Non è tra le mie preferite, anzi è tra quelle che più mi lasciano perplessa e la principessa mi sembrava proprio antipatica, e con lei tutti i personaggi della fiaba. Da sempre appassionata lettrice-studiosa di fiabe, ben altre mi avevano preso il cuore: La bella e la bestia, Pelle d’Asino e Il gatto con gli stivali per anni furono nei primi posti nella classifica delle mie preferenze.
Allora perché ultimamente questa fiaba bussa alla mia attenzione? Percorrere i sentieri di ciò che non ci piace è anch’essa un’ottima attività per conoscere se stessi e il mondo.
Ecco qua, dunque, La principessa sul pisello.
La principessa sul pisello (titolo originale: La prova del pisello) è una delle fiabe scritte da Hans Christian Andersen. Fu composta nel 1835 e fa parte del primo volume di opere pubblicate dal famoso autore, il quale dichiarò di averla sentita raccontare quando era bambino, sebbene non sembrano esserci tracce nella tradizione orale danese prima della pubblicazione di Andersen. Esiste una fiaba svedese dal titolo La principessa che si distese su sette piselli, testo dove la principessa non sente il fastidio per sua capacità, ma grazie all’aiuto di un piccolo aiutante animale. Sembra invece che la fiaba di Andersen sia nata in seguito a un litigio con una sua amica: molti dei suoi racconti si ispirano infatti a episodi della sua vita, punti di partenza per storie di fantasia dalla forte carica innovativa, anche dal punto di vista linguistico.
Ecco il testo della fiaba, in una delle tante traduzioni trovate in rete (non ho più il libro dove la lessi da piccola, e non ricordo chi me la raccontò, se mi fu raccontata):
C’era una volta un principe che voleva sposare una principessa, ma doveva trattarsi di una principessa vera! Perciò si mise a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, ma ogni volta non riusciva a decidersi: principesse ce n’erano un po’ dappertutto, ma erano principesse vere? Non si riusciva mai a saperlo con sicurezza: ogni volta sembrava mancare qualche cosa. Alla fine decise di tornare a casa sua, ma era pieno di tristezza per non essere riuscito a trovare una principessa vera.
Una notte che c’era un tempo orribile, con fulmini, tuoni, e acqua a catinelle, qualcuno bussò alle porte della città, e il vecchio re andò ad aprire.
Fuori dalle mura c’era una principessa: Dio mio, la pioggia e il brutto tempo l’avevano conciata proprio bene! L’acqua le picchiava sui capelli e sui vestiti, entrava nelle scarpe dalle punte e ne usciva dai tacchi: eppure lei sosteneva di essere una vera principessa.
“Questo si vedrà,” pensò la vecchia regina, ma non disse nulla: andò in camera, tolse il materasso dal letto e mise sul fondo un pisello; poi prese venti materassi e li mise sul pisello, e sopra i materassi mise ancora venti grossi cuscini di piume.
Quella sera la principessa dormì lì.
La mattina dopo le chiesero come aveva dormito.
“Malissimo!” si lamentò la fanciulla, “non ho praticamente chiuso occhio per tutta la notte! Chissà cosa c’era in quel letto! Ero coricata su qualcosa di duro e mi sono fatta un enorme livido blu e marrone. È stato terribile!”
Così capirono che era una principessa vera, perché aveva sentito il pisello attraverso venti materassi e venti grossi cuscini di piume. Solo una principessa poteva avere una pelle così sensibile!
Così il principe la prese in sposa, convinto finalmente di avere incontrato una vera principessa, e il pisello andò a finire in un museo, dove, se nessuno è venuto a rubarlo, lo si può vedere ancora.
E questa è una storia vera, sapete?
1.
L’atmosfera della fiaba è tra le più rarefatte che io conosca.
Le fiabe hanno atmosfere rarefatte, irreali per loro stessa definizione. Ma in questa è notevole l’assenza di dettagli che ci permetterebbero di crearci immagini mentali personali.
Il principe è “un” principe: alto? basso? bello? brutto? capace? incapace? un essere umano etico? come vestiva? cosa faceva? Sul piano psichico potremmo già dire, anche senza dettagli, che il principe è l’archetipo del maschile che deve maturare, ecc ecc., ma non è questo il piano di cui vorrei parlare qui.
Questo “un principe” vuole sposare “una” “principessa” “vera”. Vera? OK, ma la fiaba non ci dice ancora come sia una principessa “vera”, lo diamo noi per scontato secondo le nostre conoscenze, interpretazioni, convinzioni, così come abbiamo già fatto con il principe: abbiamo collocato entrambi dentro caselle nostre preesistenti; principe e principessa sono elementi nostri; attenzione, non creazioni nuove della nostra immaginazione sollecitata dalla lettura o dall’ascolto della fiaba ma ricollocazioni funzionali di elementi già esistenti.
