Ardere

 

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Fa’ che arda il mio cuore

nell’amare il Cristo-Dio,

per essergli gradito.

(Dallo: Stabat mater liturgico)

 

Ardere.

Maria assieme a te, dinanzi alla croce di Gesù, il mio cuore arde al comprendere quant’è grande l’amore ricevuto.

Sono amato! Il mio cuore si stringe a commozione vedendo il tuo dolore e quello di Tuo Figlio, e riuscire a percepire come tanto dolore possa diventare amore.

L’amore di Dio trasforma, l’amore del tuo Figlio che mi sta davanti con te, mi spiazza.

Sento ardere il mio cuore, come se ritornasse a battere dopo tanto tempo, dopo tutto quel dolore che non voglio più ricordare, desidero solo dimenticare, ma non riesco. Sono sospeso tra passato e presente, mi accorgo che le mie lacrime diventano le Tue, il mio dolore, il Tuo, non sono più solo. Ora capisco che il dolore di Tuo Figlio, ha mutato il mio cuore in un luogo di amore e non più una memoria di sofferenza. Ecco perché può ardere.

Quanto dolore Maria, quanto dolore Gesù, io lo so, lo capisco e mi stringo a voi. Il dolore e l’amore si uniscono e dal cuore nasce la speranza.

 

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Un faro: la Parola che si fa testimonianza

Un faro: la Parola che si fa testimonianza%0A

 

 

LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Es 32,7-14

Salmo: 105 (106)

Vangelo: Gv 5,31-47

 

Nel Vangelo di oggi, troviamo molto forte l’invito di Gesù a credere, perché da esso proviene la vita. Una vita capace di affrontare il quotidiano, le proprie fatiche, con la consapevolezza di non essere soli e soprattutto con un faro: la Parola, capace di illuminare il buio del profondo mare dell’esistenza.

Gesù ha a cuore per noi un cammino di verità e non è solo distinguere bene o male, ma una conoscenza di Lui che parta dall’origine, ovvero: dal Padre, proprio per questo Egli dirà: “E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me”. Gesù ci fa conoscere il Padre e allo stesso tempo, il Padre ci testimonia il Figlio, attraverso una Parola che prepara il cuore alla Sua venuta. L’essere creati da Dio, non è solo averci dato l’esistenza, è scriverci nel cuore quelle Parole, il cui ascolto si riflette in noi e diventano vita.

Siamo il popolo di Dio, dove quel “di”, ha proprio il significato dell’appartenenza, del fare parte di Lui e quindi di una storia di salvezza.

La fede deve diventare fiducia, il credere concretezza ed è un’esigenza del cuore, poiché da lì, la Parola trova il suo luogo di ascolto, capace di riconoscere il volto del Padre, la mano del Figlio e attraverso lo Spirito, abitare in quest’amore, così da essere a nostra volta un faro di testimonianza.

 

 

Creati, uniti, amati

 

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LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Is 49,8-15

Salmo: 144 (145)

Vangelo: Gv 5,17-30

 

Il Vangelo della liturgia odierna, ci parla insistentemente di un’unità tra Gesù e il Padre. È un legame forte, tanto che Egli afferma: “Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco”. La bellezza di questa relazione è che non rimane ferma tra i due, ma si estende così da arrivare fino a noi. Siamo fatti partecipi di questa unione.

Se nella vita abbiamo fatto esperienza di relazioni, incontri, che a volte volgono al termine, il legame con Gesù e quindi con il Padre, è stabile nel tempo. Questo vuol dire, che la consolazione di Dio, il Suo perdono, il Suo amore sono per sempre, può capitare di non accorgersene e temiamo di essere dimenticati, ma non è così, le promesse di Dio sono eterne. Per rassicurare il cuore, Gesù ci invita ad ascoltare e credere in Colui che lo ha mandato, poiché sono i punti di forza su cui basare il nostro cammino.

