Creato da AngeloSenzaVeli il 04/06/2013

Un Anima a nudo

con pregi e difetti...

 

Cappuccetto Rosso e la verità inquietante dietro una delle fiabe più famose...

Post n°188 pubblicato il 13 Settembre 2021 da AngeloSenzaVeli

Cappuccetto Rosso è una fiaba conosciuta in tutto il mondo. Di questa ne esistono molte versione, ma le più conosciute sono due. La prima scritta da Charles Perrault nel 1697 e la seconda scritta dai famosi fratelli Grimm nel 1857.


Cappuccetto Rosso, le varie versioni


Charles Perrault con la sua storia intitolata Le Petit Chaperon Rouge fa conoscere e diffondere la fiaba in tutta Europa. La sua versione, rispetto a quella dei fratelli Grimm, si avvicina molto di più ai racconti popolari da cui si è ispirata, infatti, la incluse alla sua collezione di racconti popolari. La storia che Perrault conosceva aveva origine nelle Alpi settentrionali, veniva tramandata in forma orale da secoli ed era radicalmente differente da quella che conosciamo oggi. È breve e coincisa e alla fine viene anche esplicitamente spiegata la morale. In poche parole la versione di Perrault non ha un lieto fine e consiglia ad ogni giovinetta di stare molto attenta agli sconosciuti. Cappuccetto Rosso infatti muore mangiata dal Lupo, che metaforicamente significa che uno sconosciuto ne ha approfittato e poi ucciderla.


Innanzitutto, quando il lupo incontra la fanciulla nel bosco, le chiede quale sentiero preferisca percorrere, tra quello delle spille e quello degli aghi. I nomi non sono casuali. In molti villaggi francesi situati proprio nell’area in cui si crede che la favola abbia avuto origine, all’età di 7 anni le ragazze cominciavano il loro lavoro come apprendiste alle dipendenze di una sarta. Il periodo di apprendistato terminava con il compimento del 15esimo anno d’età, quando la ragazza diventava ufficialmente adulta. Durante gli anni di apprendistato, ogni ragazza accumulava e teneva per sé alcune spille. Per questo, la spilla era considerata il simbolo della ragazza che diventa donna: con una spilla si festeggiava il fidanzamento e allo stesso tempo la si poteva all’occorrenza usare come piccola arma contro spasimanti indesiderati. Cappuccetto Rosso ha proprio 15 anni. L’ago era invece comunemente associato a una simbologia sessuale e molto spesso era usato per rappresentare il matrimonio. In alcune delle versioni tramandate Cappuccetto Rosso sceglie il sentiero delle spille, in altre quello degli aghi.


Il lupo, che si precipita a casa della nonna della ragazza, uccide la vecchia, ne divora una parte, ripulisce i resti, versa il sangue in una bottiglia, e ripone ordinatamente la carne nella dispensa. Una tradizione italiana aggiunge addirittura che prima di andare a letto il lupo “appende le viscere della sua vittima alla porta al posto del catenaccio e mette in serbo nella credenza il sangue, i denti e la mascella”. La ragazza, entrando, afferra quindi le viscere della nonna senza rendersene conto.


Il lupo, tutto imbacuccato a letto, invita Cappuccetto Rosso a preparare la cena e a gustarsi il delizioso pasto accanto al fuoco. Al primo boccone le sussurra: “Stai mangiando la carne di tua nonna!”, e una versione proveniente dal comune francese di Tours aggiunge addirittura che la ragazza mangia i seni dell’anziana signora.


Ma non finisce qui. Prima di invitarla a ficcarsi sotto le coperte con lui, il lupo le ordina di spogliarsi nuda: “Getta i tuoi vestiti nel fuoco, bambina mia; non ti serviranno più”. In alcune versioni addirittura il lupo pretende che la ragazza si spogli ancor prima di mangiare. La storia si conclude inevitabilmente con il lupo che divora Cappuccetto Rosso.


Nella Francia di fine Seicento questa storia non poteva funzionare. Per questo, Perrault decise di indorare la pillola ed eliminare tutte le scene più cruente, mantenendo comunque il finale tragico. Perchè non optare per un lieto fine? Semplice, perché per la sua raccolta Perrault aveva in mente un target ben preciso, quello dei bambini. Il finale svolgeva in questo senso la funzione di spaventare i bambini per scoraggiarli dal dare ascolto agli sconosciuti. La maggior parte dei genitori non aveva tempo per badare ai propri figli durante la giornata ed era indispensabile che gli stimoli che ricevevano fossero particolarmente convincenti, abbastanza da dissuaderli dall’avventurarsi in giro per conto proprio. La storia quindi faceva sì che il lettore si affezionasse al personaggio di Cappuccetto Rosso, per poi rimanere terribilmente colpito dalla sua macabra fine.


