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IL BISCOTTO DELLA FORTUNA

Post n°1319 pubblicato il 11 Maggio 2012 da non.sono.io
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Quando vado a cenare in un ristorante cinese mangio sempre di fretta perché l’unica cosa che mi interessa è arrivare alla fine, quando ti portano il conto accompagnato dai biscotti della fortuna. C’è in giro una grande sottovalutazione dei biscotti della fortuna. Già dal nome nessuno rende loro giustizia, perché li si accomuna puerilmente a uno sciocco talismano, mentre in realtà la loro capacità divinatoria era nota già agli antichi egizi (in verità me lo sono inventato, ma tanto tutto era già noto agli antichi egizi: gli antichi egizi si sono estinti per noia).
Il biscotto della fortuna, solitamente a forma di stronzetto piegato su se stesso, è fatto di un impasto la cui ricetta è gelosamente custodita solo in siti culinari cinesi, e quindi scritti solo in cinese proprio come i messaggi che contengono. Gli sviluppatori dei biscotti italiani infatti hanno non poche difficoltà ad estrarre il responso dalla copia originale. Per questo nella maggior parte dei casi non ci si capisce nulla. Ma non è un difetto, anzi, è uno stimolo alla fantasia, una possibilità per arricchire con la propria interpretazione un messaggio che altrimenti sarebbe dozzinale. E poi, per i più duri di comprendonio, dietro è allegata la traduzione in inglese che nella maggior parte dei casi non ha nulla a che vedere con il corrispettivo in italiano.
A me ieri è capitato questo messaggio: “Devi fare solo, meglio.” (liberamente tradotto dall’inglese “You can, if you want.”, che a sua volta è stato tradotto dal cinese “mirugano cwian tu”, che vuol dire più o meno “Sai l’ora?”). 
Cazzo. Il responso è abbastanza chiaro, ma dissemina sulle mie poche certezze un dubbio atroce: cosa di preciso devo fare da solo? Mi guardo intorno facendo attenzione a che nessuno abbia spiato dal bigliettino, poi lo piego con cura e me lo infilo in tasca.
Fare da solo. Dunque, di pippe non può parlare perché da quel punto di vista ho la coscienza apposto. Sarà vivere da solo? Viaggiare da solo? Lavorare da solo? O semplicemente devo farla finita di chiedere alla mia compagna di sbucciarmi lei la mela a fine pasto? No, non può essere così perfido un bigliettino contenuto nei biscotti della fortuna. Dannazione, mi brucia lo stomaco per il nervoso, non riesco a capire a cosa si riferisce.  Così faccio il vago e prendendo il discorso da molto lontano, iniziando a discorrere con il mio compagno di tavolo della guerra di indipendenza americana, poi di santoni indiani per poi giungere al problema dell’individualità alle soglie del nuovo millennio. Giochiccio con la forchetta simulando indifferenza e nel frattempo gli chiedo “Ecco, ma tu fai tutto solo?”. Lui mi guarda un po’ spaesato, scuote il capo è mi risponde laconico: “Tutto in che senso?”. Eccolo il genio. E che se lo sapevo te lo venivo a raccontare a te? “No, dico, solo, ecco… mi sembra chiaro… no?”, mi infilo la fochetta sotto il naso come facendo finta di avere dei baffi. Ma lui sembra continuare a non comprendere anche se non vuole darmi la soddisfazione di ammetterlo.
- Ah... Solo, certo. Bhe, sai se lo chiedi a me io ti rispondo di sì, ma poi bisogna tener conto delle influenze esterne. Come sempre.
- Certo, certo. Lo dico anche io: le influenze esterne sono quelle che contano. Quindi, non fai tutto da solo…
- Sempre. Anche quando certe influenze esterne me lo impediscono. Io sono un ammiratore di Joaquin Derotun, d’altronde..
- Ah! Il vecchio Depoton. E chi ce la fa a non essere d’accordo con lui…
- Derotun, no Depoton. Mica mi dirai che non hai mai letto Derotun?
- Ma chi io? Ma per chi mi hai preso scusa? Ma torniamo a noi: quindi anche tu sei fermamente convinto che solo è meglio.
- Solo è meglio solo quando scegli di essere solo, altrimenti sei un emarginato ed è tutta un’altra cosa.
- Certo, sono d’accordissimo. La solitudine deve essere una scelta. Ma, poniamo il caso sia la solitudine a scegliere te? In quel caso solo non è meglio, non trovi?
- Dipende. Meglio soli che male accompagnati.
- Sì, ma non è possibile applaudire con una mano sola.
- E’ vero, ma con una mano sola si possono fare un sacco di altre cose.
- Tipo?
Mi cade la forchetta. Mi chino a raccoglierla e quando mi rialzo il mio amico non c’è più, è andato al bagno. Io guardo il conto, mi gratto la testa, poi lo riappoggio sul tavolo ed esco senza aspettare il suo rientro. E all’improvviso capisco il messaggio del biscotto.
 

 
 
 
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