La Sua Parola è vita, perché proviene dal datore della vita, ed è in grado di dare vita a tutte quelle parti di noi buie, “morte”, che dai nostri sepolcri gridano pietà. Non dobbiamo scoraggiarci e non dobbiamo mollare, Il Padre e il Figlio si uniscono a noi per donarci quella forza in grado di camminare e non sentirci come se non avessimo la terra sotto i piedi.

Il conforto del Padre, l’amore del Figlio, siano una certezza per la nostra vita a volte segnata da una storia difficile, tanto da credere impossibile tutto questo. Eppure è così: siamo creati dal Padre, uniti dal Figlio, amati per mezzo dello Spirito, che conduce il nostro cuore nelle strade verso Dio e i fratelli, e far germogliare in noi, novità di vita e di salvezza.

 

 

In attesa del ritorno

 

in attesa del ritorno

 

 

LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Gs 5,9a.10-12

Salmo: Sal 33 (34)

Seconda lettura: 2Cor 5,17-21

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32

 

Il Vangelo di questa domenica in Laetare, è la parabola del Padre e dei suoi figli. Oggi questo brano, ci viene incontro aiutandoci a comprendere, che possiamo sbagliare allontanandoci o addirittura rimanendo a casa, ed in entrambi i casi, abbiamo un Dio padre, che aspetta il nostro ritorno. Quello che accomuna i due fratelli e noi, è proprio Lui: un Dio la cui paternità, permette di uscire dal timore di essere visti per i nostri sbagli, e percepire come siamo guardati realmente: da figli!

L’amore di Dio rimane intatto nonostante il nostro sbaglio, l’errore non spezza il Suo essere in comunione con noi, quello che si rompe è la nostra capacità di riconoscerlo. Il padre di questo racconto, non ha smesso di amare i suoi figli, anzi, li ama con tutto se stesso, aspettandoli fuori, correndogli incontro.

Dio ci ama tanto e desidera che il Suo amore e la Sua Misericordia, siano un punto di partenza, e dove il peccato ha lasciato una frattura, un distacco, Egli la risana dal di dentro, affinché possiamo riconoscerci amati in maniera esponenziale.

Il perdono però non si ferma solo all’aver ristabilito un contatto con Dio, interpella il fratello, ci chiama al di fuori. Il Signore ci invita guardare gli altri con il Suo sguardo, che non è di condanna, la cui conseguenza è la morte, ovvero, non permettere all’altro di risalire da quell’errore etichettandolo, ma è uno sguardo di perdono per la vita!

“Era morto ed è tornato in vita” è la storia di tutti noi salvati, perduti e ritrovati da Dio, è il cammino di chi ha riconosciuto in sé una vita di Grazia, per cui davvero è possibile fare festa.

 

Per noi

 

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Maria, nella gioia della festa dell’Annunciazione, risuonano ancora più forti queste parole:

 

“Per noi ella vede morire                             

il dolce suo Figlio,                                    

solo, nell’ultima ora.” 

(Dallo: Stabat Mater liturgico)       

 

Per noi.

Tuo Figlio è sulla croce, solo, ha preso su di sé tutti i peccati e perdona.

Maria, quanto è grande il peso del tuo dolore.

Tu lo sapevi, e nel silenzio aspettavi, tacevi e lo accompagnavi, ed ora eccoci qui. Ci sono anch’ io sotto la croce, perché ha perdonato anche me.

Sono qui a contemplare in quel “per noi”, il mio nome.

Maria, vorrei toglierti questo dolore, non vorrei vederti soffrire e mi viene da gridarti con le lacrime agli occhi: ti prego perdonami!

Ed è proprio in quell’istante, che capisco perché siamo qui: per me, per noi, per toglierci quel dolore, che con tutte le mie forze io avrei voluto togliere a Te.

E mi sento guardato con amore da Te.

 

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Dolore

 

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“Quanto grande è il dolore                          

della benedetta fra le donne,                    

Madre dell’Unigenito!”