Ma allora quando arriva il cacciatore? L’uomo che interviene per salvare la ragazza e la nonna squarciando il ventre del lupo fu inventato dai fratelli Grimm nel 1812. Cappuccetto Rosso divenne così la favola che conosciamo oggi, completamente epurata da qualsiasi perversione ed elemento macabro, portatrice di una morale ma pur sempre con il lieto fine che serviva per conquistare i cuori dei bambini dell’era vittoriana.


La versione dei fratelli Grimm nasconde il vero significato della fiaba e le concede un lieto fine. Leggere un lieto fine non dà sicuramente lo stesso effetto ed insegnamento di un finale cruento che purtroppo, per la maggior parte delle volte, rispecchia la realtà. In ogni caso i Grimm volevano che questa fiaba fosse fruita con leggerezza dai più piccini e quindi, grazie a loro, la fiaba evade i confini che fino a quel giorno aveva avuto. Da quel momento tutto il mondo ne viene a conoscenza.


La vera storia


La prima stesura ufficiale della fiaba, come citato prima, risale al 1697. Di conseguenza se questa si è basata su storie popolari trasmesse oralmente non possiamo che intuire che la vera storia derivi almeno dal Medioevo. In particolare possiamo parlare di Basso Medioevo durante il quale carestie e pestilenze devastavano la popolazione. In questo contesto si sviluppa anche il cannibalismo europeo, un metodo macabro per non morire di fame. Durante questo periodo nasce anche la fiaba di Hansel e Gretel che racconta come i genitori furono costretti ad abbandonare i figli per l’impossibilità di recuperare del cibo sufficiente per tutti.


I simboli


Ma vediamo nello specifico i significati dei simboli contenuti all’interno della fiaba di Cappuccetto Rosso. Per esempio abbiamo la mantella rossa e il bosco che sono riferimenti espliciti della prostituzione di quel periodo. Le prostitute francesi infatti indossavano capi rossi per farsi riconoscere e la fiaba, dunque, invita le giovani donne a non prostituirsi per evitare di cadere in fauci pericolose.


Infanticidio, violenza sessuale e pedofilia erano reati molti diffusi durante il Medioevo e questa fiaba ne è la prova. Cappuccetto Rosso infatti, ingenua, entra nel letto insieme al Lupo (in alcune versioni la piccola addiruttura si spoglia prima di entrarvici) per poi finire violentata e “mangiata”. In questo senso Perrault fu particolarmente esplicito perchè alla fine del suo racconto spiegò in modo diretto che le ragazzine dovevano stare molto attente agli sconosciuti.


Poi abbiamo anche il cannibalismo, che come abbiamo già potuto evidenziare, era particolarmente diffuso durante il Medioevo. In alcune versioni il Lupo mangia la nonna e a sua volta lo fa anche Cappuccetto Rosso. Il riferimento all’antropofagia di conseguenza non può essere puramente casuale.


Oggi, la ricerca di “Cappuccetto Rosso” in Google News restituisce esattamente 2.440.000 risultati. Ma come ha fatto un racconto a sopravvivere per oltre 500 anni e ad acquisire una tale popolarità? Semplicemente si è evoluto di pari passo con la società. Nato come raccomandazione all’umanità intera in una società in cui il valore della vita umana ー specialmente quella della donna ー era pressoché nullo, si è adattato alle nuove regole morali trasformandosi in un monito severo per adulti e bambini, assumendo le sembianze di un concreto strumento educativo per le nuove generazioni.

 

 

 “Le fiabe sono di natura migratoria: viaggiano nel tempo e nello spazio, attraverso secoli e continenti, ma anche attraverso gli strati sociali, descrivendo di volta in volta un itinerario di discesa o di ascesa, catturate nel circuito di una narrazione che si riproduce e trasforma incessantemente gli ascoltatori in narratori e viceversa.”

- Italo Calvino -

 

 

 
 
 

Cappuccetto rosso ha il suo perché...

