Per me

Silenzioso aneurisma....
L'aneurisma cerebrale (dilatazione abnorme di un tratto di arteria), può rompersi senza preavviso di sorta, provocando un'emorragia cerebrale. Si tratta di una patologia che può manifestarsi sia nel corso di un qualsiasi esercizio fisico, compresa l'attività lavorativa, che durante il sonno.
Circa il 50% dei pazienti in fase acuta ha subìto un episodio di "minor bleeding"( perdita di sangue secondaria) ore o giorni prima dell'emergenza. La rottura di un aneurisma determina sempre un particolare tipo di emorragia che si definisce ESA "subaracnoidea" e che - come un infarto cardiaco del resto, - può essere definita un evento ictale (ictus). L'evento patologico si verifica piu' spesso in pazienti con grossi aneurismi e con ipertensione mal controllata. L’emorragia cerebrale procura una percentuale del 70% di mortalità: il 25% delle morti è causato da risanguinamento. Si tratta di un fenomeno estremamente più grave del primo, perchè può portare a morte in pochi minuti. Una delle cause - e probabilmente la più essenziale - del verificarsi della rottura di un aneurisma va ricercata nella pressione arteriosa, quando essa appaia eccessivamente elevata. Nei casi verificati di ipertensione è consigliabile esercitare un controllo costante, evitare gli sbalzi di pressione dovuti per esempio ad una emozione, alla collera ecc. e praticare un'eventuale angiogafia cerebrale molto raramente( a distanza di un anno), perchè nel momento in cui si inietta il liquido di contrasto questo può causare un risanguinamento. In ogni caso, una sintomatologia riportabile a livelli eccessivi della pressione arteriosa – mal di testa violenti, malesseri inabilitanti ed altri – va sottoposta senza indugi all’attenzione di un cardiologo, di un angiologo o, quanto meno, del medico curante. La mortalità in caso di risanguinamento è del 50-70%.
Ma cosa si avverte quando si produce un’emorragia cerebrale? Nel giro di pochi secondi compare una cefalea acutissima ed improvvisa mai provata prima, con irradiazione alla nuca "a colpo di pugnale"; man mano che la pressione intracranica sale di livello, perchè elevata a causa della avvenuta emorragia, il paziente perde conoscenza poco a poco, con progressivo coma e morte cerebrale. E’ stato calcolato che dopo un anno, e dopo l'applicazione di tutte le terapie del caso, su 5 pazienti con emorragia cerebrale da rottura di aneurisma, solo uno sia vivo e in buone condizioni neurologiche, un secondo evidenzi dei deficit fisici e/o pschici e tre siano morti. Inizialmente la diagnosi può risultare errata, a causa della difficoltà ad interpretare la sintomatologia (cefalea, emicrania, influenza, meningite, artrosi cervicale, ecc...) riportabile, per assimilazione, a patologie “altre”. La diagnosi definitiva di aneurisma cerebrale tuttavia è affidata o alla TAC o all'angiografia encefalica che si esegue inserendo un lungo catetere nell'arteria femorale, intercettata a livello dell’inguine, portandolo fino alle arterie del collo (carotide e vertebrale) e visualizzando tutti i vasi dell'encefalo. Così si può avere la conferma della presenza dell'aneurisma e la sua sede.
Gli aneurismi cerebrali non vengono definiti congeniti nel vero senso della parola: in effetti più della loro metà si manifesta tra i 40 e i 60 anni e le donne sono colpite più frequentemente degli uomini. L'emergenza, quindi, è associata alla rottura della bolla che generalmente avviene in modo improvviso e, come già accennato, senza sintomi premonitori. Quando l'episodio ha inizio, tuttavia, compare una notevole quantità di sintomi che vanno dalla cefalea ai disturbi dello stato di coscienza, ai deficit neurologici sino alla morte. La terapia medica iniziale, che – insistiamo - deve essere la più tempestiva possibile, non è specifica per il trattamento degli aneurismi, ma limita o previene quegli effetti tossici legati all'emorragia subaracnoidea: i più importanti sono gli antiedemigeni cerebrali (diuretici come il "mannitolo" e cortisonici ad alte dosi), i sedativi ed i farmaci calcio-antagonisti. Importante è il trattamento dell'insufficienza respiratoria nei pazienti comatosi: questo deve essere eseguito prima di qualsiasi altro provvedimento, anche diagnostico. Un ulteriore abbassamento dell'apporto di ossigeno comporta l’incremento del danno ad un cervello già sofferente di per sé in conseguenza dell'emorragia subita. La terapia specifica è quella chirurgica. Essa consiste nell'esclusione della sacca aneurismatica dalla circolazione arteriosa, impedendone così il risanguinamento. Negli ultimi anni si è sviluppata una tecnica endovascolare, che appare assai meno invasiva e, rispetto alla craniotomia - l’apertura chirurgica del cranio –considerevolmente meno invasiva. Il neuroradiologo, dopo aver iniettato un mezzo di contrasto, servendosi di un catetere inserito nell’arteria femorale raggiunge l’aneurisma, lo riempie o lo chiude con delle sofisticate clips metalliche al titanio e platino in modo da escluderlo dal circolo, lasciando libere le arterie normali che presiedono all’irrorazione cerebrale.
La rottura di un aneurisma provoca molto di frequente delle conseguenze assai gravi: la mortalità non è inferiore al 25-30%, e circa il 30% dei decessi avvengono in prima giornata.
Solo il 50% dei pazienti ritorna all'attività lavorativa precedente; nel 10-15% dei casi si manifesta una grave disabilità ; la riduzione della coscienza e dell’attività fisica è pari all’ 1-3% ; i disturbi della memoria, al 50%; la flessibilità mentale e velocità psicomotoria risultano quasi sempre alterate.
E’ auspicabile, a favore dei pazienti, un ritorno alle normali attività lavorative, dopo un opportuno periodo di riabilitazione: essi, in effetti, non devono considerare se stessi come perpetuamente a rischio di nuovi sanguinamenti. Tuttavia è opportuno che, coloro che avessero subito un insulto del tipo descritto e che fossero tornati ad uno stato di normalità, siano destinati ad attività non eccessivamente stressanti sia sotto il profilo fisico che psicologico.
Di seguito sono descritti alcuni personaggi che hanno subito un’emorragia cerebrale. La maggior parte di loro non è sopravissuta: Felix Mendelssohn, compositore; Italo Calvino scrittore; Gabriele D’Annunzio scrittore; Salvatore Quasimodo poeta; Henry Ford, fondatore della Ford Motor; Antonio Gramsci politico ; Enrico Berlinguer politico; Marco Columbro conduttore-attore; Sharon Stone attrice; Nino Manfredi attore; Bill Berry batterista dei REM; Laura Branigan, pop star.