Il “un principe”, per trovare la “una principessa vera” si mette a “girare per il mondo”. Mi attengo alla traduzione scelta, e lascio perdere il ‘girare’, ma accetto che “per il mondo” sia una buona traduzione, e sottolineo di nuovo la generalità dell’espressione: tutto il mondo? quale mondo?
E poi: “principesse ce n’erano un po’ dappertutto”, così, sparse nel mondo come niente fosse? ma il principe “non riusciva mai a sapere” se erano principesse vere. Così se ne ritorna a casa e si rattrista.
Dunque: linguaggio generalizzato, assenza di dettagli, personaggi non definiti. Noi non stiamo immaginando, stiamo inoltrandoci in una fitta nebbia per diradare la quale riutilizziamo nostre immagini da situazioni note, e abbiamo anche la sensazione che il narratore sia d’accordo con noi e noi con lui. Un po’ ci piace, diciamolo, questo “un principe”, questa “una principessa”, questo “per il mondo” e “dovunque” …
2.
“Una” notte che c’era il finimondo di pioggia fulmini e tuoni “qualcuno” bussa alla porta e chi va ad aprire??? Il re!!! Il re in persona! “il” re.
Sì, lo so, l’interpretazione psicanalitica – che io adoro per le fiabe- sarebbe la migliore da proporre e la finiremmo lì, l’archetipo del re, ecc. ecc. ma io voglio dire qualcos’altro.
Allora, è il re che vede per primo una fanciulla ridotta male dalla pioggia e che afferma essere una principessa. Abbiamo un dettaglio: la principessa ha le scarpe con i tacchi, va bene, è femmina. Bene? E se il principe aveva girato il mondo in lungo e in largo, questa principessa da dove viene? Non lo sapremo mai. Noi intanto ci siamo già fidati delle parole di lei e, se non fosse per la regina, la finiremmo lì. Le faremmo conoscere il principe, tanto ci sembra di aver già capito la trama e, visto che siamo ancora nelle prime righe della favola, immaginiamo che il seguito tratterà della vita successiva al matrimonio che i due contrarranno tra poche altre parole del testo.
Invece no!
La regina non si fida e di nascosto va nella camera dove ha deciso farà dormire la presunta, mette un pisello sul letto, e sopra il pisello venti materassi e sopra altri venti piumini. E buonanotte cara “una principessa”, vediamo un po’ se sei una principessa “vera”! Dico: venti materassi e venti piumini, mica spiccioli; nemmeno le più alte torri del Signore degli anelli ci hanno impressionato come questa morbida pila di morbidezze di cui ci chiediamo – noi che rifacciamo i letti- come possano stare insieme ferme per una notte intera, tanto più che c’è un possente pisello sotto e pronto a manomettere il possibile perfetto livellamento delle stesse.
E, al mattino, infatti, la povera “una”principessa lamenta di aver dormito malissimo, su qualcosa di molto duro, tanto che ha un livido blu e marrone. Colori! Ecco i colori, ecco qualche dettaglio: ah, lo abbiamo visto bene quel livido, potenza della scrittura! solo il livido, chiaramente, non dove sia posizionato, mica ci si può avventurare sul corpo delle principesse come nulla fosse!
E lei è una vera principessa, solo principesse vere hanno una “pelle così sensibile” e delicata.
Beh, certo, anche un’interpretazione in chiave femminile non sarebbe male, ché poi una lettura in chiave femminile necessita sempre di un apparato-sostrato psichico, ma lasciamo perdere.
Appurata la verità, principe e.principessa si sposano, come in ogni fiaba che si rispetti.
Dunque: verità e menzogna giocano in questo tratto della fiaba, insieme a inganno e un po’ di maleducazione.
La principessa dice la verità ma non è creduta, la regina soprattutto pensa che la ragazza stia dicendo una menzogna. Ecco allora l’inganno della regina per svelare la verità, ed ecco la verità della principessa che è un lamento per la notte passata in bianco e che diventa un bell’atto di maleducazione verso gli ospiti. C’è un gioco di rimandi, di specchi, di sotterfugi su cui sembra avere ancor più eco l’affermazione mattutina della principessa. La quale, ricordiamo, è l’unico personaggio che viene descritto con qualche dettaglio e che dice sempre la verità, pur presentandosi poco principescamente: smarrita? forse. bagnata? certo. dove andava? da dove veniva? ma dice la verità, lei.