Post n°187 pubblicato il 09 Settembre 2021 da AngeloSenzaVeli

 C‘era una volta una piccola bambina chiamata Cappuccetto Rosso…


La fiaba di Cappuccetto Rosso è una classica rappresentazione dei passaggi evolutivi dall’infanzia all’adolescenza, alla maturità, alla vecchiaia…


Riguarda in particolare quel delicato passaggio nella vita di una donna caratterizzato dalla comparsa del menarca, cioè la prima mestruazione. Ma anche l’incontro con il maschile, la prima esperienza sessuale, la perdita della verginità. In effetti nell’iconografia classica Cappuccetto Rosso è vestita di bianco e di rosso, che riporta alla mente l’idea di un tessuto macchiato di sangue.


Quando Cappuccetto Rosso saluta la Mamma per andare a trovare la Nonna, in realtà sta cominciando il suo Viaggio nella Vita. Per trovare la Nonna (Il Sé) occorre attraversare Il Bosco (L’Esperienza della Vita, il Mistero dell’Amore e della Morte, lo Spirito, l’Inconscio Personale). L’incontro con il Lupo rappresenta, tra le altre cose, la Perdita dell’Innocenza, ma è proprio grazie a quell’incontro che la piccola e ingenua bambina potrà diventare una donna adulta e matura e potrà imparare a riconoscere la propria Essenza (La Nonna, cioè l’archetipo del Saggio) dalla Maschera Sociale (Il Lupo travestito).


Il lupo e cappuccetto rosso. Il Lupo rappresenta anche l’incontro terribile con la propria Ombra, (Il Diavolo) la cui astuzia è appunto quella di proporre comode scorciatoie ma in realtà di sviarci dalla retta via (Lo Scopo della nostra Vita). Il Viaggio è pieno di rischi e di pericoli, ma va affrontato o non avremo mai l’opportunità di contattare la parte più autentica e profonda del nostro essere.


Quale storia potremmo raccontare se Cappuccetto Rosso di fronte alle prime difficoltà fosse tornata indietro di corsa e non fosse più uscita di casa…?


E quanti di noi invece di affrontare e risolvere i problemi, i conflitti, le paure, (Draghi) preferiscono rifugiarsi in un mondo illusorio e rinunciare poco per volta ai propri sogni…?


Invece è bello essere adulti, sentire il proprio potere di realizzazione nella vita pratica e concreta (il Sovrano), è bello avere fede in noi stessi e sapere che possiamo realizzare tutti i nostri sogni (il Mago) è bello avere fatto esperienza della vita, essere passati attraverso mille pericoli e avere fatto mille esperienze e avere tratto importanti insegnamenti (il Saggio). È bello soprattutto scoprirsi adulti ma non cinici, maturi ma non rassegnati, con doveri e responsabilità magari pesanti, con scelte difficili da fare talvolta, ma pur sempre gioiosi e capaci cogliere la bellezza di ogni attimo che passa (il Folle).


Quando Cappuccetto Rosso si rende conto di essere stata ingannata è ormai troppo tardi. Il Lupo la divora, come spesso ci accade quando ci facciamo risucchiare da situazioni o da persone che non ci piacciono e non ci corrispondono (Il Distruttore Ombra).


Ma è a questo punto che occorre imparare a sguainare la spada, a difendere i propri confini, a ristabilire i termini autentici di una relazione. Il Cacciatore è l’archetipo del Guerriero che squarcia la pancia del Lupo e riporta le cose alla loro natura, che ristabilisce l’ordine naturale. Cappuccetto rosso e la Nonna escono illese dalla pancia del Lupo. La Grazia divina vivificatrice può sempre far risorgere ciò che sembrava morto, può sempre restituire ciò che sembrava perduto per sempre. (il Lasciar Andare)


Qui si conclude il viaggio di cappuccetto rosso come simbologia di vita, nel prossimo post vi farò legger invece ben 3/4 finali diversi per questa storia ben più antica di quanto si pensi e dai risvolti a volte macabri che rispicchiano la società dell'epoca ed i suoi autori con le  varie rivisitazioni.


Una piccola anticipazione...  la mantella rossa e il bosco sono riferimenti espliciti della prostituzione di quel periodo. Le prostitute francesi infatti indossavano capi rossi per farsi riconoscere e la fiaba... 


Continua al prossimo post...


 

Il lupo sarà sempre cattivo, se ascoltiamo solo cappuccetto rosso... Essere il lupo cattivo nel racconto di qualcuno è molto comune, tuttavia, in molti casi è necessario analizzare la persona che si trova sotto il cappuccetto rosso...