Ho avuto, nel 2005, anche la fortuna di incontrare epistolarmente, una bellissima Persona che ha avuto il mio stesso problema: Guido Spaini, che organizza e promuove eventi culturali, Nel 1993 ha ricevuto il premio Malaparte per meriti culturali e nel 1995 il Premio A.I.P.E. per l'organizzazione della fiera dei piccoli editori "Parole nel Tempo". Ha al suo attivo pubblicazioni con Bompiani, Mondadori, La Vita Felice e Manni Editore. Oltre a questa esperienza si occupa, da anni, di ufficio stampa e promozione di eventi culturali in molti altri ambiti, prestando la propria consulenza ad enti pubblici e privati. Come dicevo Guido ha avuto anche lui il mio stesso problema e un suo amico scrittore Giorgio Boatti, gli ha dedicato un libro "Quando tutti ci chiamavamo Mario" e gentilmente, me ne ha fatto omaggio, non finirò mai di ringraziarlo per questo!

Mi sono ritrovata nel racconto del libro che ho letto tutto d'un fiato, perchè anche io chiamavo tutti allo stesso modo, che coincidenze, vero? Se magari lo cercate nelle librerie è un ottima lettura, ve lo consiglio!

Ecco, io ho avuto tutto questo, come Giudo e molte altre persone, ma ho, abbiamo anche avuto anche la fortuna di essercela cavata senza conseguenze irreparabili... Ed io sono qui, felice a poterlo testimoniare.E dopo tutto ciò, ho  imparato ancora di più ad apprezzare la vita
in ogni sua meraviglia e in ogni sua difficoltà e, pur avendone
passate tante, le ho superate soprattutto intessendo relazioni umane costruttive, improntate sulla franchezza, l’empatia e il semplice sentirsi accomunati da qualcosa.
Non nego, però, di aver passato anche alcuni giorni in uno stato
di completo abbandono e depressione, non voler vivere emozioni dolorose, angoscianti, equivarrebbe, per me, rimuovere ciò che invece va affrontato.
Non consideratemi superba o presuntuosa se vi dico che quando ho
avuto il tempo di capire da sola che qualcosa non andava,
ho accettato il fatto sia pur con dolore, ma in modo sereno.
E, l'unico mio pensiero in quei momenti non ero io, ma erano i miei figli..
Molte persone in quei frangenti si chiedono: "perché proprio a me?"
e io: "ecco: è toccato a me e devo reagire e lottare"...
Mi reputo fortunata di vivere in quest’epoca in cui i progressi
scientifici mi hanno consentito di guarire,
grazie anche al Professor Apolito che mi segue costantemente.

Eugenia Claudia, Clo