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Confronto tra i giovani e la politica

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Il fenomeno: e gli elettori scoprono il voto utile di protesta

Post n°1820 pubblicato il 16 Aprile 2008 da Antalb
 

Non è un voto stupido. Un piccolo imprenditore del Sud, qualche giorno fa, si lamentava di non poter votare Lega: «Qui da noi non c’è». Ma spiegava così le sue ragioni: «Non sono impazzito. Il Nord non mi interessa, ma sono stanco di tasse, di burocrazia, di sprechi, di soldi che vanno agli scansafatiche. L’unica cosa che io chiedo a chi governa è di non rompermi le scatole». Egoismo? No stanchezza.
L’antipolitica, questa volta, non si è riversata in rivoli sterili, ma ha scelto strade concrete, utili, con un significato chiaro. Non ha vinto la protesta qualunquista. Non ha vinto la rabbia, il sarcasmo nichilista, la voglia di piazza e di estremismo. Non ha vinto neppure la diserzione, che pure c’è stata, ma ha inciso poco. È stato un voto consapevole. Il sentimento antipolitico ha scelto il volto di Bossi e Di Pietro. E in qualche modo appare come una scelta matura. È il voto inutile che ha trovato una dimensione politica.
Non c’è solo delusione in queste scelte, c’è anche un grammo di speranza, di fiducia. Non basta più l’indignazione o il salame nella scheda elettorale, questa volta si chiede, si pretende, che qualcosa cambi. Gli italiani hanno scelto il bipolarismo, con un Parlamento un po’ più razionale, due partiti forti, due alleati in crescita e fuori le frattaglie, le mezze misure, i velleitari, gli irrisolti e tutte le soluzioni senza sbocco. Si è voluto scremare il voto inutile. Ecco allora il successo dell’Italia dei Valori. Di Pietro, che conosce le piazze di paese, ha intercettato la folla che applaudiva le invettive di Grillo. Ha indossato i panni di Bertoldo, con quel dialetto molisano ruspante, ma le parole che ha usato hanno lo stesso suono giacobino del comico genovese. La legalità, l’ordine, la rabbia contro i nani della politica e gli gnomi della finanza, il buon senso contadino che chiede strade, cantieri e lavoro per i muratori. Di Pietro è quello che si vota ogni volta che vedi passare un’auto blu. È la risposta dell’Italia un po’ reazionaria, da pasta e ceci, che ancora non ha capito cosa ci sia di bello nel Grande Fratello. È un voto di chi ha ancora in casa le vecchie credenze e il pane raffermo. Dialetto e vino non annacquato. Ma Di Pietro fa concorrenza anche a Bertinotti, perché strappa alla sinistra confusa nell’arcobaleno, e orfana di falce e martello, moralismo, giustizialismo, rivendicazione contro le storture del destino e quel sentimento d’invidia che c’è in ogni buon giacobino. Di Pietro è il voto utile di chi da sempre dice: che c’azzecca . È l’antipolitica che odia la casta, ma resta sempre un bel po’ statalista e non ha ancora messo da parte la questione meridionale.
L’antipolitica liberista è più di casa al Nord. La Lega ha raccolto l’antico mugugno di chi apre il negozio quando la nebbia è ancora alta. Gente che sente il freddo nelle ossa e annusa all’orizzonte aria di tempesta. E poi passa i giorni a litigare con il commercialista e a bestemmiare contro lo Stato predone, che non si accontenta mai, con tutti quei discorsi sul debito pubblico, sulle casse da risanare, sul valzer dei tesoretti, sul rischio inflazione e gli interessi che salgono. Sono gli stessi che hanno divorato i libri sulla casta, sugli sprechi, sulla munnezza, sui privilegi dei sindacalisti. È l’Italia un po’ calvinista, che non si vergogna della religione del lavoro, convinta in fondo in fondo che i disoccupati cronici non sono senza peccato. Il resto poi dipende dalla cultura e dalla sensibilità. Qualcuno sconfina nel razzismo e mette a mollo l’intelligenza quando dice che i «neri ci rubano il lavoro». Qualcun altro blinda la porta di casa a doppia mandata e trema ad ogni accento romeno o albanese. È la paura che vedi negli occhi delle ragazze che passano veloci davanti ai bar alle cinque della sera, quando i «bravi ragazzi» venuti da lontano lanciano sguardi senza pudore e parole, e risate, che intuisci senza capire.
Il voto leghista mostra i muscoli in Lombardia, Veneto e Piemonte, ma fa sentire il suo peso nell’intraprendente Emilia, dove il comunismo è in salotto, ma il capitalismo è ben saldo in cucina. Tutti questi qui non chiedono a chi governa effetti speciali. Vogliono solo sentirsi più ricchi e più sicuri. E magari anche un brandello d’identità.

 
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