 
 
 

Anatomia di una convivenza...

Post n°186 pubblicato il 08 Settembre 2021 da AngeloSenzaVeli


 
Oggi parliamo di... OMBRA... quella strana cosa descritta in modo scientifico cosi : è l'area scura proiettata su una superficie da un corpo che, interponendosi tra la superficie stessa e una sorgente luminosa, impedisce il passaggio della luce. 

Questo strano fenomeno su di cui si è lavorato tantissimo con la fantasia a partire dalla celebre ombra di Peter Pan , o l'ombra che preannuncia l'arrivo del cattivo... quella che di notte si allunga sotto un lampione  ed inizia la musichetta da suspence... o all'ombra con tanto di coltello proiettata sulla tenda della doccia... e infine la famosa ombra del Nosferatu alias il nostro Dracula... comunque sia queste ombre hanno sempre comune denominatore che ora vedremo.

Ma secondo me è meglio disquisire dell' ombra più celebre e meno menzionata , ossia, il nostro lato ombra. Il nostro lato ombra chiamato anche lato oscuro, da sempre sinonimo di malvagità.

Dentro ognuno di noi si muove guardinga un’Ombra. Dietro la maschera che ogni giorno indossiamo, per nostro compiacimento o per quello altrui, occultato abilmente dietro il volto, il sorriso, le diverse espressioni mimiche che “esponiamo” al resto del mondo, vive un altro lato della nostra personalità
Ciascuno di noi ama costruirsi un’immagine di sé: ci piace immaginarci, intelligenti, generosi, capaci, con un buon carattere, rispettosi, bravi padri, brave madri, bravi studenti, dotati di particolari qualità, ecc.

In realtà, presa nel suo insieme la personalità possiede altre qualità di natura inferiore e di cui non siamo affatto consapevoli e coscienti. Il nostro lato Ombra ci pone faccia a faccia con tali qualità inferiori: brutalità, tradimento, crudeltà, violenza, odio, astio, cinismo, invidia, gelosia, ecc. 

Jung teneva in grande considerazione l’“acquisizione della coscienza” che la comparava, usando un linguaggio metaforico, al più squisito frutto dell’“albero della vita”, pur riconoscendo che, senza alcun dubbio, il processo della coscienza, gettava il seme della frantumazione della continuità della Personalità totale, della dissociazione delle parti superiori dalle parti inferiori.

L’Ombra personale, stando alla interpretazione data da Jung stesso, è una parte inferiore della personalità, un segmento includente i tratti delle qualità inferiori e indifferenziate; sono tratti deficitari e spesso negativi. 

Nel 1917 descrive in modo alquanto suggestivo questo aspetto della personalità umana accostandolo ad una sorta di alter ego : ”è ”un altro”, un uomo reale che pensa, fa, sente e aspira a tutto ciò che è riprovevole e degno di disprezzo. L’uomo integro però sa che anche il suo più spietato nemico, anzi un’intera schiera di nemici, non vale, quell’unico tremendo avversario, quell’ ”altro” che è in lui, che “abita nel suo petto”.
 
Insomma un pericoloso mister Hyde alberga in ciascuno di noi.

Oggi sappiamo, senza però comprenderlo fino in fondo, che la luce – composta da particelle chiamate fotoni – è sia corpuscolare che ondulatoria, ovvero che si può comportare – a seconda dei casi e dell’osservatore – sia come una particella sia come un’onda. È questo uno dei tanti apparenti paradossi del mondo della fisica quantistica, gli stessi paradossi che nascono tra coscienza e inconscio quando ci addentriamo nel mondo della psiche, gli stessi paradossi che Jung inizio ad intuire essere presenti così come nel mondo subatomico anche nel mondo psichico.

In psicologia – l’ambito d’interesse primario in questo contesto – sappiamo bene che la Luce è da sempre stata un simbolo della coscienza. Le comparazioni letterarie, religiose, antropologiche, mitologiche e psicologiche ci dimostrano sempre questo costante abbinamento luce-coscienza.

L’Ombra, come abbiamo appena visto, è un archetipo potente, è il contenitore di tutto quello che ci è mancato nel bene e di tutto quello che abbiamo ricevuto nel male. É quindi il nostro Alter Ego, il Nemico, l’Antagonista, quello che nei miti e nelle fiabe interpreta il ruolo del cattivo e che spesso viene rappresentato sotto forma di mostro, drago o demone. Ogni nostra sofferenza deriva dal venire sopraffatti dall’aspetto negativo di un archetipo (il lato Ombra) che dobbiamo imparare prima a vedere e riconoscere, e poi a dominare, contrastare, opporgli resistenza.

