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Attaccato al muro insieme all'ombra XXXVI
Post n°266 pubblicato il 07 Novembre 2016 da deteriora_sequor
Mi ripulii lo sporco dell'asfalto e tentai di mantenermi eretto mentre cercavo la mia automobile in mezzo alle poche che erano rimaste. Avevo le gambe come bambagia e delle nuvole fitte ficcate proprio dentro al cervello. Tentavo di orientarmi ma oscillavo e impiegavo troppo tempo a fare pochi passi. Al termine, dopo un tempo indefinito, toccai la carrozzeria della mia automobile e mi ci aggrappai, stremato. Salì al posto del guidatore e rimasi per qualche attimo intirizzito e stravolto. Il pensiero di Danilo che mi cacciava dalla stanza di mio padre mi faceva ribollire il sangue, così come il trattamento che avevo ricevuto da parte del personale infermieristico. Girai la chiavetta di accensione e misi in moto pur non sentendomi fisicamente in grado di condurre il mezzo. Ma l'importante era lasciare il mio fratellastro a piedi. In qualche maniera riuscì a distinguere il dedalo di viuzze che portava fuori dalla clinica e mi avviai, poi, su strade più ampie e percorribili. La sedazione non riusciva ad arrestare il bruciore dell'umiliazione subita e mi conduceva verso casa lasciando alle spalle Danilo, che avrebbe penato non poco per trovare un bus che lo lasciasse dalle mie parti. Era una vendetta forse stupida ma molto appagante e mi sentivo incendiare dall'eccitazione per la rivalsa sul fratellastro che mi aveva trattato come una fastidiosa zanzara sul viso del padre. L'avrei ripagato con la stessa moneta e avrei messo in chiaro i rapporti gerarchici all'interno della casa. Quello era l'appartamento dei miei genitori e lui era solo un ospite tollerato a malapena. Non aveva nessun diritto di alzare la cresta. Con l'incombere del buio parcheggiai sotto casa e salì le scale. La sedazione si stava attenuando e mi chiesi se tanto dello spirito angelico di Danilo non fosse dovuto alle pastiglie che ingurgitava. Avevo sperimentato sulla mia pelle la potenza di quel concentrato chimico e la sua resistenza al trascorrere delle ore. Entrai e non accesi le luci; mi ricordavano l'obitorio dove mia madre stava ora a riposare in una delle cellette apposite. Le luci violente sono fatte apposta per scassare il cervello e dislocare la riconoscibilità dei luoghi e dei sentimenti. Entri in posti simili come un pezzo di ghiaccio ed esci pezzo di metallo. Così a tentoni trovai il divano e mi raggomitolai alla ricerca di un atollo dal quale potessi vedere il mare della disgrazia che mi circondava. Ebbi comunque un'illuminazione e andai a prendere il mozzicone di una candela. Lo misi in sicurezza e accesi. Così come il suono della sveglia anche l'odore della cera mi riportava a una sensazione di serenità e sicurezza. Fissavo rapito le ombre che il mozzicone disegnava sul muro, oscillando fra brutte grinte e visioni infantili pacifiche e affettuose, poi mi incantavo a non staccarmi dalla fiammella, che sorgeva impetuosa sotto i miei occhi e rifletteva un mare galattico in fiamme, un universo fatto ancora di sogni e incubi da decenne. Mi gettai addosso il giaccone sul divano mentre stavo appisolandomi. Danilo era lontanissimo. sotto una pioggia che si era fatta nuovamente torrenziale, senza ombrello (entrambi erano nel mio bagagliaio), sperso e spaurito. In quei precisi istanti mi augurai che morisse, che venisse ingoiato dalla notte periferica e cadesse in crisi di panico con conseguente infarto. Questo provai prima di svegliarmi nel dolce mattino con la faccia del fratellastro a pochi centimetri dalla mia. (Continua) |
Inviato da: cassetta2
il 29/07/2024 alle 22:28
Inviato da: Word_User
il 07/05/2021 alle 00:00
Inviato da: cassetta2
il 02/09/2020 alle 09:18
Inviato da: angi2010
il 18/04/2017 alle 23:29
Inviato da: deteriora_sequor
il 14/02/2017 alle 09:28