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NOTE A MARGINE DI UN VIAGGIO IN METROPOLITANA - 4

Post n°1335 pubblicato il 08 Giugno 2012 da non.sono.io
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Di cose brutte che possono succederti durante un viaggio in metropolitana ce ne sono molte. Ma anche nella vita ce ne sono altrettante. Così che, se hai vissuto abbastanza intensamente, farti qualche chilometro stipato dentro un tubo di lamiera, senza aria condizionata, in mezzo a centinaia di persone, non può certo ucciderti. Però può farti rodere pesantemente il culo. E’ il rischio della metro, e della vita.
Tra i tanti imprevisti uno di quelli più frequenti è il guasto, proprio il giorno in cui hai più fretta. A Roma la metropolitana si può fermare o ritardare per qualsiasi motivo: pioggia, neve, caldo, umidità, calo di tensione elettrica, migrazioni di uccelli provenienti dall’Africa, sciopero, scavi archeologici, aumento del prezzo del biglietto, partite di calcio, manifestazioni, morte del papa, elezione del papa. Entrare in una stazione e uscirne proprio quando avevi previsto di farlo è un po’ come vincere cinquecento euro al Gratta e Vinci, devi avere fortuna. 
Poi c’è la porta guasta. E’ strano, perché quelli dell’Atac quando una porta si rompe non la riparano, no, sarebbe troppo logico. Ci appiccicano un biglietto dove c’è scritto, appunto, “porta guasta” ma dalla parte esterna, così che tu all’interno non lo sai. Sgomitando e ungendoti con il sudore di svariata gente ti fai largo fino all’uscita e proprio quando gli sei di fronte, ti accorgi che tutte le altre porte si stanno aprendo, tranne la tua. Ma a quel punto non hai più tempo per andare ad imboccarne una che funzioni.
Dopo, in ordine di molestia, ci sono i pazzi che cantano ubriachi, gli zingari profumati con un essenza di topo morto da svariati giorni, i ragazzini che ti limonano sulle ginocchia, i turisti con gli zaini grandi come quelli che usava Messner per scalare le montagne inappropriatamente agganciate sulle spalle che si muovono per guardare non so proprio cosa, e a ogni loro spostamento a te ti arriva in faccia una bottiglia da cinque litri e mezzo di acqua minerale frizzante ma non troppo.
Ma quello che tutti, proprio tutti, temono di più, quello che tutti si augurano disperatamente di non incontrare mai è la vecchia claudicante che non si capisce perché deve uscire di casa se non riesce nemmeno  a fare il gradino per salire sul vagone. Signora, ma non si può far venire a prendere da suo nipote?
La scena tipo è questa.
Io ho solo una fortuna nella mia vita: la stazione dove di solito prendo la metropolitana per andare a lavoro o in qualsiasi altro posto è un capolinea. Questo mi dà il privilegio regale di trovare sempre posto a sedere. Ma solo se riesco ad essere tra i primi a salire. Vuol dire che se non ce la faccio, dovrò farmi dieci fermate in piedi attaccato all’ascella di un venditore ambulante (con tutto il rispetto per la categoria). Dunque entro e mi piazzo nel sedile immediatamente al lato della porta, così che mi evito di dover uccidere qualcuno per ritrovare la libertà successivamente. Nei pochi minuti che precedono la partenza tutti i posti a sedere vengono occupati, non ci sono molte persone in piedi, e quindi posso rilassarmi. E’ in quel momento che sbuca zoppicando la Vecchia della Metro. Tra i passeggeri subito si sparge il panico. Ci lanciamo a vicenda sguardi nervosi per stabilire subito chi sia il più giovane che dovrà sacrificarsi lasciando il proprio posto alla signora. Per le antiche leggi non scritte del manuale di sopravvivenza urbana, le donne sono escluse dalla competizione, così anche i ragazzini al di sotto dei sedici anni. Qualcuno fa finta di leggere, si infila le cuffie gli occhiali da sole e recita la parte del distratto. Altri si afferrano immediatamente una gamba iniziando a lamentarsi per un dolore inventatissimo. Tutti gli altri sono sacrificabili. 
L’importante in questi casi è non lasciarsi prendere dalla paura della figuraccia, e resistere fino a quando qualcuno fa il gesto di alzarsi. Tu lo fai un secondo dopo di lui, così che tutti possono essere testimoni che l’avresti fatto anche tu ma, maledetta sfortuna, un altro lo ha fatto prima di te. E’ tipo la scena principale di “Mezzogiorno di fuoco”. Un signore con i baffi bianchi si tira fuori dalla competizione, perché io sono visibilmente più giovane di lui, anche se dimostro meno della mia età. Rimaniamo io e un altro mio coetaneo. Che poi, sarà proprio coetaneo? Mi viene da chiedergli la carta di identità e sfidarlo a mostrarla, ma sono timido. La Vecchia della Metro osserva la scena con l’espressione di una che sta per abbandonare questa terra da un momento all’altro. Non c’è molto tempo, la metropolitana sta per ripartire. Guardo il tetto. Qualcuno dice che dio esiste, e allora dove cazzo sta quando qualcuno ha bisogno di lui? Non puoi portartela via adesso che tanto qualsiasi cosa ci sia dopo la morte non può essere certo peggio di un viaggio in metropolitana? Ma niente, il miracolo non avviene.
E allora mi alzo e mi preparo al peggio.
La signora si siede, io sorrido gentile mentre dentro sento un impulso irrefrenabile di dargli fuoco. Quella nemmeno ringrazia. Alla prima stazione dopo quella di partenza il vagone si riempe a dismisura di esseri organici dallo sguardo vacuo e io rimango appiccicato all’asta di ferro dove in teoria uno dovrebbe aggrapparsi con la mano e non con la milza. Le porte si aprono e la vecchia scende. Cazzo, doveva fare solo una fermata.
Il treno riparte e con lui anche il mio umore.
Che vita di merda.

 
 
 
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