La maggior parte della nostra Ombra deriva dalla repressione delle emozioni che scivolano nell’inconscio e diventano sempre più potenti perché non le viene permesso di esprimersi: l’Io deve imparare a riconoscere le emozioni negative ed esprimerle in qualche modo (catarsi, sport, arte, ecc.), perché solo così può contattare le emozioni positive che si trovano ad un livello più profondo.

Resta di fatto che l'ombra è la parte di noi che dobbiamo riconoscere
 e integrare poiché senza di essa non saremo completi.

Qui mi fermo perchè di ombra si può scrivere e parlare per ore,
una chicca... al prossimo post vi raccontero una fiaba... ;)



selezione musicale : Black_Opium
xXx
«Non raggiungeremo mai la nostra totalità,
se non ci assumiamo l’oscurità che è in noi,
poiché non c’è corpo che,
nella sua totalità, non proietti un’ombra,
e questo non in virtù di certi motivi ragionevoli,
bensì perché è sempre stato così e perché tale è il mondo».

- Carl Gustav Jung -




 
 
 

Il dubbio colui che esclude ragioni distorcendone i pensieri...

Post n°185 pubblicato il 07 Settembre 2021 da AngeloSenzaVeli

 


A volte basta una domanda o un esternazione per far vacillare tutte le nostre certezze, siamo cosi snaturati dal nostro essere da cedere all'incertezza, da cui risulta un’incapacità di scelte, essendo gli elementi oggettivi considerati insufficienti a determinarle in un senso piuttosto che in quello opposto o vediamo la cosa da una prospettiva diversa scindendo il dubbio dalla forma dell'incertezza e dandogli una se pur vaga forma di scetticismo alla ricerca della verità ?

 

Per Socrate, il dubbio si concilia con la verità, che è la consapevolezza di sé, a partire dalla quale egli riconosceva come falsa e illusoria ogni forma di sapere che non derivi dalla propria interiorità, per Cartesio invece il dubbio non è scettico, ma metodico, cioè ogni affermazione deve passare attraverso il dubbio per arrivare a una certezza. 

 

Quando rimaniamo ancorati alle nostre certezze e non le mettiamo in discussione, quando un discorso fatto con un’altra persona non ha la funzione di un vero e proprio “dibattimento”, ma vuole solo affermare, a tutti i costi, la nostra opinione e la nostra superiorità... cerchiamo di instillare il dubbio.

 

Assistiamo a ciò già da molto tempo, quando, con prepotenza, si afferma la propria opinione senza lasciare alcuno spazio al dubbio, anzi creandoli. Quando, insomma, si dimostra stoltezza più che intelligenza.

Purtroppo, questa non è l’epoca del “sapere” , ma, spesso, l’epoca della Tuttologia e della improvvisazione, dove chiunque può dire (e praticamente ovunque) qualsiasi cosa su tutto...

 

Non cedere alla tentazione delle proprie certezze, e riflettere prima di agire. Il dubbio ci aiuta anche ad avere un senso del limite, a non sentirci onnipotenti e infallibili. Ma attenti a distinguere tra il dubbio sano e quello patologico che porta a domande infinite.

 

Ritorniamo a dubitare,  ad interrogarci con noi stessi quando siamo troppo convinti di essere dalla parte della verità, e non riusciamo ad ascoltare le ragioni degli altri. “Io sono fatto così, e non cambio idea…“: quante volte avete sentito questa frase? Bene: non è un segno di intelligenza, semmai una prova di debolezza. Perché dubitare è innanzitutto un gesto di forza, di autorevolezza del nostro pensiero.

 

Il dubbio ci aiuta ad avere un senso del limite, a non considerarci né infallibili né onnipotenti. A essere uomini, con tutte le relative debolezze, anche se con le nostre forze. «E ciò aiuta ad affrontare la vita e la sua complessità, mentre prendere decisioni in modo affrettato, senza avere sondato il terreno del dubbio, può portarci dritti sulla strada dell’errore irreversibile» spiega la psicologa Elisabetta Albieri. 