(Dallo: Stabat Mater liturgico)       

 

DOLORE.

Maria quanto è grande il tuo dolore presso la croce.

Tu che l’hai provato, allora puoi capire il mio, sembra quasi che si mischino in un abbraccio. Vorrei consolarti Maria, ma non so come fare perché a volte non riesco a consolare nemmeno me stesso.

Osservo te e Gesù sulla croce e leggo nel tuo sguardo il tuo dolore.

Non ci sono parole, chi ha conosciuto il dolore sa cosa vuol dire.

Non sono solo in questa stanza, nel mio cuore, ci siete voi e tutto il vostro amore.

Respiro.

L’amore fa respirare e nell’aria che esce dai miei polmoni, esce un po’ il mio dolore, l’avete preso voi e non solo il mio ma, quello di tutta l’umanità.

Quanto è grande l’amore.

 

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Dolore

La nostra esistenza è in quella voce

 

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LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Is 40,1-5.9-11

Salmo: Sal 103 (104)

Seconda lettura: Tt 2,11-14; 3,4-7

Vangelo: Lc 3,15-16.21-22

 

Il Vangelo di oggi con cui si conclude il tempo di Natale, ha a cuore dirci che con il battesimo di Gesù “il cielo si aprì”.

Cosa vorrà dire? Che Dio ha voluto stabilire con noi un legame, tanto da aprirci il cielo, affinché potessimo sentirci non più distanti da Lui. Ed è dal cielo, da Dio, che discende lo Spirito Santo con cui Gesù battezzerà e noi ricevendo questo battesimo, potessimo ricevere un pezzo di cielo.

Solitamente il battesimo per la maggioranza, lo sì è ricevuto da bambini e solo attraverso delle foto è possibile farne memoria. Tuttavia c’è qualcosa di più grande del ricordo che accompagna la nostra esistenza, ed è quella voce dal cielo che è per noi: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

È il Padre che ti riconosce come figlio e ha stima di te, e per quanto tu ti senta ancora lontano o in attesa, sei amato, voluto, perdonato ed il Suo amore è forgiato con il fuoco. “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”, un fuoco che non si spegnerà mai, per questo manda Suo Figlio, perché è Lui ad aspettarti.

Se anche questo momento dovesse arrivare dopo una vita intera, non importa, la tua vita è stata tutta amata, perdonata, voluta da sempre, dal principio, dall’inizio, perché prima che tu nascessi il cielo si era già aperto.

 

 

Una via, una strada, un posto

 

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LITURGIA DELLA PAROLA   (clicca qui)

Prima lettura: Sof 3,1-2. 9-13

Salmo: Sal 33 (34)

Vangelo: Mt 21,28-32

 

Due figli, due modi di agire in cui potremmo identificarci, potremmo essere entrambi in base ai periodi della vita, è come avere due strade, ma in verità la strada è una: quella che Gesù chiama la via della giustizia. Chiamandola cosi sembrerebbe la strada di chi fa scelte giuste, buone, corrette, invece è la strada della figliolanza dove si incontrano anche quelli che sbagliano, ma anche quelli che si pentono e credono. Credere in che cosa? Che siamo Figli, che apparteniamo a un Dio che è Padre e non importa cio che facciamo, ma importa riconoscere chi siamo. Ciò che sta a cuore al Padre è che noi ci riconosciamo su questa strada, perché solo attraverso quest’esperienza possiamo sentirci meno peccatori, meno lontani da Dio e più vicini tra noi. Accanto al termine figlio mettiamo il nostro nome, noi fratelli di strada, gioiamo di chi ci passa davanti perché ha riconosciuto dov’è; sentiamoci perdonati per tutte quelle volte in cui è stato più forte non avere voglia e ci siamo sentiti deboli. Ciò che conta è oggi, tu in qualunque condizione ti senta, sei un Figlio, sei colui che ha un posto nel cuore di Dio.