Nessun gesto di questo tratto della fiaba è lineare, i personaggi agiscono comportamenti opposti tra loro, etici e non etici, a seconda della personale convenienza.
3.
Alla fine della fiaba, Andersen ci dice che il pisello è conservato in un museo, sempre che qualcuno non l’abbia rubato, cioè se qualcuno non ha agito comportamenti della stessa area della menzogna, dell’inganno, della maleducazione.
E ci dice che è una storia vera.
Dunque: è molto probabile che lo sia, una storia vera. L’ammiccamento dell’autore, anche riguardo al pisello conservato in un museo se nessun l’ha rubato, continua il gioco di specchi, rimandi, inganni verità. Sì, probabilmente è una storia vera, diciamo noi con lui.
Sicuramente è attuale. Ci sono, in questa fiaba, tutti gli elementi di certa politica attuale, ed è per questo che è un po’ di tempo che mi è ritornata alla mente, rivelandosi una bella cartina di tornasole per il linguaggio di certa politica attuale, per i comportamenti di certa politica attuale.
Linguaggio colmo di generalizzazioni, cancellazioni, negazioni, cioè un linguaggio confusivo, ipnotico, che non aiuta a comprendere la realtà che è fatta di dettagli, ma può infiammare gli animi di chi ascolta, se poi è usato per parlare di argomenti del piano valoriale .
Comportamenti ambigui di tutti: dal re che va ad aprire la porta come fosse un maggiordomo alla regina che traffica di nascosto, alla principessa che, come ogni verità, si presenta malconcia e per farsi riconoscere si comporta più o meno come una villana, al principe a cui sembra mancare ogni personale idealità. Non si tratta nemmeno di inversione di ruoli, di istituzioni che vanno al livello delle persone comuni per avvicinarsi e parlare insieme, si tratta invece di atteggiamenti che ci risultano strani proprio per l’assenza di un contesto, e di un conteso di senso: il re va ad aprire la porta, perché? non c’è una servitù in questo palazzo? né si parla di un regno …
Niente sembra essere al suo posto, in questa fiaba, come certa politica attuale.
Politica di equilibrismi attuati anche di nascosto, anche smarrendo la propria dimensione personale, affinché ognuno faccia per il proprio interesse, escludendo il bene comune che deriva da un confronto sano schietto maturo. Un politica di parole altisonanti, colme di per sé di alti significati, ma svuotate dalla de- e ri- contestualizzazione che se ne fa.
La verità è malconcia, se ne è smarrita anche l’origine, che è etica, e arriva come se si fosse persa in questo mondo confuso, e se parla le sue parole hanno un sapore di maleducazione: le sue parole e non i gesti confusi e falsi di questa certa politica attuale.
“Certa”, che può significare anche sicura e affidabile, ma che qui invece significa “con valore indefinito, sempre anteposto al nome, indica una quantità precisa ma non descritta ( c. giorni, contrapposto a tutti i giorni ; iron. o spreg. : c. discorsi, c. gente, contrapposti per volgarità o stranezza, ai discorsi e alle persone normali), oppure un grado intermedio di sviluppo, contrapposto a molto (ha un c. ingegno; dopo un c. tempo) o anche voluta o generica indeterminatezza (sono stato con c. amici; ha quel c. non so che)”.
Come una carta geografica, che interpreta, e non dice “la” “verità”; come le continue interpretazioni che opacizzano e generalizzano ciò che invece, con maggiore e più etico impegno, potrebbe essere conosciuto nei dettagli, nella sua unicità, almeno in parte.
Come chi non riesce o non è riuscito ad amarci, e ci generalizza, ci cancella, ci nega, ci confonde con altri. E nasconde la nostra biografia dietro narrazioni prive dei nostri dettagli, delle nostre esperienze, dei nostri sogni, di ciò che ci rende quello che siamo e per cui dovremmo essere amati; ci tende tranelli, scompare dietro “certe” insondabili verità tutte e solo sue, ci offre morbidezze ma per ingannarci.
E noi, nonostante la pioggia ci abbia ridotto proprio male, noi (uomini e donne, in questo caso non faccio differenza di genere) siamo davvero le principesse quando ci capita di incontrare persone che ci ingannano e ci cancellano, anche se ai narratori generalizzanti non interessa sapere da dove veniamo e dove andiamo e perché siamo lì a bussare a quella porta. E, davvero, saremo proprio noi a raccontare più dettagli possibili di ogni biografia, di ogni fiaba. Perché le vite vanno conosciute, non giudicate e disprezzate. E, se possibile, amate.
Senza “certi”equilibrismi ingannevoli così tanto di moda.