioti. Pudimmu dì tandu ki l’indipendentismu cresci cu’ la cussentzia isthorigga?

«Emmu. Cresci cun kistha cussentzia, cun kissa linghisthigga e no soru».

A propositu di kissa linghisthigga… Noi tzi semmu cunnisciddi i lu 1989 inogghi a Sassari, candu eri sottu a prutzessu akì abisthi difesu dui fraddeddareddi di l’erementari di Santu Pantareu ki erani ‘sthaddi bucciaddi cu’ lu mutibu: «Il loro italiano è influenzato dal dialetto». Da tandu cosa è ciambaddu?

«È ciambaddu umbè. I l’ischori abà un pogareddu di cultura, d’isthoria e di linga è intrendi. Lu ki no anda bè, è ki si so fendi cu’ lu vuruntariaddu e a modu di ipirimentazioni e no organicamenti ke materia curricurari. E è kistha la cumbatta ki debi assé fatta oggi: fà a manera ki siani purthaddi a ‘schora dugnuna ke materia isthrutturari di l’ischora sardha di dugna ordhini e gradu».

Lu sonniu toiu pa la Sardhigna?

«Lu sonniu meu è una Sardhigna libara e proipara. Daboi abarani a ditzidì li sardhi cumenti vurella a libellu isthitutziunari».

Proipara, vo dì indipendenti?

«Puru. La proiperiddai, oggi, po arribì soru cun l’indipendentzia».

A videtzi sani, gratzie.

Ritratti di Flavia Pintore