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L'ultimo chilometro (1ª parte)

Post n°121 pubblicato il 21 Aprile 2007 da In_mezzo_alla_segale
 

(tempo di lettura: 6 minuti)

Da un pezzo non partecipo più, ma di tanto in tanto faccio un salto per buttare un occhio. E ho sempre tenuto la macchina in ordine, ché non si sa mai. Il punto di ritrovo cambia ogni volta, ma il passaparola diffonde le notizie giuste in tempo utile.

Stanotte si fa sul serio, mi riporta il tam-tam. Verrà gente da fuori, gente con le palle, gente che ci sa fare. Sarà uno spettacolo. Ci sarò, dico al mio messaggero, ma solo come spettatore. Chissà che stavolta non fai uno strappo alla regola, dice il mio messaggero.

Arrivo in anticipo per vedere che facce girano adesso ed è come tornare a casa. Molti mi salutano, i nuovi si danno di gomito e mi additano. Non sento quel che dicono, ma più o meno conosco il contenuto di quei sussurri: è lui, quello che si è ritirato imbattuto, non ha mai perso, tranne la volta dell’incidente. Non è vero, ma me la tiro finché posso. Entro breve sarò sostituito da leggende più fresche, scivolerò nel dimenticatoio per una china sempre più ripida finché il mio nome non farà alzare nemmeno più un sopracciglio.

Per anni questa è stata la mia vera vita. Poche ore concentrate a ridosso dell’alba, poche ore in cui può succedere di tutto. Soldi, tanti soldi, che passano di mano sotto la luce dei fari alogeni, odore di benzina corretta e di gomme strinate, ruggiti di motori esibiti come assolo di chitarra e scintillii di cromature.

Ogni tanto qualcuno si spiaccica, tradito dalla voglia di strafare o da un guasto. Si chiama l’ambulanza, gli si augura in bocca al lupo e si sgombra. Oppure la festa viene interrotta da roteanti luci blu e rosse, e allora ognuno per sé e Dio per tutti. Chi ha studiato in anticipo la via d’uscita può farcela, gli altri tireranno mattina dando spiegazioni a divise di pessimo umore.

Serata moscia, questa. Niente che valga davvero la pena. Un imbecille si capriola fuori da una curva, ma tornerà a casa intero; a un altro scoppiano i freni alla fine del dritto e s’impasta contro un albero. Nessun danno serio nemmeno per lui, ma la macchina (rubata) resterà lì. Qualcuno s’incazza con l’organizzatore, bisognerebbe vedere i libretti prima di ammettere un "ferro" in pista, ma la polemica si smorza in fretta.

Sbuca un tizio che sembra preso pari pari da Grease, mi picchietta l’indice sul petto: – Sono venuto per te, non mi deludere.

Non so chi sia questo dannyzuco sbiadito. Lo guardo come fosse un venditore di enciclopedie che scampanella una domenica mattina. – Ti deluderò sì, amico. Ho parcheggiato ai box da un bel po’ e non credo che accenderò il motore per te.

Sorride, il dannyzuco, mentre tra la claque che s’è portato appresso si spande un brusio di delusione. – Lo sapevo che avresti detto così.

Tende una mano a palma in su senza smettere di guardarmi negli occhi e gli arriva una bella mazzetta di banconote. – Avevo aperto due scommesse – mi dice. – La prima che ti saresti cagato sotto, e l’ho vinta. La seconda che, se invece avessi accettato, ti avrei battuto, ma pare che questa resterà un’incognita. Si volta verso la sua corte. – Andiamo ragazzi, stasera c’è solo noia.

Lo fermo. – Hai fretta? Se non devi essere a nanna presto lasciami mezz’ora per pensarci.

Vado a cercare Cric, il meccanico che tutto ripara e tutti conosce. C’ha alzato delle discrete cifre in passato, scommettendo su di me, mi deve qualcosa.

– Ciao Cric. Conosci il nuovo arrivato?

– Ciao socio! – mi saluta con una pacca sulla spalla. – Dimmi che stasera giri la chiavetta.

– Ci sto pensando, ma vorrei qualche notizia sul mio avversario.

Cric mi racconta una bella storia. Il dannyzuco si fa chiamare Cowboy – come Ryan O’Neal in Driver l'imprendibile –, il suo ferro va come il cocchio del demonio. Ha più soldi che neuroni, si annoia e ammazza il tempo sulle piste, legali o clandestine non ha importanza. Nel suo giro ha fama di uno tosto, ma Cric l’ha visto in azione e mi dà un parere secco: è un "pestone", ovvero uno capace soltanto di pestare sul gas. Insomma, se la crede ma è un geppo qualunque. Il meccanico mi strizza l’occhio: – Fossi in te ci farei un pensierino. Se giochi di fino è alla tua portata.

 Torno dal geppo, gli faccio due moine (gran bel ferro, Cowboy, gran bel ferro davvero) e gli chiedo di vedere il motore. Sorride. – Ce l’ho più grosso io – e apre il cofano. Avrei voglia di dirgli che anche qui, come in altri campi, le misure non sono tutto, ma faccio finta di niente. Mi snocciola dati tecnici da paura: i cavalli sono una mandria, il resto va di conseguenza. Faccio lo stupito, ma ho visto quel che m’interessa: sulle prese d’aria non ha filtri. Faccio un giro attorno al mostro: carrozzeria nera, fiamme aerografate sulla fiancate. Ha un assetto bassissimo, basterebbe un passo carraio per picchiare sotto.

– Paura? – mi chiede.

– In effetti è una robina di prim’ordine.

– Me la dai vinta a tavolino?

Faccio finta di pensarci, mi stropiccio la faccia. – Se il percorso lo decido io posso provarci.

– Tutto quello che vuoi, amico – e gli si accende negli occhi la luce del gatto che invita a cena il topo.

– A un chilometro da qui, dopo una casa isolata, c’è una svolta a destra. Da lì parte una strada sterrata che gira in tondo e torna indietro. Saranno quattro o cinque chilometri. È un cantiere abbandonato della ferrovia, non ci si può sbagliare, non ci sono deviazioni. Poi si rifà dalla casa a qui. Il primo che ripassa esattamente dove siamo ora vince. Ti va?

– Uno sterro? – chiede il geppo, e il sorriso perde un po’ di smalto. Sapevo che preferiva l’asfalto, ma ormai s’è compromesso in pubblico, non può tirarsi indietro.

– Sì, perché, problemi?

– No, certo che no. Andiamo.

La notizia che mi rimetto al volante si sparge come un incendio nella savana. Prima di domattina molti soldi avranno cambiato tasca, e conto che un po’ rimangano appiccicati a me e alla gente giusta.

 
 
 
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