 

E qui va distinto il dubbio “sano” da quello “patologico”. Il primo è quello che trascina con sé una serie di domande prima di arrivare a una risposta soddisfacente; il secondo è nocivo perché si riduce ad un accavallarsi di continue domande alle quali non riusciamo a dare neanche una sola risposta convincente. 

 

Quindi, coltivare i dubbi, ma cercando di scegliere sempre quelli che ci portano avanti, scansando quelli  dalle  infinite domande...


xXOXx


 


“Dubita che le stelle siano fuoco;

dubita che il sole si muova;

dubita che la verità sia mentitrice:

ma non dubitare mai del mio amore.”

- Shakespeare -

 

 

 

 
 
 

La cleptomania nella terapeutica artistica...

Post n°184 pubblicato il 01 Settembre 2021 da AngeloSenzaVeli

Il Corpo e l’Amore...

La cleptomania è definita come l’incapacità di astenersi dalla voglia di rubare oggetti per motivi diversi dall’uso personale o di lucro. Descritta per la prima volta nel 1816, la cleptomania è attualmente classificata in psichiatria come un disturbo del controllo degli impulsi [1].


La cleptomania non è delineata quale voglia di rubare oggetti ma, molto più precisamente, come un’incapacità ad astenersi dal farlo. Già da questa semplice affermazione si dovrebbe evincere che il desiderio del furto è innato nella natura umana e l’eventuale spartiacque fra la salute e la patologia si gioca sulla capacità o meno di resistere a tale desiderio.


Ai fini artistici e terapeutici risulta interessante soffermarsi sulla componente di desiderio nell’impulso cleptomane.


Quando si parla di desiderio, si parla sempre d’amore. Ed il territorio del desiderio e dell’amore, nella nostra esperienza incarnata, è spesso un regno pericoloso, dove il soggetto e l’oggetto d’amore possono soffrire di una lontananza incolmabile, fisica e di mutua comprensione. E dove la reciprocità dell’amore così fallisce, nell’incapacità del soggetto di farsi oggetto e dell’oggetto di divenire soggetto.


C’è un unico luogo umano, dove godere dell’onere e dell’onore della piena responsabilità del rapporto d’amore. Ed è il proprio corpo e nel proprio corpo. Nell’amore per se stessi (come d’altronde anche nell’estasi religiosa, per la particolare identificazione con il Divino) si può sperimentare pienamente l’altalena misteriosa di essere al contempo oggetto e soggetto d’amore. E solo l’amore per se stessi insegna a proiettare, in maniera sana, l’oggetto d’amore sull’altro, senza frustrazione alcuna.


L’Arte è per definizione un’attività d’amore ed edonistica in primis per se stessi. Un’attività autoerotica, prima di essere erotica, dove il piacere è innanzitutto un dialogo con se stessi, attraverso la materia, prima di divenire un dialogo di piacere con l’osservatore esterno.


L’Arte, da un punto di vista creativo e terapeutico, offre il suo corpo/materia, per sperimentare il piacere ed imparare al contempo il piacere, il sottile mistero del toccare ed essere toccati. Ed è un corpo “altro”, nuovo, dove le proprie piaghe e ferite non sono ancora rappresentate (ed è nostra scelta, conscia o inconscia, il farlo eventualmente).


Come ogni altro pensiero e consapevolezza umana, anche l’Amore giunge alla coscienza, passando per la corporeità. Ed il corpo della materia artistica è un corpo fanciullo e puro, di cui vestirsi infine, sperimentando la rinascita. Un corpo tutto da vivere. Piacevolmente.


Se la cleptomania, come qualsiasi altro disturbo del controllo degli impulsi, dimostrasse di recare con sé, dal punto di vista psicoterapeutico, un primigenio “vuoto d’amore” o un vuoto nella genesi dell’amore, allora è all’Amore in primis che la Terapeutica Artistica potrebbe guardare. E l’Amore è un flusso continuo e mobile di dare ed avere, di cui nessuna fotografia potrà cogliere davvero l’eterno movimento. In quel flusso, noi lavoriamo.

 

[1] Shulman, Terrence Daryl, Something for Nothing: Shoplifting Addiction & Recovery, Haverford, PA: Infinity Publishing, 2004.

 Passo le mie mani

sul tuo corpo

come un archeologo.

L’amore è leggere il sacro

seppellito nei corpi,

è quella cosa che si sgretola,

fa cadere le vernici,

rivela il fondo d’oro,

l’archivio di luce

da cui veniamo.

 

 

 

 

ringraziamenti

 
 
 

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